di Pasquale Felice
IL QUADRO POLITICO
La crisi finanziaria partita dagli USA nel 2008 sta colpendo duramente l’Europa, mettendo in gravi difficoltà le attività produttive, ovvero quella che viene chiamata economia reale. Le più colpite da questa crisi sono le nuove generazioni, che non hanno davanti a sé prospettive di impiego, e le donne, che già vengono penalizzate nel mondo del lavoro. L’Italia, collocata tra i paesi europei (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) in forte difficoltà (PIIGS), sforna continue manovre finanziarie per “mettere in ordine i conti pubblici”, mentre starebbero per seguire altri provvedimenti che favorirebbero “la crescita e lo sviluppo”.Le opposizioni e le associazioni sindacali di Confindustria e dei lavoratori, a gran voce, propongono di rimediare a questa situazione fallimentare dello Stato con una aggiunta di provvedimenti economicisti – che mettono lavoratori dipendenti privati contro pubblici e ambedue contro quelli autonomi, sud contro nord, in una strategia di sgretolamento generale del tessuto sociale – quali ulteriori riforme pensionistiche, balzelli, patrimoniali, riduzioni della spesa pubblica, ecc… facendo finta di non accorgersi che il Paese è ostaggio di volontà che vanno ben al di là della stessa Unione Europea; infatti, le decisioni che contano sono quelle prese a Berlino o a Parigi e Londra, con dietro Washington e Wall Street.Scrive G. Cremaschi su Liberazione del 22/9/2011: “Nel nome della cacciata di Berlusconi si chiedono ancora tagli alle pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni, ulteriori flessibilità nel mercato del lavoro. È un terribile accanimento terapeutico contro un corpo sociale massacrato da anni di flessibilità, bassi salari, distruzione dei diritti sociali e dei beni comuni. Eppure pare l’unica strada. Anche la Cgil cede ad essa firmando, senza neppure la consultazione dei lavoratori, l’accordo del 28 giugno. Accordo da cui ha preso spunto quell’articolo 8 della manovra che cancella contratti e Statuto dei lavoratori”L’Italia, fortemente indebolita nello scenario internazionale, estromessa dai tavoli che contano, sta adesso pagando le conseguenze subendo le razzie dei cosiddetti partners europei e atlantici (più o meno ciò era già accaduto negli anni novanta attraverso le mega finanziarie dei governi tecnici di Amato, Ciampi e Dini, che favorirono l’esproprio – attraverso le privatizzazioni – delle imprese pubbliche e la svalutazione della lira a vantaggio della grande finanza e della speculazione finanziaria). Indicativo di questo indebolimento è il venir meno verso la Russia di Putin, che ha implicato il passaggio dal 50% al 20% di partecipazione dell’ENI al progetto Southstream (con la russa Gazprom) per il rifornimento di gas all’Europa, col conseguente minor peso dell’Italia, dunque la perdita di potere contrattuale a vantaggio dei concorrenti francesi e tedeschi, subentrati nel progetto. Inoltre, pesano i fatti e le motivazioni della guerra alla Libia che ha “azzoppato” l’Italia nelle relazioni internazionali, che la esclude dalle aree d’influenza con forti ricadute sulle aziende strategiche, a partire da ENI.Scrive Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera del 22/9/2011, “Lunedì, Standard & Poor’s declassa le obbligazioni della Repubblica Italiana” […] “Due giorni dopo, sette banche italiane subiscono la stessa sorte. E Moody’s boccia le obbligazioni Fiat” […] “Nel frattempo a Roma si comincia a parlare di commissariamento per Finmeccanica, mentre Wall Street Journal elargisce consigli avvelenati […] che vanno ad insidiare le grandi imprese” italiane, dicendo che lo Stato “venda subito Eni ed Enel, magari con aggiunta di spezzatino Finmeccanica”. Mucchetti conclude ricordando che le grandi imprese “sono strumento di sovranità nazionale” e che le privatizzazioni anni ’90 “furono una delusione industriale per il Paese”.Pertanto, è