venerdì 2 aprile 2010

"Disoccupazione, malattia delle nostre società: Francia , 8 milioni di poveri , clicca x link

19 gennaio 1998 (la Repubblica), un vecchio articolo che ...ancora spiega ,Il sociologo Alain Touraine spiega il malessere "strutturale" della protesta in Francia
GIAMPIERO MARTINOTTI
PARIGI - "La disoccupazione non è più una sorta di malattia del lavoro, ma un'esclusione durevole. Oggi si può essere disoccupato come si è giovane o pensionato. La società francese ne è cosciente e dice con chiarezza ai governanti che il contratto sociale non è più rispettato".
Secondo il sociologo Alain Touraine è questa la radice del conflitto dei senza lavoro, al quale il governo Jospin non riesce a mettere fine. Come nell'autunno '95, quando fu paralizzata per un mese dalla rivolta dei ferrovieri, la Francia occupa la ribalta sociale europea, ma questa volta su un terreno molto diverso: "Nel 1995 - spiega Touraine - c'era un fatto preciso, la riforma del sistema previdenziale che si scontrava con la difesa degli interessi dei ferrovieri che non sono, pur con tutto il rispetto, i dannati della terra. Questa volta, e ciò è molto più positivo e importante, la società francese riconosce che la disoccupazione a lungo termine è diventata una situazione da cui è impossibile uscire".
Nasce da qui l'organizzazione dei disoccupati al di fuori dei canali tradizionali?
"In generale i disoccupati non si muovono collettivamente, perché hanno sempre la speranza di trovare una soluzione individuale. Ma quando si capisce che non se ne esce, si creano elementi di coscienza collettiva. Oggi la società ha l'impressione che essere disoccupato sia uno statuto sociale e lo testimoniano certe espressioni, come "disoccupato di padre in figlio". Finisce per crearsi una rappresentazione sociale del disoccupato come categoria e quindi diventa possibile la sua rappresentazione politica. Nei paesi che hanno la fortuna di avere dei sindacati, come l'Italia, sono loro ad assicurare, almeno in parte, la comunicazione tra l'economico e il sociale. In Francia non abbiamo sindacati, se non per la difesa degli interessi del settore pubblico, e siamo obbligati a passare attraverso gruppi marginali o gauchisti. Il significato, tuttavia, non è diverso, perché essi esprimono quel che pensano i francesi e cioè che oggi è fondamentale difendere l'integrazione della società francese".
Questo processo è stato facilitato dall'esistenza di un governo di sinistra?
"Dal 1991 la società francese considera la disoccupazione come il problema principale, pensa che non ci siano più scelte di destra e giudica i governi sulla capacità di aiutare i senza lavoro o di ridurre la disoccupazione. Il giudizio sulla società determina il giudizio politico. Al giorno d'oggi i francesi hanno una concezione strumentale e non ideologica della politica".
Questo vuol dire che destra e sinistra sono uguali o sono considerate tali?
"No, vuol dire che questa società si sente minacciata nella sua stessa esistenza come società. Il tema dell'integrazione sociale prevale su quello della politica economica. E ciò diventa più chiaro mano a mano che ci si avvicina alla scadenza decisiva dell'euro: i francesi hanno l'impressione che ci sia una logica esterna alla quale si sacrifica tutto e che i problemi dell'integrazione sociale siano diventati subordinati o trascurabili o in ogni caso non fondamentali agli occhi di chi governa. Con il sostegno dell'opinione pubblica al movimento dei disoccupati la società francese dice di voler esistere come società e non semplicemente nel mondo delle merci".
Perché la Francia vive questa transizione in maniera più drammatica di altri paesi?
"C'è una reazione particolarmente forte perché le decisioni sulla moneta unica sono imminenti. Poi ci sono forse le nostre tradizioni politiche e anche il relativo gauchismo del governo Jospin rispetto a Blair o Prodi o D'Alema, che rappresenta un incoraggiamento, un'aspettativa positiva per un movimento come quello dei disoccupati. L'esperienza dimostra che il governo ha fatto un errore di analisi molto grave. La gente pensa all'enormità degli sforzi economici che sono stati fatti, alle cifre spese per far vivere imprese in difficoltà, come il Crédit Lyonnais, senza che i responsabili delle perdite siano stati puniti. E li compara alla situazione disperata di uno o due milioni di persone e all'incapacità della società francese a migliorare la loro condizione".
Come riassumerebbe, professor Touraine, il senso del sostegno dato dai francesi ai disoccupati?
"In modo molto semplice: la società dice che l'apertura economica dev'essere compatibile con l'integrazione all'interno della società nazionale".

