Quali sono i rapporti oggi tra le imprese farmaceutiche e biotech? Gradnik: In realtà nello scenario odierno la divisione stessa tra imprese farmaceutiche e biotech è labile: quasi tutte le aziende, infatti, sono impegnate nelle biotecnologie. Per questo motivo è più appropriato fare una distinzione tra le imprese di pura ricerca e quelle che fanno anche marketing e commercializzazione, che vengono definite “fully integrated”. In ogni caso in Italia, così come nel mondo, i rapporti tra le imprese farmaceutiche e le realtà biotech sono sempre più integrati. Il network in campo biotech è infatti una modalità di lavoro preziosa, che funziona bene e che permette anche a imprese di piccole dimensioni di competere in una dimensione internazionale. Questo modello operativo vede le grandi aziende impegnate nella propria attività di sviluppo con un nucleo interno, aziendale, che opera in collaborazione con realtà esterne. Tutto questo rappresenta chiaramente una grande opportunità di crescita per tante imprese biotech. Dompé: C’è un legame molto stretto fra biotech e imprese del farmaco: le nuove tecnologie permettono di esplorare percorsi scientifici d’avanguardia, mentre le aziende offrono competenze, risorse e strutture necessarie per lo sviluppo delle molecole e il know-how in grado di rendere disponibili terapie innovative. Un vero e proprio intreccio di sinergie che sta determinando una rivoluzione del fare ricerca. L’aumento degli investimenti richiesti e della complessità dei progetti di R&S porta ad una maggiore specializzazione e divisione del lavoro innovativo. Crescono così gli accordi tra le imprese delle due aree. Una tendenza confermata anche da uno studio del 2009 sul settore delle biotecnologie a livello mondiale condotto da Ernst & Young. Dal 2000 al 2008 si è, infatti, quadruplicato il valore potenziale delle alleanze fra aziende farmaceutiche e biotech. Il biotech può essere la chiave di volta per una forte industria farmaceutica italiana? Dompé: Nel processo di riorganizzazione della farmaceutica in atto a livello internazionale, il biotech rappresenta certamente una risposta, e in qualche caso “la risposta” per la ripresa del settore. I nuovi modelli di ricerca stanno infatti rapidamente modificando il percorso per lo sviluppo dei farmaci, ad esempio con trials clinici basati su una fase di pre-sviluppo capace di identificare caratteristiche e processi genetici prima di una sperimentazione su un numero molto ampio di pazienti. E su questo il biotech, proprio perché piattaforma tecnologica o meta-settore, può giocare un ruolo chiave, contribuendo a superare gli ostacoli posti dalla velocità dei cambiamenti in corso. La spinta all’eccellenza genera quell’interdisciplinarietà necessaria per fare rete di “conoscenze” e sviluppare idee innovative nate anche all’esterno del contesto aziendale. Come dimostra un’indagine sui principali gruppi farmaceutici che evidenzia tra le fonti più efficienti di innovazione per il futuro rispettivamente l’outsourcing tramite partnership di ricerca (41%), le acquisizioni di aziende biotech (39%) e, infine, la ricerca svolta internamente (20%). Gradnik: A livello ipotetico la risposta è affermativa. Il comparto delle biotecnologie continua infatti da anni, in tutto il mondo, la propria crescita inarrestabile. Questo processo ha portato alla creazione e al rafforzamento di grandi aziende biotech, come Amgen, Genzyme e Actelion, che nel giro di quindici anni sono diventate dei colossi. Quindi, a livello potenziale, anche le aziende italiane hanno la chance di diventare grandi realtà di impresa, naturalmente a patto di avere in mano l’idea o il prodotto giusto.Un fattore limitante per le nostre biotech è rappresentato però dalla scarsa disponibilità di finanziamenti, perché per sviluppare e portare sul mercato un prodotto occorrono centinaia e centinaia di milioni di Euro.Uno sblocco classico per avviare questo processo è rappresentato dalla quotazione in Borsa, che richiede però idonee condizioni del mercato: una azienda che non dispone del patrimonio sufficiente è costretta a vendere i diritti in fase precoce, e questo le elide la possibilità di diventare fully integrated.La disponibilità di capitali per l’industria biotech è tipicamente una criticità: in quest’ottica cosa può fare a supporto l’industria farmaceutica? Gradnik: L’industria farmaceutica può fare quello che in parte già fa, cioè stringere accordi di licenza costruiti in modo tale da garantire il necessario apporto di capitale anche in fase di sviluppo, o che, ancor meglio, prevedano la possibilità per l’azienda biotech di continuare ad avere dei diritti in alcuni territori, tali da garantire alla controparte la possibilità di diventare una azienda integrata. A livello generale, sarebbe però necessario un po’ più di coraggio negli investimenti nelle tante piccole biotech companies promettenti che sono nate in questi ultimi anni.Uno strumento di particolare importanza potrebbe essere rappresentato dalla creazione di un fondo di venture capital, a base industriale, che investa nel biotech italiano, sul modello di quanto fatto da Novartis e Merck Serono a livello internazionale. Dompé: Uno dei problemi principali delle imprese biotech, sia nella fase di costituzione sia nella fase di sviluppo, è il reperimento di risorse finanziarie. Compito particolarmente arduo in Italia dove il capitale di rischio e in particolare il venture capital sono merce rara.Per rafforzare la capacità delle imprese di produrre valore e di investire nella ricerca, utilizzando al massimo le capacità innovative, è quindi assolutamente importante intensificare il legame con l’industria del farmaco, attraverso partnership e aumento della capitalizzazione. Scenario reso possibile anche dalla scelta di autofinanziamento negli anni passati di alcune start up, che, se ne ha limitato la crescita, le ha d’altra parte preservate – almeno parzialmente – dalla crisi finanziaria internazionale. Oggi queste realtà hanno strutture patrimoniali non compromesse e quindi offrono vantaggi competitivi alle imprese del farmaco.In cosa oggi il biotech italiano può essere attrattivo per una grande multinazionale farmaceutica? Dompé: La struttura industriale delle imprese biotecnologiche, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, con un’elevata qualità delle risorse umane, è la base per un network mirato e d’avanguardia che si segnala per le sue capacità progettuali diffuse e innovative. Un’area quindi di notevole interesse per le grandi aziende internazionali.Anche “l’esplosione” degli studi clinici in Italia (+51% tra il 2000 e il 2008), con una crescente concentrazione nelle fasi 1 e 2 - dal 28,7% del totale nel 2000, hanno superato il 40% nel 2008 – può rappresentare un elemento di attrattività del sistema nel suo complesso. E non solo. Il nostro Paese ha anche la più alta incidenza di pubblicazioni sulle malattie rare sul totale delle Scienze della Vita (10,4% tra il 2000 e il 2008) rispetto a Giappone (9%), Francia (8,6%) e Germania (8,3%). Un’area di particolare elezione proprio per il biotech. In Italia in definitiva il settore delle biotecnologie può sposarsi con il farmaceutico e richiamare nuovi investimenti dall’estero, ancor di più in presenza di una politica sostegno della ricerca e della certezza della normativa vigente. Una opportunità per l’economia e per l’intero Paese.Gradnik: Il biotech italiano oggi è attrattivo quanto quello francese o inglese. Nel panorama attuale ciò che importa, naturalmente, è il prodotto.Credo che ormai l’Italia abbia colmato il gap rispetto agli altri competitor: oggi infatti non dobbiamo avere più complessi di inferiorità. Anche a livello di percezione del nostro business sono stati fatti passi in avanti notevoli negli ultimi anni e l’Italia, a merito, appare sui radar screen degli operatori internazionali, grazie ad una competitività che fonda le basi su una robusta pipeline. Non a caso l’Italia è stata scelta come sede, per ben due volte, nel 2007 e nel 2009, da una delle principali manifestazioni di biopartnering, BIO-Europe Spring. Certamente la competizione è dura, e le nostre imprese devono ancora maturare nel modo in cui viene presentata l’opportunità al potenziale investitore, vale a dire nella costruzione del business plan. In questa direzione Assobiotec è impegnata da alcuni anni con un evento annuale, il BioInItaly Investment Forum, che, oltre a fare formazione sulle modalità relative alla presentazione dei progetti, rappresenta una concreta occasione di incontro, per le aziende che hanno progetti meritevoli, con gli investitori internazionali.
orso castano: rosa e fiori dunque , ma.....la riforma universitaria che taglieggia il diritto allo studio? l'autonomia della ricerca compromessa dalla Gelmini che introduce le imprese (leggi multinazionali) pesantemente, dando strumenti di ricatto all'interno dell'Universita' imprese con bilanci molto piu' potenti dello stato eche imporranno le loro scelte strategiche? Dunque le contestazioni degli studenti erano basate sull'acqua, solo rumors, nient'altro. I ricercatori non hanno nulla da dire, ricevano la loro elemosina e stiano zitti che al futuro della nazione ci pensano le multinazionali!
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