domenica 14 marzo 2010

la prospettiva neuroetica


Riportiamo quasi per intero un articolo di un gruppo di ricercatori : M De Vanna, C. Alagni, R. Marin, D. Carlino dell'Universita' degli studi di Firenze.Alcune riflessioni su tali titpi di studi verranno fatte nella continuazione dell'articolo. L'articolo e' tratto da "L'altro" rivista quadrimestrale della SIFIT.

Introduzione
II termine ha fatto la sua comparsa alla fine degli anni '80 del secolo scorso in un articolo del neurologo R. Cranford del 1989, benché tenda ad assumersene la paternità il commentatore del New York Times William Safire, scrittore che si occupa da tempo di politica e linguistica e chairman della Dana Foundation. Secondo Safire la neuroetica è un «ambito della filosofia, che discute del trattamento e del potenziamento del cervello umano».
Più tardi il neuroscienziato Michael Gazzaniga ha esteso la definizione, facendo rientrare nella neuroetica la riflessione sulla gestione di «alcune tematiche sociali -quali la malattia, la mortalità, la normalità, lo stile di vita e la filosofia della vita», nel tentativo addirittura di uniformare i nostri intendimenti ai meccanismi del cervello che li sottendono .
La neuroetica ......disciplina che cerca il massimo dei benefici da eventuali cure mediche del cervello...ma anche....sforzo di elaborare una filosofia della vita, basata sul cervello»........È possibile pensare che il senso etico - che ognuno di noi si forma attraverso l'educazione, l'ambiente sociale, le pratiche religiose, la formazione spirituale - riesca a far buon uso delle nuove conoscenze scientifiche? C'è una comunità politica e morale in grado di proteggere dai rischi della ricerca? Oggi sappiamo che alcune disfunzioni cerebrali hanno una certa probabilità di essere associate a comportamenti antisociali. Ma se domani gli strumenti di imaging cerebrale ci permettessero di identificare dei marcatori neurofisiologici per determinati profili comportamentali, per esempio stupri e omicidi, cosa succederebbe nelle aule di tribunale?
......Nell'ambito di ciò che siamo in grado di fare, i fronti più caldi riguardano il neuroimaging predittivo, e le relative applicazioni giudizi-arie e l'enhancement......La nascita di quella che potremmo chiamare la moderna "neurologia forense" risale alle osservazioni compiute nel XIX secolo da John Harlow sul caso di Phineas P. Cage. Gage, un operaio delle ferrovie, ebbe la sfortuna di avere la parte anteriore del cervello trapassata violentemente da una sbarra di ferro, che gli procurò vasti danni alla corteccia prefrontale. Nonostante un miracoloso recupero delle facoltà fisiche e intellettuali, vennero osservati grandi cambiamenti nella sua personalità. L'uomo che era stato una volta cortese e diligente divenne decisamente antisociale. Facendo seguito all'impressionante descrizione computa da Harlow, ricostruzioni computerizzate basate sulle fratture craniche di Gage hanno individuato più precisamente le regioni danneggiate della corteccia prefrontale, che le prove oggi disponibili associano al controllo delle funzioni involontarie, delle abilità sociali e dell'affettività. Il caso di Phineas Gage è fondamentale sia per i neuroscienziati sia per gli studiosi di diritto, perché ha indicato per la prima volta che le facoltà raziocinative e il rispetto per gli altri possono essere compromessi da un danno al lobo frontale. Le osservazioni di Harlow hanno condotto molti esperti a ipotizzare che un insulto neurologico potrebbe costituire un fattore importante nel comportamento criminale recidivo e violento. Le ricerche empiriche moderne confermano l'affermazione che la corteccia prefrontale umana, uno degli ultimi arrivati nella filogenesi del cervello, è ciò che conferisce le facoltà razionali, intellettuali e morali
(tab.l):che alcuni tipi di comportamento criminale sono associati a disfunzioni di regioni differenti del cervello (8). Tuttavia, più che la fRMI, sono le risposte, elettroence-falografiche dei sospetti a essere state utilizzate con qualche risultato nel tentativo di discriminare gli stimoli generalmente connessi al crimine da quelli noti solo al suo esecutore. Il metodo "Brain Fingerprinting", per esempio, riguarda una particolare applicazione dei potenziali evento-relati basata sull'assunto che gli stimoli presentati, derivati dal contesto del crimine, producano risposte elettriche (P300) diverse a seconda che il soggetto riconosca o meno la rilevanza dell'informazione in essi contenuta e ne apprezzi o meno i dettagli, sconosciuti alla persona innocente. Negli USA, questo tipo di esame è stato ammesso nell'ambito processuale e ne è stato proposto l'uso allo scopo di identificare potenziali terroristi; in Italia, invece, i risultati di questo tipo di esame non hanno valore probatorio. La neuroetica sta discutendo anche dei bias sociali: alcuni esempi emblematici riguardano il neuromarketing, i bias razziali ed il brain fingerprinting. Il neuromarketing si serve della fRMI per misurare l'influenza dei vari prodotti sul sistema limbico dei consumatori. In uno studio recente (9) si è visto che l'attivazione cerebrale associata alla preferenza per la bibita coincideva con quella per il suo nome, ma la Coca Cola produceva un'attivazione maggiore della Pepsi. Poiché queste strutture cerebrali sono coinvolte nell'elaborazione di emozioni, la loro sensibilità all'esposizione a certi prodotti significa che i gusti del consumatore sono orientabili. Una logica analoga è stata applicata anche all'identificazione dei correlati cerebrali delle preferenze politiche degli elettori indecisi, ricevendo condivisibili critiche.
