orso castano : molto interessante la ricerca di Italia Futura sull'abbandono e/o sulla non prosecuzione degli studi da parte dei figli di chi appartiene a classi sociali non abbienti. "Un lusso che l'Italia non si puo' permettere. La ricerca va letta . Le classi sociali meno abbienti sono le piu' svantaggiate . Non posseggono le risorse del "familismo amorale" . Le risposte che i vari governi hanno dato hanno solo portato confusione, aggravato il problema ed incentivato una falsa meritocrazia che ha tagliato fuori tanti cerveelli formidabili che hanno preso la via dell'estero per potersi realizzare. L'ultima proposta Profumo , di cui parleremo in altro post non fa altro che reiterare questi schemi. Premiamo i piu' bravi1. Certo va bene, ma diamo la possibilita' a tutti, secondo tempi che variano da soggetto a soggetto, di dare il meglio di se, ma a livello di massa, permettendo davvero ad intereschiere di "genietti" di esprimersi. Quindi un discorso strutturale , diffuso, liberale, di accesso di massa all'istruzione superiore. Avverra ? Non sembra che il ministro Profumo vada in questa direzione, ma ormai il tempo sta scadendo e paesi immensi come la Cina e l'India, per la "legge dei grandi numeri ci stanno sorpassando alla grande!!! Cliccare sotto sul titolo per l'articolo.
Tempi e criteri di carriera e crescita professionale
Verso la fine degli anni Cinquanta meno della meta della popolazione italianaaveva accesso ad una televisione, per le strade circolava una macchina ogni trentasei abitanti, e piu' della meta degli italiani faceva l`operaio. Trentanni dopo l'Italia aveva un
prodotto interno lordo tra i piu alti
del mondo occidentale, superando anche l`Inghilterra;
televisioni, telefoni e automobili
abbondavano ormai in tutte le famiglie e molti dei figli
degli operai degli anni Cinquanta erano
diventati impiegati di buon livello, medici,
avvocati, commercialisti. Questi
risultati sono stati possibili grazie ad un periodo di
grande dinamismo e mobilita della
nostra societa. Una mobilita che ha consentito al
paese di crescere e acquistare fiducia
in se stesso. Perché una societa' mobile alimenta Ia
fiducia nel domani, del senso della
possibilita', e motiva gli individui ad investire in tutto
quello che aiuta a crescere: Io studio,
il lavoro, il sacrificio, la collaborazione. In poche
parole: stimola ad investire nella
costruzione del futuro.
Ma é ancora cosi? Da tempo ormai si é
difusa in Italia la sensazione di un paese
che non é piu in grado di dare ai
propri cittadini quelle opportunita di crescita e
realizzazione a cui aspirano. Una
sensazione che demoralizza e demotiva soprattutto Ie
generazioni piu giovani. Recenti
sondaggi ci dicono che mentre il 4 % degli
ultracinquantenni dichiara di aver
migliorato il proprio stato sociale rispetto alla
famiglia di origine, solo il 6% dei
vontenni dichiara di trovarsi in condizioni migliori.
Addirittura il 20% dei giovani
dichiaradi aver peggiorato il proprio stato sociale
rispetto alla famiglia di origine.
Nonostante Ia gravita della situazione,
non si é ancora riusciti a dare risposte a
questo malessere, a capirne i contorni,
per identificare le dimensioni critiche e definire
delle linee di azione fuori dalla
logica della propaganda e delle ideologie. E questo
l'obiettivo del nostro primo Rapporto
sulla mobilita sociale. Avviare una riflessione
approfondita sul tema della mobilita
sociale in Italia fornendo dati, analisi, confronti
internazionali assieme ad alcune
proposte concrete. Una riflessione aperta, non
meramente accademica, che possa
contribuire ad alimentare un dibattito partecipato,
diffuso e, sperabilmente, fruttuoso.
La mobilita sociale é un fenomeno
complesso e multiforme che va oltre i manuali
sociologici e Ia questione delle
classi. Non e solo Iegata all'essere operai o avvocati, ma
alla qualita della vita, all'equita'
nella distribuzione delle risorse, aII`accesso alle
opportunita' di crescita. Per questo Ie
analisi condotte nel Rapporto toccano varie
dimensioni collegate alla mobilita
sociale, reale e percepita: a) poverta e
disuguaglianze; b) mobilita dei
redditi; c) disuguaglianze neII`accesso all`istruzione
universitaria; d) tempi e criteri di
crescita professionale; e) politiche attuate/attuabili.
