Nonostante il successful aging non sia stato un tema ricorrente della letteratura biomedica fino agli inizi degli anni '60 , da molto tempo si tentava di comprendere come potesse essere aumentata la longevità e favorito il benessere fisico durante la vecchiaia. Gli scritti degli antichi filosofi rivelano un evidente disaccordo su quelle che possono essere le emozioni positive dell'età avanzata. L'invecchiamento è stato descritto ora come un processo sostanzialmente "intrattabile" (4), ora come l'opportunità di adattarsi a nuovi ruoli . Gli psichiatri e gli psicologi moderni I considerano l'età avanzata sia come il prodotto di un processo di sviluppo primario, sia come un periodo di crescita continua e di nuovi conflitti da affrontare ed elaborare. Negli anni '70 e '80 sono emersi alcuni I modelli formali di successful aging. Nel loro autorevole articolo del 1987, Rowe e Kahn hanno evidenziato come la ricerca sull'invecchiamento sia stata storicamente dominata dal tentativo di distinguere tra invecchiamento "normale" e patologico, mentre è stata rivolta poca attenzione a quella che può essere considerata come "l'appendice finale" di un continuum (vale a dire, il successful aging). Il successful aging si caratterizza per la presenza di tre componenti: a) assenza di malattie e disabilità, b) elevata funzionalità fisica e cognitiva e e) coinvolgimento in attività sociali e produttive. Il McArthur Network on Successful Aging ha reso operativi questi criteri, seguendo per sette anni un campione di 1000 anziani che soddisfacevano i criteri stessi. Un altro modello proposto all'incirca nello stesso periodo è quello di Baltes (10), che ha descritto il successful aging come una traiettoria di sviluppo che dura tutta la vita, ponendo un'attenzione particolare ai meccanismi comportamentali e psicologici di adattamento alle perdite. Durante i due decenni successivi sono stati realizzati numerosi studi epidemiologici che hanno preso in esame la frequenza nella popolazione e i fattori predittivi del successful aging, utilizzando una serie di definizioni operative. Depp e Jeste (11) hanno individuato 28 studi pubblicati su riviste in lingua inglese, in cui le dimensioni del campione superavano le cento unità e che includevano adulti con più di 60 anni. Nelle varie definizioni operative fornite in questi studi, sono stati utilizzati 14 fattori che individuavano il successful aging. La funzionalità fisica e l'assenza di disabilita erano incluse in quasi tutte le definizioni, mentre nessuno degli altri fattori era presente in più del 50% degli studi. In generale, nei 28 studi erano state utilizzate 29 diverse definizioni di successful aging. È evidente quindi che tra i ricercatori, ad eccezione che per la funzionalità fisica, non c'era molto accordo riguardo ai diversi elementi che lo caratterizzano.
Un sottogruppo più piccolo di studi ha utilizzato metodi qualitativi (vale a dire, focus su specifici gruppi, indagini, interviste individuali) per identificare'quali potevano essere, oltre alla funzionalità fisica, gli altri elementi del successful aging (12-14). Questi studi offrono un interessante contrasto rispetto a quelli quantitativi, che focalizzano l'attenzione soprattutto sugli aspetti fisici e funzionali. Negli studi qualitativi, il concetto di successful aging dell'anziano enfatizza soprattutto aspetti come l'adattamento alle malattie, il coinvolgimento sociale (vale a dire, le relazioni sociali) e altri particolari tratti psicologici, ad esempio, l'ottimismo e il rimanere propositivi. Nell'ambito di questi studi, il punto di vista degli anziani sembrava essere diverso a seconda del metodo utilizzato [ad es., i pazienti considerati come gruppo, enfatizzavano le esperienze condivise correlate all'invecchiamento mentre le interviste individuali concentravano l'attenzione più sul concetto di traiettoria di sviluppo] e della cultura d'origine, ad es., gli anziani giapponesi parlavano di senso di appartenenza, laddove gli americani ponevano l'accento sul concetto di indipendenza ................Proprio come il concetto di successful aging manca di una definizione su cui tutti si dichiarano d'accordo, anche