Corteccia cingolate anteriore  : Empatia
CPF orbitale  :Rimorso
CPF ventromediale : Decisioni morali
CPF ventrolaterale : Inibizione del comportamento
CPF dorsolaterale : Ragionamento
Per esempio, numerosi studi su pazienti con ferite localizzate nel lobo frontale hanno avvalorato la tesi di Harlow. In uno degli studi più ampi finora eseguiti su pazienti con danno cerebrale, Moli J et al. hanno scoperto che punteggi crescenti su una scala di aggressività/violenza erano associati più strettamente a lesioni della corteccia prefrontale localizzate in modo simile in un campione di 279 veterani della guerra del Vietnam. Punteggi più alti, tuttavia, erano associati più strettamente ad aggressioni verbali che ad aggressioni fisiche, in accordo anche qui con le osservazioni di Harlow su Gage. Questi studi, insieme alle osservazioni cliniche, hanno indotto molti a suggerire che un danno alla corteccia prefrontale dia origine a una "sociopatia acquisita", o "pseudopsicopatia".Un tipico esempio si ha nel caso del quindicenne Kip Kinkel, che nel 1998 uccise a colpi di arma da fuoco i propri genitori e due suoi compagni di liceo nello stato dell'Oregon. L'imaging cerebrale venne impiegato come prova in aula per sostenere la tesi della difesa di Kinkel della "non colpevolezza per infermità mentale". Fu documentato l'esistenza di piccole cavità nel lobo frontale del giovane. Benché non ci fosse nessuna prova che questa anomalia avesse causato il comportamento di Kinkel (che alla fine venne giudicato come adulto e condannato ad anni di prigione), sviluppi futuri delle neuroscienze potrebbero di nuovo aiutare i tribunali in questo tipo di indagini.
Vanno inoltre considerate recenti acquisizioni che suggeriscono come la corteccia prefrontale continui a maturare fino all'età di 25 anni, e che questa correlazione sia correlata all'abilità nel ragionamento controfattuale (se-allora). Una corteccia prefrontale ventrolaterale poco sviluppata può essere associata direttamente a un controllo cognitivo insufficiente, che alcuni considerano una variabile fondamentale nel comportamento criminale. Questa teoria richiede probabilmente seria attenzione, data la robusta relazione esistente tra l'età e i crimini violenti. Per esempio, le statistiche della British Crime Survey mostrano che gli individui compresi tra 16 e 24 anni commettono più atti violenti di tutti gli altri gruppi di età presi assieme.
Raine et al. (2006) (5) hanno impiegato tecniche non invasive di imaging strutturale del cervello per evidenziare una riduzione dell'I 1% nella materia grigia della corteccia prefrontale in pazienti con disturbo di personalità antisociale. Riduzioni analoghe sono state osservate in uno studio di pazienti aggressivi e di bugiardi patologici. Ciononostante, queste anomalie morfologi-che e volumetriche non sono necessariamente collegate al comportamento.
