venerdì 30 aprile 2010

ancora su neuroni specchio ed empatia

DI GUIDO ROMEO da No'va del sole24ore di aprile , note dalla neuroscienza
L'attività dei neuróni  specchio, le cellule dell'empatia che ci permettono di comprendere il significato di un gesto o di un sorriso e, in un parola, ci fanno uomini, è stata per la prima volta registrata direttamente nel cervello umano. Il risultato, che arriva dai laboratori della Ucla di Los Angeles, grazie al lavoro di un TteanTguMate da Roy Mukamel e coordinato da Marco lacoboni e Itzhak Fried, pone fine a un annoso dibattito tra neuroscienziati sull'effettiva funzione di queste cellule nell'uomo. Ma, sopratutto ne  svela  nuove proprieta'. L'esistenza di "mirror neurons" nell'uomo  era gia' stata confermata "nell'uomo nel 1995 da Giacomo Rizzólatti con Luciano Fadiga, Leonardo Fogàssi, Vittorio Gallese, gli stessi che li avevano scoperti nei macachi all'inizio degli anni 90. Oggi, lo studio americano, condotto su 21 pazienti nel cui cervello erano stati inseriti elettrodi di profondità per preparare un intervento terapeutico contro forme gravissime di epilessia, ha permesso di registrare la loro attività non solo nelle aree motorie della corteccia, ma anche in quelle coinvolte nella visione e nella memoria. «I nostri dati - spiega lacoboni, formatesi alla Sapienza di Roma e negli Usa dall'inizio degli anni 90 - ci dicono per certo che i neuroni specchio sono distribuiti in molte più aree cerebrali di quelle che si pensava inizialmente». Il gruppo di Rizzólatti aveva scoperto queste cellule nella corteccia premotoria ventrale e nella corteccia parietale inferiore delle scimmie. Altri ne hanno recentemente dimostrato l'esistenza in diverse aree cerebrali della scimmia. «Nessuno aveva però registrato neuroni specchio nella corteccia mediale frontale e temporale dell'uomo - osserva lacoboni, autore di "I neuroni specchio" (Bollati Boringhieri, 2008) -. Ciò suggerisce che queste cellule sono presènti in molti altri sistemi neurali». Gli scienziati hanno anche osservato che gli stessi "mirror" si attivavano più intensamente quando un'azione veniva compiuta direttamente dai volontari e in maniera più debole quando invece era osservata, come se il nostro cervello distingue se automaticamente tra cio che facciamo noi stessi e ciò che vediamo. «Il nostro studio ha senz'altro dei limiti perché i dati sono stati raccolti in condizioni eccezionali con una pratica possibile solo per ragioni cliniche - avverte lacoboni -, ma è convincente nei risultati». Le implicazioni di queste nuove conoscenze sono molte e affascinanti. La corteccia mediale frontale è infatti importante per iniziare un atto motorio, mentre la corteccia mediale temporale è cruciale per la memoria. «Pensiamo che i "mirror" rispecchino aspetti diversi delle azioni intenzioni ed emozioni di chi osserviamo a seconda del sistema, neurale nel quale si titolano, spiega il ricercatore, Il fatto ché queste cellule si tròvino anche in aree cerebrali che sono importanti per la memoria, fa pensare che per capire le azioni degli altri, dobbiamo anche evocare la memoria di noi stessi che compiamo quell'azione. È un meccanismo neurale relativamente-semplice, ma che potrebbe rivelarsi fondamentale nel creare circuiti psicologici di identificazione tra individui della stessa cultura, tra individui che condividono le stesse tradizioni, che sono invariabilmente basate su gesti e risposte emotive molto specifiche». Fried, neurologo clinico, ha accennato alle possibili applicazioni cliniche di queste nuove conoscenze sui "mirror" per sviluppare nuove terapie per l'autismo, ma nei laboratori dell'Ucla si guarda soprattutto a nuove ricerche. «Abbiamo appena iniziato uno studio su singoli neuroni specchio per capire come possiamo modificare o addirittura creare ex novo queste "smart cells" importantissime non solo per la vita sociale, ma anche per l'apprendirnento e lo sviluppo cognitivo e che potrebbero trovare applicazioni cliniche per pazienti nei quali sé ne riscontra una ridottissima attività» spiega lacoboni. Sul fronte delle neuroimmagini  il fronte californiano ha appena iniziato tre linee che potrebbero rivelarsi interessanti per capire il ruolo dei neuroni specchio nel comportamento sociale. «Il primo tipo di studi - spiega il ricercatore, che a Ucla dirige il laboratorio di stimolazione magnetica transcranica - mira a misurare le risposte dei neuroni alle azioni di individui della nostra razza o di razze diverse, del nostro stesso sesso o di sesso opposto, e che condividono le  nostre idee politiche  o no. Ma vogliamo anhe chiarire cosa controlla la tendenza ad imitare  altri una domanda cruciale per alcolisti e tossicodipendenti. Infine, sul fronte della neuroeconomia, vorremo capire quanto la tendenza a empatizzare prodotta dai neuroni specchio predica scelte economiche sulla condivisione di beni o sulla massimizzazione del profitto individuale».
guidoromeo.novaioo.ilsole24ore.com/

Empatia e Filosofia : dal sito "pratiche filosofiche " un brano dal libro di  Laura Boella

"Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia", Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, pp.  120, Euro 11,50
"........In questo senso “empatia” diventa il termine che indica “l’ambito di esperienza entro il quale si danno le molteplici forme del sentire l’altro, l’amicizia, l’amore, la compassione, l’attenzione, la cura, il rispetto, il riguardo” (p. 22), il fondamento di quell’ambito d’esperienza, attraverso un movimento che porta presso l’altro, a rendersi conto di ciò che sente, a viverlo con intensità pur sapendo che è suo e non nostro, cogliere senza immedesimarsi; non una confusione o un’identificazione di qualche strano tipo, ma una forma di “accesso alla realtà vissuta di un altro essere umano” (p. 25). “L’empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui” (p. 26) e “si configura come l’esperienza di un altro in quanto soggetto vivente di esperienza come me” (p. 27)......Momenti fondamentali che sono tre: l’emozione dell’incontro; immaginare e comprendere; trasformazione di sé – che sono anche i titoli dei capitoli dal terzo al quinto di questo libro, seguiti da un’ultima parte sul “praticare l’empatia”......Se il punto di partenza è convincente, con il proseguire della lettura sento un po’ di disagio: da un lato mi sembra resti oscuro quanto la “relazione” di cui si parla sia a senso unico o a doppio senso (io incontro l’altro se l’altro incontra me oppure no?), dall’altro tutto sembra molto bello e mi viene spontaneo l’aggettivo “edificante”. Se ne deve essere resa conto anche l’autrice, in qualche modo, perché all’improvviso incontro quell’aggettivo a pagina 108: “L’empatia gode di cattiva fama, non in ultimo, per il suo presunto carattere edificante e consolatorio, che non farebbe i conti con la guerra più o meno guerreggiata che da sempre domina i rapporti umani”.