gli sforzi paralleli per definire gli "stati positivi" delle patologie psichiatriche si sono rivelati una sfida non indifferente. Come avviene per il successful aging, esiste un evidente contrasto tra un modello che parla di "remissione continua" delle malattie mentali croniche e un modello che utilizza invece il concètto di "guarigione" (recovery) ( 16). Il primo termine si riferisce all'assenza di livelli sindromici di sintomi associati a compromissione funzionale per un periodo di tempo determinato (ad es., 2 anni), mentre le diverse definizioni di guarigione fecalizzano l'attenzione sull'adattamento necessario per raggiungere determinati obiettivi, vale a dire "un percorso di guarigione e di trasformazione che permette ad un individuo.. .di vivere una vita significativa all'interno della comunità, mentre tenta di realizzare tutto quello che è nelle proprie potenzialità" (17). La guarigione, come a volte viene definito in modo del tutto soggettivo il successful aging, è più un processo che un esito, è più individuale e non richiede l'assenza di sintomi o malattia. Il limitato consenso sul concetto di successful aging o guarigione dai disturbi psichiatrici riflette quelle che sono alcune delle difficoltà che si incontrano comunemente nella definizione degli stati positivi. Queste difficoltà derivano in parte dalla mancanza di obblighi morali, oltre che clinici e politici, che spingono a cercare un consenso sull'argomento, obblighi che invece sono ben presenti quando si tratta di definire dei termini diagnostici. Un'ulteriore difficoltà che si incontra nel differenziare gli stati positivi da tutti gli altri, è legata al fatto che alcuni individui non possono in alcun modo essere definiti come "successful". Tuttavia, ci sono alcuni aspetti sui quali si concorda. Le definizioni di "successful aging", remissione e guarigione sono tutte multidi-mensionali e integrano tra loro molti domini (ad es., funzionamento fisico, cognitivo, emotivo e sociale). Le definizioni soggettive tendono a rappresentare più che altro il concetto di processo, enfatizzando aspetti come il mantenimento degli obiettivi raggiunti, il guardare a se stessi e al futuro in un'ottica positiva e la capacità di riuscire a ottenere punti di riferimento e validi rapporti sociali. Le definizioni oggettive enfatizzano invece il concetto di assenza di malattia e disabilità. In termini di percorso (traiettoria), la definizione di successful aging tende a porre in evidenza il concetto di riduzione del deterioramento cognitivo, mentre la guarigione o remissione rappresenta un periodo prolungato di benessere interepisodi............Vista la mancanza di consenso su ciò che costituisce il successful aging, non stupisce che le stime circa la sua frequenza nella comunità siano piuttosto variabili. Tuttavia, si può osservare un trend interessante che riguarda le percentuali relative al successful aging, in base a quelle che sono le diverse definizioni e le modalità attraverso le quali esso viene valutato. In una i review dei 28 studi descritti in precedenza, la percentuale di successful aging j (11) andava dallo 0,4 al 96%. La media di soggetti che soddisfacevano i criteri del successful aging era del 35%, valore simile a quello osservato nel MacArthur Network on , nel quale un j terzo degli anziani soddisfaceva i criteri operativi di JRow e Kane per il surcf,Successful Aging. Aggregando i dati degli studi presi in esame, si è evidenziato che maggiore era il numero delle componenti incluse nel modello di riferimento, più bassa era la percentuale di successful aging. . Quando si valutava il contributo delle coponenti individuali alla quota totale di succcessful aging appariva evidente che la presenza di malattie croniche o disabilità rappresentava il fattore che maggiormente influenzava la percentuale rilevata, mentre la maggior parte del campione di anziani mostrava un buon inserimento sociale e una funzionalità cognitiva relativamente conservata. Un numero limitato di studi ha chiesto ai pazienti anziani di valutare se stessi in termini di successful aging. In uno studio di questo tipo realizzato su 205 anziani che vivevano nella comunità, Montross et al. I (19) hanno evidenziato come la maggiori parte di loro ritenesse di invecchiare bene, nonostante la presenza di malattie fisiche e disabilità. In un altro studio di ap profondimento di questi dati abbiamo somministrato un questionario ad un! campione di 1.979 donne di età superiore ai 60 anni, che avevano frequentato ili Centro di San Diego nell'ambito della Women 's Health Initiative (20). Ad ogni paziente è stato chiesto di dare una valutazione di se stessa secondo una scala da 11 (non successful) a 10 (molto successful). La maggior parte delle anziane si attribuiva un punteggio uguale a 7 o più, mentre sole una ridotta percentuale si descriveva come "unsuccessful". Il dato in base al quale la maggior parte delle donne anziane riteneva di invecchiare bene, anche quando in realtà non soddisfaceva i criteri oggettivi per il successful aging, risultava conforme a quello di altri studi (14,21). Sappiamo poco circa la percentuale di successful aging in pazienti affetti da gravi disturbi psichiatrici. Nella schizofrenia, gli studi difollow-up a lungo termine condotti da Bleuler (22), Harding (23) e Ciompi (24) indicano che, al contrario di quanto si credeva inizialmente riguardo al deterioramento cognitivo progressivo, una buona percentuale di pazienti mostrava un miglioramento clinico significativo in età avanzata. Più recentemente, Bellack ha stimato che durante la vita il 50% dei pazienti schizofrenici presenta almeno un breve periodo di guarigione (16). Queste stime sono più elevate rispetto a quelle relative alla remissione continua (vale a dire, assenza di sintomi per due o più anni): in un campione di 251 anziani affetti da schizofrenia, Auslander et al. (25) hanno rilevato una quota di remissione continua di circa il 10%. In uno studio condotto su anziani schizofrenici, Cohen et al. (26) hanno valutato gli outcome facendo riferimento a cinque fattori positivi: guarigione (recovery), remissione, integrazione sociale, successful aging oggettivo e sog-"gettivo. Gli Autori hanno messo a confronto i pazienti schizofrenici con un gruppo di controllo di anziani di età corrispondente, senza disturbi psichiatrici maggiori, che vivevano nella comunità. Nel gruppo di soggetti schizofrenici, il 23% soddisfaceva i criteri per l'integrazione nella comunità (vs 41 % del gruppo di controllo), il 13% quelli per il successful aging soggettivo (vs 27% del gruppo di controllo), mentre solo il 2% soddisfaceva in pieno i criteri per il successful aging oggettivo (vs 19% del gruppo di controllo).
Sulla base di queste evidenze, sembra probabile che solo una ridotta percentuale di anziani può essere definita successful aging secondo i criteri oggettivi relativi alla salute fisica, mentre una percentuale notevolmente più alta ritiene soggettivamente di invecchiare bene e soddisfa gli altri criteri psicosociali per il successful aging. Allo stesso modo, solo una minoranza di anziani schizofrenici presenta una remissione sintomatologica continua ed una percentuale ancora più bassa soddisfa i criteri oggettivi per il successful aging.
Negli studi epidemiologici, i fattori predittivi di successful aging, così come definito dai criteri oggettivi, sembrano corrispondere a quelli per le malattie mentali croniche . Ciò è conforme alla dipendenza dal funzionamento fisico di cui parlano le definizioni oggettive. Allo stesso modo, negli studi epidemiologia longitudinali, i migliori fattori predittivi di successful aging includono l'età più giovane, la mancanza di artrite, diabete e consumo di sigarette. Tuttavia, nel caso in cui è il paziente a valutare il proprio successful aging, i fattori predittivi sembrano essere in qualche modo diversi. Per esempio, esaminando il campione di 1.979 donne descritto in precedenza, abbiamo identificato numerosi fattori predittivi di successful aging secondo il giudizio del paziente stesso. I correlati positivi comprendevano ottimismo, resilienza, capacità cognitive e qualità della vita correlata alla salute fisica e mentale. Tuttavia, l'età cronologica non si associava all'autovaluta-zione del successful aging, mentre la scolarità e il reddito lo erano solo in minima parte.