I risultati emersi hanno delineato un
quadro assai poco rassicurante, che ci aiuta a
capire i motivi del pessimismo di tanti
italiani. Cinque i principali elementi di
preoccupazione:
1. Le
analisi sulla diffusione di poverta' e disuguaglianze mostrano come
in Italia
non solo vi sia una disparita' nella
distribuzione dei redditi molto elevata e in aumento
negli ultimi anni (il 20% delle
famiglie piu ricche detiene quasi il 40% del reddito
nazionale), ma anche come la poverta
sia caratterizzata da alcuni tratti distintivi che Ia
renolono particolarmente insidiosa.
Infatti, a differenza di altri paesi in cui Ia poverta
colpisce soprattutto anziani e single
disoccupati, in Italia colpisce bambini e tamiglie,
anche quelle non afflitte dalla
disoccupazione. L'incidenza della poverta' risulta pari al
14% tra Ie coppie con due figli e al
22,8% tra quelle con almeno tre, percentuali che
salgono rispettivamente al 15,5% e al
27,1% se i figli sono minori, contro una media
nazionale deII`1 1%. Questo e uno dei
motivi alla base di un triste primato negativo
detenuto dall'Italia: uno dei tassi di
poverta' infantile piu alti d`Europa. Secondo i dati
Eurostat, in Italia il 25% dei bambini
vive in famiglie povere: il tasso piu alto tra i paesi
europei.
2. In Italia
non solo Ia percentuale di bambini che crescono in famiglie povere é
molto alta, ma é molto difficile
scrollarsi di dosso questa poverta. Mentre in molti altri
paesi europei una persona su quattro
tra quelle piu povere riesce, nel giro di tre anni, a
passare ad un Iivello economico
migliore, in Italia accade solo a una su sei. I dati sulla
mobilita dei redditi mostrano che
I'Italia ha uno dei tassi di persistenza dei redditi tra
generazioni maggiore tra tutti i paesi
Ocse, di circa 0.5. Semplificando un po, questo
significa che in Italia quasi il 50%
del differenziale relativo dei redditi dei genitori si
trasmette ai figli. Un dato altissimo
se confrontato con altri paesi europei in cui il dato si
attesta attorno al 20%. In sintesi, si
puo dire che in Italia mentre i figli dei ricchi restano
tali, per chi nasce in una famiglia
povera é molto difficile uscire dalla poverta'.
3. Le
disuguaglianze emergono non solo nello distribuzione dello ricchezza,
ma
anche nell'accesso alle opportunita'
di istruzione e formazione. I ragazzi provenienti dai
ceti piu bassi mostrano scarsi stimoli
ed incentivi a studiare e formarsi, anche se
meritevoli e promettenti. Le
probabilita' che un ragazzo il cui padre non abbia
completato gli studi superiori riesce
a laurearsi e tra le piu basse d`Europa (il 10%, contro
il 35% della Francia. il 40% della Gran
Bretagna ). La cosa piu' preoccupante e' che i figli
dei ceti-medio bassi non si iscrivono
all'Universita' o abbandonano gli studi anche quando sono bravi. Uno
studio condotto dell'istituto Cattaneo sui 700 diplomati piu' bravi
d`Italia ha: mostrato che quasi il l0%
di questi piccoli geni non ha intrapreso gli studi
universitari: i rinunciatari sono per
lo piu' i ragazzi cresciuti in famiglie di ceto medio basso.
Le condizioni di origine scoraggiano in
partenza e questo rappressenta uno spreco che l'Italia non puo'
permettersi.
4. Tra i
motivi di tanto scoraggiamento vi e' la difficolta' crescente dei
giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro , i primi stadi della
carriera sono sempre piu lenti e faticosi e troppo legati alle
professioni dei genitori. I giovani guadagnano sempre meno rispetto
alle generazioni piu ' anziane .Mentre alla fine degli anni Ottanta
il differenziale retributivo tra vecchi e gioani era meno del 20%,
nel 2004,
secondo i dati della Banca d'Italia,
questo gap é arrivato al 35%. Un divario che risulta
piu' pronunciato per i giovani
laureati. Questa crescente divergenze tra i redditi non viene
recuperato nel tempo, ma rispecchia
percorsi di carriera rallentati e svalorizzati rispetto
al passato. I laureati entrati nel
mondo del lavoro a meta' degli anni Ottanta
aumentano il proprio salario di oltre
l'85% in 7 anni, mentre quelli entrati agli inizi
negli amni Novanta dopo 7 anni avevano
raggiunto un aumento del 54%. L'unica
eccezione e per chi puo capitalizzare
non solo sulla propria lourea, ma su quello del
padre. E per questo che in ItaIia si
trasmettono di generazione in generazione non
solo i beni e i redditi, ma anche Ie
professioni. Il 44% degli architetti e' figlio di
architetti, il 42% di avvocati e notai
e' figlio di avvocati e notai, il 40% dei farmacisti é
figlio di farmacisti e cosi' via,
innescando una spirale negativa che non fa che aumentare
l'immobilismo sociale del nostro paese.
