lunedì 25 aprile 2011

Interpretazione della meccanica quantistica , wikipedia , stralcio


Confronto tra interpretazioni

Le interpretazioni più comuni sono riassunte in questa tabella, si noti che i significati precisi di alcuni elementi di classificazione sono comunque oggetto di controversia.
Non vi sono prove sperimentali che privilegino l'una o l'altra interpretazione, dal momento che sono principalmente interpretazioni e non teorie. Ad ogni modo, vi è un'attiva ricerca per individuare elementi sperimentali che possano verificare le differenze tra le interpretazioni.
1Se la funzione d'onda è reale, è analoga all'interpretazione a molti mondi. Se la funzione non è propriamente reale ma più che semplice informazione, è chiamata da Zurek interpretazione esistenziale.
2La meccanica quantistica è considerata come un modo per predire le osservazioni, o una teoria delle misure.
3La logica quantistica ha applicazione più limitata delle storie coerenti.
4Gli osservatori separano la funzione d'onda universale in insiemi ortogonali di esperienze.
5Sia le particelle che le funzioni d'onda pilota sono reali.
6Singole storie delle particelle, ma storie multiple delle onde.
7Il collasso del vettore di stato nell'interpretazione transazionale è interpretato come il completamento della transazione tra emittente e assorbente.
8Il confronto delle storie tra i sistemi non ha un significato ben definito in quest'interpretazione.
9Ogni interazione fisica è considerata come un evento di collasso relativo ai sistemi coinvolti, non solo a osservatori macroscopici o coscienti.
10La natura e il collasso della funzione d'onda sono derivati, non assiomatici.
Ogni interpretazione ha più varianti e, ad esempio, è difficile avere una precisa definizione dell'interpretazione di Copenaghen. Nella tabella, ne sono mostrate due varianti: una che tratta la forma d'onda come uno strumento per calcolare le probabilità, l'altro la tratta come un elemento fisico di realtà.

fiat lux


Nanocavi illuminano il nanomondo

News_nanocavi

persaperne di piu' sul lase ancora una volta ricorriamo a Wikipedia:

sabato 23 aprile 2011

Quale modello democratico europeo possono vedere oggi i nord africani.


Europa, il modello sociale perduto

La rivolta degli studenti inglesi e le manifestazioni di massa contro i tagli delle pensioni in Francia o quella promossa dalla Fiom a Roma in difesa del lavoro possono essere lette come un primo tentativo di difendere dall'Europa il modello sociale europeo. Un'espressione che suona un po' astratta, ma è ricca di significati concreti. Essa vuol dire infatti pensioni pubbliche non lontane dall'ultima retribuzione; un sistema sanitario accessibile a tutti; scuola pubblica gratuita e università a costo minimo; un esteso sistema di diritti del lavoro, e molte altre cose ancora. Negli ultimi cinquant'anni il modello sociale europeo ha migliorato la qualità della vita di decine di milioni di persone ed ha permesso loro di credere che il destino dei figli sarebbe stato migliore di quello dei genitori. Ora il modello sociale europeo è sotto attacco nientemeno che da parte dell'Europa. Tutti sostengono che è necessario tagliare tutto: pensioni, sanità, scuola, università, salari, diritti. Il motivo lo ha spiegato il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. In un articolo apparso sul "Financial Times" nel luglio scorso, il cui titolo suonava "è tempo per tutti di stringere la cinghia", egli scriveva che per sostenere la "sfera finanziaria" è stato accollato ai contribuenti Ue il rischio di dover sborsare 4 trilioni di euro (cioè quattromila miliardi: quasi tre volte il Pil dell'Italia) tra ricapitalizzazioni, garanzie e acquisto di titoli tossici. Il "sillogismo di Trichet" dice: voi cittadini vi siete indebitati per trilioni di euro al fine di salvare dalla crisi il settore finanziario; chi contrae debiti deve ripagarli; dunque voi dovete rinunciare a trilioni di spesa pubblica per consolidare il bilancio degli stati. Il che significa tagliare pensioni, sanità, scuola, università, diritti. Già un mese prima il nuovo governo liberal-conservatore del Regno Unito aveva deciso di ridurre del 60 per cento gli investimenti governativi, di tagliare 600.000 posti nel settore pubblico e triplicare le tasse universitarie (portandole da 3.000 a 9.000 sterline). I governi d'Europa danno la colpa a un'accoppiata infernale: il deficit crescente dei bilanci pubblici indotto dai costi eccessivi dello stato sociale, e la parallela diminuzione delle entrate fiscali causata dalla crisi. Nessuna delle due giustificazioni sta in piedi. Il deficit medio dei bilanci pubblici nei paesi della zona euro era appena dello 0,6 per cento del Pil nel 2007. Nel 2010 risulta aumentato di 11 volte, toccando il 7 per cento. Colpa di un eccesso di spesa sociale? Certo che no. Nel periodo indicato essa è stabile o in diminuzione. Semmai colpa della crisi finanziaria. Quanto alle entrate, sono diminuite prima della crisi a causa della forte riduzione delle tasse di cui hanno beneficiato soprattutto i patrimoni e i redditi più alti. In Francia, ad esempio, un rapporto presentato all'Assemblea a fine giugno 2010 lamentava che a causa delle "massicce riduzioni" delle imposte, susseguitesi dall'anno 2000 in poi, le entrate fiscali del bilancio dello stato hanno subito perdite valutabili tra i 100 e i 120 miliardi di euro.Nel quadro dell'attacco che i governi di destra d'Europa - magari con etichetta socialista, come quello di Zapatero - stanno portando al modello sociale europeo, il governo italiano appare del tutto allineato e coperto. Taglia alla grossa la spesa socialei in modi diretti e indiretti, tra cui la drastica riduzione dei trasferimenti agli enti locali. Per di più il paese Italia è messo assai peggio degli altri. Gli italiani non possono infatti contare su sussidi di disoccupazione che toccano l'80% della retribuzione e possono durare per anni, o su ampi e solidi servizi alle famiglie, come avviene in Danimarca. Né su un reddito minimo garantito come hanno i francesi. E tantomeno ricevono gli alti salari inglesi o tedeschi, che almeno quando uno lavora permettono di reggere meglio le riduzioni dei servizi sociali. L'attacco dell'Europa al proprio modello sociale non è soltanto iniquo, è pure cieco, perché apre la strada a una lunga recessione. Meno scuola e meno università significano avere entro pochi anni meno persone capaci di far fronte alle esigenze di un'economica innovativa e sostenibile. Infrastrutture sgangherate costano miliardi solo in termini di tempo. Servizi sociali in caduta libera vogliono dire meno occupazione sia tra chi li presta, sia tra chi vorrebbe disporne per poter lavorare.  A una generazione intera la quale va incontro a pensioni che per chi ha la fortuna di decenni di lavoro stabile stanno scendendo verso la metà dell'ultima retribuzione, è arduo chiedere di pagare la crisi una seconda volta. Ma l'attacco al modello sociale europeo è anche peggio della vocazione al suicidio economico che tradisce. Significa ferire gravemente uno dei maggiori fondamenti dell'identità europea, quello che forse giustifica più di ogni altro l'esistenza della Ue. di Luciano Gallino, la Repubblica    clicca x art.      (11 novembre 2010)

per un approfondimento  piu' teorico 
vedi anche (datato ma sempre valido)  
queto dibattito
svoltosi al Centyro Pannunzio: 


...........................La prima 
delle conclusioni emergenti dal quadro tracciato sinora 


da "il sussidiario.net" , clicca x art.


venerdì 22 aprile 2011
SIRIA/ Video youtube, quaranta morti: il venerdì santo di protestaFoto Ansa
SIRIA MANIFESTAZIONI - E' un venerdì di sangue in Siria. Migliaia di persone sono scese per le strade a manifestare, nonostante ieri il presidente Assad avesse firmato il decreto per l'abolizione dello stato di emergenza. Migliaia di persone manifestano in diverse località, a Qamishli, a Daraa e Banias. Secondo Al Jazeera e la Bbc ci sarebbero almeno 40 persone uccise tra i manifestati. Secondo l'attivista Aumran, che ha comunicato attraverso Twitter, sarebbero 45 i manifestanti uccisi................ 

Iss, per 50% pazienti psichiatrici ritardo di 4 anni accesso servizi

da UNIVADIS
Roma, 8 apr. (Adnkronos Salute) - La cura dei disturbi mentali non è sempre tempestiva in Italia. Ogni anno, infatti, sono 343 le nuove diagnosi, ma tra i primi sintomi e l'accesso ai servizi si registra un ritardo di almeno 4 anni per la metà dei pazienti. Lo indica l'Istituto superiore di sanità (Iss) che traccia un primo profilo dei pazienti con disturbi gravi, giunti per la prima volta all'osservazione di una rete di 22 Centri di salute mentale (Csm) aderenti al progetto 'Seme' (Sorveglianza epidemiologica integrata in salute mentale), i cui risultati sono stati presentati oggi all'Iss. Dai dati emerge che il 48% dei pazienti individuati ha un grado di istruzione basso, il 47% vive con la famiglia di origine, il 40% è disoccupato mentre solo il 29% ha un'occupazione, l'87% vive in difficoltà economiche moderatamente gravi o gravi. Hanno un'età media di 37 anni e le donne sono in lieve maggioranza (il 54%), mentre i single rappresentano il 58%..........."Il dato più rilevante da un punto di vista di salute pubblica - dice Antonella Gigantesco, coordinatore del Reparto salute mentale dell'Iss - è il riscontro di una latenza molto lunga (media di 4 anni), tra la comparsa dei primi sintomi dei disturbi e la presa in carico dei pazienti da parte dei servizi di salute mentale pubblici.Ma una presa in carico precoce dei disturbi mentali gravi potrebbe con buona probabilità migliorare la prognosi e l'adattamento sociale"............pazienti che si rivolgono per la prima volta a una rete sentinella di Csm.          




Orso castano: la complessita' sia della malattia mentale che delle strutture/istituzioni all'interno delle quali nasce e si sviluppa , dovrebbero indurre all'individuazione di molte altre "strutture sentinella" che non solo quelle individuate dal progetto. Manca , ed e' molto carente, l'individuazione sia concettuale di cosa voglia poter dire struttura sentinella, che, come conseguenza in concreto lìoperativita' delle cosiddette struttura sentinella. Forse e' meglio cosi', piuttosto che creareuna rete che viola la privacy in maniera pesante, come in psichiatria sembra possa accadere, e' meglio rifletytere ed attendere

sabato 16 aprile 2011

GIORDANIA: SALAFITI IN PIAZZA; 40 AGENTI FERITI, 7 GRAVI

15 APR 2011 (AGI) Amman - Almeno quaranta poliziotti feriti, tra cui 7 accoltellati in modo grave: e' il bilancio della manifestazione di piazza organizzata dagli islamisti salafiti nella citta' di Zarqa, povera citta' industriale a nord della Giordania. Lo hanno riferito fonti della polizia, aggiungendo che la protesta e' degenerata quando alcuni islamisti hanno accoltellato sette poliziotti, intervenuti per difendere alcuni cittadini attaccati da loro, con l'accusa di essere "atei". Le forze di sicurezza hanno poi disperso il raduno con i lacrimogeni.




,,,,,,,,,,a Gaza i salafiti non sono un gruppo solo, ma tre: Jund Ansar Allah (i Soldati di Dio), Jaish al-Islam (l'Esercito dell'Islam) e Jaish al Umma (l'Esercito della Nazione). Si oppongono al regime di Hamas, il gruppo islamista che è al comando della Striscia di Gaza (l'alrta parte dei Territori Palestinesi, la West Bank o Cisgiorndania, è governata da Fatah, un partito più aperto a spinte moderate  e filo occidentali). A uccidere Arrigoni sarebbe stato stato il gruppo al-Tahwir al-Jihad, il più grande tra quelli affiliati ad al-Qaeda nel territorio palestinese, che però ha smentioto ogni coinvolgimento. Finora si riteneva che il più pericolo di questi gruppi, per Hamas e per gli equilibri dell'area, fosse quello dei Jund Ansar Allah..... Nella maggior parte dei casi sono riconducibili direttamente ad al-Qaeda. In passato le autorità di Hamas hanno tentato di reprimere, senza successo, il complesso universo salafita presente nella Striscia di Gaza, anche se secondo siti israeliani Hamas avrebbe stretto con questi gruppi un clima "cordiale", lasciando loro alcune aree di controllo pressoché totale.I salafiti si ispirano ad Al Qaeda e - secondo il sito di intelligence israeliano Debka - l'uccisione del volontario indicherebbe la netta crescita delle loro capacità operative, oltre che uno schiaffo ad Hamas. Sempre secondo Debka, i rapitori avrebbero ucciso Arrigoni ritenendolo un infiltrato dei servizi segreti occidentali che raccoglieva informazioni sul loro conto.
l gruppo che ha ucciso Arrigoni, continua Debka, si è rafforzato negli anni scorsi grazie all'arrivo di centinaia di terroristi "esperti" dall'Iraq e dallo Yemen, arrivati nel territorio governato da Hamas attraverso il Sinai. clicca x art. intero.


orso castano : indubbiamente l'omicidio efferato, stupido, masochistico del coraggioso ed utopista  Arrigoni (la sua umanita' va onorata!) sara' un'occasione per capire cos'e'  Hamas, che posizioni intende prendere rispetto non solo ad Israele, ma all'intero occidente  ed alla sua cultura. Isolare   seriamente gli estremisti islamici  consentira' di rinforzare e  sostenere il dialogo con l'occidente e ad isolare chi in occidente soffia sul fuoco ed impedisce una seria politica di sviluppo ed integrazione nel mediterraneo. 

giovedì 14 aprile 2011

da Limes di Paolo Quercia "Un fardello di gelsomini"

..............Se ignote e difficili da indagare sono le cause più contingenti delle rivolte, più chiare sono le ragioni di lungo periodo che hanno messo in crisi i governi nord africani e reso esplosive le piazze del mondo arabo-islamico. Il cuore del problema in cui si dibattono i paesi fra questi più avanzati, ossia quelli della sponda Sud del Mediterraneo, non è da attribuirsi tanto al ritardo economico rispetto all’Occidente o all’inadeguatezza di alcuni modelli di sviluppo sociale, quanto piuttosto a quella profonda frattura, creatasi negli ultimi trent’anni all’interno delle società islamiche, dovuta al diverso impatto che la globalizzazione ha avuto sulla popolazione e sulle strutture di governo.
I governi e le élites statali del mondo arabo il cui potere è oggi più che mai sotto assedio sono in buona parte i protagonisti o i diretti eredi della lotta postcoloniale. Una lotta di “liberazione” con la quale dagli anni Sessanta in poi le componenti più avanzate e moderniste del mondo arabo hanno sostituito i colonialisti occidentali impossessandosi della macchina-Stato e del “potere moderno” che essa rappresentava rispetto alle forme più tradizionali di organizzazione sociale.
Lo Stato postcoloniale, sia a guida europea sia a guida araba, rappresentava una struttura all’avanguardia rispetto alla propria società, riproducendo in molti paesi lo strumento di attuazione di processi di modernizzazione autoritari che avevano tuttavia una propria legittimità nella creazione di sviluppo e nella fornitura di beni e servizi a società in buona parte premoderne............Ma se la decolonizzazione ha congelato regimi e confini, non ha impedito all’Europa di continuare a esercitare il suo influsso modernizzatore sulle masse arabe. A partire dagli anni Ottanta l’influsso dell’Europa sul continente africano è proseguito per mezzo dei processi migratori, delle relazioni commerciali, le delocalizzazioni produttive e - soprattutto - con la penetrazione attraverso il soft power dei media satellitari negli anni Novanta e dei nuovi media nell’ultimo decennio, del messaggio culturale occidentale.......... 
Le categorie della postmodernità sono gradualmente ma inesorabilmente penetrate in società in cui la macchina amministrativa decisionale era già in difficoltà a conciliare la modernità statuale d’importazione con la tradizione islamica autoctona di derivazione premoderna.

I regimi arabi islamici di derivazione postcoloniale si trovano oggi a vivere un conflitto spazio-temporale, compressi tra il ribellismo tradizionalista premoderno e quello libertario postmoderno. E, come spesso accade, con i due poli ribellisti che si toccano e si intersecano, mischiandosi - nelle stesse piazze contro la stessa polizia - in un pericoloso intreccio delle più disparate agende politiche e sociali di una galassia di movimenti che, potremmo dire, si estende from twitters to tribes. Nel lungo periodo, difficilmente i regimi postcoloniali riusciranno a sopravvivere, schiacciati tra queste due morse della tenaglia in cui si trovano. Il processo di destrutturazione di molti regimi arabo-islamici è talmente avanzato da lasciare intravedere ormai le linee di frattura che seguiranno alla fine dei regimi post-coloniali. Numerosi segnali lasciano tuttavia prevedere che, caduti i regimi, le linee di frattura divideranno in maniera non pacifica molte società e, soprattutto, rimetteranno in discussione i confini tracciati dalle potenze europee coloniali sopravvissuti alla decolonizzazione. La conseguenza rilevante delle rivoluzioni in atto nel Nord Africa difficilmente sarà costituita dal trionfo di valori immateriali quali la libertà o la democrazia che, pur presenti nelle dinamiche insurrezionali in atto, difficilmente si stabilizzeranno in regimi democratici: il vero palio di questi processi di ribellismo della postmodernità incalzante nel mondo arabo-islamico sarà un premio molto tradizionale: il vecchio obiettivo di ogni Stato e di ogni regime dall’inizio della Storia, ovverosia tracciare nuovi confini o difenderne di antichi.......(24/03/2011) clicca x art. intero


orso castano: le immigrazioni sono sempre esistite, e non e' la prima volta che piedi arabi calpestano l'Europa., Cordoba ,Siviglia et al. ne sono una magnifica (nell'architettura) tracciaesempio. Forse i barconi carichi di tunisini e di medio orientali , attraverso questo ponte/Italia che si allunga nell'ex mare nostrum , costringeranno l'Europa a rivedere criticamente un'identita culturale troppo incollata al "postmoderno" con tutte le incertezze e "gli stati confusionali"  che tale condizione comporta , si pensi al modello di "societa' liquida" che sociologi come Baumann rilevano (a me sembra forzando un po' la mano). Forse nuovi ruoli politici ed economici investiranno l'Europa scutendo e costringendo a rivedere vecchie posizioni di rendita che sopravvivono e molto bene si adattano al cosidetto "postmoderno". Almeno cosi si spera avvenga. Del resto senza nuove identita' culturali l'Europa potrebbe implodere ripiegandosi su se stessa o facendo spazio a riedizioni di vecchie, superate, assurde e drammatiche riedizioni di periodi da incubo.

