lunedì 18 ottobre 2010

Facebook è una dittatura?di Alessandro Gilioli da Espresso on line

Arriva il film su Mark Zuckerberg, il fondatore del social network più potente del mondo. E ci si chiede: è giusto che mezzo miliardo di cittadini di questo enorme Stato trasversale non abbiano alcun diritto?............E, ancora, è diventato lo strumento per la nascita e la crescita di "cause" e di battaglie civili (da quando un utente colombiano, Oscar Morales, nel 2007 ha creato un gruppo che ha portato 12 milioni di persone in piazza contro le Farc), quindi un detonatore potenzialmente impressionante per creare e influenzare l'opinione pubblica. Un immenso luogo di incontro e di confronto dove si mescolano l'alto e il basso (approfondimenti sulla "Critica della Ragion pura" e goliardate sulle compagne di classe tettone), le minuzie quotidiane e le scelte epocali ("Lo si può usare per decidere dove andare a cena ma anche per scegliere il presidente degli Stati Uniti", come sintetizza l'autore del saggio "The Facebook Effect", David Kirckpatrick). Comunque, una "cosa" che influenza e influenzerà sempre di più le nostre scelte di cittadini, consumatori, elettori................... Di qui, è naturale, la grande curiosità attorno al padre-padrone di Facebook e alle sue vere o presunte indegnità morali (avrà o non avrà rubato l'idea vincente ai compagni di corso?). E di qui le interviste pressanti al giovane Zuckerberg per capire fino a che punto è avido e malvagio, se e quando utilizzerà i nostri dati personali per rivenderli ai vampiri del direct marketing, quali politiche di privacy vorrà garantire ai 500 milioni di clienti che hanno riempito il social network con le loro foto, i loro video, i loro gusti personali.Quasi che - trovandoci ormai ad essere cittadini di uno Stato trasversale le cui leggi sono diventate per l'esistenza di molti più importanti di quelle del loro Stato reale - ormai ci si possa soltanto affidare alla benevolenza del suo sovrano assoluto (un programmatore ventiseienne, alla fin fine) e dei suoi potentissimi dignitari: quelli che con un colpo di clic possono cancellare il nostro account (magari su "segnalazione" di qualche nostro avversario, nemico o concorrente) distruggendo le relazioni di una persona, il futuro di un'azienda, le chance di una causa politica.


orso castano : vogliamo il web libero e gratuito  a banda larga garantito per tutti !!! L'informazione e' deteminante , la sua liberta' e' fondamento di civilta' , facciamo questa battaglia!!

Il lavoro e la crisi: esigiamo le risposte. Guglielmo Epifani a Piazza del Popolo

clicca  sul titolo e clicca sulla freccia x il discorso

il lavoro non e' una merce , di luciano Gallino

2007, Editori Laterza ; Chi diffonde il pensiero malato che tramuta ciò che è Umano in merce? : di Luciano Gallino




Introduzione di Luigi Scialanca
Come un virus, l’idea che quel che è umano possa essere ridotto a merce si diffonde da mente a mente. Come un virus, già nei primi anni ’90 stava contagiando una parte della Sinistra italiana e la tramuta­va nella finta “sinistra” che è oggi: “In Italia,” scrive ancora Gallino, tre quarti delle forze politiche del centrosinistra hanno una concezione meramente adat­tativa delle politiche del lavoro, che si distingue da quella del centrodestra solo perché orientata a una certa maggior disponibilità quando si tratta di cura­re gli effetti della flessibilità mediante «ammortizza­tori sociali»”.

Non solo in Italia. I laburisti inglesi alla Tony Blair, i socialdemocratici tedeschi, i socialisti francesi, i democratici americani alla Bill Clinton: quanto e più della Destra, i tre quarti della “sinistra” occidenta­ledal 1989, o forse dal 1973 kissinger-pinochetista in poihanno aggredito i Di­ritti U­mani dei Lavo­ratori, alterato la memoria storica, creato disuguaglianza, svenduto i Beni Pubblicisola difesa dei Citta­dini dalle tirannie privateper aver dimenticato che cos’è l’Essere Umano.............................L’idea che il lavoro umano sia separabile dall’Essere Umano (e dunque commerciabile) non avrebbe mai avuto corso, e mai si sarebbe diffusa, se non avesse trovato ad attenderla nelle menti la costruzione di pensiero che separa l’Essere Umano da tutto sé stesso considerando “argilla”, “animale”, inessenziale e transeunte, in lui, ciò che non è anima divina. È il pensiero che ci avvezza a ritenere davvero fondante e davvero importante, in noi, solo quel ch’è “dentro” di noi ― così “dentro” che non lo si può per­cepire ― solo quel ch’è puro spirito, solo quel che in noi... non c’è, e noi stessi alla fin fine non significa­tivi, non de­terminanti, sacrificabili: è il pensiero religioso che ci prepara ad accettare, a rassegnarci all’i­dea che per­fino il nostro creare e sentire e pensare e fare possa essere staccato da noi e comprato e venduto così co­me si reci­dono e si commerciano i capelli delle Donne indiane, o i corpi delle povere Ragazze abbando­nate davanti alle tv di tutto l’Occidente, o i reni e i fegati e i cuori dei Bambini dell’Est Europa................................ Nessuna ricostruzione della Sinistra sarà possibile, in Italia e nel mondo, finché le Donne e gli Uomini di Sinistra per primi ― e poi tutti gli altri ― non ritroveranno la stima e il rispetto di sé, dei propri rap­porti reciproci, dell’immaginazione che rende gli animali umani i soli creatori (o distruttori) di sé stessi, della Società e del mondo. Nessun riscatto della creatività, del pensiero e del lavoro dal neo­schia­vismo teocratico-capitalista sarà possibile, in Italia e nel mondo, finché le Donne e gli Uomini di Sinistra per primi ― e poi tutti gli altri ― non avranno scoperto e realizzato un nuovo, moder­no Umane­si­mo. Ma nessun Umanesimo sarà possibile, in Italia e nel mondo, finché le Donne e gli Uomini di Sini­stra per primi ― e poi tutti gli altri ― non troveranno il coraggio, la libertà, la fantasia, l’intelligenza di relegare tutti gli Dei nel grande album storico delle creazioni (e distruzioni) dell’Umanità.

(ndr) E' questo il punto di partenza  per qualsiasi analisi, riflessione, considerazione, sulle conseguenze psicologiche sulla prtecarizzazione generalizzata della forza lavoro  cioe' di centinaia di miglia , di milioni di esseri umani  ; e' da questo dato che occorre partire per rivedere  criticamente le attuali psicoterapie e, piu' in genere , le  teorie e le  terapie dello stress  e della depressione che sempre di piu' appaiono connesse  tra loro , ed anche le teorie sulla predisposizione , che lontanamente a qualcuno fanno pensare a Lombroso o alla caratterologia  di   vecchio stampo . Qualche "moderno" neo ricercatore psichiatra " si lancia in ricerche su come viene affrontato l'esordio depressivo e qualcuno piu'  avventuroso inizia a studiare le conseguenze dello stress e si pone quesiti cu come esso possa essere curato. M a la ghlopbalizzazione, fatto assolutamente materiale spinge inesorabilmente verso l'alienazione , la precarizzazione generalizzata , la migrazione di masse di diseredati , la dura selezione tra chi  riesce a sopravvivere e  si arricchisce sempre di piu'  fino a possedere il superfluo, al mille per cento e sempre piu' numertose masse , magari anche piuchheacculturate , ma che non hanno alcun potere e che si stanno saldarndo nella loro lotta per la dignita' e la sopravvivenza ai poveri . (clicca ed ascolta )
"Nell’oceano del lavoro la tempesta deriva dall’aver messo in competizione tra loro, deliberatamente, il mezzo miliardo di lavoratori del mondo che hanno goduto per alcuni decenni di buoni salari e condizioni di lavoro, con un miliardo e mezzo di nuovi salariati che lavorano in condizioni orrende con salari mise­randi. La richiesta di accrescere i lavori flessibili è un aspetto di tale competizione. Il problema smisu­rato che la politica nazionale e internazionale dovrebbe affrontare sta nel far sì che l’incontro che prima o poi avverrà tra queste due parti della popolazione mondiale avvenga verso l’alto della scala dei salari e dei diritti piuttosto che verso il basso; che è l’esito verso cui finirebbe per condurci lo smantellamento delle protezioni legali dell’occupazioneuno dei tanti sinonimi della flessibilità.

domenica 17 ottobre 2010

disoccupazione e conseguenze psicologiche : due studi (clicca x art,)

studio 1 , Risultati. L'analisi delle corrispondenze multiple condotta sulle storie suggerisce la presenza di due dimensioni soggiacenti alle strutture narrative. La prima (var. 23.4%) contrappone un modello processuale organizzante la produzione narrativa nel quale sono centrali gli aspetti di competenza (professionalità del personaggio, analisi dei fattori che hanno condotto alla perdita del lavoro, abilità tecnico-professionali e conoscenza del mercato per il reingresso nel sistema produttivo), ad uno in cui tali aspetti passano in secondo piano e diventano preponderanti quelli legati alla componente emozionale (prevale l'attenzione alle risposte affettive del personaggio mentre la descrizione del profilo lavorativo e professionale, dei motivi della perdita del lavoro e delle modalità di reingresso sono approssimative o assenti). La seconda dimensione (var. 11.8%), contrappone una modalità reattiva del personaggio alla perdita del lavoro caratterizzata dal tentativo di un rapido allontanamento dalla condizione di disoccupazione attraverso la ricerca generica di altri lavori, ad una segnata piuttosto da un impegno volto ad ottenere un sussidio che sembra rappresentare l'unica soluzione al problema della perdita del lavoro.
L'analisi dei cluster condotta sui punteggi fattoriali relativi alle due dimensioni descritte, suggerisce che le storie possono essere classificate in tre gruppi culturali omogenei. La presentazione di ciascun cluster sarà seguita da una storia esemplificativa.
Nelle storie appartenenti al primo cluster (il più numeroso: n = 29),
che si addensa attorno al polo emozionalità il personaggio svolge quasi sempre una mansione operaia non meglio specificata e che comunque non sembra avere rilevanza. Semmai la definizione del personaggio avviene in base al ruolo familiare. La perdita del lavoro avviene per eventi esterni e generici (fallimento della fabbrica, la decisione di chiudere l'attività da parte del datore di lavoro) di cui non sono espresse le motivazioni causali e su cui non sembra esistere possibilità di controllo e previsione: assomigliano piuttosto a una frattura nella vita del personaggio alla quale porre rimedio per "ritornare alla vita stabile". In tutti i casi la perdita del lavoro è un fenomeno collettivo, cioè non riguarda mai solo il personaggio ma coinvolge diversi soggetti; sembra pertanto essere sempre esclusa una responsabilità individuale del personaggio rispetto alla sua fuoriuscita dal processo produttivo. Le reazioni del personaggio vengono definite di paura, depressione, shock, trauma. Sebbene si affermi che il personaggio tornerà a lavorare, non sono in alcun modo espresse le strategie per il suo reinserimento lavorativo e sul futuro sembra gravare un'ombra fosca di incertezza. Anche le risorse sembrano molto scarse, i vincoli prevalenti (abitare al Sud, essere avanti con gli anni) e quando sono presenti hanno caratteristiche vaghe e indefinite. Un elemento caratteristico sembra essere quello della solitudine del personaggio di fronte alla perdita del lavoro, dove i legami con altri soggetti riguardano solo la ristretta cerchia familiare: la perdita del lavoro viene rappresentata dagli estensori di queste storie come la perdita di un intero sistema di appartenenza sociale.
«Era un uomo di mezza età, aveva un lavoro che lo soddisfaceva abbastanza, era felice con la sua famiglia. Finché un giorno perse il posto di lavoro lasciandolo scioccato pieno di paura, e senza avvenire. Il posto di lavoro lo ha perso non per la sua volontà, perché il suo datore di lavoro ha deciso di chiudere attività. Ha reagito non bene. In questo momento lui sta pensando che per lui visto che l'età [è] avanzata sarà più difficile collocarsi nel mondo del lavoro. No sa cosa farà».

Le storie appartenenti al secondo cluster (n = 4), si caratterizzano per la reazione del personaggio in termini di lotta e protesta per ottenere un sussidio, che sembra rappresentare l'unica soluzione possibile (seppure insufficiente) al problema della perdita del lavoro. In questo senso la mobilitazione del personaggio appare finalizzata ad ottenere per sé e per la propria famiglia un risarcimento almeno parziale per il danno subìto. Anche in questo gruppo di storie le dimensioni legate alla competenza passano in secondo piano e sono poco rilevanti tanto nella definizione dell'identità del personaggio che nel processo di reinserimento nel mercato. Allo stesso modo ha poca rilevanza l'attribuzione di causalità relativa alla perdita del lavoro.
«Nicola ha famiglia con moglie e due figli, faceva il taglista e così facendo viveva distintamente. Nicola ha perso il lavoro per mancanza di commesse dell'azienda e facendo sciopero ha ottenuto la Cassa Integrazione. Nicola sta pensando che con i soldi della Cassa Integrazione non può vivere. Nicola in futuro sta pensando di fare la seconda attività.»