naturale concludere che le ragioni della speculazione finanziaria contro i titoli di Stato, sono strettamente collegate alla necessità della grande finanza di appropriarsi delle principali imprese pubbliche, indebolendo ancor più l’autonomia nazionale che nessuna manovraeconomica potrà mai restituirci.Scrivono I. Bufacchi e C. Marroni su Il Sole 24 ORE del 13/9/2011: “Britannia è il nome del panfilo dei reali inglesi passato alla storia italica per avere ospitato nel giugno 2992 la riunione in cui l’allora direttore generale del Tesoro,Mario Draghi, illustrò ai grandi investitori internazionali il processo di privatizzazioni che sarebbe partito da lì a poco”. Oggi come allora, durante l’incontro che non si è tenuto su una nave ma al Ministero di Giulio Tremonti, con la partecipazione dei principali organismi finanziari mondiali, sono stati passati “in rassegna gli asset pubblici che possono essere valorizzati o alienati, partendo dal patrimonio immobiliare fino alle quote azionarie possedute dal Tesoro (e fors’anche dalla Cassa Depositi e Prestiti) potenzialmente cedibili al mercato: sicuramente quelle delle utilities a livello locale […] con lo scopo di arrivare a decisioni concrete e quindi operative per il processo di privatizzazione”, dando così il via ad una nuova liquidazione predatoria.Il nostro Paese, al quale non viene lasciato alcun margine nella più generale “disattenzione” del popolo italiano, distratto da “gossip boccacceschi”, si sta indebolendo giorno dopo giorno in Europa e nel mondo, a vantaggio delle grandi banche e industria.
UN ESEMPIO SIGNIFICATIVO: FINMECCANICANei giorni in cui si svolgevano numerose manifestazioni e iniziative dei lavoratori di AnsaldoBreda a Pistoia, contro la (s)vendita dell’azienda di Finmeccanica, insistenti voci riportate dai giornali (A.Baccaro, Corriere della Sera, 15/9/2011) davano la notizia dell’acquisto, da parte della statunitense General Electric – “ci sarebbero già documenti firmati” – delle controllate AnsaldoSts, che produce sistemi di segnalamenti, e AnsaldoBreda, che produce rotabili ferroviari per treni, tram, metropolitane.Tra le poche industrie manifatturiere rimaste in Italia, quella fornitrice di tecnologie ferroviarie ha straordinarie capacità, che le vengono da primati di innovazione e eccellenza tecnologica in grado di competere nel cosiddetto “mercato globale”.
L’industria ferroviaria nazionale, infatti, non solo non soffre di sovrapproduzione ma ha anche raggiunto livelli di avanguardia nei sistemi di segnalamento e di gestione dell’infrastruttura ferroviaria (vedi soprattutto le linee ad alta velocità) e nella produzione di materiale rotabile (vedi metropolitane automatiche e treni), questo grazie anche al patrimonio di conoscenza e tecnologie accumulato nella collaborazione con le strutture di ingegneria ferroviaria presenti nell’Azienda delle Ferrovie dello Stato (oggi Gruppo FS Italiane) in Trenitalia, per il materiale rotabile (vedi i treni “Pendolino” esportati in molti paesi), e in RFI, per sviluppare sistemi innovativi nella gestione della circolazione e sulla sicurezza.Naturalmente non è tutto “rose e fiori”: se oggi l’industria ferroviaria italiana sta subendo un calo di fatturato e la cassa integrazione è in aumento, domani, a causa dei tagli alle risorse delle Regioni e degli Enti Locali previsti nelle manovre finanziarie e a causa delle privatizzazioni, riorganizzazioni e ristrutturazioni aziendali, non solo non saranno garantiti i servizi di trasporto pubblico locale ma mancheranno anche gli investimenti per nuovi mezzi e infrastrutture.Pertanto, se non si pongono rimedi, che non sono quelli della (s)vendita di Finmeccanica, e se a questo si aggiungesse la decisione della Fiat di chiudere lo stabilimento Irisbus, l’Italia non solo perderebbe l’ultima fabbrica di autobus sul territorio nazionale ma comprometterebbe gravemente anche l’industria ferroviaria nazionale.
