mercoledì 23 ottobre 2013

read key : eterogeita' dei fini: vaccino per l’influenza efficace negli scompersi cardiaci

Opera di Edy Fergusonedy  fergusson , fotografaL'America mai vista di Edy FergusonUn team di atori condotto dal professor Jacob A. Udell ha attuato uno studio che afferma che il vaccino antinfluenzale può essere in grado di ridurre la possibilità di contrarre una malattia cardiaca, come l’infarto o l’angina instabile. Infatti gli scienziati, in questo studio pubblicato su Jama, avevano come obiettivo non solo quello di determinare l’efficienza del vaccino stagionale, ma anche di capire se poteva essere utilizzato per prevenire malattie cardiovascolari.Risultati migliori si sono avuti sui pazienti con recente sindrome coronarica acuta (SCA), ovvero la manifestazione clinica più grave della malattia aterosclerotica delle coronarie, caratterizzata dal dolore toracico associato ai due diversi quadri clinici: infarto e angina instabile. Tanto è vero che gli studiosi canadesi hanno analizzato tutti gli studi clinici randomizzati sul vaccino antinfluenzale. In particolare, cinque studi pubblicati e uno inedito, condotti su 6.735 pazienti (età media 67 anni, il 51% donne e il 36% con una storia cardiaca alle spalle). Da questa analisi si è evinto che circa il 3% dei pazienti ha sviluppato una patologia cardiovascolare avversa, mentre nel gruppo di controllo la percentuale è risultata del 5%. Inoltre, dagli studi epidemiologici scaturisce una relazione inversa tra infezioni del tratto respiratorio, comunemente causate da influenza e sindromi parainfluenzali, ed eventi cardiovascolari responsabili, a volte, di decessi.

domenica 20 ottobre 2013

biotecno e bioeconomia

Partecipanti

Incontri B2B

Partecipanti
Canada1
Germania8
Irlanda1
Italia51
Malta1
Slovenia4
Spagna1
Svezia2
TUNISIA1
Turchia1
Regno Unito1
Totale72
Colloqui bilaterali
Partecipanti67
Incontri153
Visualizzazioni profilo
Prima dell'evento2537
Totale3648



In occasione della 3 ° edizione del Forum Italiano di Biotecnologie Industriali e bioeconomia - IFIB (Napoli, Italia 22-23 ottobre 2013)  Enterprise Europe Network (EEN) partner:
  • ENEA Unità TRASFERIMENTO Tecnologico CR Portici ,  
  • Eurosportello - Azienda Speciale della Camera di Commercio di Napoli
  • Innovhub-SSI
  • NRW.Europa a ZENIT GmbH
  • Unioncamere Campania
  • Università degli Studi di Roma "Tor Vergata " 
  • Finpiemonte SpA
  • EEN Midlands DNCC
  • AREA Science Park di Trieste 
organizzare l': EEN Biotech e bioeconomia Partnering Event - IFIB 2013 .
Il Forum Italiano di Biotecnologie Industriali e bioeconomia 2013 - IFIB2013 è un workshop organizzato da Assobiotec - l'Associazione Italiana per lo sviluppo delle biotecnologie - con Innovhub-SSI , il Centro Biocatalisi italiana, Campania Innovazione SpA e la Camera di Commercio di Napoli - volto a facendo un sondaggio di progetti di ricerca nel settore delle biotecnologie industriali, con l'obiettivo di rafforzare la rete nell'area euro-mediterranea e per promuovere i partenariati industria-università ( cfr. IFIB programma 2013 ).
Il " EEN Biotech e bioeconomia Partnering Event - IFIB 2013 "è organizzato nell'ambito del workshop IFIB e offre la possibilità di incontrare potenziali partner in pre-organizzati face-to-face incontri bilaterali al fine di stabilire nuove opportunità di cooperazione nel campo della ricerca, trasferimento di tecnologia e business.

 

Chi può partecipare?

Le aziende, università, centri di ricerca pubblici e privati ​​nel campo delle biotecnologie industriali e bioeconomia.

Perché devi partecipare?

  • Per sviluppare il business, ricerca e tecnologia di relazioni di trasferimento
  • Per discutere di potenziali progetti per l'UE del programma "Orizzonte 2020"
  • Per stabilire le attività comuni 

Settori di destinazione 

  • Biotecnologie industriali, tra cui biocatalizzatori,
  • Le tecnologie ambientali (enzimi, decontaminazione, bioremediation),
  • Energia e biocarburanti,
  • pharma,
  • Sostanze chimiche (prodotti biologici), 
  • Agro-alimentare,
  • Le biotecnologie marine
  • Altro

Quanto costa?

