La
scuola
di finanza creativa,
fondata dall’ex ministro dell’economia e delle finanze Giulio
Tremonti
all’inizio di questo millennio, venne chiusa frettolosamente dal
suo stesso fondatore nel 2009 (DL 207/2008, L 14/2009) dopo il
clamoroso fallimento della seconda operazione di vendita di immobili
pubblici mediante procedure di cartolarizzazione (e che costò agli
enti coinvolti circa 1,7 miliardi di euro per rientrare in possesso
degli immobili conferiti nell’operazione). Che cosa s’insegnava
in questa scuola? Si esponevano le tecniche di istituti finanziari
innovativi: cartolarizzazioni, operazioni su derivati, swap,
ad alto contenuto d’ingegno (ecco perché era “finanza creativa”)
capaci, sostanzialmente, di creare denaro dal nulla (un po’ come il
gatto e la volpe che suggeriscono al credulone Pinocchio
di sotterrare le 5 monete d’oro nel campo dei miracoli; dalla
semina, sarebbe nato un albero carico di zecchini). Ora, sentendo
l’annuncio del lancio,da
parte della Regione Piemonte,
di
due fondi immobiliari
che, attraverso complesse operazioni di ingegneria finanziaria,
dovrebbero portare nelle casse regionali, in tempi rapidi, 600
milioni di euro (e si dice che i fondi dovrebbero addirittura già
generare redditività da metà del 2013), sembra che la scuola
tremontiana (si spera non quella del gatto e della volpe) abbia
riaperto i battenti in Piemonte.
Dice
la Regione (da quanto si apprende) che nel primo
fondo
– definito Fondo immobiliare regionale (Fir)
- confluiranno beni per 500 milioni di euro. Comprenderà i 250
milioni di euro di valore del futuro grattacielo della sede
regionale, altri immobili della Regione e quelli non strategici degli
ospedali; avrà una durata ventennale, potrà indebitarsi per 200
milioni, e le quote di partecipazione saranno del 33% della Regione e
del 66% di investitori privati (manca un 1%, ma poco rileva). Nel
secondo
– definito Fondo immobiliare sanitario (Fis)
- confluiranno immobili degli ospedali per 1 miliardo di valore, avrà
durata venticinquennale, potrà indebitarsi per 350 milioni, le quote
di partecipazione saranno per il 66% delle aziende ospedaliere e per
il 33% di investitori terzi (manca anche qui un 1%, ed i terzi, in
questo caso, sono “investitori etici”: fondazioni bancarie, fondi
pensione). Questa, in sintesi, l’operazione. Si ricorre cioè ad
uno strumento: il fondo
immobiliare
che, in base alle sue regole di funzionamento, riunisce più beni
immobili appartenenti a soggetti diversi, ne affida la gestione ad
una società professionale esterna (definita: società di gestione
del risparmio – sgr),
che provvederà a venderli, locarli, permutarli, rivalorizzarli;
attraverso queste operazioni, la società assicurerà
una redditività del patrimonio immobiliare
del fondo, non conseguibile se ogni immobile fosse gestito
singolarmente. I soggetti che possiedono quote del fondo ottengono un
reddito (ma non si deve dimenticare che partecipano anche alle
perdite, particolarmente pesanti di questi tempi a causa della crisi)
in base alle quote possedute. La sgr
cercherà di aumentare il valore dei capitali raccolti minimizzandone
le perdite, e ripartirà il risultato netto della gestione.
Trattandosi di strumenti finanziari, i fondi immobiliari sono
disciplinati dalle norme sull’intermediazione finanziaria (d.
legislativo 58/1998). La Banca
d’Italia
ne approva la regolamentazione e ne monitora l’attività.Dunque,
il ragionamento è semplice. La Regione constata: siamo senza soldi.
Come possiamo farne rapidamente? Raccogliamo immobili sui quali
possiamo dire la nostra (così si pensa per gli immobili
ospedalieri), costituiamo un fondo, lo affidiamo ad una sgr
la quale, nel momento in cui acquisisce la disponibilità di una
massa patrimoniale importante, ci anticipa subito una somma: i 600
milioni prima ricordati (anche le cartolarizzazioni funzionavano più
o meno così: fare rapidamente cassa, senza valutazione dei
risultati; se poi erano fallimentari, lo Stato – o gli enti che vi
avevano fatto ricorso - ripianavano il buco, ovviamente con denaro
del contribuente). Per dovere di verità, occorre dire che anche lo
Stato sta pensando, in questo momento, ad operazioni simili per
gestire la valorizzazione (vendita, locazione, permuta) del suo
patrimonio - l’ormai noto “mattone di stato”. Però, guarda
caso, pensa di farle fare alla Cassa depositi e prestiti, la più
potente banca che oggi esiste in Italia e che – altro particolare
non insignificante - è sua. Non risulta che nei piani della Regione
sia ipotizzabile un analogo intervento. In ogni caso, trattandosi di
operazione ormai solennemente annunciata, merita procedere a qualche
approfondimento per analizzarne la fattibilità. Ovviamente lo si
deve fare tenendo presenti le norme sui fondi immobiliari, perché è
di questo che si parla. Ma è proprio alla luce di queste regole che
qualcosa non torna.
Per
costituire
fondi immobiliari e renderli operativi, i tempi
non sono proprio così brevi; né sono tali quelli occorrenti per
trovare gli investitori che ne acquistino le quote. Inoltre, se i beni
da conferire nei fondi sono beni patrimoniali disponibili, cioè da
mettere liberamente sul mercato, l’operazione è facilitata. Chi
opera nel settore vede soltanto, in questo caso, l’esigenza di
separare i beni che danno già un reddito (per esempio, case o
terreni locati, facilmente stimabili), da quelli che devono essere
valorizzati (carceri, caserme, altri beni demaniali, per questo
inizialmente non stimabili) perché lo possano generare. Questi
elementi sfuggono nel caso Regione. Nel primo
fondo
(stimato in 500 milioni di euro e sulle stime, per quanto appena
detto, forse bisognerebbe aspettare) conferirebbe un bene, tuttora
non esistente, pari alla metà del valore del fondo: la sua sede
futura. Ma è un bene che fa già parte del suo patrimonio? Oggi
sembrerebbe di no poiché (per quanto si sa e per le procedure
realizzative scelte: leasing
in costruendo)
apparterrà alla Regione quando avrà corrisposto al costruttore il
valore del manufatto. E poi, quale sarà la redditività futura di un
bene che sarà utilizzato per fini istituzionali? La Regione pagherà
alla società di gestione un affitto per consentirle di chiudere in
positivo il conto economico e, conseguentemente, remunerare gli
investitori, compresa se stessa? E come restituirà alla sgr
le somme inizialmente anticipatele? Non c’è dubbio che sono un
debito che, prima o poi, va onorato. Per un groviglio di norme
finanziarie e patrimoniali, la questione diventa dunque complessa.
Considerazioni analoghe si possono fare sul secondo
fondo
che dovrebbe accorpare gli immobili ospedalieri definiti “core”
cioè, se si capisce bene, proprio quelli destinati all’attività
di ricovero. Saranno le aziende sanitarie a pagare un affitto per
poter occupare gli immobili e consentire alla società di gestione,
analogamente a quanto detto prima, di chiudere in nero il conto
economico? Se non c’è utile economico, ed a meno che non si
vogliano trasformare in benefattori con elargizioni a fondo perduto,
gli investitori terzi, anche se “etici” scappano. Per le
considerazioni fatte, sarebbe utile conoscere meglio la reale
composizione dei beni che confluiranno nei due fondi.
A
conti fatti
la Regione Piemonte, vittima di operazioni di finanza creativa
ereditate dai precedenti governanti, non si avvii sulla stessa
strada. Pensi sempre ai poveri cittadini che, già oberati dai debiti
sui derivati, in un domani potrebbero trovarsi a dover pagare cari
prezzi per altre operazioni di ingegneria finanziaria. Prima di
agire, chieda subito alla Corte
dei conti,
come promesso dall’assessore al bilancio Giovanna
Quaglia,
che cosa pensa del progetto. La finanza
seria e
che dà risultati positiviè sempre quella reale,
non quella creativa.
Nessun commento:
Posta un commento