comunque denominate eventualmente disposte negli anni 20t i, 2012 e 20i3 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale con-trattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 20i i, 2012 e 20i3 hanno effetto, per i predetti anni, affini esclusivamente giuridici" (comma 2i). Le norme in questione prevedono - da un lato - la possibilità per le pubbliche amministrazioni di revocare l'incarico del dirigente in maniera del tutto discrezionale, cioè a prescindere da una valutazione tecnica negativa, e — dall'altro lato — "espropriano" la competenza della contrattazione collettiva (e individuale) a stabilire la retribuzione del dipendente pubblico, prevedendo il blocco di tutte le retribuzioni e il taglio di quelle esistenti (sopra una certa soglia).Come si vedrà di seguito, entrambi gli interventi legislativi si espongono a profili di incostituzionalità.II problema della disciplina del lavoro pubblico e della priva-tizzazione del pubblico impiego va inquadrato nell'ottica del bilanciamento tra diversi valori costituzionali, quelli che tutelano il lavoro e quelli che riguardano la pubblica amministrazione (Orsi Battaglini, 466). Il valore del lavoro è considerato come centrale tra i "Principi fondamentali" della Carta Costituzionale (artt. 1-12 Cost.), perché esso comprende valori essenziali dell'individuo, sia come singolo (art. 4, e. 1), sia nell'ottica di un suo processo di emancipazione (art. 3, e. 2), sia in una visione ideale di società (art. 4, e. 2), tanto da essere assunto come elemento fondante del nostro ordinamento repubblicano (art. 1).A tali norme fondamentali, si aggiungono quelle che riguardano direttamente la disciplina del lavoro, cioè quelle sui "Rapporti economici" (artt. 35-38), che tutelano il diritto alla retribuzione, al riposo, alle ferie, alla parità per le donne lavoratrici, per i minori, alla previdenza ed all'assistenza sociale.Inoltre, gli artt. 39 e 40 della Carta Costituzionale introducono un sistema di autoregolamentazione collettiva delle condizioni di lavoro attraverso il meccanismo sindacale della contrattazione collettiva. Tutti questi valori costituzionali, sottendono un principio generale di parità di trattamento tra lavoratori, che è recepito espressamente anche nel settore pubblico, compreso ovviamente quello sanitario (Bet-tini, 2008, 567 ss.). A fronte di questi valori che riguardano l'uomo che lavora stanno altri principi che attengono alla pubblica amministrazione e che certamente devono essere salvaguardati. In particolare, si fa riferimento ai principi derivanti dall'art. 97 della Carta Costituzionale relativi agli scopi della formazione in materia di pubblico impiego, e cioè - in particolare -l'imparzialità e il buon andamento dell'amministrazione. L'imparzialità, intesa come scelta avulsa da preferenze di tipo non tecnico professionale, e il buon andamento, inteso come valorizzazione dei migliori al fine di massimizzare l'efficienza dell'azione amministrativa. Ora. l'eventuale conflitto tra questi due gruppi di valori costituzionali non può essere risolto attribuendo la prevalenza dell'uno nei confronti dell'altro, bensì mediante un adeguato bilanciamento tra di essi, che conservi il contenuto essenziale di ognuno e che, soprattutto, sia proporzionato alle finalità dell'ordinamento in relazione alla gerarchia tra i valori stessi. In altre parole, i principi e le regole essenziali dell'ordinamento lavoristico non possono essere soppressi senza che vi sia - alla base - una esigenza costituzionale superiore collegata alla imparzialità ed al buon andamento dell'amministrazione.
E ciò a maggior ragione se si considera che il meccanismo della privatizzazione prevede - come regola - la riconduzione al diritto civile dei rapporti di lavoro e di impiego con le pubbliche amministrazioni, e che quindi ogni eccezione è ammessa soltanto in presenza di preminenti "interessi generali".
Con riferimento alla disciplina delle mansioni nel pubblico impiego, l'art. 52, comma 1, del D.lgs. n. 165 del 2001 prevede il divieto di adibire il lavoratore pubblico a mansioni inferiori rispetto a quelle contrattuali, come è stabilito nel settore privato dall'art. 2103 c.c. Il dipendente pubblico demansionato ha, quindi, diritto al risarcimento del danno e ad occupare la posizione spettantegli in base al corretto inquadramento sindacale (Liebman, 644 ss.).
Tuttavia, come è noto, con riferimento al sistema degli incarichi dirigenziali, è previsto dal Tu che "al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile" (art. 19, comma 1). «Prima delle modifiche del 2010, tale eccezione significava che l'incarico dirigenziale \ poteva essere revocato per il caso di responsabilità dirigenziale dovuta al mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero ad inosservanza delle direttive, imputabili al dirigente. Anche il mancato rinnovo dell'incarico doveva essere supportato da una idonea motivazione ovvero da processi di riorganizzazione coinvolgenti l'amministrazione il legislàtòre aveva, cosi, chiaramente individuato in maniera tassativa quali condotte potessero comportare il venir meno dell'incarico, escludendo la possibilità di procedere ad esautorazioni arbitrarie fondate su ragioni "fiduciarie" (melius: personali) non oggettivamente motivate, e persino su ragioni organizzative che non comportassero modifiche dell'assetto strutturale dell'amministrazione. Tutto questo, come è stato detto, "nell'ambito di quell'auspicato circolo virtuoso costituito da separazione tra indirizzo politico e attività di gestione ed autonomia/verifica dei risultati/responsabilità della dirigenza" (Carinci, 2000, 67). E ciò anche, anzi soprattutto, in ossequio al principio sancito dalla Corte Costituzionale, secondo cui è "indispensabile. . che siano previste adeguate garanzie procedimentali nella valutazione dei risultati e dell'osservanza delle direttive ministeriali finalizzate alla adozione di un eventuale provvedimento di revoca dell'incarico per accertata responsabilità dirigenziale" (Corte Cost. 23 .marzo 2007, n. 103,- v. anche Corte Cost. 16 maggio 2002,(n. 193,- Corte Cost. 30 gennaio 2002, n. 11). Tutto ciò perché la deroga ai principi del diritto del lavoro, (ed in particolare la deroga al principio che tutela la professionalità del dipendente e del dirigente (pubblico o privato),..................
orso castano : ringraziamo molto Paolo Pizzuti, pubblichiamo integralmente il suo articolo per la sua precisione, chiarezza ed importanza. Quanto sta succedendo ad opera del picconatore Brunetta nella PA va chiaramente documentato. Ancora Grazie. La Costituzione per Brunetta e' solo un pezzo di carta.
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