La corteccia prefrontale non è, comunque, l'unica area in cui un danno può incrementare la propensione a comportamenti ritenuti criminali o antisociali. L'amigdala è stata uno degli obiettivi principali dei tentativi di spiegare i bassi livelli di empatia e di reazione alla paura osservati nei criminali psicopatici. Usando la risonanza magnetica funzionale, Birbaumer et al. (2005) hanno sottoposto alcuni soggetti a uno schema sperimentale nel quale l'apparizione di un viso su uno schermo era seguita da una scarica dolorosa in certi casi, ma non in altri. L'analisi dei risultati ha dimostrato come i volontari normali esibissero un'accresciuta attività nell'amigdala in risposta ai visi associati con la scarica, mentre gli individui psicopatici non mostravano alcun cambiamento significativo nell'attività di questa regione. Inoltre gli psicopatici non mostravano neppure i normali incrementi nelle reazioni misurate a livello di conduttanza della pelle. È importante notare che le scoperte del gruppo di Birbaumer sono state corroborate da studi che mostrano come le strutture limbiche (cioè l'amigdala e l'ippocampo) risultino funzionalmente anormali nei criminali psicopatici durante l'esercizio della memoria emozionale, e da studi che mostrano come l'attività dell'amigdala diminuisca al crescere dei punteggi ottenuti nello Psychopathy Personality Inventory. L'ipotesi ritenuta più probabile è che nei criminali psicopatici le connessioni nell'amigdala prefrontale siano alterate, causando un deficit nel condizionamento contestuale alla paura, nel rimorso, nel sentimento di colpa e nella regolazione dell'affettività.
È chiaro, almeno in alcuni contesti, che comportamenti violenti antisociali diversi possono avere cause diverse. Studi condotti sugli animali hanno mostrato che reti distinte sono alla base di tipi differenti di aggressione (come l'attacco di un predatore e la violenza a scopo di difesa) questi studi lascerebbero supporre che negli esseri umani esistano topografie neurali differenti nei crimini sessuali, nei sadici omicidi e nei terroristi politici. A prima vista, questo ragionamento suona come una follia frenologica; tuttavia, esistono prove che suggeriscono in effetti come il comportamento violento possa essere posto in due ampie ma distinte categorie: l'aggressione affettiva (cioè impulsiva, involontaria, e legata alle emozioni) e l'aggressione predatoria (cioè premeditata, diretta a un obiettivo, e priva di contenuto emotivo. Con questa dicotomia in mente, Raine et al. (2006) (5) hanno rianalizzato dati ottenuti con la tomografia ad emissione di positroni, per evidenziare differenze funzionali tra psicopatici autori di delitti premeditati e assassini affettivi che avevano agito d'impulso. Paragonati al gruppo di controllo, gli assassini impulsivi mostravano una ridotta attivazione della corteccia prefrontale bilaterale, mentre l'attività nelle strutture limbiche era incrementata. Al contrario, gli psicopatici predatori mostravano un funzionamento prefrontale relativamente normale, ma un'accresciuta attività nell'area subcorticale di destra, che comprendeva l'amigdala e l'ippocampo. Questi risultati suggeriscono che gli psicopatici predatori sono capaci di controllare i propri impulsi, al contrario degli assassini impulsivi, a cui mancano i meccanismi prefrontali inibitori che potrebbero impedire loro di commettere crimini violenti. Benché altro lavoro sia necessario, questi studi suggeriscono con forza che alcuni tipi di comportamento criminale sono associati a disfunzioni di regioni differenti del cervello.Tuttavia, più che la fRMI, sono le risposte, elettroencefalografiche dei sospetti a essere state utilizzate con qualche risultato nel tentativo di discriminare gli stimoli generalmente connessi al crimine da quelli noti solo al suo esecutore. Il metodo "Brain Fingerprinting", per esempio, riguarda una particolare applicazione dei potenziali evento-relati basata sull'assunto che gli stimoli presentati, derivati dal contesto del crimine, producano risposte elettriche (P300) diverse a seconda che il soggetto riconosca o meno la rilevanza dell'informazione in essi contenuta e ne apprezzi o meno i dettagli, sconosciuti alla persona innocente. Negli USA, questo tipo di esame è stato ammesso nell'ambito processuale e ne è stato proposto l'uso allo scopo di identificare potenziali terroristi; in Italia, invece, i risultati di questo tipo di esame non hanno valore probatorio. La neuroetica sta discutendo anche dei bias sociali: alcuni esempi emblematici riguardano il neuromarketing, i bias razziali ed il brain fingerprinting. Il neuromarketing si serve della fRMI per misurare l'influenza dei vari prodotti sul sistema limbico dei consumatori. In uno studio recente si è visto che l'attivazione cerebrale associata alla preferenza per la bibita coincideva con quella per il suo nome, ma la Coca Cola produceva un'attivazione maggiore della Pepsi. Poiché queste strutture cerebrali sono coinvolte nell'elaborazione di emozioni, la loro sensibilità all'esposizione a certi prodotti significa che i gusti del consumatore sono orientabili. Una logica analoga è stata applicata anche all'identificazione dei correlati cerebrali delle preferenze politiche degli elettori indecisi, ricevendo condivisibili critiche.