giovedì 29 aprile 2010

ancora un aggiornamento sull'adolescenza


da Domenica , sole24ore di aprile , di Gilberto Corbelli

Avete dei problemi con i vostri  figli teenagers  E non vi sono stati d'aiuto gli psicologi, né attraverso le costose consulenze mediante le decine di libri o articoli zeppi di suggerimenti contraddittori? Provate con un veterinario! David Baiinbridge, che insegna anatomia clinica veterinaria alla Cambridge University ed è autore emergente di popular science, ha messo insieme le più recenti conoscenze antropologiche, neurobiologiche, farmacologiche e socio-psicologiche sulle origini evolutive, le caratteristiche fisiologiche e le dimensioni comportamentali dell'adolescenza. Non è strano che un veterinario capisca l'adolescenza meglio di tanti psicologi. Negli ultimi vent'anni lo studio scientifico di questa fase dello sviluppo umano ha mostrato che gli adolescenti non sono né bambini che scimmiottano gli adulti, né adulti contratti infantili. Sono proprio una cosa a sé. Un animale speciale.L'adolescenza è un trattò unico della nostra specie. Un'invenzione, iniziata con Homò erectus ma completata solo circa 200mila anni fa, a cui dobbiamo il nostro successo evolutivo. Sotto tutti i punti di vista: da quello demografico a quello socio-culturale. Siamo sapiens, non tanto in virtù delle dimensioni del cervello o dell'organizzazione complessa del nostro comportamento adulto, ma perché abbiamo a disposizione un periodo di circa 6 anni, quelli tra i 13 e i 19, in cui il cervello può riorganizzarsi e prepararsi per tentare di rispondere alle sfide ambientali in modo funzionale per la sopravvivenza della specie. Finora, regolarmente con successo. Bainbridge, da questo punto di vista, non discute le implicazioni della presenza sul pianeta di quasi un miliardo e mezzo di adolescenti, che si troveranno ad affrontare situazioni socio-demografiche molto diverse da quelle nel contesto delle quali l'adolescenza si è selezionata quando i nostri antenati vivevano come  cacciatori-raccoglitori. Di fatto, il tempo necessario per acquisire la maturità psicosociale si è notevolmente allungato rispetto ai nostri antenati. Mentre la maturità fisica, soprattutto la capacità riproduttiva, viene ancora raggiunta alla fine della pubertà. Anzi tende ad anticipare. Né è migliorata la capacità dei genitori o della struttura sociale di supportare gli adolescenti . Ne deriva un aumento dell'esposizione dei giovani a nuovi rischi sanitari, e il loro crescente contributo ai conflitti sociali e politici.

Vediamo da vicino quali cambiamenti fisiologici, che interessano gli adolescenti, possono spiegarne la fluttuante psicologia, sia sul piano dei punti di forza sia per la vulnerabilità. È un luogo comune dire che gli adolescenti sono in balia di tempeste ormonali. Ma non significa niente. Al dì là dei luoghi comuni sulla comparsa dei peli pubici, dell'acne, delle mestruazioni, dell'odore e  del seno, l'evento più importante'è il cambiamento delle vie dopaminergiche, con l'attivazione del sistema tegmento-accumbens-corteccia, che prelude alla presa di comando della cortéccia prefrontale sul comportamento. È all'interno di questo processo che trovano origine comportàmenti apparentemente inconciliabili, come la ricerca dell'indipendenza, che porta all'acquisizione dell'autonomia, e la fragilità psicologica. É  la corteccia prefrontale ha un ruolo cruciale nell'adolescenza. Il massimo di materia grigia viene raggiunto a 12 anni, e durante l'adolescenza avviene una perdita selettiva di connessioni sinaptiche con il rassodamento finale  del livello della corteccia premontale (mielinizzazione) delle connessioni che avranno dato luogo alla strutturazione anatomica che è risultata più funzionale nell'organizzazione del comportamento collegato a un dato contesto. La conseguenza è un declino di quell'irrigidimento mentale ed emozionale tipicamente adolescenziale: probabilmente il mantenimento di una buona plasticità da utilizzare anche nell'età adulta dipende dalla densità della connettivita costruita attraverso la varietà e la qualità delle esperienze adolescenziali. Perché gli adolescenti vanno alla ricerca di stimoli estremi e si espongono in modo incosciente anche a seri rischi per la salute e la vita? Secondo Bainbridge, il cambiamento delle vie dopaminergiche rende gli adolescenti temporaneamente incapaci di provare piacere e induce la ricerca di situazioni stimolanti e rischiose in modo spesso compulsivo. Ci sono prove che il grado di temerarietà adolescenziale è predittivo del carattere individuale. La maturazione della corteccia prefrontale in un bagno di dopamina è all'origine anche del fatto che gli adolescenti esplorano spontaneamente nuovi modi di pensare. L'effetto finale è un'architettura complessa di pensieri o, meglio, aspettative che filtreranno le strategie comportamentali per ottenere ciò che si vuole ed evitare quello che non si vuole. Quali insegnamenti trarre dalle nuove conoscenze sull'adolescenza, per essere d'aiuto ai nostri figli? Qualcuno dirà: cosa mai ci serve conoscere il ruolo della dopamina nel cervello degli adolescenti per affrontare i complessi e drammatici problemi sociali globali, dal bullismo alle tossicodipendenze all'arruolamento dei terroristi? Dipende da quanto, come adulti, siamo ancora capaci di non essere rigidi e provare a cambiare approccio, se quello utilizzato finora non funziona. Di certo, invece di fare sempre della retorica, chiamando in causa comodamente una responsabilità impersonale verso le future generazioni o addirittura il cosmo, sarebbe utile rendersi conto che noi adulti esistiamo, sul piano evolutivo, perché c'è l'adolescenza. E perché gli adolescenti di oggi diventino degli adulti capaci di aiutare i loro figli a sviluppare le potenzialità migliori e più adattative. Per esempio, nel lungo e in parte condivisibile capitolo dedicato al rischio droghe, Bainbridge sostiene che insegnare ai teenagers a resistere alle pressioni dei coetanei è il modo migliore di ridurre l'uso di droghe.Bainbridge consiglia anche di dedicare più attenzione alle conoscenze scientifiche sui meccanismi neurobiologici dell'apprendimento, quando si discute dei metodi di insegnamento più efficaci in un'età critica per la maturazione cognitiva. Di fatto, nessuna delle pratiche didattiche sin qui utilizzate può essere difesa con argomenti empiricamente assodati. Ma è urgente capire perché e come gli adolescenti pensano, e quali conseguenze ha, per la maturazione della cognizione il fatto che il corpo di un adolescente matura più in fretta del suo cervello.
David Bainbridge, «Adolescenti. Una stona naturale», Einaudi, Torino, pagg. 324, € 16,50.

orso castano : articolo interessante che suggerisce spiegazioni per i comportamenti adolescenziali, spesso malcompresi o , anche, di difficile spiegazione

milioni di dati ma pochi strumenti di analisi : una rivoluzione copernicana e' in atto nella genetica