Le conclusioni alle quali arriviamo, per difendere la nostra industria nazionale, sono dunque quelle della difesa di un “mercato” interno (anche nell’interesse dei cittadini e degli utenti che richiedono trasporti pubblici di qualità, sicuri e veloci), ma soprattutto quella di un sostegno al cosiddetto “sistemi-Paese”, che viene dal consolidamento delle “sfere di influenza”, con reciproco vantaggio delle Nazioni. Significativamente, l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Italiane, Mauro Moretti, a proposito di AnsaldoBreda del gruppo Finmeccanica “ha auspicato che in Italia non vengano liquidate tutte le aziende industriali e ha rimarcato che in altri Paesi si fa di tutto per difendere i “campioni nazionali” dalla concorrenza straniera” (A.Bac., Corriere della Sera, 15/9/2011), dicendo testualmente: “Negli altri Paesi si fa in modo di avvantaggiare l’industria locale. In Germania si compra tedesco. Da noi no: facciamo le gare” […] “Se l’Italia perde la filiera industriale a favore di quella bancaria, falliamo”.Però nel nostro Paese, a causa di una subordinazione servile, va purtroppo diffondendosi la svendita di parti decisive del “sistema Italia”; infatti, non pare si stia realizzando una politica autonoma e di accrescimento del proprio sistema nazione, e ciò farà si che una politica per l’occupazione e per la crescita fallirà sicuramente. A conferma di quanto sopra esposto, da notizie trapelate sulla stampa sembra che Finmeccanica stesse concretizzando importanti affari in Russia e Cina sia nel settore aereo che in quello ferroviario. Al fine, quindi, di ridimensionarla lo “spezzatino” (AnsaldoBreda e AnsaldoSts) cade proprio a puntino (che fa anche la rima!), in linea fra l’altro con le volontà oltre atlantico, servendo solo il “libero mercato” americano. A tal proposito, a mò di esempio, si ricorda che quando la Nuovo Pignone di Firenze fu ceduta all’americana General Electric, le prime decisioni prese furono quelle dell’annullamento dei contratti con l’Iran per la fornitura di turbine, il che significò la messa in cassa integrazione di numerosi operai con ricadute a cascata nelle imprese dell’indotto. Viste le preoccupazioni dei lavoratori di AnsaldoBreda di Pistoia, ricordando che la Regione Toscana è entrata nella crisi del 2008 dopo aver subito un grave processo di deindustrializzazione e delocalizzazioni che continuano tutt’oggi, più rilevante di quello delle Regioni Lombardia e Veneto (il che la dice davvero lunga a proposito del “paradiso” Toscana), come abbiamo visto, non basta la definizione di “un piano nazionale dei trasporti”, richiesto dai sindacati e dalle istituzioni Toscana e di Pistoia.Occorrono dunque forti investimenti per favorire la ricostruzione del tessuto industriale (colpito fortemente anche dal processo di delocalizzazione e deindustrializzazione) e per aumentare i posti di lavoro, soprattutto per i giovani. Investire nello sviluppo industriale significa che questo non possa essere abbandonato nelle mani delle banche e della speculazione di borsa e finanza; occorre dunque contrastare con decisione il potere finanziario delle banche che vogliono scaricare sui cittadini la crisi da loro provocata.In tal senso, la globalizzazione egemonica è da contrastare con forza. Per uscire dalla crisi occorre favorire la cooperazione e un rapporto tra stati in senso multipolare e di reciproco vantaggio; è necessaria una lotta dei popoli per una strategia comune dell’Europa, che difenda i risparmi dei cittadini dalle speculazioni bancarie e che salvaguardi le industrie fermando la deindustrializzazione, le delocalizzazioni e lo “shopping” nei Paesi più deboli per creare invece delle imprese cooperanti a livello europeo (ad es. nell’industria ferroviaria). Contrastare il processo di globalizzazione diretto dagli USA significa creare un rapporto non coloniale con gli altri Paesi: costruire infrastrutture e industrie “chiavi in mano” per pagare le importazioni di materie prime, supportando il loro sviluppo per equilibrare il patrimonio industriale nel pianeta, ripudiare la guerra come strumento di rapina delle risorse di altri popoli, camuffata da intervento umanitario o “esportazione della democrazia”.
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