Per quanto riguarda il secondo punto, la ricerca psicologica ha mostrato che, in generale, siamo più veloci e accurati nel riconoscere facce che appartengono al nostro gruppo rispetto a quelle di un gruppo diverso. L'effetto, noto come same-race advantage, sarebbe dovuto al fatto che vediamo più spesso facce del nostro gruppo e ne abbiamo una maggiore esperienza. E soggetti americani bianchi che avevano dimostrato di avere un bias negativo maggiore a prove indirette (riflesso di trasalimento e Implicit Association Test), mostravano anche un'attivazione dell'amigdala maggiore quando osservano facce di persone di colore. Nell'insieme, le neuroimmagini sembrano aver raggiunto poco o nulla alla nostra comprensione dei bias razziali rispetto a ciò che sapevamo già sulla scorta degli studi comportamentali. Non è invece chiaro se questi risultati possono essere generalizzati dai bianchi americani ad altri gruppi o estesi ad altri stimoli o quale sia il ruolo esatto dell'amigdala.
Altre serie preoccupazioni nascono dalle macchine della verità basate sullo scanning cerebrale. Larry Farwell, dei Brain Fingerprinting Laboratories, lavora a contratto con investigatori pubblici e privati per condurre questo tipo di test, che vengono chiamati MERA (Multifaceted Electroencephalographic Response Analysis) . A sentire Farwell, il test è in grado di stabilire se un sospetto abbia familiarità con la scena di un crimine, con una faccia, con un pezzo di mobilio o di abbigliamento, tutte informazioni che servono ad identificare l'effettivo colpevole .
Al sospetto di turno viene fatto indossare un piccolo copricapo pieno di sensori tipo EEG (electroencephalogram) e vengono fatte vedere alcune immagini sullo schermo in modo da monitorare le variazioni della sua attività neuronaie in corrispondenza con immagini a lui familiari. Il metodo è stato usato con successo per scagionare Terry Harrington, presunto colpevole di omicidio. Secondo i neuroetici, però, tale metodo potrebbe anche essere usato facilmente per pilotare determinati verdetti.
È il paradosso caratteristico della società del controllo: chi controlla i controllori ? I neuroetici sono preoccupati anche dalle possibili discriminazioni a cui potrebbe condurre l'uso di queste tecnologie. Ad esempio, nella ricerca del personale, che verrebbe sottoposto a test atti-tudinali super-invasivi, o anche nella selezione degli studenti alle università e alle scuole specializzate. Al momento, non è stata varata ancora nessuna legge specifica. Esistono due leggi federali, l'American With Disabilities Act e l'Health Insurance Portability and Ac-countability Act, che dovrebbero salvaguardare la privacy delle informazioni mediche. Il rischio che queste tecnologie vadano ad alimentare database segreti con le preferenze politiche, culturali, sessuali e i dati medici della popolazione, per essere poi vendute ai migliori offerenti, c'è, inutile nasconderlo. E crescerà insieme agli avanzamenti tecnologici dell'emergente industria neuro-informatica.Neuroenhancement
II termine inglese "enhancement" trova la sua traduzione letterale come "miglioramento" ed è insito nell'essere umano la tendenza a migliorarsi utilizzando strumenti di diverso tipo. Oggi nella società contemporanea il miglioramento viene ottenuto attraverso l'uso della tecnologia e le sostanze chimiche. Con il termine neuroenhancement si intende la possibilità di migliorare il cervello, dunque le nostre prestazioni. Già 15 anni fa, si era acceso il dibattito attorno all'uso sempre maggiore del Prozac, che dava la possibilità a chiunque di aumentare il tono dell'umore anche in chi non era affetto da depressione. Oggi, nel 2008 Nora Volkow ha pubblicato un articolo dal titolo: "The action of enhancers can lead to addic-tion" affermando che l'uso di sostanze in grado di migliorare le prestazioni può condurre alla dipendenza. In questo articolo vengo presi in considerazione quattro milioni di persone che vengono quotidianamente trattati con stimolanti.L'uso di queste sostanze sotto prestazione medica è legittimo, ma la facile reperibilità di.........(l'articolo continua : clicca qui')

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