di FRANCESCA CERATI da Domenica , sole 24ore , di aprile

A festeggiare i dieci anni del Progetto genoma umano ci ha pensato il giudice newyorchese Robert W. Sweet che con un tempismo perfetto ha invalidato due brevetti genetici (e costosi) della Miriad Genetìcs. Un "gift" tutt'altro che gradito quello che è stato costretto a ricevere il comparto biotech, già in crisi, dopo anni inebrianti, per non aver mantenuto le promesse fatte dieci anni or sono. Eppure, il progetto genoma umano è stata una delle più grandi indagini scientifiche della fine del XX secolo e ha attratto investimenti al di là di ogni previsione razionale. Qualcuno lo ha addirittura paragonato al progetto Manhattan o al programma Apollo, ma forse il più azzeccato accostamento è quello alla geometria frattale di Mandelbrot, che svela i più profondi livelli di complessità quanto più si osservano. Il nocciolo della questione è infatti questo: dopo 10 anni si è capito che la biologia è molto più complessa di quanto si fosse immaginato e che la vita non può essere ridotta alla lettura di un singolo gene. In altre parole, il valore determinante del genoma così come è stato letto fino a oggi si è rilevato una delusione. E i risultati lo confermano: dopo aver investito 3 miliardi di dollari nello Human genome project (Hgp), la comunità scientifica non ha portato a grandi blockbuster. A oggi i farmaci in commercio si contano sulle dita di una mano: sono4molecole anticancro. Rispetto alle aspettative, che riguardavano soprattutto questa malattia, è davvero poco.Cosa non ha funzionato? «Quando siamo partiti l'idea era che le vie di segnalazione fossero abbastanza semplici e lineari -, spiega Giorgio Casari, direttore del Centro di genomica del informatica e biostatistica dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele -. Ora sappiamo che le informazioni nelle cellule sono organizzate attraverso reti. E questo è infinitamente più complesso. Va detto, però, che per accedere al genoma si sono messi in campo idee brillanti e capitali che hanno creato comunque innovazione. Cosa che con la fredda logica della ragione sarebbero state considerate troppo rischiose».Vero, ma in questo modo la tecnologia ha superato di gran lunga la conoscenza: le società che si occupano di sequenziamento sono cresciute come funghi (alcune sono anche fallite, altre per sopravvivere trovano geni associati alle cose più stravaganti, come la religiosità o le credenze politiche), le macchine sono diventate sempre più veloci, piccole ed economiche. Tutto questo però ha creato e crea quello che il direttore scientifico del Nhgri (National human genome research institute) statunitense, Eric Green, ha definito uno «tsunami di informazioni che sovraccarica il cervello degli scienziati e le capacità dei computer». A fronte di circa 21mila geni umani  (pensare che il riso ne ha ben 50mila...). Eppure qualche segnale le prime scoperte lo avevano già dato: i genetisti, per esempio, si aspettavano di trovare l00mila geni, il conteggio finale invece è stato più vicino a 21mila. Ma poi con loro sono arrivati a sorpresa molecole accessorio, fattori di trascrizione, piccoli Rna, tutti linkati in un'interazione dinamica. La cosiddetta "ereditarietà mancata", che spiega i limiti del modello di tratti del Dna degli studi del Genome-wide association studies (Gwas), basati su varianti genetiche relativamente comuni nelle regioni di genoma che codifica proteine. Sottostimando così, tutta quella parte che, oggi, a ragion veduta, non ha più senso chiamare"junk Dna", ricco anch'esso di informazioni determinanti e che costituisce i due terzi del codice genetico. Così la definizione stessa di gene potrebbe cambiare se verrà incluso anche l'Rna capace di "silenziare" i geni impedendo loro di produrre proteine. E raddoppiare il numero di geni stimato. E non si tratterebbe di una pura questione semantica. «Si sta completamente cambiando il modo di fare scienza - continua Casari - soprattutto in quest'ultimo anno c'è in atto una rivoluzione copernicana rispetto al Duemila, anno del sequenziamento. Con le nuove tecnologie è possibile vedere sequenze che fino a ieri erano impensabili. E questo apre prospettive interessanti, pur aumentando la complessità».
È come se il settore fosse vittima del proprio successo. E al momento il settore che ci fa intravedere il futuro della medicina resta quello della tecnologia. Anche perché con le nuove scoperte occorre rivedere tutti i dati sotto una nuova lente. Non mancano comunque gli aspetti positivi di questo intricato groviglio che è il nostro codice della vita. Prima di tutto il Progetto genoma è stato pioniere nel rendere i dati scientifici accessibili a tutti. Lo stesso Francis Collins, che ha contribuito a mappare il Dna, scrive su Nature: «Con i mezzi di oggi il progetto potrebbe essere realizzato in pochi giorni da un neolaureato collegato a internet...». Secondo: le malattie monogeniche, che possono beneficiare delle scoperte genetiche, possono costituire un modello anche per quelle multifattoriali. Infine le opportunità di lavoro nel campo della bioinformatica non conoscono crisi. Riguardo al futuro, come diceva Antoine de Sain-Exupry «il nostro compito non è quello di prevederlo, ma di attivarlo».
orso castano : gli studi sul genoma hanno mostrato , se  mai ce ne fosse stato bisogno che la complessita' e' sempre li' presente a "stuzzicare" la comprensione del mondo "reale" ed a "falsificare" le ipotesi scientifiche. 
La psichiatria , a parte gli studi sulle neuroscienze e le conseguenze a cascata che apportano (se del caso) nuovi modi di vedere , in questi ultimi tempi , si potrebbe dire, "tace" e non accetta la sfida della complessita'. Eppure non fosse altro che per deduzione dagli studi delle altre branche della scienza dovrebbe essere "mossa" a rivedere certi "assoluti" ed autocriticamente  a riflettere su possibili nuovi modi di vedere la sofferenza mentale . Certo non avverra' questo inseguendo falsi specialismi (non molto trasparenti , vedi operazione DSMV) che  sembrano molto vicini al disease mongering , cioe' descrivendo nuove ed improbabili  sindromi per vuote ricerche per nuovi farmaci "smuovimercato". La stessa psichiatria di comunita' ripete in modo martellante le medesime proposte , che  (ma ci sara' pure una ragione!) che non producono movimenti sostanziosi e , sopratutto, reali cioe' riguardanti una massa significativa di "sofferenti". Eppure come si fa ad ignorare , ad esempio, le straordinarie novita' che , ad un ritmo sempre piu' incalzante stanno trasformando il nostro modo di comunicare con ricadute significative anche sulle modalita' di esprimere la sofferenza umana ?..........ma tant'e'....


mercoledì 28 aprile 2010

psicologia , realismo ingenuo, ermeneutica

di Maurizio Ferraris' da Domenica , sole 24ore di aprile ,
ci sono  dei maestri che si cercano e altri che si trovano: ci si  imbatte in loro in modo imprevisto, e si im pongono con quella stéssa necessità della realtà "incontrata", nel mondo, che il percettologo Wolfgang Metzger aveva contrapposto alla rèaltà "rappresentata", nella testa. Sicuramente per me Paolo Bozzi è stato un maestro trovato. Eroarrivatoa Triéste nella prima metà degli anni Ottanta ...... e con la testa piena di ermeneutica L'idea era quella classica che il mondo è la mia rappresentazione; e che consiste in ciò che riesco a farci con le cose che penso e gli schemi concettuali che adoperò. Però alle sedute di laurea vedevo - prima ancora di capire - le tesi degli psicologi»mi sembravano qualcosa che non aveva nulla a che faré cón la filosofia, con tuttoquel parlare di figura e sfondo, immagini consecutive, pregrianze buonafòrmà.. Più tardi avrei conosciuto i lavori di Bozzi, partendo quasi dal fondo con "Fisica ingenua", uscito nel 1990 (anche qui imbattendomici per caso, grazie al mio amico Pietro Kobau, che me lo aveva prestato), e lo avrei frequentato così cóme ho frequentato i suoi allievi...... Ma  l'impatto era venuto proprio dàlle tesi così sconcertanti per un ermeneuta. In un certo senso, in quelle discussioni sul vedere si trovavamo che in linguistica  si chiamerebbe «conservare le  àree laterali».
In un certo senso, in quelle discussioni sul vedere si trovava  cio che in linguistica si chiama "conservatorio delle aree laterali .. .. la psicologia triestina conservava un retaggio austroungarico. I1 punto da cui muove   Bozzi, nato nel 1939 m i una Gorizia italiana da dodici anni» comjTendiatodaunmottodelsuomaestroGaetanoKa-nizsa (una figura quasi mitologica che avevo incrociato a Trieste, intorno a cui aleggiavano gli spettri di Musatti, Benussi, Meinong, sino a Brentano): «L'occhio, se proprio si vuole che ragioni, ragiona comunque a modo suo». C'è una autonomia del vedere rispetto al pensare (di quil'interesseper le cosiddette "illusioni ottiche", in cui l'occhio non ubbidisce al cervello), che però Bozzi, filosofo prima che psicologo, trasformava in una autonomia del mondo rispetto ai nostri schemi concettuali. Con questo semplicissimo gesto Bozzi stabiliva la possibilità della ontologia, e al tenpo stesso si smarcava da un dogma endemico tra filosofi é psicologi del secolo scorso, ossia che non esista un mondo "là fuori" (si ripeteva con un certo compiacimento, ricalcando l'inglese out there), e che tutto si riduca a una battaglia tra schemi concettuali Per Bozzi, invece, quel mondo c'era, con la sua autonomia, che si spingeva sino al livello dei significati, con una consonanza con le tesi dello psicologo americano James J. Gibson, che lo aveva detto dopo di lui, ma che Bozzi aveva generosamente contribuito a tradurre e a far conoscere in Italia. Una sedia, in parole povere, significa «possibilità di appogio» tanto per un uomo quanto per un gatto. Poi certo si può risalire a significati a cui il gatto non accede (per esempio a "stile Luigi XVI"), ma l'inizio è proprio li', nel mondo esterno.È forse una chiamata di correo, ma l'ontologia che nel 2001 ho proposto nel "Mondo esterno" (e in parte già, nel 1997, la rivalutazione dell'estetica come aisthesis, come sensazione, in "Estetica razionale") prendeva l'avvio proprio da Bozzi, che mi aveva aiutato a uscire dalle secche dell'ermeneutica e a elaborare una ontologia realista Le parole che avevo messo in esergo, dedicandogli il libro, «Ex te ipso excede: in exteriore nomine habitat res», erano una variazione rispetto alla frase di Agostino citata da Husserl alla fine delle Meditazioni cartesiane, «Noliforas ire, in te redi, in inferióre nomine habitat veritas». Volevo sottolineare come l'ontologia richieda una scelta preliminare per l'esteriorità e la cosalità ,rispetto alla interiorità e alla verità. Prima degli schemi concettuali e dell'epistemologia c'è il mondo esterno. Era per appunto,l'insegnamento che veniva da Bozzi, che aveva sviluppato una fenomenologia senza epoche, cioè senza messa tra parentesi dell'atteggiamento naturale: tavoli e sedie, amici e parenti sono davvero tavolie sedie, amici e parenti - e non semplici fenomeni Così pensiamo quando non ragioniamo da filosofi e il bello è che il più delle volte non ci sbagliamo, perché il mondo è in larghissima misura così come ci appare. Non è una rappresentazione, è un tutto pieno di caratteristiche che appartengono agli oggetti prima che ai soggetti. Questa affermazione è molto potente e radicale, radicale quanto  il dubbio di Cartesio, e altrettanto coraggiosa in tempi così inclini a credere che la realtà si risolva nel pensiero. Su quella base, sarebbe davvero troppo azzardato costruire una epistemologia, visto che i sensi possono ingannare, e la scienza richiede comunque schemi concettuali . Ma una ontologia, sì: il mondo esterno non è la verità (come forse , avrébbe detto Bozzi), bensì un punto d'appoggio sufficientemente forte per una ontologia caratterizzata da ciò che ho proposto di chiamare "inemendabilità", la resistenza e l'attrito di quello che c'è.........................

giovedì 15 aprile 2010

Big Pharma all'assalto delle classificazioni psichiatriche



di  RICCARDO STAGLIANO da Venerdi' di Repubblica di aprile
"Cininica e bara". Così l'industria farmaceutica di fronte ai disturbi mentali, secondo un suo ex dirigente. Philippe Pignarre si potrebbe definire un whistleblower postumo, uno che ha dato l'allarme dicendo che il suo mondo puzzava dalla testa ai piedi , solo una volta che ne è uscito. Meglio tardi che mai, tuttavia. In Francia è stato a lungo direttore della comunicazione di importanti aziende medicinali. Ha visto allargare, in modo direttamente proporzionale al perimetro semantico dei disturbi, i fatturati dei suoi datori di lavoro. E oggi ha denunciato tutto in L'industria della depressione, in uscita da Bollati Boringhieri (pp. 140, euro 14). È un bruttissimo mondo quello che racconta. Come si è arrivati dai cento milioni di depressi degli anni Settanta al miliardo del 2000? L'umanità è diventata dieci volte più triste o la causa va cercata altrove? «La spiegazione è complessa. "gli individui oggi sono portati a guardarsi dentro più profondamente di un tempo e a cercare subito delle spiegazioni quando qualcosa non va bene e non si sentono prestanti al lavoro o nelle relazioni familiari. Di colpo la depressione diventa il denominatore comune di tutta una serie di stati che una volta non avremmo messo sotto la stessa etichetta. È una qualifica ormai assai larga e vaga, che va da ciò che una volta chiamavamo melanconia, ovvero un sentimento di tristezza che spazia dalla voglia di morire a un'incapacità totale ad agire, sino a un malessere molto meno grave che chiamiamo depressione leggera o distimia. Oggi tutto questo viene raggruppato  sotto il titolo unico di depressione con il paradosso che gli antidepressivi sono assai efficaci nel caso delle melanconie gravi, ma molto poco in quelle lecere, mentre è proprio in questo secondo caso che vengono massicciamente consumati. Però si porta sempre l'esempio dei casi gravi per giustificare il fatto che se ne consumino tanti e impedire il dibattito». Qual è il ruolo dell'industria farmaceutica in questa esplosione? «Di certo si è avvantaggiata molto di questa situazione. Si è accorta presto che la definizione di depressione non era molto stabile e che molte persone leggermente tristi potevano essere incluse nel gruppo dei depressi e quindi potevano consumare massicciamente farmaci pensati originariamente per le melanconie gravi. Si è resa conto poi che la maggior parte dei disturbi psichici avevano una definizione imprecisa e se n'è approfittata con cinismo. A differenza di numerose malattie organiche, la diagnosi dei disturbi psichici non è mai stata fatta con l'aiuto di strumenti tecnici oggettivi e indiscutibili. Non esiste un test di laboratorio attendibile in psichiatria. È solamente l'incontro soggettivo tra il paziente e il medico che genera la diagnosi».Vedete una complicità tra le Big Pharma e i grandi psichiatri, per esempio quelli che lavorano alle nuove definizioni di malattie mentali nel prossimo Dsm-V? «Beh, non appena un medico fa parlare di sé, mostra un certo dinamismo, anima i seminari ed è rispettato dai colleghi, i laborato-ri farmaceutici gli si gettano addosso. E fanno tutto ciò che è in loro potere per reclutarlo alla loro causa: lo invitano a fare conferenze ai congressi, gli finanziano gli studi cimici, gli danno fondi e così via. Con il tempo se lo rendono amico in mille modi. E anche con la più forte volontà del mondo sono rari i medici che riescono a resistere a tali blandizie, dal momento che i finanziamenti pubblici sono sempre più scarsi». Molti commentatori hanno parlato di «medicalizzazione della normalità». Quanto è serio, secondo lei, questo rischio? «Il nodo è tutto qui: dove inizia e dove finisce il disturbo psicologico? Nessuno lo sa perché non esistono riscontri biologici nei disturbi mentali. Anzi, quando se ne trova uno, non si parla più di disturbo mentale, ma di disturbo neurologico con ricadute psicologiche. La diagnosi quindi si poggia sul consenso che si stabilisce, in un certo momento storico, tra gli psichiatri. Essenzialmente quelli americani, mentre quelli degli altri Paesi si accontentano di copiarli. L'industria farmaceutica gioca evidentemente un ruolo: fa tutto quel che può per estendere la definizione di disturbo mentale. Così stati che si consideravamo normali ancora pochi anni fa tendono a essere definiti come anormali oggi al fine di giustificare una prescrizione più ampia dì medicinali. Per farci paura ci dicono che bisogna curare un disturbo mentale già dai primi segni, anche se non sono gravi, secondo l'argomento che ciò eviterà un peggioramento. Però non c'è alcuna prova che tale ragionamento - vero per certi disturbi organici, ma neppure tutti - valga in psichiatria o in psicologia. Anzi, alcuni sostengono proprio il contrario. Ad esempio, prescrivere molto precocemente un neuro-lettico, un antipsicotico, a un adolescente che ha la tendenza a isolarsi, con la motivazione che potrebbe essere un inizio di schizofrenia, ha spesso esiti catastrofici. Più a un giovane si daranno neurolettici, più lui assomiglierà a uno schizofrenico (le bozze del Dsm-V hanno scatenato molte polemiche anche sul trattamento precoce delle presunte psicosi, ndr)». Quali sono le contromosse più importanti per ridurre, in futuro, le ingerenze del mercato sul dominio della salute mentale? «Sin tanto che il dialogo sarà solo tra medici e industria farmaceutica non ci sarà alcun modo di resistervi. Serve che i pazienti possano giocare un ruolo collettivo. Ciò non è semplice perché ogni volta che un'associazione di pazienti alza la testa, le Big Pharma si precipitano per finanziarla e influenzarla. C'è bisogno dunque di associazioni di pazienti indipendenti che imparino a occuparsi di tutto, compresi la definizione di disturbi mentali, il modo di fare i test clinici e così via. Ma ciò non sarà possibile sin quando le casse di assistenza sanitaria non accetteranno di finanziarle. Negli Stati Uniti ne esistono già alcune molto potenti, in Europa no».

il nostro ruolo e la prospettiva culturale del Mediterraneo : una middle class molto "globalizzata" portatrice di nuove idee

di Giovanna Mancini da Domenica , sole24ore di aprile 2010
Quando sua figlia le ha detto che intendeva indossare il velo, non ha potuto nascondere una certa sorpresa. Lei, Hanan Kassab Hassan, docente universitaria e direttrice della Dar Al-Assad Opera House for Culture and Arts di Damasco, il velo non lo ha mai portato. Cresciuta in una famiglia comunista (la madre partecipò alla ' marcia di Mao del 1949) Hanan ' ha studiato teatro nella capitale ' siriana e poi a Parigi. Tra le altre  cose è stata segretario generale ~ di Damasco capitale della cultura araba nel 2008. Un evento importante, perché ha portato oltre 500 nuovi posti di lavoro, ma e" soprattutto «ha sviluppato nuoveve abitudini culturali nell popolazione, creando un pubblico che oggi pretende manifestazioni culturali di livello alto». Hanan, bilingue e cosmopolita, elegante e sobria con i suoi capelli corti e nei pantaloni scuri abbinati a una semplice camicia bianca, è una delle tante donne emancipate e colte che sempre più spesso si incontrano nei paesi  musulmani del Mediterraneo. «Le donne in Siria hanno semre avuto un ruolo politicamente attivo,  a partire dal 1920 , come  dimostra la presenza di cinque  ministre nell'attuale governo, di i cui una al Lavoro, una all'Economia e una alla Vicepresidenza». ! Eppure il velo torna a vedersi nelle strade vivaci e illuminate dalle vetrine di Damasco e Aleppò, e spesso sono le più giovani  a indossarlo, a braccetto con madri che, come Hanan, camminano invece serenamente a capo scoperto. «La ragione non è pòlitica o religiosa - replica Hanan , ma mediatica: in televisione le donne compaiono con il velo e le giovani le imitano. È diventato un simbolo di identità». La questione del velo, concorda Raja Farhat drammaturgo e regista teatrale tunisino oggi consulente al ministero della Cultura del suo paese, è spesso un problema più europeo che musulmano Farhat, come Hassan, ha partecipato al primo Forum delle città del Mediterraneo di Napoli, dove rappresentanti culturali delle principali metropoli delle due sponde - testimoni di una middle dass in espansione - si sono confrontati per realizzare nel settembre 2011 un grande evento che porterà nel capoluo-go campano "frammenti" della vita culturale ed economica di queste città «Vogliamo trasmettere l'importanza che il Mediterraneo ha per lo sviluppo dell'Europa, troppo concentrata su un'espansione verso Est e poco attenta alle potenzialità del Sud», spiega Renato Quaglia, direttore artistico e organizzativo del progetto. Un progetto che si propone di rovesciare la visione dominante di lettura del rapporto Nord-Sud come un rapporto tra ricchezza e povertà. «È un'idea arcaica del mondo, di cui l'Europa è prigioniera-afferma Raja Farhat - legata a uno schema semplicistico che identifica Islam e fondamentalismo, ma che non tiene conto delle radici storiche e culturali comuni tra i paesi del Mediterraneo. Né tiene conto della crescita economica di questi paesi e della loro classe media, che vive in metropoli ricche di cultura, di teatri, di università». Farhad, quadrilingue (oltre all'arabo e al francese, parla italiano e inglese), è un vero cittadino del Mediterraneo:   ha dimenticato le sue radici e non si accorge che oggi la povertà è a Nord, non a Sud del Mediterraneo: è in Grecia, è in Spagna, non in Egitto o in Algeria». Più scettico sull'esistenza di un'identità comune, ma convinto dell'importanza del dialogo tra le due sponde del Mediterraneo per lo sviluppo sociale ed economico dei paesi che vi si affacciano, è Nagy Souraty, giovane drammaturgo libanese, docente universitario e consulente artistico del teatro Al-Madina di Beirut: «Non so se si possa parlare di un denominatore comune. Nello stesso Libano il problema dell'identità e dell'appartenenza è l'ostacolo principale alla soluzione dei conflitti. E vero però che sta crescendo il confronto tra le nuove generazioni e tra i giovani artisti dei diversi paesi». Figlio della buona borghesia libanese (madre insegnante e padre ispettore finanziario in una banca) Nagy vede oggi nel suo paese un arretramento di quella classe media che negli anni 70 diede vita al periodo d'oro della Beirut artistica. «Ma il fermento culturale c'è - dice -. È importante favorire le iniziative che vengono dal basso, fuori dalle istituzioni politiche e culturali». Meglio guardare, aggiunge Pierre Abi Saab, giornalista del quotidiano libanese Al-Akhbar, a fenomeni come l'arte di strada, «il rap soprattutto, che è il vero teatro odierno della contestazione, rivoluzionario come lo fu a suo tempo il Living Theatre: è il LivingTheatre di oggi!».

 orso castano : difficile prevedee gli sviluppi che il vecchio "mare nostrum"  sul quale per secoli e secoli si sono affacciate mille culture , mattoni fondanti della nostra attuale cultura (anche matematica e scientifica) , difficile anche capire perche' un simile sviluppo sisia arrestato o proceda a singhiozzo e se riuscira' a darsi una prospettiva innovatrice all'interno della cultura attualmente globalizzata ma appiattita su stereotipi troppo legati al dio mercato. Staremo a vedere. Certo e' che secoli di storia hanno lasciato un solco profondo che non e' possibile ignorare.


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mercoledì 14 aprile 2010

immigrazione : si accompagnna a protezione dei piu' deboli (immigrati e non ) ed a rassicurazione (sugli immigrati e non)

di Guido Bolaffi da Domenica del Sole24ore di marzo
Tra opinione pubblica e immigrazione non corre buon sangue. Un dato di fatto che forse pochi ricordano, ad esempio'; che uno dei imponenti ed inquietanti  episodi di rifiuto sociale
 si è registràto in America addirittura prima dello scoppio della guerra Civile. Un evènto ricordato nei libri di storia come  «The Know-Nothings», dalla risposta che i suoi promotori davano, a mo' di parola d'ordine, quando venivano interrogati dalla polizia. Che al suo culmine riuscì nel 1855 a fare eleggere al Congresso ben 43 parlamentari è a; candidare un proprio esponente per la corsa alla Casa Bianca.' Un capitolo straordinario che non è stato, purtròppo, l'unico del tormentato rapporto tra immigrazione e società. Né lo sòno state le motivazioni che l'hanno rodotto. Visto che quelle di oggi non sono poi tanto diverse da quelle di ieri. Con tratti e attori diversi presentano, infatti, motivazioni simili. Meglio. Hanno le stesse radici. Quasi un indelebile tratto originario.C'è un perché? Se l'è chiesto il The Transatlantic Council on Migration  che la scòrsa primavera ha messo a confronto presso la Rockefeller Foundation di Bellagio alcuni dei massimi esperti americani ed europei della materia. Temi e materiali di quell'incontro sono stati raccolti nel libro Migration, Public Opinion and Pofitics pubblicato congiuntamente a fine dicembre 2009 dalla  Bertelsmann Stiftunge e dal Migration Policy Institut. Un confronto di esperienze con storie e culture tra loro  molto diverse ma chiamate a fare i conti con problemi assai simili proprio nel delicato rapporto tea pubblica opinione e immigrazione. Per tre ragioni. Vediamole.
L'immigrazione ha le stimmate della durezza tipica di tutti i grandi fenomeni sociali. Che le sue personae dramatis riescono, talvolta, a rendere persino sgradevolmente ruvida. È difficile da trattare . Di natura multipla , il cui impatto determina effetti a catena  dei rapporti collettivi. Fino a essere una sorta di cartina di tornasole dei vizi'e delle virtù di una nazione. Ne può esaltare le potenzialità ma anche evidenziare le debolezze' sociopolitiche collettive. Tanto e' vero che i  conflitti che produce quando  esplodononon si limitano solo  al terreno economico ma retroagiscono su quello politico-culturale.La ragione come sosteneva Magnus Enzeberger nel suo straordirio  saggio  vent'anni fa "La grande migrazione: «Ogni migrazione provoca  conflitti indipendendemente dalle cause che l'hanno determinata,  dagli scopi  che si prefigge,  dal fatto che sia sia spontanea o  coatta, dalle dimensioni  che assume». il rapporto tra  immigrazione e società investe profondi, costitutivi dell'esistenza umana. La paura verso chi non si conòsce per esempio. Negare il problema e contribuire ad aggravarlo e' tuttuno.Ma c'è un seconi che complica ulteriormente  le cose. Il rifiuto e l'ostilita' di tanti  nei confronti degli immigrati sono solo in parte il frutto perverso della manipolazione xenofoba . Non c'è infatti ideologia quanto diabolica, in grado  di fare presa sul comportamento collettivo in assenza di fenomeni reali che la società percepisce, e rifiuta, còme una costosa minaccia. Soprattutto dai 'cittadini economiamente  e culturalmente piu' deboli. per questo serve a poco continuare a ripetere che l'immigrazione è un benefìcio per la società tacendo però che non tutti i suoi membri ne godono nella stessa misura. Strumentalizzare le paure dei deboli è un peccato capitale, pari a quello di mostrarsi sordi alla loro domanda e protezione. Un dìsconnect, come dico gli americani, che aiuta a capire quello che a qualcuno può sembrare una inspiegabile, paradossale contraddizione. Da molti sondaggi, infatti, emerge che l'opinione pubblica diffida dell'immigrazione e assai meno degli immigrati. Teme la nebulosità del fenomeno più che i suoi attori in carne e ossa.Difficoltà che, in qualche modo, danno però anche qualche speranza. Molto dipende infatti dalle politics. Da ciò che fanno governi e istituzioni. Ma ancor più dalle politicies. Da come e quanto quegli attori riescono a farsi capire da chi, in fondo, altro non chiede che un po' di sostegno di fronte a un mondo che non conosce, non capisce ma con cui è costretto a fare i conti ~ tutti i santi giorni. Nel mercato del lavoro, negli spazi urbani, nel tempo libero.
 «Migration, Public Opinion and Politica», edizioni Bertelsmann Stiftung, Migration Policy Instìtute 2009, pagg. 392, €35,00.

orso castano : utili, direi ottime indicazioni pratiche e considerazioni sul fenomeno immigrazione. Fenomeno "costante" (al di la di ogni opinione) , strutturale nel mondo.

martedì 13 aprile 2010

In principio era il caos


Il metodo parte dal presupposto che non si mettono a punto teorie per poi incastrarci la realtà. Al contrario, la natura è un sistema complesso dinamico e come tale va trattato
Di   FEDERICOFERRAZZA  da domenica , sole24 ore, marzo 2010
Negli ultimi anni c'è stata  una serie televisiva che più di ogni altra ci ha fatto vedere come la matematica sia dentro la nostra vita, più di quanto si possa immaginare. Si tratta di Numb3rs, in onda negli Usa dal 2005 (e poi anche in Italia) e prodotta dai fratelli Ridley e Tony Scott. Il suo protagonista è il giovane genio matematico Charlie Eppes (interpretato da David Krumholtz) che oltre a essere un professore universitario al California institute of science (ente inesistente ma ispirato al noto California institute of technology) è anche un consulente del dipartimento di Los Angeles deH'Fbi dove lavora il fratello Don. Il compito di Charlie è quello di aiutare la polizia federale nelle sue indagini attraverso dei calcoli e delle equazioni che stabiliscono, per esempio, quale sarà la prossima vittima di un serial killer o quali siano gli spostamenti di un rapitore. «C'è chi crede che tutta questa sia fiction, che la matematica non sia in grado di risolvere (e spiegare) i casi come avviene in Numbsrs. Ma non è così: la matematica ha davvero queste potenzialità. Lo sa quali sono le uniche due cose che non corrispondono alla realtà nella serie dei fratelli Scott? I tempi (troppo brevi) e il fatto che il protagonista usi per lo più la lavagna al posto del computer. Il resto è tutto vero».
A parlare nel suo studio (una sigaretta dietro l'altra) è Massimo Buscema. Cervello di ritorno (ha insegnato negli Usa), Buscema dirige un centro di ricerca che potrebbe far concorrenza al Charlie di Numbars. Siamo a Trigoria, alle porte di Roma, in aperta campagna. Qui un gruppo di ricercatori lavora al Semeion, un istituto scientifico speciale del Miur che in piccola parte (6omila euro, 8% delle necessità) viene finanziato dal settore pubblico e per il resto da "clienti" privati e pubblici (per esempio la Bracco o Alitalia) che si avvalgono delle loro tecniche. Tra questi ci sono proprio alcuni organi di polizia, italiani e stranieri (Scotland Yard), ma anche pubbliche amministrazioni come nel caso del ministero del Lavoro o quello della Salute.
Per spiegare quale sia il "punto divista" di questo centro di ricerca (tra le principali  eccellenze italiane) che potremmo definire maieutico, nel quale il maestro da ascolto al discepolo per tirargli fuori pensieri che possono anche confutare le tesi iniziali del ragazzo. Tutto il contrario di chi all'epoca (per esempio i sofisti) voleva "imporre" il proprio punto divista con "armi" come la retorica o l'arte della persuasione. Allo stesso modo - spiega Buscema- non ci interessa mettere a punto delle teorie e poi incastrarci dentro la realtà. La natura è infatti un sistema complesso e così va trattato. I sistemi complessi, in quanto tali, si modificano in continuazione e soprattutto cambiano le loro regole interne con il passare del tempo. Per questo il nostro approccio puo' essere detto maieutico.
Semplificando, il team di Buscema lavora alla fabbricazione   di equazioni matematiche in grado di fotografare una determinata situazione per trasformarla in una serie di numeri che poi devono essere analizzati da un calcolatore. L'obiettivo e' altro: equazioni che facciano parlare ogni singolo dato e che capiscano come queste informazioni si evolveranno. Perciò molti dei modelli che il Semeion mette a punto sono dei modelli predittivi capaci di comprendere quali saranno le (nuove) regole che alcuni sistemi complessi si daranno con il passare del tempo.

«È un approccio bottom-up e non top-down nel quale si prende una serie di dati e si assembla seguendo diverse logiche imposte dall'alto - continua Buscema -. A noi, invece, interessache sia il dato - anche quello più piccolo - a fornirci delle informazioni. Che però non possono essere estrapolate dal loro contesto: ogni atomo di informazione, infatti, si comporta in un determinato modo anche in conseguenza degli " atomi" che gli sono intorno; in sostanza ci basiamo sulla sua rete di connessioni. Insemina, con le nostre equazioni, cerchiamo di dare (e comprendere) un punto di vista al dato e non usare solo quello di chi il dato lo osserva».

Per spiegare quello che sta dicendo, Buscema mi mostra un'immagine digitale in bianco e nero. Attraverso un software mescola i suoi pixel, ottenendo qualcosa di ìncomprensibile di color grigiastro. Poi, chiede a uno dei programmi sviluppati al Semeion di mettere vicini tutti i pixel (o atomi d'informazione) che hanno parametri simili. In pochi secondi l'immagine si ricompone in maniera corretta, come se i pixel fossero in gradp di ritrovare la loro giustaposizione. «Ha visto - conclude soddisfatto il direttore del Semeion -: questo era poco più di un gioco. Ma pensi quanto sarebbe importante un approccio del genere per capire quali siano (e mettere vicini) i fattori di rischio, le cause o i possibili sviluppi di una patologia a partire da ogni singolo dato (anche quello apparentemente più insignificante) riguardante le persone colpite dalla malattia e l'ambiente in cui vivono».

ferrazza@galileoedit.lt

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venerdì 9 aprile 2010

Arriva il DSM V :uno strumento piu' flessibile e meglio descrittivo ? oppure il tentativo di una nuova teorizzazione per dare maggiore scientificita' alla materia? oppure un cocktail da meglio definire ?

di Gilberto Corbellini da Domenica  (Sole24ore del 21/3/2010)
Dopo undici anni di discussioni e un certo numero di falsi annunci dell'imminente pubblicazione, finalmente la fumata bian.ca. HabemusDSM-V. o, quantomeno, si sa verso quali modifiche sono orientati i componenti della task force e dei 13 gruppi che lavorano, coordinati da David Kupfer e finanziati dalla American Association of Psychiatry (Apa), sulle categorie fondamentali delle diagnosi psichiatriche. Il 10 febbraio l'Apa ha pubblicato un draft del  DSM V richiedendo commenti e critiche da parte di tutti gli interessati entro il 20 aprile prossimo Quindi nei prossimi tre anni, saranno organizzate tre fasi cliniche per testare la validità delle revisioni proposte e l'edizione definitiva sarà acquistabile nel maggio del 2013.
Il DSM o Diagnostic and Statistical Manual of Merital Disorders, è il più diffuso e influente testo di psichiatria nel mondo occidentale. Sulla base di questo strumento, edito dall'Apa, si battezzano e si classificano le malattie mentali, ma soprattutto gli psichiatri e i neurologi diagnosticano e trattano i loro pazienti. Inoltre, le case farmaceutiche progettano e finanziano le sperimentazioni cliniche dei farmaci, e gli enti di ricerca pubblici decidono quali ricerche finanziare. Ultimo, ma non per importanza, i sistemi sanitari o le compagnie di assicurazione pagano le cure che sono indicate come appropriate. Rappresentando la larghissima diffusione del DSM una fonte di incalcolabile guadagno economico per l'Apa, si comprende l'ingente investimento di 25milioni  di dollari per effettuare la revisione, a cui hanno concorso 600 psichiatri, e anche la decisione di pubblicare un'edizione che probabilmente lascerà insoddisfatti molti, ma che lancia nondimeno una serie di segnali inequivocabili sul cammino che sta percorrendo la psichiatria.
La storia del DSM, dall'I al V, è uno dei capitoli più affascinanti della storia della psichiatria, anzi della storia della medicina del Novecento in generale. Non solo perché è intellettualmente intrigante analizzare i ragionamenti che hanno portato dalle 106 malattie mentali descrìtte nelle 106 pagine del DSM del 1952 ai 293 disturbi descritti in 886 pagine del DSM-IV del 1994. Ma per il fatto che si tratta di una finestra storica unica sulle difficoltà e i problemi, sia teorici sia pratici, che hanno incontrato i tentativi di fornire alla psichiatria una base scientifica. Cioè una metodologia diagnostica basata sull'eziologia del disturbo clinicamente rilevante, come è nel caso delle definizioni di malattia sviluppate dopo l'avvento della medicina sperimentale o scientifica.
Per ragioni che sarebbe lungo spiegare, il DSM deve il suo successo alla sua dichiarata ateoreticità, enunciata a partire dal DSM-III del 1980 e nonostante il DSM nascesse sull'onda del successo delle dottrine psicodinamiche negli Stati Uniti, che gli ha consentito chiamarsi fuori dalle guerre tra le diverse scuole di pensiero psichiatrico. A parte che si potrebbe discutere se sia ateorico un approccio che pretende di operare attraverso la mera osservazione (poco controllabile e controllata) delle categorie diagnostiche assunte come generi naturali (e implicitamente riconducibili ognuna a cause diverse). In realtà si provi solo a pensare a che cosa era o cosa sarebbe l'infettivologia senza la teoria microbica. Tutto, forse, tranne che una branca scientificamente fondata della medicina. Del resto, un sistema nosologico in cui il 40% delle diagnosi sono NOS (Not Otherwise Specified) è un colabrodo.
Una nosologia psichiatrica coerente e plausibile, quindi non qualitativa o soggettiva, variabile e influenzata dal contesto, quale quella praticata oggi, dovrà inevitabilmente passare per un collegamento tra i sintomi e il cervello. Ovvero dovrà decostruire le sindromi create su basi empiriche e riorganizzare una classificazione a partire dai sintomi, dalla loro caratterizzazione disfunzionale in rapporto ai contesti per procedere all'identificazione dei processi neurali, con eventuali basi genetiche.
Il DSM5  compie questo passo fondamentale? Sì e no. Non si può negare che cerca di far prevalere là dove già ci sona dati empirici affidabili i sintomi sulle sìndromi (cioè sulle collezioni di sintomi come categorie diagnostiche). Per esempio l'ansia è diventata una componente sintomatica Migrante nella definizione della depressione, oltre che costituire un fattore intorno a cui continua a ruotare un gruppo di disturbi. I disturbi dell'ansia, appunto.
Inevitabilmente tra le conseguenze, oltre che dipositive e migliorative della predizione e quindi del trattamento dei disturbi depressivi a seconda della presenza o meno della componente ansiosa, ce ne saranno anche di negative. In primo luogo un'espansione dei criteri diagnostici, con il rischio di un'ipermedicalizzazione. E con l'indiretta conseguenza che in ambito forense potrebbe diventare più facile far evitare il carcere a dei delinquenti. Su quest'ultimo "punto cè da aspettarsì, anzi e' gia' iniziata una pesantissima polemica, una ridefinizione della pedofilia come disturbo pedoebèfilico, che medicalizza comportamenti socialmente giudicati immorali e criminali. Ma ciò vale anche per la categoria diagnostica dell'ipersessualità. Le critiche per ora sono ingenerose, o quantomeno poco realistiche. E affette da " astoricità". Non è pensabile che si possano rivoluzionare da un giorno all'altro e per tutti i disturbi le diagnosi psichiatriche, ovvero che la psichiatria possa diventare di colpo "neuroscienza clinica". Per alcuni disturbi sta già accadendo. Per altri   occorreranno decenni e forse, soprattutto, un passaggio teorico che contestualizzì evoluzionisticamente (ovvero rispetto alle origini evolutive dei comportamenti umani) la disfunzionalità dei disturbi stessi. In generale, va detto, la psichiatria non può r iìmanepfcjn eternò nel limbo deffate-oricita, scelta crucile per aggirare i conflitti, paralizzanti sul piano della pratica e della ricerca clinica, tra le scuole di pensiero inconciliabili e a cui gli psichiatri spesso aderiscono un po' religiosamente (approcci psicodinamici, comporiamentismo, fenomenologia, cognitivismo, organicismo, eccetera). L'ateoricità nelle scienze naturali è sinonimo di empirismo e quindi di scarsa scientificità. E, pur avendo avuto un'origine strumentale, questa scelta sta producendo un dannoso relativismo epistemologico tra gli psichiatri.
L'unico trattamento efficace per superare una condizione di precarietà di natura epistemologica di cui soffre la psichiatria forse sarebbe un salutare pluralismo epistemologico, ispirato però la una rigorosa concezione naturalistica della malattia mentale. Gli avanzamenti delle neuroscienze stanno muovendo in questa dirczione, consentendo di tornare a sfruttare euristicamente le teorie per ricondurre i disturbi del comportamento a quello che sono. Cioè alterazioni del funzionamento del cervello.
orso castano : Ma la precarieta' , di natura epistemologica , siamo sicuri che non abbia  poi portato piu' danni che benefici al "sapere" psichiatrico ? e gli avanzamenti delle neuroscienze supposte neutrali e , speriamo, falsificabili (diversamnte potrebbero pericolosamente avvicinarsi alla metafisica di popperiana memoria, riusciranno a gettare finalmente le basi di una "scienza scientifica" evdence based  in grado di gettare le basi di una stupenda e sempre piu' alta torre (che speriamo non diventi alla fine una torre di babele)  che "rubi " sempre piu' segreti alla natura. Ma  a tal fine potrebbe essere utile la lettura del post sul caos

mercoledì 7 aprile 2010

e' in arrivo il DSM 5 : le novita' in sintesi

O Eliminazione di una serie di sottotipi di schizofrenia (paranoice, disorganizzata, catatonica, eccetera) e maggiore attenzione ai sintomi comuni come allucinazioni e disturbi del pensiero, nonché alla durata e gravita di tali sintomi, nella diagnosi dei disturbi psicotici.
O Introduzione di una diagnosi di depressione ansiosa mista.
O Riduzione da 12 a 5 dei disturbi della personalità. Sono rimasti: borderline, schizotipica, evitante, ossessivo-compulsiva e , psicopatica/antisociale.
O Introduzione della categoria di sindromi di rischio, in modo da consentire agli psichiatri di  identifteare gli stadi precoci di gravi distérbi mentali, come le clemenze o le psicosi. Si teme che questa categoria possa portare a eccessi di medicalizzazionecon conseguenti stigmatizzazioni sociali, ad esempio negli adolescenti.
O Introduzione della singola categoria diagnostica dei "disturbi autistici" in sostituzione delle attuali diagnosi al quanto  indefinite di matattìa  autisticà , malattia di  Asperger , disturbo disintegrativo dell'infanzia  e sviluppo pervasivo dello sviluppo
O Introduzionedella nuova categoria dei disturbi da' dipendenza e  simili, in sostituzione della categoria di dipendenza e abuso di sostante. Questa opzione consente di differenziareìl comportamento compulsivo di ricerca della droga dovuto alla dipendenza dalle risposte normali di tolleranza e astinenza.
O Introduzione della categorìa delle dipendenze comportamentali, che al momento include solo il gioco d'azzardo, ma dove alcuni vorrebbero includere la dipendenza da internet.
O  Aggiunta di una valutazione dimensionale della diagnosi, rispetto al criterio basato solo sulla presenza o assenza di un sintomo, per consentire agli psichiatri di valutare la gravita dei sintomi.