per approfondire : un articolo del 2005  publicato su "Le monde diplomatiqhe" di Corinne Gobin
...............Nella maggior parte dei paesi dell'Unione, lo smantellamento del diritto del lavoro avanza inesorabilmente, con la scomparsa del concetto di «posto di lavoro appropriato», i licenziamenti facili, l'ingerenza delle giurisdizioni civile o commerciale nei conflitti sindacali (in particolare per vietare i picchetti durante gli scioperi), le richieste sempre più frequenti di deroghe ai principi generali del diritto del lavoro, nell'intento di spianare la strada alla «scelta» del ritorno alla responsabilità individuale... In tal modo il lavoro torna ad essere un oggetto asociale, senza una regolamentazione collettiva, nuovamente sottoposto alla chimera della libertà - cioè del rischio individuale. La revisione della direttiva del 1993 sugli orari di lavoro è un buon esempio di quest'opera di erosione sistematica del diritto del lavoro, in cui ogni arretramento prepara quello successivo. La direttiva stabilisce per la durata massima del lavoro settimanale una media di 48 ore, calcolata su quattro mesi (compresi gli straordinari).
In pratica, questo calcolo consente di imporre a un dipendente 13 ore di lavoro al giorno per sei giorni, in alternanza con periodi di tre giorni a sei ore al giorno, senza riposo compensativo al di fuori delle 24 ore obbligatorie di riposo settimanale (6): una deregulation che è una bomba, con tanto di carica nucleare, dato che autorizza anche di peggio, purché la decisione sia presa di comune accordo tra il datore di lavoro e il dipendente. Siamo dunque tornati al primato del contratto personale rispetto alla contrattazione collettiva! Il 22 settembre 2004 la Commissione ha proposto la revisione della direttiva sugli orari di lavoro. Non si tratta affatto di un omaggio al metodo del progresso a piccoli passi, ma al contrario di un bell'esempio del meccanismo europeo di «costruzione regressiva»............................In questo modo la legislazione sociale europea si riduce a poca cosa, mentre il complesso delle norme che garantiscono la libera circolazione dei capitali, dei servizi e delle merci continua ad arricchirsi.
E come è noto, la regolamentazione economica influisce necessariamente sui contenuti delle politiche sociali. Nel 2004, il progetto di Trattato costituzionale comporta la ratifica di tutto il complesso di questi sviluppi, inseriti in un quadro politico reso ancora più oscuro dal rigetto dei principi democratici (quali la separazione dei poteri, una più netta distinzione tra poteri regolamentare e legislativo ecc.).
Questo lento degrado è stato possibile perché una parte della sinistra europea ha creduto di poter valorizzare il sociale come «elemento incentivante dell'economia europea», nel tentativo di conciliare i diritti sociali con la competitività delle imprese: un po' come voler conciliare l'acqua col fuoco. La Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha potuto così ottenere un alto grado di riconoscimento politico: fin dalla primavera del 2000, partecipa ogni anno alla riunione tripartita dei vertici sociali, finalizzata alla concertazione diretta tra il Consiglio dei ministri, la Commissione e le «parti sociali», con l'obiettivo di «assicurare l'efficace partecipazione delle parti sociali all'attuazione delle politiche economiche e sociali dell'Unione (10)».
Le strategie del «modello sociale europeo» stanno dunque portando avanti un processo che non incide minimamente sul liberismo economico, né sull'ordinamento politico non democratico instaurati dall'Unione, ma trasforma in profondità il sociale e il ruolo dell'autorità pubblica.
La politica sociale dell'Unione diventa così uno strumento di distruzione delle istituzioni sociali e dei servizi pubblici, mettendo a repentaglio l'idea stessa di società.

Nessun commento: