venerdì 30 aprile 2010

ancora su neuroni specchio ed empatia

DI GUIDO ROMEO da No'va del sole24ore di aprile , note dalla neuroscienza
L'attività dei neuróni  specchio, le cellule dell'empatia che ci permettono di comprendere il significato di un gesto o di un sorriso e, in un parola, ci fanno uomini, è stata per la prima volta registrata direttamente nel cervello umano. Il risultato, che arriva dai laboratori della Ucla di Los Angeles, grazie al lavoro di un TteanTguMate da Roy Mukamel e coordinato da Marco lacoboni e Itzhak Fried, pone fine a un annoso dibattito tra neuroscienziati sull'effettiva funzione di queste cellule nell'uomo. Ma, sopratutto ne  svela  nuove proprieta'. L'esistenza di "mirror neurons" nell'uomo  era gia' stata confermata "nell'uomo nel 1995 da Giacomo Rizzólatti con Luciano Fadiga, Leonardo Fogàssi, Vittorio Gallese, gli stessi che li avevano scoperti nei macachi all'inizio degli anni 90. Oggi, lo studio americano, condotto su 21 pazienti nel cui cervello erano stati inseriti elettrodi di profondità per preparare un intervento terapeutico contro forme gravissime di epilessia, ha permesso di registrare la loro attività non solo nelle aree motorie della corteccia, ma anche in quelle coinvolte nella visione e nella memoria. «I nostri dati - spiega lacoboni, formatesi alla Sapienza di Roma e negli Usa dall'inizio degli anni 90 - ci dicono per certo che i neuroni specchio sono distribuiti in molte più aree cerebrali di quelle che si pensava inizialmente». Il gruppo di Rizzólatti aveva scoperto queste cellule nella corteccia premotoria ventrale e nella corteccia parietale inferiore delle scimmie. Altri ne hanno recentemente dimostrato l'esistenza in diverse aree cerebrali della scimmia. «Nessuno aveva però registrato neuroni specchio nella corteccia mediale frontale e temporale dell'uomo - osserva lacoboni, autore di "I neuroni specchio" (Bollati Boringhieri, 2008) -. Ciò suggerisce che queste cellule sono presènti in molti altri sistemi neurali». Gli scienziati hanno anche osservato che gli stessi "mirror" si attivavano più intensamente quando un'azione veniva compiuta direttamente dai volontari e in maniera più debole quando invece era osservata, come se il nostro cervello distingue se automaticamente tra cio che facciamo noi stessi e ciò che vediamo. «Il nostro studio ha senz'altro dei limiti perché i dati sono stati raccolti in condizioni eccezionali con una pratica possibile solo per ragioni cliniche - avverte lacoboni -, ma è convincente nei risultati». Le implicazioni di queste nuove conoscenze sono molte e affascinanti. La corteccia mediale frontale è infatti importante per iniziare un atto motorio, mentre la corteccia mediale temporale è cruciale per la memoria. «Pensiamo che i "mirror" rispecchino aspetti diversi delle azioni intenzioni ed emozioni di chi osserviamo a seconda del sistema, neurale nel quale si titolano, spiega il ricercatore, Il fatto ché queste cellule si tròvino anche in aree cerebrali che sono importanti per la memoria, fa pensare che per capire le azioni degli altri, dobbiamo anche evocare la memoria di noi stessi che compiamo quell'azione. È un meccanismo neurale relativamente-semplice, ma che potrebbe rivelarsi fondamentale nel creare circuiti psicologici di identificazione tra individui della stessa cultura, tra individui che condividono le stesse tradizioni, che sono invariabilmente basate su gesti e risposte emotive molto specifiche». Fried, neurologo clinico, ha accennato alle possibili applicazioni cliniche di queste nuove conoscenze sui "mirror" per sviluppare nuove terapie per l'autismo, ma nei laboratori dell'Ucla si guarda soprattutto a nuove ricerche. «Abbiamo appena iniziato uno studio su singoli neuroni specchio per capire come possiamo modificare o addirittura creare ex novo queste "smart cells" importantissime non solo per la vita sociale, ma anche per l'apprendirnento e lo sviluppo cognitivo e che potrebbero trovare applicazioni cliniche per pazienti nei quali sé ne riscontra una ridottissima attività» spiega lacoboni. Sul fronte delle neuroimmagini  il fronte californiano ha appena iniziato tre linee che potrebbero rivelarsi interessanti per capire il ruolo dei neuroni specchio nel comportamento sociale. «Il primo tipo di studi - spiega il ricercatore, che a Ucla dirige il laboratorio di stimolazione magnetica transcranica - mira a misurare le risposte dei neuroni alle azioni di individui della nostra razza o di razze diverse, del nostro stesso sesso o di sesso opposto, e che condividono le  nostre idee politiche  o no. Ma vogliamo anhe chiarire cosa controlla la tendenza ad imitare  altri una domanda cruciale per alcolisti e tossicodipendenti. Infine, sul fronte della neuroeconomia, vorremo capire quanto la tendenza a empatizzare prodotta dai neuroni specchio predica scelte economiche sulla condivisione di beni o sulla massimizzazione del profitto individuale».
guidoromeo.novaioo.ilsole24ore.com/

Empatia e Filosofia : dal sito "pratiche filosofiche " un brano dal libro di  Laura Boella

"Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia", Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, pp.  120, Euro 11,50
"........In questo senso “empatia” diventa il termine che indica “l’ambito di esperienza entro il quale si danno le molteplici forme del sentire l’altro, l’amicizia, l’amore, la compassione, l’attenzione, la cura, il rispetto, il riguardo” (p. 22), il fondamento di quell’ambito d’esperienza, attraverso un movimento che porta presso l’altro, a rendersi conto di ciò che sente, a viverlo con intensità pur sapendo che è suo e non nostro, cogliere senza immedesimarsi; non una confusione o un’identificazione di qualche strano tipo, ma una forma di “accesso alla realtà vissuta di un altro essere umano” (p. 25). “L’empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui” (p. 26) e “si configura come l’esperienza di un altro in quanto soggetto vivente di esperienza come me” (p. 27)......Momenti fondamentali che sono tre: l’emozione dell’incontro; immaginare e comprendere; trasformazione di sé – che sono anche i titoli dei capitoli dal terzo al quinto di questo libro, seguiti da un’ultima parte sul “praticare l’empatia”......Se il punto di partenza è convincente, con il proseguire della lettura sento un po’ di disagio: da un lato mi sembra resti oscuro quanto la “relazione” di cui si parla sia a senso unico o a doppio senso (io incontro l’altro se l’altro incontra me oppure no?), dall’altro tutto sembra molto bello e mi viene spontaneo l’aggettivo “edificante”. Se ne deve essere resa conto anche l’autrice, in qualche modo, perché all’improvviso incontro quell’aggettivo a pagina 108: “L’empatia gode di cattiva fama, non in ultimo, per il suo presunto carattere edificante e consolatorio, che non farebbe i conti con la guerra più o meno guerreggiata che da sempre domina i rapporti umani”.

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