lunedì 11 aprile 2011

Iss, per 50% pazienti psichiatrici ritardo di 4 anni accesso servizi



da UNIVADIS

Roma, 8 apr. (Adnkronos Salute) - La cura dei disturbi mentali non è sempre tempestiva in Italia. Ogni anno, infatti, sono 343 le nuove diagnosi, ma tra i primi sintomi e l'accesso ai servizi si registra un ritardo di almeno 4 anni per la metà dei pazienti. Lo indica l'Istituto superiore di sanità (Iss) che traccia un primo profilo dei pazienti con disturbi gravi, giunti per la prima volta all'osservazione di una rete di 22 Centri di salute mentale (Csm) aderenti al progetto 'Seme' (Sorveglianza epidemiologica integrata in salute mentale), i cui risultati sono stati presentati oggi all'Iss. Dai dati emerge che il 48% dei pazienti individuati ha un grado di istruzione basso, il 47% vive con la famiglia di origine, il 40% è disoccupato mentre solo il 29% ha un'occupazione, l'87% vive in difficoltà economiche moderatamente gravi o gravi. Hanno un'età media di 37 anni e le donne sono in lieve maggioranza (il 54%), mentre i single rappresentano il 58%..........."Il dato più rilevante da un punto di vista di salute pubblica - dice Antonella Gigantesco, coordinatore del Reparto salute mentale dell'Iss - è il riscontro di una latenza molto lunga (media di 4 anni), tra la comparsa dei primi sintomi dei disturbi e la presa in carico dei pazienti da parte dei servizi di salute mentale pubblici.Ma una presa in carico precoce dei disturbi mentali gravi potrebbe con buona probabilità migliorare la prognosi e l'adattamento sociale"............pazienti che si rivolgono per la prima volta a una rete sentinella di Csm.
Orso castano: la mutevolezza e la complessita' sia della malattia mentale che delle strutture/istituzioni all'interno delle quali la stessa  nasce e si sviluppa , dovrebbero indurre all'individuazione di molte altre "strutture sentinella" che non solo quelle individuate dal progetto SEME. Il presupposto teorico dovrebbe , a mio avviso , partire dalla considerazione che oltre ai sempre meno esistenti e sempre piu' malridotti CSM , esistono oggi ben piu' credibili ed affidabili "sentinelle" sparse sul territorio , sentinelle che oltretutto   cambiano di profilo ed in cultura spesso e volentieri , aumentando e diminuendo , autocostituendosi e chiudendo i battenti, a seconda del momento storico politico , per cui se non si ragiona in termini di "sitema complesso di rilevazione" anch'esso flessibile ed adattantesi alle mutazioni delle situazioni, le valutazioni numeriche potrebbero risultare fasulle.

giovedì 7 aprile 2011

Tv e web e la democrazia nei paesi islamici



Professore emerito a Princeton, autore di testi fondamentali e ormai classici sulla storia dell'Islam e del medio oriente, da L'Europa e l'Islam, Laterza 2005, alla Costruzione del medio oriente, Laterza 2006, da Gli arabi nella storia, Laterza 2006, a I musulmani alla scoperta dell'Europa, Rizzoli 2005, Bernard Lewis ha deciso di scommettere un caffè sulla rivoluzione nordafricana e si dichiara infatti assai meno pessimista dei commentatori che in questi giorni, con grandi occhiaie dubitose da scettici blu, scuotono la testa quando sentono qualcuno associare le parole «democrazia» e «libertà» alla parola «Islam». Se «in passato», dice Lewis in un'intervista apparsa qualche giorno fa sul Foglio di Giuliano Ferrara, «nel mondo islamico la parola libertà non aveva un significato politico ma era un concetto esclusivamente giuridico», nel senso che «un individuo era libero quando non era schiavo», oggi il termine «libertà» viene usato in senso proprio, cioè anche politico. Libertà, sui blog nordafricani e negli slogan che giovani e meno giovani scandiscono nelle manifestazioni di piazza, ha lo stesso significato che nei nostri libri di storia e di filosofia. Quanto poi alla democrazia, anche se finora «non ha mai trovato alcun posto in tutta la storia del mondo arabo e musulmano», secondo Lewis è una carta tutta da giocare. Non fosse che perché «l'Islam non è contro la democrazia in quanto tale. Se si osserva la storia del medio oriente nel periodo islamico, e si esamina in particolare la sua letteratura politica, si nota che l'una e l'altra risultano contrarie a regimi autoritari e assoluti. I musulmani, fin dall'inizio della loro storia, hanno dato grande importanza a ciò che essi stessi definiscono “consultazione”. Lo stesso profeta Maometto, come attesta il Corano, diceva che, prima d'intraprendere un'azione, bisogna discuterne con tutta la gente interessata, ascoltarne il parere e cercare di raggiungere qualche tipo d'accordo». In realtà i moderni regimi autoritari che tengono in scacco la regione sono la traduzione in arabo dei totalitarismi fascisti e socialisti nati in Europa. Anche le teocrazie khomeiniste e talebane sembrano ispirarsi più al lato oscuro della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino che al Corano..........

mercoledì 6 aprile 2011

In Giordania una nuova costituzione è il minimo; di Alice Marziali da Limes on line (stralci dell'intervista)