IL CERN DI GINEVRA - «NUOVA ERA DELLA FISICA» clicca

Riuscito l'esperimento delle collisioni di particelle a velocità record
I protoni si sono scontrati all'energia di 7.000 miliardi di elettronvolt (7 TeV) nell'anello da 27 chilometri dell'Lhc . GINEVRA – Dopo oltre vent’anni di lavoro, il settembre nero 2008 in cui il più grande acceleratore del mondo LHC del Cern veniva acceso e cadeva vittima di un incidente che lo paralizzava per oltre un anno, oggi alle 12.39 le prime collisioni tra nuvole di protoni avvenute nel tunnel sotterraneo hanno segnato l’avvio di «una nuova era della fisica», come ha ricordato Rolf Hewer, direttore ge nerale del centro ginevrino. Che aggiungeva saggiamente: «Con la fisica bisogna avere pazienza».
VERSO LA VELOCITA' RECORD - In effetti la grande macchina che corre nell’anello sotterraneo lungo 27 chilometri è un concentrato di nuovissime tecnologie mai sperimentate. Quando toccherà la potenza massima di 14 TeV grazie ai magneti superconduttori che funzionano a 271 gradi sotto zero, raggiungerà un’energia mai raggiunta sulla Terra generando una realtà fantastica: quella dell’universo appena nato quando aveva appena una frazione di secondo. Questo permetterà di vedere un mondo nuovo teorizzato dagli scienziati ma finora mai verificato. LE PRIME COLLISIONI - Oggi, oltre, alle prime collisioni si è arrivati a 7 Tev e si è superato di quasi quattro volte l’acceleratore finora più potente, il Tevatron americano di Chicago. Ora i seimila scienziati coinvolti dall’LHC (Large Hadron Collider) incominciano a lavorare con i quattro esperimenti posti lungo l’anello. E tre sono diretti da italiani dell’Istituto nazionale di fisica nucleare: Fabiola Gianotti, Guido Tonelli e Paolo Giubellino.La gioia degli scienziati alla conclusione dell'esperimento (Afp)La supermacchina mostrerà se esistono mondi in altre dimensioni come la fantascienza ci ha raccontato ma i ricercatori cercheranno in particolare la famosa “particella di Dio”, il bosone di Higgs, che spiega perché tutti i corpi hanno una massa. Intanto i primi scontri tra i protoni hanno nello stesso tempo sconfitto coloro che credevano che al Cern si creavano buchi neri capaci di distruggere la Terra. La scienza ha vinto.
Giovanni Caprara
30 marzo 2010(ultima modifica: 31 marzo 2010)

orso castano : esisteranno mondi paralleli? e se si, come saranno fatti? ma sopratutto queste rivoluzionarie scoperte, porteranno alla elaborazione di una nuova forma di energia "pulita" ed inesauribile? con ansia aspettiamo barlumi di risposte prima che questo vecchio ed autocatastrofico mondo crolli travolgendo anche tutta la sua bellezza
da wikipedia (stralcio),,,,,,,,:Il bosone di Higgs è una ipotetica particella elementare, massiva, scalare, prevista dal modello standard della fisica delle particelle. Nell'ipotesi che questa esista, essa sarebbe l'unica particella del modello standard a non essere stata ancora osservata.Questa particella giocherebbe un ruolo fondamentale all'interno del modello: la teoria la indica come portatrice di forza del campo di Higgs che si ritiene permei l'universo e dia massa a tutte le particelle.

martedì 6 aprile 2010

Comparative Effectiveness and Comparative Effectiveness Research in the 2010 Health Care Reform , come seguito della "evidence based medicine"

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Comparative Effectiveness Research (CER) is the direct comparison of existing health care interventions to determine which work best for which patients and which pose the greatest benefits and harms. The core question of comparative effectiveness research is which treatment works best, for whom, and under what circumstances.The Institute of Medicine committee has defined CER as "the generation and synthesis of evidence that compares the benefits and harms of alternative methods to prevent, diagnose, treat, and monitor a clinical condition or to improve the delivery of care. The purpose of CER is to assist consumers, clinicians, purchasers, and policy makers to make informed decisions that will improve health care at both the individual and population levels." An important component of CER is the concept of Pragmatic Trials. These clinical research trials measure effectiveness—the benefit the treatment produces in routine clinical practice. This is different than many regularly clinical trials, which measure efficacy, whether the treatment works or not.Dr.John Wennberg and his colleagues at The Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice have spent over 40 years documenting geographic variation in health care that patients in the U.S. receive - a phenomenon called practice pattern variation. The Dartmouth researchers concluded that if unwarranted variation were eliminated, the quality of care would increase and health care savings up to 30% would be possible  - a statistic that has been often repeated in the case for CER.Several groups have emerged to provide leadership in the area of Comparative Effectiveness Research. The Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ) is a federal agency focused on health care quality, while the Center for Medical Technology Policy is a non-profit organization that brings disparate health care stake holders together to build consensus on practical models for comparative effectiveness research.
usa google traduttore , clicca ,
Comparative Effectiveness Research in the 2010 Health Care Reform
The rising cost of medical care in the U.S. has triggered an immediate need for better value in our health system. Researchers at the Dartmouth Institute for Health Policy, in addition to the Congressional Budget Office, have documented a large gap in the quality and outcomes and health services being delivered. Unwarranted variation in medical treatment, cost, and outcomes suggests a substantial area for improve and savings in our health care system. Statistical findings show that "patients in the highest-spending regions of the country receive 60 percent more health services than those in the lowest-spending regions, yet this additional care is not associated with improved outcomes."  New models of shared decision making promise to bringer greater emphasis to informed patient choice for "preference-sensitive" care, improving quality, safety, and effectiveness of health care by providing both patients and their health care providers with the evidence to assist in informed decision making.In 2009, $1.1 Billion of President Obama's stimulus package was earmarked for CER.. There was initial disagreement regarding whether CER will be used to limit patient health care options, or help lower health care costs.[8] Ultimately the bill approved by Senate contains measures to utilize CER as a means for increasing quality while reducing rising costs.
per saperne di piu':  da yahoo  , un articolo sulla medicina comparativa
Studi di efficacia comparativa? Troppo pochi! Mar 30 Mar
Qual è la presenza degli studi di efficacia comparativa, e come è articolata, sulle principali riviste generaliste? Secondo una ricerca ospitata sul JAMA, soltanto un terzo degli studi su terapie farmacologiche, tra quelli individuati, valutava l’efficacia comparativa e solo una minoranza di questi confrontava terapie farmacologiche con terapie non farmacologiche; pochi studi, inoltre, erano centrati sulla sicurezza o i costi e la maggior parte era finanziata da enti non commerciali. A differenza delle ricerche su interventi e strategie innovativi, tali studi aiutano a usare i trattamenti esistenti in modo più efficace e a individuare quali scelte sono più efficaci e per quali pazienti: secondo la definizione dell’Institute of Medicine statunitense la comparative effectiveness research (CER) è infatti “la produzione e sintesi di ricerca che valuta efficacia e rischi di interventi alternativi per la prevenzione, diagnosi, trattamento e monitoraggio di una condizione”. Un tipo di ricerca che meriterebbe più spazio e più risorse.Fonte: Hochman M, McCormick D. Characteristics of published comparative effectiveness studies of medications. JAMA 2010; 303(10): 951-958. Conway PH, Clancy C. Charting a path from comparative effectiveness funding to improved patient-centered health care. JAMA. 2010;303(10):985-986.


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altro articolo esplicativo:

Pubblicato il: 09/09/2009
Comparative Effectiveness Research: a report from the Institute of Medicine , Ann Intern Med 2009;151:203-205
“La comparative effectiveness research (CER) è la produzione e sintesi di ricerca che valuta efficacia e rischi di interventi alternativi per la prevenzione, diagnosi, trattamento e monitoraggio di una condizione clinica o per migliorare l’erogazione dell’assistenza. L’obiettivo della CER è assistere utenti, clinici e manager nel prendere decisioni evidence-based in grado di migliorare la salute degli individui e delle popolazioni”. Questa definizione apre il report dell’Institute of Medicine (IOM) che pone una nuova pietra miliare verso un programma nazionale di ricerca orientata a produrre evidenze scientifiche rilevanti per la sanità pubblicai. Nello stesso fascicolo della rivista, un commento sul report dell’IOM e un articolo sulle prospettive per migliorare la metodologia della CER.