Il contributo dei fattori genetici al successful aging è un campo di ricerca emergente. Glatt et al. (27) hanno preso in esame alcuni studi sull' influenza dei fattori genetici sulle definizioni multidimensio-nali di successful aging in campioni di anziani. In alcuni studi case-control che prendevano in esame lo SNP (single nucleo-udc pulymorphisrn), la variazione alleli-ca che in due o più report serviva a differenziare in maniera significativa i pazienti successful rispetto al gruppo di controllo includevano sei geni: APOE, GSTT1, IL6, ILIO, PONI e SIRT3. Nonostante si tratti solo di 29 studi con un consenso piuttosto limitato riguardo ai fenotipi del successful aging. è possibile che questi geni abbiano una qualche relazione con i processi biologici e i fattori di rischio di malattia nella senescenza. Nello stesso tempo, in età avanzata ci sono chiaramente variazioni fenotipiche che dipendono in vario grado da fattori non ereditari. Negli studi sui gemelli, la durata della vita dipende da fattori ereditari per il 20-30% e la variabilità nel funzionamento personale in un campione di anziani legata a tali fattori era del 22% (28). Sia la longevità che il funzionamento personale sembrano meno influenzati dai fattori ereditari rispetto alle capacità cognitive (30-50%) (29). L'obiettivo di modificare i processi biologici fondamentali che governano l'entità dell'invecchiamento rappresenta un salto concettuale rispetto all'attenzione rivolta finora alle specifiche malattie (30). Considerata l'assenza di una teoria unica sull'invecchiamento e nonostante non sia in alcun modo chiara la natura dei meccanismi che sottendono l'invecchiamento stesso, al momento attuale c'è grande interesse sul ruolo dello stress ossidativo e infiammatorio. Nell'uomo, l'esposizione cronica allo stress si associa ad alterazioni cromosomiche, danni cerebrali e mortalità precoce (31). Il ridotto apporto calorico, che nell'uomo e nei topi può determinare un prolungamento della durata della vita, sembra ridurre i livelli infiammatori ............marker infiammateli (32). Nell'anziano, anche una maggiore integrazione sociale si associa ad una riduzione di questi fattori (33). Tuttavia, la relazione tra fattori biologici e stress non è a senso unico. Livelli lievi di stress, come quelli prodotti dall'esercizio fisico, dall'attività cognitiva o dalla restrizione calorica, possono stimolare la produzione di fattori trofici che a loro volta determinano una maggiore resistenza allo stress (un processo chiamato ormesi) (34). hi questo modo, interventi mirati su aspetti multipli possono avere dei meccanismi in comune (ad es., determinare una riduzione dell'infiammazione, stimolare un aumento della resistenza allo stress). Inoltre, questi studi sottolineano la necessità di quantificare oltre allo stress, anche la resilienza. Ci sono alcune modalità di autovalutazione della resilienza che evidenziano negli anziani buone proprietà psicometriche (35,36); tuttavia, è necessario poter disporre di paradigmi og-gettivi e sperimentali che possano in questi pazienti valutare la resilienza in modo più adeguato.
Diversamente da quanto sostenuto in passato, al momento attuale sembra che la possibilità di modificare i processi che regolano l'invecchiamento cerebrale non sia circoscritta ad interventi durante le prime fasi della vita, ma si estenda anche all'età adulta. I cervelli di animali vecchi messi in ambienti stimolanti mostrano un aumento della sinaptogenesi (37) e della neurogenesi in determinate regioni cerebrali (giro dentato dell'ippocampo). Ci sono alcune evidenze derivate da studi di neu-roimaging funzionale che evidenziano come anziani con performance elevate mostrano una maggiore attivazione bilaterale nei compiti cognitivi, suggerendo in questo modo che l'invecchiamento cerebrale "successfuF' può comportare un'attività di riorganizzazione e compensazione del deterioramento cognitivo (38). L'ACTTVE (Advanced Cognitive Training for Inde-pendent and \ Ita! Elderly), il più grande studio randomizzato controllato di questo genere, ha evidenziato come tra gli anziani non dementi, un breve training cognitivo secondo una serie di modalità diverse migliori \eperformance nei test cognitivi (39). Anche nella schizofrenia è stato osservato un analogo miglioramento delle capacità cognitive attraverso un training cognitivo associato ad interventi farmacologici e non farmacologici (40). Come dimostrano i nuovi approcci di analisi delle reti sociali, oltre ai fattori individuali, anche l'integrazione e i rapporti sociali sembrano veicolare e favorire sia gli stati positivi della salute, come la felicità, sia quelli negativi, come la solitudine, l'obesità e il fumo (42.43). Negli anziani. la solitudine è un fattore predittivo di aumentoo di rischio per la malattia di Alzheimer.
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