Ruhayel Gharaybeh, membro di spicco del Fronte di azione islamica, braccio politico dei Fratelli musulmani locali, è il leader della terza corrente centrista interna al Fronte. Tale corrente, di orientamento nazionale e riformista, si oppone all'influenza crescente di Hamas all'interno del partito. La quarta corrente invece, definita appunto la corrente Hamas, è formata da elementi che fanno parte, anche a livello organizzativo, dell'organizzazione palestinese,..................LIMES: Qual è la vostra visione delle riforme? Cosa chiedete?
GHARAYBEHL: A priorità sono le riforme politiche: bisogna cominciare cambiando la legge elettorale, combinando la legge in vigore con un sistema basato sulle liste. Il parlamento così eletto sarà costituito dai partiti e rifletterà opinioni politiche differenti. Il governo deve essere espressione della maggioranza eletta.
LIMES: Questa è la posizione di tutto il partito? 
GHARAYBEH: Sì, tutto il partito è d’accordo su una riforma che porti alla costituzione di un governo espressione della maggioranza parlamentare.
LIMES: Soltanto un mese fa (a gennaio, ndr) non tutti erano d’accordo sulla monarchia costituzionale. Perché ora c’è una convergenza?
GHARAYBEH:
 La situazione regionale sta unendo il partito. Un mese fa il contesto non ci dava il coraggio per una richiesta del genere, ma ora con quello che sta succedendo nella regione questo è il minimo.
LIMES: Anche la quarta generazione interna al partito, Wasat Hamas, sta andando verso questa direzione?
GHARAYBEH:
 Tutti sono d’accordo su questo, ma non la chiamano monarchia costituzionale; parlano del contenuto, ma non la chiamano con il suo nome. Lo definiscono un governo a maggioranza parlamentare.
LIMES: Perché?
GHARAYBEH:
 Dovete chiederlo a loro.
LIMES: Anche gli altri partiti d’opposizione concordano sulla monarchia costituzionale?
GHARAYBEH:
 Di fatto, sì.
LIMES: Qual è il ruolo dello Iaf in questo periodo di transizione?
GHARAYBEH:
 Il parlamento è incostituzionale e non rappresenta i giordani. Chiediamo che si crei un comitato nazionale che rappresenti tutti i partiti in Giordania per cambiare la legge elettorale, un processo che forse richiederà mesi. Parlamento e governo saranno sciolti e si andrà a elezioni. 

LIMES: Accettereste di partecipare a un altro governo?
GHARAYBEH: Sì, se fosse eletto.
LIMES: Può commentare la lettera delle 36 figure nazionali al re?
GHARAYBEH:
 È una lista tribale, loro hanno il diritto di esprimere le loro opinioni, sembra un mezzo per far pressioni al governo. Ma noi non ne siamo parte.
LIMES: Pensa che la rivolta in Egitto, Tunisia e Libia si possa propagare anche in Giordania?
GHARAYBEH:
 La regione è un tutt’uno, tutti i popoli appartengono alla stessa cultura e condividono la stessa situazione. Ciò che è accaduto in Tunisia, Egitto e Libia può accadere altrove.
LIMES: Ma Mubarak se n’è andato, qui non state provando a cacciare il re.
GHARAYBEH: 
Il minimo che chiediamo è la monarchia costituzionale. Se questa verrà, saremo soddisfatti.
LIMES: Cosa pensa della paura occidentale di una possibile ascesa al potere del movimento islamico e del conseguente, possibile deterioramento delle relazioni con Israele?
GHARAYBEH:
 È una vecchia paura, ma ora l’Occidente è diverso. Non pensiamo che la paura degli islamisti sia vera, è un’esagerazione. Obama e la Clinton hanno detto che gli islamisti sono parte del popolo e che non può esservi stabilità se
essi non partecipano alle istituzioni. L’esempio turco prova che gli islamisti non sono poi questi mostri che tutti dicono.
(1/04/2011)

MAURIZIO VIROLI intervista AMY GUTMANN sull’EDUCAZIONE DEMOCRATICA

  Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, i piu’ grandi teorici della democrazia hanno sottolineato l’importanza dell’educazione democratica dei cittadini per i regimi di quel tipo. Puu’ fornirci un quadro del pensiero classico sull’educazione democratica?   Amy Gutmann: Sin dagli albori, la democrazia non si e’ mai basata esclusivamente sul potere della maggioranza. I piu’ grandi esponenti del pensiero democratico classico - filosofi come Rousseau, John Stuart Mill e John Dewey - erano convinti che  il potere della maggioranza nascondesse il pericolo di una sua tirannia. Si rendeva, dunque, necessario studiare il modo migliore di affidare alla maggioranza il destino politico di un paese e vedere per quale motivo l’unico modo per riuscirci era far si’ che tutti i cittadini venissero educati a conoscere i propri interessi. La democrazia, infatti, si basa sulla premessa che i cittadini conoscano perfettamente i loro interessi. Tale premessa e’ realizzabile solo se le persone non sono analfabete, se ricevono un’istruzione che chiarisca loro cosa e’ meglio, sia per se stessi che per la societa’ in generale.   Maurizio Viroli: Quali sono i motivi per cui l’istruzione e’ cosi’ importante per la democrazia?   Amy Gutmann: La mia posizione consiste in un’estensione del pensiero democratico classico, ma con una piccola variazione. L’estensione sta nell’idea che ogni democratico conosce i propri interessi meglio di chiunque altro se ne occupi al suo posto. In questo senso, un democratico rifiuta il concetto di elite; egli e’ convinto che, sia nella teoria che nella pratica, la gente debba occuparsi in prima persona dei propri interessi. Per questo ritengo che l’educazione sia essenziale per la democrazia. La variazione e’ la seguente: l’educazione non e’ solo strumentalmente necessaria alla democrazia (cioe’, essa non e’ solo un mezzo per arrivare alla democrazia), ma fa parte del concetto stesso di cittadinanza. L’educazione rientra nel concetto dell’essere cittadino perche’ non insegna solo a leggere e scrivere, ma insegna anche determinati valori, che sono appunto i valori democratici. Fra questi c’e’, ad esempio, quello del rispetto per coloro con cui ci troviamo in disaccordo, o il cui stile di vita differisce dal nostro; senza educazione - e per educazione intendo quella pubblica - tale rispetto non puo’ esserci. L’educazione e’ importante per la democrazia semplicemente perche’ l’essenza della democrazia sta nella virtu’ civica. La virtu’ civica richiede comprensione e rispetto per i modi di vivere degli altri. L’unico modo in cui le persone che fanno parte di una famiglia, o di una comunita’, possono riuscire a conoscere e a rispettare stili di vita diversi dal proprio e’ quello di essere educate a contatto con persone diverse da loro, di comprendere gli altri osservando come sono fatti, di rendersi conto sin da bambini che ci sono sia differenze che somiglianze. A mio avviso, dunque, capire l’importanza di un’educazione democratica e’ tutt’uno con il capire cosa significhi essere un cittadino democratico e possedere una forma di virtu’ civica. Senza educazione non puo’ esserci virtu’ civica.   Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, nel suo lavoro sul governo della Polonia Rousseau sembra vedere l’educazione democratica indirizzata alla formazione di patrioti. Lei e’ d’accordo con questa interpretazione dell’educazione democratica?   Amy Gutmann: No, io non credo che l’educazione democratica debba essere rivolta alla formazione di patrioti. Vorrei pero’ aggiungere che Rousseau e la sua teoria hanno avuto una profonda influenza sul modo di intendere l’educazione. Nel mio paese - gli Stati Uniti - esiste oggi un movimento caratterizzato da uno spirito molto rousseauiano che, pur non facendo diretto riferimento a Rousseau (forse perche’ Rousseau non e’ molto noto all’americano medio), si propone di educare al patriottismo. Sono convinta che si tratti di un movimento minoritario, ma al tempo stesso decisamente pericoloso. Il motivo per cui lo ritengo pericoloso dal punto di vista democratico e’ che sono convinta che i cittadini debbano conoscere pregi e difetti del loro paese. Virtu’ civica non significa "il mio paese ha sempre ragione", non significa che sosterro’ il mio paese qualsiasi cosa faccia. Virtu’ civica significa assumersi la responsabilita’ di fare in modo che il proprio paese si trovi dalla parte della ragione. L’unica forma di educazione alla virtu’ civica che sia compatibile con l’obiettivo di migliorare il proprio paese e’ quella che insegna alla gente a pensare in modo critico al proprio paese, al suo ruolo nel mondo e al suo modo di trattare gli altri cittadini. Questa non e’ affatto un’educazione al patriottismo nel senso rousseauiano del termine. Certo, e’ importante e necessario sentirsi patriottici nel senso di avere a cuore il proprio paese, perche’ e’ la’ che ognuno ha maggiori responsabilita’ e capacita’ di intervento. In questo senso, dunque, siamo tutti patrioti e se possediamo un senso di virtu’ civica dobbiamo sentirci responsabili innanzi tutto di quanto succede intorno a noi, nel quartiere, nello stato e nel paese in cui viviamo.   Maurizio Viroli: Finora abbiamo parlato solo dell’educazione dei cittadini. Non crede, invece, che una parte fondamentale dell’educazione democratica dovrebbe riguardare gli uomini politici? E quali potrebbero essere i criteri fondamentali di una tale educazione?   