5. A fronte
di questa situazione il nostro paese non é stato capace di mettere
in
campo interventi incisivi. Le politiche
tutte sino ad oggi appaiono insufficienti,
spesso scollegate e senza visione di
insieme. Le spese sociali e dominate
dall'erogazione delle pensioni (il 60%
del totale, contro una media europea del 45%), e
la parte destinata alle politiche per
l`infanzia, la adolescenza e le famiglie é solo del 2%
del Pil, la meta' dello media dei paesi
Ocse. Non solo, ma questo speso appare troppo
incentrata su traisferimenti monetari
indistinti o bonus una tantum, anziché su servizi e
interventi strutturali. In questo modo
si continua a privilegiare una logica assistenzialista
invece di orientarsi su misure
incentivanti e premianti del lavoro, legate alle
necessita'/potenzialita' dellindividuo.
lnfine, le modalita' di erogazione Appaiono
complesse, e i criteri di allocazione
contradditori tra loro e distorsivi. Per questo motivo le
persone che piu avrebbero bisogno
finiscono spesso per essere escluse dai benefici o per
essere scoraggiate dal farvi
ricorso.................
Gli studi e l'università non sono più un ascensore sociale significativo in quanto non garantiscono vantaggi tangibili in termini di carriera, a meno che non vi sia alle spalle una famiglia già avvantaggiata. A differenza degli altri paesi, in Italia il tasso di disoccupazione dei laureati è pressoché pari a quello dei diplomati, e il salario di ingresso di un laureato è pressoché lo stesso di un diplomato. La situazione è aggravata dal fatto che questi inizi “rallentati” non vengono recuperati nel corso della carriera professionale. Infatti i criteri e i tempi delle carriere sono oggi molto più difficili e lenti di una volta, e se ne ha conferma osservando le dinamiche salariali tra le nuove generazioni e quelle più anziane.
Mentre alla fine degli anni Ottanta il differenziale retributivo tra vecchi e giovani era meno del 20%, nel 2004, secondo i dati della Banca d'Italia, questo gap è arrivato al 35%. Un divario che risulta più pronunciato per i giovani laureati, che hanno perso proporzionalmente più terreno rispetto ai colleghi più anziani con lo stesso livello di istruzione.
È importante inoltre sottolineare che questa crescente divergenza tra redditi dei più giovani e dei più vecchi non è soltanto il frutto di più bassi salari di ingresso che vengono poi recuperati nel tempo, ma rispecchia percorsi di carriera complessivamente rallentati e svalorizzati rispetto al passato.
Mentre i giovani più istruiti entrati nel mondo del lavoro a metà degli anni Ottanta riuscivano ad aumentare il proprio salario di oltre l'85% nel giro di sette anni, quelli entrati sul mercato del lavoro agli inizi degli anni Novanta dopo sette anni avevano raggiunto un aumento molto inferiore, ossia del 54%.
Anche per questo in Italia i “ritorni” dell'investimento in istruzione universitaria, intesi come il reddito addizionale raggiungibile con il titolo di laurea, sono andati diminuendo e sono oggi piuttosto bassi rispetto a molti altri paesi Ocse. Una tale situazione non può che scoraggiare chi viene da situazioni già precarie e non può permettersi anni e anni di attesa prima di vedere i ritorni dell'investimento fatto in istruzione.
Le uniche eccezioni sono rappresentate dai quei giovani che possono capitalizzare non solo e non tanto sulla propria laurea, ma su quella del padre: un laureato in legge con un padre notaio o avvocato avrà ritorni ben diversi da chi ha un padre che ha fatto la terza media; un farmacista col padre farmacista potrà accedere ad opportunità migliori in tempi più rapidi e così via. È per questo che in Italia si trasmettono di generazione in generazione non solo i beni e i redditi, ma anche le professioni. Il 44% degli architetti è figlio di architetti, il 42% dei laureati in giurisprudenza è figlio di laureati in giurisprudenza, il 40% dei farmacisti è figlio di farmacisti e così via, innescando una spirale negativa che non fa che aumentare l'immobilismo sociale del nostro paese e aumentare la sensazione di impotenza delle generazioni più giovani.
Infatti una simile situazione non solo causa disfuzioni nei processi di transizione tra una generazione e l'altra, ma introduce distorsioni e ineguaglianze tra gli appartenenti ad una stessa generazione.
Nessun commento:
Posta un commento