Non vi è alcun costo per la partecipazione

Lingua

La lingua ufficiale per gli incontri bilaterali è l'inglese.


Date per la vostra agenda

ScadenzeCompiti
fino al 9 ottobreInserisci il tuo profilo cooperazione
01-15 OttobreSelezione online di incontri faccia a faccia
22 ottobre
Incontri bilaterali (14:30-18:00)
23 ottobreIncontri bilaterali (9:30 - 13:30)

 prima invii il tuo profilo di colaborazione più esso sarà riconosciuto.

Organizzatori


enea   
Eurosportello
Innovhub
UniversitaRoma
Unioncamere 
NRW-Europa
bridgeconomies
 Finpiemonte
EEN Midlands DNCC

Supportato da

Assobiotec
Biocatalisi Ital
BioChemTech 
Technapoli
CommercioNapoli
 Area Science Park di Trieste

Posizione


Napoli (ITALIA) a 
Castel dell'Ovo, via Eldorado n. 3


read key : cells stem : neuroni staminali

 Scoperta al San Raffele di Milano correlazione tra deficit neurologici e carenza di ferritinafotografe opere
Una ricerca condotta all’Ospedale San Raffaele di Milano ha consentito di identificare per la prima volta nell’uomo una mutazione nel gene della ferritina (di tipo L) che causa la mancanza della proteina coinvolta nella regolazione del ferro nel nostro organismo. Lo studio, finanziato da Telethon e coordinato da Sonia Levi, responsabile dell’Unità Proteomica del metabolismo del ferro e professoressa associata in Biologia applicata all’Università Vita-Salute San Raffaele, è stato pubblicato sull’ultimo numero di “The Journal of Experimental Medicine”. La ferritina è una proteina che svolge un ruolo fondamentale nella gestione del ferro e nel mantenimento dell’omeostasi del metallo nelle cellule del nostro organismo. L’accumulo del ferro nell’uomo è responsabile di diverse patologie, tra cui quelle di carattere neurodegenerativo come le neuro-degenerazioni associate ad accumulo di ferro cerebrale (NBIA). La ferro-carenza al contrario è associata ad alterazioni neurologiche che si manifestano nei pazienti con forme di convulsione e la più famosa sindrome delle gambe senza riposo (in Italia ne soffre il circa il 5% della popolazione). In questo lavoro i ricercatori hanno dimostrato come la mancanza di ferritina causi nell’uomo una carenza di ferro, provocando un aumento dello stress ossidativo e del danno cellulare, associando così le alterazioni neurologiche alla mutazione presente nel gene della ferritina. Questo risultato è stato possibile anche grazie all’utilizzo di una tecnica molto innovativa detta riprogrammazione-cellulare-diretta. Il procedimento permette di ottenere neuroni umani partendo da una semplice biopsia cutanea. Nello specifico vengono prelevate dal braccio dei pazienti i fibroblasti della pelle che in seguito vengono opportunamente coltivati e riprogrammati in laboratorio. Per la prima volta al mondo i ricercatori del San Raffaele hanno dimostrato che, grazie alla riprogrammazione, è possibile studiare patologie su modelli cellulari difficilmente ottenibili dall'uomo, come nel caso dei neuroni, primariamente coinvolti nelle patologie neurodegenerative. “Questo lavoro – afferma Sonia Levi – rappresenta un passo in avanti nella conoscenza dei meccanismi biologici che sono alla base del coinvolgimento del ferro nelle patologie neurologiche, argomento fino ad ora poco definito. Inoltre possiamo pensare in futuro di utilizzare questa metodologia di  riprogrammazione cellulare sia per approfondire le conoscenze sui meccanismi molecolari alla base delle alterazioni patologiche sia per l’identificazione di nuovi target terapeutici”

sabato 19 ottobre 2013

read key :nanofarmaci

Un nanometro è un miliardesimo di metro: strumenti e farmaci talmente piccoli da poter interagire con le cellule

Promettono 
d’individuare nuovi strumenti di diagnosi precoce e possono aiutare a trasportare i farmaci all’interno delle cellule tumorali, minimizzandone l’effetto sui tessuti sani. È questa la grande scommessa delle nanotecnologie, le cui applicazioni in medicina (non solo in oncologia) sono già numerose e in continua crescita. Non a caso le notizie e gli studi sul tema si fanno sempre più frequenti. Alcuni giorni fa è apparso sulla rivista dell’Accademia di Scienze Americana (Pnas) lo studio di un gruppo di ricerca statunitense che descrive come una crema dermatologica comunemente in commercio potrebbe veicolare attraverso la pelle nanoparticelle in grado di spegnere in modo selettivo i geni responsabili di alcuni tumori della pelle e di alcune malattie. Sempre di recente, ricercatori australiani hanno sperimentato l’uso di calamite e di nanoparticelle magnetiche per somministrare con precisione mirata i farmaci contro il cancro, per aiutare a ridurre i gravi effetti collaterali della chemioterapia convenzionale, che attacca le cellule sane oltre a quelle cancerose. Ecco perché l’ottava Conferenza Mondiale sul futuro della scienza (che si terrà a Venezia dal 16 al 18 settembre, promossa da Fondazione Umberto Veronesi,Fondazione Giorgio Cini, Fondazione Silvio Tronchetti Provera) ha il titolo "Nanoscience Society" ed è dedicata proprio alle nanotecnologie.
NANOSCIENZE? ECCO COSA SONO - «Le nanoscienze – spiega Umberto Veronesi, presidente della conferenza - ci permettono di scomporre e ricostruire il mondo in nanometri, la misura degli atomi e delle molecole, e dunque la dimensione della natura. Le possibilità che si aprono di fronte a noi sono infinite, come infinite sono le forme e le combinazioni della natura. Per dare un’idea delle grandezze in cui ci muoviamo, una cellula misura 5 micron, dunque 5mila nanometri. La nostra mente quasi si perde di fronte a queste misure infinitesimali, ma riusciamo a intuire a quale livello di dettaglio possiamo arrivare nel migliorare un materiale, o un circuito, o una pianta. Oppure nell’identificare qualsiasi anomalia iniziale per interferire meglio con gli elementi biologici elementari delle malattie, come il cancro. Per gestire questa rivoluzione bisogna che la popolazione ne capisca l’immenso potenziale a favore della vita dell’uomo nella sua quotidianità, e del pianeta nella sua totalità. L’impatto sociale della nanoscienza è enorme: intellettuale, educativo, artistico, sentimentale, passionale, politico. Ma la società nanoscientifica sarà una società migliore».
GLI STUDI PIÙ RECENTI - «Quando parliamo di nanoscienze, non ci riferiamo a singole invenzioni ma alla creazione e allo sviluppo di intere famiglie di tecnologie completamente nuove. Gran parte del fermento è in campo genetico e biomedico, perché i nanomateriali sono della giusta dimensione per interagire con i fondamentali attori biologici, come le proteine, le molecole di Dna e i virus» aggiunge Chiara Tonelli, segretario generale della Conferenza e docente di genetica presso l’Università degli Studi di Milano. Prova ne è, per esempio, lo studio pubblicato su Pnas da ricercatori della Northwestern University che hanno usato nanosfere del diametro mille volte inferiore a quello di un capello umano per «confondere» il sistema immunitario (usando le proteine naturali come cavalli di Troia) e varcare le potenti barriere della pelle, penetrare nelle cellule e spegnere selettivamente i geni responsabili di alcuni tumori e malattie cutanee. La terapia è stata sperimentata sui topi e su cellule di pelle umana coltivate in vitro e i primi obiettivi dei nuovi trattamenti sono stati i due tipi di tumori della pelle più diffusi, il melanoma e il carcinoma delle cellule squamose, la psoriasi e le ferite dovute al diabete. «Possiamo indirizzare la terapia ai geni che scatenano la malattia, a un livello così microscopico che si può distinguere fra geni mutanti e geni normali - ha detto una delle autrici, Amy Paller -. I rischi sono ridotti al minimo, ed effetti collaterali non sono stati osservati fino ad oggi né nella pelle umana né sui topi». Gli scienziati dell’Università australiana di Sydney, invece, con la collaborazione di ricercatori in Scozia, hanno sviluppato un metodo per inserire una minuscola anima di ossido di ferro di appena 5 nanometri (un millesimo del diametro di un capello) in un farmaco anticancro, usando poi calamite per dirigerlo nell’area richiesta. In alternativa, si potrebbe – secondo gli esperti - impiantare un piccolo ma potente magnete nel tumore, e dirigere così il farmaco verso le cellule cancerose. L’obiettivo è quello di poter ridurre gli effetti collaterali associati alla chemioterapia come perdita dei capelli, nausea, vomito, calo dei globuli rossi: quando gli studiosi hanno posizionato una calamita sotto una piastrina contenente cellule cancerose, infatti, il farmaco ha distrutto solo le cellule vicino al magnete, lasciando illese quelle sane.
Vera Martinella20 luglio 2012 |

giovedì 17 ottobre 2013

read key : intelligenza dei tumori

orso castano : lo studio dei tumori e' sorprendente, le strategie per la sopravvivenza e per il dominio del corpo umano lasciano stupiti. Una vera e propria lotta con risposte purtroppo spesso stereotipate da parte del corpo umano, come se nei nostri geni non fossero scritte le risposte idonee oppure e' come se il nostro DNA ed RNA, nel complesso fosse meno capace dei tumori nell'elaborare strategia di difesa, cioe' fosse meno intelligente. E' evidente che il ricorso all'intelligenza del cervello perche' elabori interventi esterni al corpo umano per sopravvivere e vincere la battaglia  e'  indispensabile..

.................................Nello studio appena pubblicato, i ricercatori del San Raffaele hanno analizzato la relazione tra le cellule del tumore e quelle che lo circondano, ovvero le cellule del sistema immunitario e, più precisamente, i linfociti T. Essi sono di fondamentale importanza perché ogni volta che il nostro organismo viene attaccato da agenti esterni iniziano a produrre delle molecole (citochine) in grado di aumentare la risposta immunitaria e distruggere l’intruso.Dalle indagini si è visto che nel tumore al pancreas questo meccanismo risulta purtroppo alterato. Invece che produrre le giuste molecole pro-infiammatorie, i linfociti T secernono citochine che favoriscono ulteriormente la progressione della malattia, rendendo di fatto inutile la risposta immunitaria. Citochine che nel corso della ricerca sono state già state identificate e che, grazie a ciò, rendono possibile lo sviluppo di teraarte donna
pie in grado di alterarne la funzione. Per alcune di queste molecole, infatti, sono già disponibili anticorpi capaci di bloccarne l’attività.Come dichiara la dottoressa Maria Pia Protti, responsabile del gruppo di ricerca che ha effettuato lo studio, «questa ricerca rappresenta un passo in avanti sia nella conoscenza dei meccanismi biologici che rendono il carcinoma del pancreas un tumore particolarmente aggressivo, sia nell’identificazione di nuovi target terapeutici che consentiranno di mettere a punto, nei prossimi anni, nuove strategie terapeutiche».Quanto dimostrato dal gruppo di ricerca milanese è solamente uno dei tanti esempi di “furbizia” dei tumori. Non più tardi del mese scorso, in un articolo pubblicato dalla rivistaPNAS, è stato dimostrato che uno dei tumori più diffusi a livello cerebrale, il glioblastoma, pur di sopravvivere è in grado di trasformare alcune delle proprie cellule in vasi sanguigni per potersi così autoalimentare.

read key : nanomedicina : tumori

orso castano : molto interessante questo articolo sulla nanomedicina , "riciclare"  all'interno delle terapie le scoperte piu' o meno recenti della fisica atomica e non  sembra essere una strada promettente , e , se accuratamente studiata, forse  piu sicura delle stem cells. Altra cosa sorprendente sono le strategie che il tumore utilizza per sopravvivere : l'articolista personalizza il tumore che diventa quasi un nemico con un pensiero, una strategia , un obiettivo da raggiungere. C'e' un salto logico : dal meccanicismo , che dovrebbe illuminarci sulle sequenze meccanicamente intese, sulle concatenazioni puramente meccaniche, si passa ad obiettivi intenzionali, a strategie di sopravvivenza "inventate"  dal tumore. Sembra incredibile : siamo al difuori di qualsiasi algoritmo ricostruibile, all'imprevedibilita' degli eventi , alle multivariazioni creative oppure siamo semplicemente in ritardo sulla scoperta di algoritmi tumorali gia' predisposti che scattano in sequenza quando la sopravvibvenza e' messa in gioco? Vedremo.

dartiste donne
a Corriere della sera.it  VENEZIA – Se non avete mai sentito parlare di «nanomedicina», se vi sembra un termine troppo complesso per capire di cosa si tratta e che riguarda qualcosa che arriverà solo in un lontano futuro, sappiate che le nanotecnologie già vi circondano nella vita di tutti i giorni: occhiali, computer, navigatori, telefoni cellulari e cosmetici sono alcuni dei moltissimi campi di applicazione, a cui si aggiunge la medicina, e in particolare l’oncologia. Per capirne di più è bene sapere, innanzitutto, che un nanometro equivale a un miliardesimo di metro, la grandezza con cui si misurano gli atomi e le molecole. Difficile immaginare qualcosa di così piccolo, eppure è su questa scala che lavorano i biologi, chimici e fisici che si occupano di nanotecnologie, creando in ambito medico materiali, strumenti e sistemi farmacologici talmente piccoli da poter interagire con le cellule. In particolare, queste tecnologie ultrapiccole vengono sperimentate in oncologia su due fronti: primo, per individuare la malattia il più presto possibile; secondo, per cercare di portare dentro alle cellule cancerose i farmaci, in modo che siano efficaci al massimo contro il tumore e tossici il minimo possibile per i tessuti sani.
SONO GIA’ UNA REALTA’ - «Sia ben chiaro, però, che non stiamo parlando di terapie o strumenti che avremo fra chissà quanti anni – sottolinea Mauro Ferrari, ricercatore friulano considerato il padre della nanomedicina, oggi presidente del Methodist Hospital Research Institute di Houston in Texas (Usa) -. I primi farmaci nanotech, fra cui la doxorubicina liposomiale (ancora oggi impiegata per curare tumori di seno e ovaio, sarcomi di Kaposi e neoplasie pediatriche), sono stati approvati quasi 20 anni fa, oggi sono circa una dozzina quelli già in clinica e molti sono poi quelli allo studio dei ricercatori. Alcuni ancora in fase di laboratorio e lontani dal letto del paziente, altri più vicini alla sperimentazione sui malati. Anche per la radioterapia sono già in atto grandi cambiamenti: si possono usare dei nanovettori (appositamente creati in laboratorio) che portano a destinazione solo nell’organo e nelle cellule malate delle particelle che vengono poi “scaldate” dall’esterno con radiazioni non dannose per l’organismo, come il laser. Con il calore i dei nanovettori si aprono, come mine che esplodono, rilasciando l’energia che brucia il tumore, risparmiando del tutto le parti sane. Una tecnica già in uso in Germania, all’ospedale Charité di Berlino, contro il glioblastoma cerebrale, usando nanoparticelle di ossido di ferro irradiate con energia magnetica».
COME NEI VIDEOGAMES - Ma perché il futuro della lotta ai tumori deve passare proprio dalle minuscole misure «nano»? «Visto che parliamo di una guerra – spiega Ferrari – bisogna sapere che il nostro nemico, il cancro, è molto astuto: le cellule cancerose, infatti, sono più “forti” di quelle sane. Diciamo, per semplificare, che sono spesso impermeabili e che sono capaci non solo di moltiplicarsi, ma anche di acquisire modi per “resistere” agli attacchi delle cure. Motivo per cui spesso accade, purtroppo, che una terapia dopo un po’ non faccia più effetto. Per aggirare questo ostacolo ci siamo inventati l’oncofisica del trasporto, ovvero la scienza che studia come il cancro si difende dagli attacchi esterni. Sfruttando le conoscenze che ne derivano stiamo creando dei “trasportatori” ( in nanovettori, appunto) efficaci, che sappiano cioè superare le linee nemiche (ovvero entrare dentro le cellule malate) e restarci il tempo necessario per “sganciare le bombe”, radiazioni o farmaci che siano». E, come nei videogames di guerra, c’è ulteriore difficoltà da superare: siccome le barriere che il cancro crea per difendersi dagli assalti esterni sono tante, diverse e mutevoli, bisogna armarsi di trasportatori differenti a seconda delle situazioni.
I PROSSIMI PASSI DELLA RICERCA - E qui facciamo un passo in là verso il futuro dei laboratori di ricerca: l’idea c’è, ma serve il tempo per realizzarla. «Stiamo studiando dei vettori multi-stadio che per ora hanno dato risultati promettenti sulle cavie – aggiunge Ferrari -. L’obiettivo è trovare e colpire le metastasi e per farlo dobbiamo usare aerei, sommergibili, navi, truppe di terra, seguendo il principio usato dalla Nasa per atterrare sulla luna: servono diversi componenti per le diverse parti del viaggio. In pratica è una semplice iniezione endovena di un farmaco diluito, ma la medicina è composta da vari “pezzi”: la portaerei atterra sui vasi sanguigni vicini al tumore, sgancia aerei “intelligenti” che penetrano nei vasi e riconoscono le cellule malate, lanciando a loro volta le bombe solo su queste ultime». In fase avanzata di sperimentazione ci sono anche delle nanoghiandole, piccole capsule da impiantare sottopelle e controllabili a distanza, che imitano l’attività delle ghiandole naturalmente presenti nel corpo umano. Così come quelle endocrine, ad esempio la tiroide, producono ormoni, le nanoghiandole rilasciano quantità minime di farmaci, anche per molti mesi, diluendo la dose (e anche gli effetti collaterali) nel tempo.
LA DIAGNOSI? FATTA IN CASA - La nanomedicina apre poi un nuovo mondo nella diagnosi precoce dei tumori, come spiega Fabio Beltram, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove insegna Fisica delle nanostrutture: «Abbiamo acquisito la capacità di lavorare sulla stessa scala alla quale la natura “costruisce” atomi e molecole. Possiamo così creare molecole artificiali (le nanostrutture) alle quali possiamo conferire le proprietà desiderate a seconda del nostro scopo». Un esempio, già realtà per alcune forme di cancro, è la ricerca attraverso le analisi del sangue dei marcatori genetici che permettono di scoprire la presenza di un tumore. «Oggi serve un vero e proprio laboratorio per analizzare i campioni biologici – dice Beltram -, ma stiamo lavorando per realizzare le stesse funzioni in versione microscopica, in modo tale che le analisi possano essere fatte su volumi molto piccoli e in modo automatizzato, anche in casa». E poi si punta alla rivoluzione degli screening. Oggi sottoporre tutta la popolazione sana a un esame diagnostico è spesso troppo difficile e costoso, senza contare che il metodo più usato è quello dell’imaging che permette di vedere il tumore quando è ancora piccolissimo. Ma quante persone in più potrebbero guarire dal cancro se noi fossimo capaci d’intercettare la malattia prima che ci sia un «nodulo», quando cioè esistono solo delle cellule malate circolanti nel sangue? Certo, è come cercare l’ago in un pagliaio, ma strumenti ultrapiccoli programmati con i giusti «sensori» possono farcela. Anzi, possono fare di più: «La nanotecnologia ci porta al progetto e alla realizzazione di sonde che potranno essere utilizzate per una medicina preventiva ad altissima risoluzione. Potremo stanare e curare le patologie in uno stadio precocissimo. Restando sul tema del cancro, potremo individuare e trattare le prime cellule tumorali, prima che si manifesti alcun sintomo o che si formino quegli ammassi che oggi riusciamo identificare e spesso corrispondono a uno stadio molto avanzato della patologia. È pensabile che potremo anche sottoporre di routine tutta la popolazione a questi screening grazie alla loro bassissima tossicità».

domenica 13 ottobre 2013

Intro to restorative justice

orso castano : funziona ? ed in che percentuale? quali sono le difficolta' ? e' paragonabile alla Mediazione Obbligatoria in Italia? Non conosciamo questo tipo di intervento ma ci sembra doveroso riportarne la notizia. Indubbiamente , se funzionasse, sarebbe un fattore di crescita di civilta'.

Slide 2
La giustizia riparativa sottolinea la riparazione del danno causato dal reato. Quando le vittime, colpevoli e membri della comunità si riuniscono per decidere come fare, i risultati possono essere di trasformazione.
Per vedere come questo approccio sta cambiando tutti gli aspetti della giustizia penale, visitare le stanze di sopra, la mappa a destra e il blog di seguito.

venerdì 11 ottobre 2013

read key : neuroscienza: Comprendere per progredire: neuroscienze, libero arbitrio ed etica

                  fotografe donne

10 oMitra Tabrizian, dalla serie Another Country, 2010, courtesy l’artista e The Wrapping Project Bankside, Londrattobre 2013
In che misura la coscienza è alla base della volontà e dei comportamenti? Quale consapevolezza e libertà tra funzioni fisiologiche e potenziamenti farmacologici? Quali applicazioni mediche delle neuroscienze? Tre appuntamenti promossi dalla Fondazione Marino Golinelli
Comprendere per progredire: neuroscienze, libero arbitrio ed etica
In che modo la coscienza è alla base del nostro agire? Che cos’è una scelta? E ancora: è possibile misurare le alterazioni di coscienza? A questi interrogativi tenterà di dare risposta il ciclo di incontri sulle neuroscienze "Un futuro consapevole: comprendere per progredire", che si apre domani e continua il 25 ottobre e l'8 novembre. I tre appuntamenti si tengono nell’Aula Magna del Dipartimento di Chimica "G. Ciamician" e sono promossi dalla Fondazione Marino Golinelli, con il Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie (FaBiT), il Dipartimento di Scienze giuridiche e il CIRSFID dell’Università di Bologna.

Si parte venerdì 11, quindi, alle 17, con "So quel che fai? Tra mente e cervello": un’occasione per comprendere in che misura la coscienza è alla base della volontà e dei comportamenti e capire se si è davvero consapevoli delle proprie scelte oppure se queste ultime sono il risultato dell’essere empatici con i nostri simili. L’incontro sarà introdotto e coordinato da Andrea Zanotti, professore ordinario di Diritto canonico dell’Università di Bologna e vice presidente della Fondazione Marino Golinelli, e Silvia Zullo, dottore di ricerca in Bioetica del Dipartimento di Scienze giuridiche e del CIRSFID. Interverranno: Elisabetta Làdavas (direttore scientifico del Centro studi e ricerche in Neuroscienze cognitive dell’Università di Bologna), Maurizio Malaguti (professore di Filosofia teoretica dell’Università di Bologna) e Giangiorgio Pasqualotto (professore ordinario di Estetica dell’Università di Padova).

Secondo incontro, venerdì 25 ottobre - "Better living through chemicals?" - dedicato al tema delle scelte. A discutere di volontà, consapevolezza e libertà tra funzioni fisiologiche e potenziamenti farmacologici saranno Michele di Francesco, professore ordinario di Logica e Filosofia della scienza e Rettore dell’Istituto Universitario di Studi Superiori IUSS di Pavia, e Silvio Garattini, direttore IRCCS - Istituto di Ricerche farmacologiche "Mario Negri" di Milano. Gli interventi saranno introdotti da Giovanni Capranico, professore ordinario di Biologia molecolare del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna.

Infine, venerdì 8 novembre sarà la volta di "La coscienza si misura?" Durante l'incontro si parlerà delle applicazioni mediche delle neuroscienze e delle possibili misurazioni delle alterazioni di coscienza negli stati vegetativi o di minima coscienza. All’appuntamento, introdotto da Andrea Zanotti, interverranno Adriano Pessina, professore ordinario di Filosofia morale e direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e Matteo Cerri, ricercatore in Fisiologia del Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna.

I tre appuntamenti – a ingresso libero - sono incontri di avvicinamento al Venticinquennale della Fondazione Marino Golinelli, che si celebrerà il 22 novembre 2013 presso l’Aula Magna di Santa Lucia con una giornata di studi dal titolo "Un futuro consapevole: comprendere per progredire".

read key: ambient stress: onde elettromagnetiche

Aprimo Nel primo anno di università di una qualsiasi facoltà scientifica si insegna che esistono le radiazioni elettromagnetiche e si fa vedere agli studenti il cosiddetto spettro delle radiazioni elettromagnetiche. Questo grafico fa vedere come sono distribuite mano a mano che la loro energia decresce. Si passa dalle radiazioni cosmiche, ai raggi gamma, ai raggi X (tutte molto pericolose perchè molto energetiche), alle radiazioni ultraviolette lontane e vicine, poi vengono le onde luminose, poi l'infrarosso ( le onde elettromagnetiche dei corpi caldi), poi le onde radio o Hertziane e poi le onde della TV che sono le meno energetiche. E' ora necessario capire cosa fanno queste onde quando arrivano sulla materia (per dirla in breve tutto ciò che c'è su questa nostra terra, dai gas ai solidi). Quando queste onde arrivano sulla materia possono essere assorbite a secondo della energia che posseggono. Ogni tipo di materia può assorbire le onde con certe precise quantità di energia e non con altre. Questo significa che i corpi materiali assorbono energia in funzione di come sono fatti. Riguardo agli organismi viventi (uomo compreso), cosa fanno queste onde se assorbite ? Queste onde sono assorbite dai legami chimici che tengono insieme la materia organica di cui sono fatti gli organismi viventi. Le più energetiche sono capaci di rompere i legami chimici (fatti di elettroni) delle molecole dei viventi spezzandole e dannegiandole (dai raggi cosmici fino all'ultravioletto lontano e vicino le radiazioni contengono quantità di energia sufficienti per fare questi danni). Il materiale genetico, le nostre proteine, e tante altre molecole possono essere danneggiate e funzionare male. Le radiazioni luminose (cioè quelle della luce che ci permette di vedere) hanno energia sufficiente a far saltare gli elettroni e questo fenomeno è alla base della visione ma non si spezza nulla e non ci sono danni. Le radiazioni infrarosse sono quelle emanate dai corpi caldi ed hanno energia di far vibrare i legami chimici senza spezzarli, quindi non fanno danni. Le onde Hertziane sono molto meno energetiche ed hanno energia sufficiente solo per far ruotare gli atomi sul loro legame e nulla più, quindi non procurano danno. Le onde della TV sono estremamente deboli e fanno molto poco o quasi nulla. Ciò premesso è evidente che viviamo immersi nelle onde. Una bella giornata di sole ci tira addosso una quantità di onde molto, ma molto più energetiche delle onde radio. Fino ad oggi sulle banche dati scientifiche specializzate che raccolgono tutto lo scibile umano (es. la PubMed di Bethesda - USA) non c'è un sol lavoro scientifico con qualche attendibilità che dica che le onde elettromagnetiche della frequenza di quelle radio facciano male. Allora perchè non ci fanno male quelle luminose ? o quelle della radio che ascoltimao tutti i giorni ? nei cui ambienti siamo immersi ? anche se la fonte è vicina all'orecchio si tratta sempre di energie impercettibili che non riuscirebbero a muovere nemmeno un microbo o un virus. Allora perchè se ne parla tanto ? perchè il dubbio muove soldi, tantissimi soldi, che fanno comodi a tutti (politici, medici, ricercatori, consulenti, giornali, televisione, radio, ecc., ecc., ecc. ...).


e potrebbe farci cambiare idea riguardo la proliferazione dei dispositivi wireless nelle nostre case.Secondo il sito web danese di notizie DR, cinque ragazze della prima classe superiore di Hjallerup hanno avviato l’esperimento dopo avere notato che quando la notte dormivano con il cellulare acceso accanto alla testa, il giorno successivo mostravano difficoltà a concentrarsi.Non essendo in grado di condurre un esperimento sugli effetti dei segnali wireless sull’attività cerebrale, le ragazze hanno quindi deciso di osservare la crescita di piante vicino ai router WiFi – e i risultati hanno un che di sconvolgente.Come riferisce il sito, sei vaschette di semi di crescione dei giardini sono state messe in una stanza senza alcun router WiFi, mentre altre sei vaschette dello stesso tipo sono state collocate in un’altra stanza, accanto a due router WiFi, i quali, stando ai calcoli delle ragazze, emettevano più o meno lo stesso tipo di onde di un comune cellulare.Nel corso dei 12 giorni dell’esperimento, i semi nelle sei vaschette distanti dai router sono cresciuti normalmente, mentre i semi vicino ai router non l’hanno fatto. Anzi, le foto diffuse mostrano che molti dei semi collocati vicino ai router sono diventati marroni e sono morti.QUESTO HA SCATENATO IN DANIMARCA UN ACCESO DIBATTITO
in merito ai possibili effetti negativi sulla salute da parte di telefoni cellulari e impianti WiFi,” ha detto alla ABC News Kim Horsevad, insegnante di biologia alla scuola di Hjallerup.La Horsevad ha affermato che parte della discussione sugli effetti negativi  dell’esperimento ha riguardato l’ipotesi che i semi di crescione si siano seccati a causa del calore emesso dai router WiFi utilizzati. Ha raccontato che nel corso dell’intero esperimento le studentesse hanno mantenuto sufficientemente idratati entrambi i gruppi di semi di crescione e che le temperature sono state regolate da termostati.Secondo Popular Science uno studio simile è stato condotto tre anni fa in Olanda, quando i ricercatori osservarono che alcuni alberi nelle aree urbane stavano presentando “protuberanze” sulla corteccia. L’esperimento, effettuato dall’università di Wageningen, ha comportato l’esposizione per tre mesi di 20 alberi di frassino a vari tipi di radiazioni.  Gli alberi scelti per verificare la tolleranza a forti segnali WiFi cominciarono a manifestare tipici segni di malattia da radiazione, tra cui un aspetto lucido, simile al piombo, sulle foglie.Riguardo all’attenzione che l’esperimento scientifico delle ragazze sta avendo, la Horsevad ha dichiarato che il professore di neuroscienze Olle Johanssen, insieme all’istituto svedese Karolinska, ha manifestato un grande interesse.“Probabilmente [Johanssen] ripeterà l’esperimento in condizioni scientifiche, in un ambiente controllato e professionale,” ha detto la Horsevad. “Pertanto è ovviamente consigliabile attendere gli esiti dei suoi esperimenti  prima di incentrare importanti decisioni sui risultati dell’ esperimento delle ragazze.”