Amy GutmannSi’, educare i cittadini significa anche educare i leaders politici. In democrazia, i cittadini diventano leader, ma se l’educazione si rivolge solo ai cittadini comuni, rischia di trascurare l’educazione dei leader. Parte dell’educazione democratica invece deve occuparsi della formazione dei futuri leader della societa’, affinche’ essi comprendano esattamente le particolari responsabilita’ di cui sono investiti proprio in base al maggior potere di cui dispongono rispetto ai cittadini comuni. Ora, se diamo per scontato che il potere corrompe, e che il potere assoluto corrompe in modo assoluto, ci sono diversi principi che andrebbero insegnati a coloro che detengono il potere. Il tutto non si risolve nel seguire semplicemente il volere della maggioranza. Al contrario, questo principio fa parte di un’educazione sbagliata, perche’ governare un paese comporta necessariamente la responsabilita’ di guidarlo. Naturalmente, non si tratta neanche di fare tutto quello che si ritiene giusto, senza curarsi dell’opinione altrui. Ci sono, quindi, due aspetti che riguardano l’educazione di un leader democratico. Il primo riguarda la necessita’ d’ispirargli il coraggio e la capacita’ di capire che vale la pena di battersi per cio’ che si ritiene giusto, e di spiegarlo alla gente. Il secondo e’ quello di fargli capire che, anche se ritiene che le sue azioni siano giuste, ed anche se le illustra ai cittadini in modo a suo avviso soddisfacente, puo’ succedere che i cittadini rispondano: "Ci dispiace, ma secondo noi e’ sbagliato". In tal caso, indipendentemente dal suo valore come politico, e’ suo dovere ritirarsi.   Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, come sa, uno dei mali piu’ seri che minacciano le societa’ democratiche e’ la corruzione del mondo politico. Cosa pensa di questo problema?   Amy Gutmann: L’elemento piu’ comune che porta un politico alla corruzione e’ la convinzione che riuscira’ a farla franca, non solo nel senso che non verra’ scoperto, ma anche in quello di pensare che i cittadini comuni non riusciranno mai a capire veramente cosa sia la politica. Partendo da questa visione, gli uomini politici, sebbene democraticamente eletti, possono fare praticamente cio’ che vogliono e possono farlo in un modo che li soddisfi in pieno. L’educazione democratica e’ il miglior antidoto che abbiamo contro questa forma di corruzione, che si nutre di due elementi. Il primo e’ la visione dall’alto, dalla posizione dei leader politici, da cui il cittadino comune non appare abbastanza intelligente, o interessato alla propria societa’ democratica, da riuscire a esercitare un controllo sui suoi rappresentanti. Il secondo e’ cio’ che io chiamo l’"apatia" dei cittadini, cioe’ la sensazione provata da questi ultimi che gli uomini politici siano in ogni caso incontrollabili, che non ci sia nulla che i cittadini possano dire, o fare, per impedire ai politici di fare cio’ che vogliono. E’ proprio questa la ricetta per la corruzione: l’arroganza da una parte e l’apatia dall’altra.   Maurizio Viroli: Esistono rimedi per correggere queste deviazioni?   Amy Gutmann: L’educazione democratica, se riesce nel suo intento, dovrebbe rappresentare un antidoto sia per l’apatia che per l’arroganza, un antidoto che lavora in modo molto sottile. Per prima cosa, pur non trasmettendo ai cittadini comuni la sensazione che possono fare quello che vogliono, o di essere piu’ potenti di quanto non siano in realta’, l’educazione democratica puo’ fare in modo che essi comprendano meglio cosa sia la politica e che osservino con molta attenzione gli atti dei loro leader politici. Il migliore, l’unico antidoto sia all’apatia che all’arroganza, quindi, e’ la comprensione, la conoscenza, lo studio. Quello di sconfiggere l’ignoranza di fondo di molti cittadini e’ un passo importantissimo, che nessuna societa’ democratica ha ancora compiuto con successo. Un altro antidoto alla corruzione e’ una valida educazione democratica, cioe’ un’educazione basata sulla filosofia democratica, che insegni ai futuri leader che il politico non e’ al di sopra della gente comune, se non per le responsabilita’ che comporta il suo compito di governare e di rendere conto del suo operato alla maggioranza. Parte dell’educazione democratica dei futuri leader quindi sta nel far comprendere loro che dovranno dar conto alla gente di tutte le loro azioni, che la loro capacita’ di giudizio non e’ affatto migliore di quella della gente comune, se non per il fatto che essi si trovano in una posizione da cui e’ possibile difendere il proprio operato in pubblico e che hanno il dovere di difenderlo. La piu’ grande lezione di educazione democratica per i leader politici e’ quella impartita da Kant quando affermo’ che la condizione assoluta per qualsiasi azione etica e’ il suo carattere pubblico, la sua trasparenza. Se non puo’ sostenere l’esposizione alla luce del sole, o lo sguardo del pubblico, allora e’ necessariamente un’azione corrotta. E’ l’apparenza della corruzione, e l’apparenza della corruzione in democrazia corrisponde alla realta’ della corruzione stessa: essa non puo’ sostenere la chiarezza del controllo pubblico, ne’ attraverso il normale processo decisionale, ne’ attraverso un processo di qualsiasi altro tipo.