domenica 30 novembre 2014

r.k. stress: trasmissibilita' generazionale comportamenti adattivi

orso castano: un articolo , quello delle "scienze", molto interessante. L'ipotesi di partenza e' quella di un'adattamento alle situazioni stressanti , adattamenmto in qualche maniera trasmissibile alla prole.Non e' una ipotesi stravagante. La capacita' di adattamento dell'organismo che si difende dai traumi epigenetici mettendo in moto meccanismi che vengono memorizzati nelle strutture genetiche e sono trasmissibili sia a livello comportamentale che genetico , dal punto di vista logico, stante la flessibilita' , oggi riconosciuta al DNA, capace di essere acceso nei geni o spento , a seconda delle necessita', ha consentito alla specie umana di sopravvivere ed evolversi superando le difficolta' ambientali. E' una riconferma proprio della flessibilita' del DNA e della sua capacita' di esprimere informazioni indispensabili alla sopravvivenza del soggetto e della specie 

8 novembre 2014
Il vantaggio di avere nonne e padri stressati     JLP/Jose L. Pelaez/Corbis





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La prole di maschi che nella prima infanzia hanno vissuto situazioni di stress lieve o moderato sviluppa una maggiore determinazione nel raggiungimento di obiettivi e ha una maggiore flessibilità comportamentale. Alla radice di questo fenomeno, osservato nei topi, sembra esserci una sorta di effetto vaccinazione contro i traumi di natura epigenetica (red)

ma vedi anche , sempre da "Le Scienze"
non tutta la paura passa dall'amigdala
Una via biologica per ereditare le paure dei genitori
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geneticacomportamento
Non è detto che le esperienze negative nella prima infanzia abbiano solo conseguenze negative. In realtà possono anche offrire un potenziale vantaggio adattativo ai figli di individui che hanno sperimentato esperienze del genere, migliorandone la flessibilità comportamentale e la capacità di sviluppare comportamenti mirati al raggiungimento di un obiettivo. È il risultato di una ricerca su topi effettuata da scienziati di istituti svizzeri, che firmano un articolo pubblicato si “Nature Communications”.Numerosi studi hanno mostrato che condizioni ambientali avverse nei primi anni di vita possono alterare la risposta allo stress; in particolare, possono incidere su comportamenti e capacità cognitive in età adulta non solo delle persone esposte a quelle condizioni ma anche della loro prole attraverso meccanismi epigenetici, che cioè riguardano i livelli di espressione dei geni. Nell'essere umano, gli stress traumatici durante l'infanzia aumentano in modo significativo il rischio di sviluppare il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, il disturbo borderline di personalità, la depressione bipolare e comportamenti antisociali. Tuttavia, diverse osservazioni hanno anche suggerito che stress lievi o moderati nella prima infanzia possano avere una sorta di “effetto vaccinazione” contro lo stress nella generazione successive. In questo modo verrebbe favorito lo sviluppo di risposte adattative che possono conferire una maggiore resistenza ad altri fattori di stress più avanti nella vita.

Katharina Gapp, dell'Università di Zurigo, e colleghi hanno cercato una conferma sperimentale a questa ipotesi ricorrendo al modello animale del topo. In particolare, ogni giorno i ricercatori hanno separato per tre ore madri e piccoli, sottoponendo in questo lasso di tempo le madri a un'ulteriore fonte di stress che cambiava di giorno in giorno, in modo che fosse imprevedibile. Per esempio, se un giorno la madre veniva isolata in un ambiente ristretto per 20 minuti, il giorno successivo veniva costretta a nuotare per cinque minuti, e così via. Passate le tre ore, i piccoli - tutti di sesso maschile - erano riconsegnati alla madre che poteva allattarli. Trascorse le due settimane di sperimentazione, i piccoli sono stati allevati in condizioni normali fino alla maturità.

In seguito, rispetto a un gruppo di controllo, la prole di questi maschi allevati con un moderato stress iniziale ha mostrato una maggiore determinazione e sicurezza nel perseguire i propri scopi, e una più elevata resistenza di fronte a situazioni stressanti.

In base alle analisi sui profili di espressione dei geni effettuati dai ricercatori sulle madri, sui loro piccoli e sulla prole di questi ultimi, questo effetto di protezione dagli stress futuri sarebbe legato a cambiamenti che interessano l'espressione del gene che codifica per un recettore di un particolare gruppo di ormoni steroidei - gli ormoni mineralcorticoidi (il più noto dei quali è l'aldosterone) - coinvolti nelle risposte dell'organismo agli stress.

Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio i meccanismi che contribuiscono a questi effetti, osservano i ricercatori, i risultati potrebbero portare allo sviluppo di nuove terapie per il trattamento dei disturbi da stress, che sfruttino il blocco farmacologico del recettore dei mineralcorticoidi.


ma vedi anche , sempre dalle "scienze" : articolo che , in qualche maniera  apporta innovazioni alla tesi:

LA DONNA CHE NON CONOSCE LA PAURA, PERDE L'AMIGDALA A 10 ANNI E NON TEME NULLA (leggi articolo del 2010, redatto dagli stessi studiosi di quello piu' recente)
04 febbraio 2013
Non tutta la paura passa dall'amigdala
...........Nel caso degli esseri umani, lo studio del ruolo dell’amigdala si è concentrato, come spesso accade, su soggetti che hanno subito una lesione focalizzata in questa regione cerebrale. In particolare è stato descritto in letteratura il paziente SM che ha subito un danno all’amigdala in conseguenza di una rara malattia genetica.
Alcuni studi hanno dimostrato che il paziente SM non subisce il condizionamento degli stimoli aversivi, quelli che permettono di ricordare le esperienze negative in modo da evitarle successivamente. Inoltre, non riconosce le espressioni di paura nel volto degli altri e non prova paura neppure dopo essere stato esposto a un’ampia gamma degli stimoli che evocano l'emozione nei soggetti normali.

Nel primo studio di questo tipo mai realizzato, Feinstein e colleghi hanno verificato gli effetti dell’inalazione di anidride carbonica da parte di tre soggetti, tra cui SM, con una lesione dell’amigdala. L’idea è scaturita dal fatto che questo gas provoca diverse reazioni nei soggetti normali, sia di tipo fisiologico – da una stimolazione della respirazione al fenomeno della “fame d’aria” – sia di tipo psichico, con lo scatenamento di paura e addirittura di attacchi di panico in soggetti predisposti.

Inoltre, alcuni studi recenti hanno riscontrato chei topi hanno una reazione di paura se esposti all’anidride carbonica. L’ipotesi di lavoro era quindi che in soggetti con lesioni bilaterali a questo nucleo cerebrale la paura evocata dal gas fosse ridotta. Contrariamente alle previsioni, il paziente SM, una volta inalata una miscela gassosa al 35 per cento di anidride carbonica, ha sperimentato la paura per la prima volta dall’infanzia. L’effetto è stato confermato in altri due soggetti, AM e BG, con lo stesso danno neurologico.


I risultati del gruppo di controllo hanno confermato la specificità della reazione: l’anidride carbonica ha scatenato in modo ripetibile la paura - e solo quella - in tutti e tre i pazienti con lesione all’amigdala. Ciò porta a concludere che l’amigdala non è un centro neurologico indispensabile per le reazioni di paura e di panico in generale. Occorre quindi distinguere tra la paura innescata da stimoli ambientali e quella che ha origine in seguito all'esposizione all'anidride carbonica..

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