Per quasi 1,5 milioni di italiani la ricerca di un posto di lavoro e’ cosi’ difficile da risultare impossibile. E allora vale la pena rinunciare. E’ questo il popolo degli scoraggiati, che secondo i dati dell’Istat si espande, raggiungendo nel terzo trimestre del 2010 quota 1 milione 478 mila, in aumento del 14% rispetto allo stesso periodo del 2009. Una folta schiera di persone che non rientra nelle stime ufficiali sulla disoccupazione, ma che puo’ comunque considerarsi un indice dello stato di salute del mercato del lavoro e piu’ in generale dell’economia del Paese. Nel dettaglio, gli scoraggiati sono le persone che dichiarano di non essere alla ricerca di un impiego, perche’ ritengono di non riuscire a trovarlo. Non rientrando, quindi, ne’, ovviamente, nella fascia degli occupati ne’ in quella dei disoccupati. Fanno, invece, parte degli inattivi, ovvero coloro che, in eta’ compresa tra i 15 e 64 anni, non hanno e non cercano un posto. Sempre secondo l’ultimo aggiornamento si tratta di 15 milioni e 266 mila unita’. Anche per gli inattivi si registra un rialzo a confronto con luglio-settembre dello scorso anno (+2%), guardando al Mezzogiorno l’aumento e’ superiore alla media (+2,2%), proprio a causa, spiega l’Istituto di statistica del ”riproporsi di fenomeni di scoraggiamento”. Sono tutte risorse fuori dal mercato del lavoro: uomini, donne, giovani e adulti emarginati, destinati a diventare sempre piu’ numerosi in tempi di crisi. Fin qui si sono considerati gli scoraggiati ”in senso stretto”, ma se a questi si aggiungono quelli ”in senso lato”, cioe’ coloro che, fa sapere sempre l’Istat, ”dichiarano di non cercare lavoro perche’ in attesa di passate azioni di ricerca”, il numero nel terzo trimestre 2010 diventa di 2 milioni 133 mila, da 1 milione 844 mila del corrispondente periodo del 2009, con un balzo del 15,7%. Un’altro rialzo a doppia cifra che conferma un crescente sentimento di sfiducia degli italiani sulla possibilita’ di trovare un’occupazione. L’impennata degli scoraggiati in senso lato ha inciso anche sull’innalzamento degli inattivi nel Nord (+2,2%) e nel Centro Italia (+1,3%). Nell’ultima rilevazione sulle forze lavoro, l’Istituto, infatti, evidenzia come questi aumenti derivino sopratutto da adulti che aspettano risposte da precedenti tentativi di ricerca del posto, oltre che da giovani impegnati in un percorso d’istruzione.
orso castano : ringraziamo Il Sannita. L'art. e' sintetico e chiaro. Ci e' spiaciuto stralciarlo. Va letto!.
per saperne di +:http://www.studiodipsicologiadellavoro.it/default.asp?sarea=42 , clicca x art.intero
“ Quando si lavora , si è attivi , mentre , quando si è disoccupati, non si fa niente . Io , mi accascio in una poltrona e mi trascino tutto il giorno per casa ; una mancanza di volontà incredibile e non riesco a spiegarmelo . Sono già stanca alla mattina quando mi alzo dal letto ! “ ......Le conseguenze della disoccupazione erano gia state descritte nel 1938 da due noti psicologi P. Eisenberg e P. F. Lazarsfeld e sono state poi confermate più recentemente dagli studi di altri psicologi . La situazione tipica , secondo la quale il disoccupato si “ involve “ prevede tre fasi :
1. Un primo periodo di rifiuto della nuova realtà , immediatamente successivo alla perdita del posto di lavoro . L’individuo crede che …” In un modo o nell’altro ne verrò fuori “ .
2. Un periodo di pessimismo quando non si presenta all’orrizzonte un nuovo lavoro , nonostante i numerosi tentativi . L’individuo comincia a pensare …” credo che non ne verrò mai fuori “ .
3. La rassegnazione e il ripiegamento su se stessi quando si diventa “ un(a) disoccupato(a) cronico , l’individuo comincia a pensare : “ sono spacciato non ne verrò mai fuori … “ .
La fase 3 subentra molto spesso quando si supera la soglia fatidica di nove mesi di ricerche infruttuose . Per l’esattezza , si constata che , nella maggioranza dei casi , in meno di un anno l’equilibrio emotivo del(la) disoccupato(a) viene spezzato :
• La propria immagine agli occhi delle “ figure chiave “ della famiglia ( marito , moglie , figli ) viene modificata , svalutata : il padre che non osa parlare con il figlio della propria situazione di disoccupato : la moglie che si sente screditata per aver perso il proprio lavoro ed aver dovuto tornare , suo malgrado , a svolgere il ruolo di madre casalinga .
• Ne consegue una notevole perdita di energia che porta alla “depressione “ , che può esprimersi in forma molto aperta o latente . In entrambi i casi , l’individuo sprofonda in un’apatia che fa tendere verso il punto zero le proprie possibilità d’inserirsi nuovamente in una attività professionale .
stralcio da recensione :"L’ereditiera di una famiglia ricca, il manager che ha lasciato il lavoro, il fiero sfaccendato, la sognatrice che vive con poco, l’uomo che evade dalle responsabilità, il gran lavoratore che ora vive di rendita: sono questi alcuni dei protagonisti delle storie del libro, che partendo da situazioni diverse e arraggiandosi in maniera diversa con quello che hanno, hanno scelto la libertà assoluta.Ovviamente non è tutto oro quello che luccica e quindi l’altro lato della medaglia è il giudizio degli altri, l’emarginazione sociale e l’impossibilità di vivere secondo i canoni le relazioni, i rapporti amicali e la famiglia. Una scelta radicale che va perseguita e che quindi richiede una precisa volontà di portare avanti uno stile di vita alternativo, in cui il lavoro semplicemente non esiste.Siete sicuri che l’Italia sia fondata sul lavoro?
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