Le storie appartenenti al terzo cluster (n= 14) che si addensa attorno al polo competenza, sono caratterizzate da una descrizione specifica della professionalità del personaggio e delle cause della perdita del lavoro; la reazione tende a escludere gli aspetti emozionali. Le modalità di reinserimento nel mercato sono adeguatamente indicate e fanno stretto riferimento alla professionalità del personaggio che si avvale inoltre della collaborazione di altri soggetti per attuare i suoi scopi. La perdita del lavoro, pur rappresentando un evento critico, non assume la connotazione di una frattura complessiva nella vita del personaggio e di perdita di un intero sistema di appartenenza sociale e professionale.
«Questo signore è un ingegnere dalla apparente età di 40 anni. Aveva messo su un'azienda per la produzione di materiale plastico. Ha perso il lavoro perché non ha saputo adeguarsi alla concorrenza del settore e ha trovato problemi alla collocazione del suo prodotto sul mercato. Di conseguenza ha dovuto licenziare tutto il personale dipendente. In questo momento sta pensando di mettere su un'altra attività cercando di aggiornarsi sulle nuove tecnologie. In futuro continuerà a fare l'imprenditore cercando di non fare gli errori fatti precedentemente.»
L'elevata coerenza delle strutture narrative rintracciabili all'interno di ciascun cluster consente di proporre alcune considerazioni in merito ai modelli rappresentazionali relativi alla relazione tra individuo e mercato-contesto che le storie propongono.
Nel primo raggruppamento culturale il principale contenuto atteso dalla relazione con il mercato-contesto (il motivo per il quale la relazione e gli scambi tra gli attori esistono) sembra essere l'instaurazione e il mantenimento di un rapporto di sostegno nel quale diventano poco rilevanti gli elementi di competenza. Il posto di lavoro occupato è rappresentato soprattutto come una fonte di sicurezza e sostegno la cui perdita ingenera disperazione e sgomento, inducendo una improvvisa trasformazione del contenuto della relazione di scambio che da rassicuratorio diviene elemento persecutorio e rifiutante. Il processo di disoccupazione in sostanza viene rappresentato, entro questo modello culturale, in modo da non mostrare possibilità di cambiamento e soluzioni concrete di riorganizzazione professionale. Se infatti, coerentemente con la fantasia sul contenuto della relazione di scambio, l'inserimento nel mondo del lavoro non avviene sulla base di una competenza ma sulla base di un diritto a essere inseriti in una relazione che procura sostegno e sicurezza, il fallimento di questa fantasia (rappresentato dal licenziamento) lascia senza alternative se non quella di assumere un atteggiamento passivo, di rifiuto di qualsiasi assunzione di responsabilità nei confronti del proprio futuro professionale e lavorativo, volto a ottenere un intervento di sostegno capace di riparare a quella frattura. Il fallimento di questa fantasia relazionale, organizzata su un modello di scambio di tipo prevalentemente affiliativo, sembra dunque compromettere definitivamente la possibilità di reingresso nel mondo del lavoro.
Nelle storie appartenenti al secondo cluster la relazione con il contesto-mercato, che pure tende ad escludere le dimensioni di competenza, risulta invece organizzata prevalentemente su una dinamica rivendicativo-persecutoria. Ciò che per i soggetti appartenenti a questo raggruppamento culturale sembra contare di fronte alla perdita del lavoro, è la possibilità di ottenere un risarcimento per il danno subito piuttosto che la possibilità di un reinserimento lavorativo; l'impegno del personaggio da loro rappresentato sembra infatti organizzarsi tutto intorno a questo tentativo all'interno del quale il disoccupato non rappresenta solo se stesso, ma un intero nucleo sociale (la propria famiglia) vittima di un danno da parte del sistema sociale più ampio. In questo caso la situazione di disoccupazione non rappresenta una fase di passaggio nella vita del personaggio, ma assume la connotazione di uno "status", di una situazione stabile di credito nei confronti del sistema sociale.
Le storie appartenenti al terzo modello culturale, infine, propongono una rappresentazione della relazione con il contesto-mercato basata su un modello funzionale all'impiego di strategie per la ricerca di un nuovo lavoro che tengano criticamente conto della relazione tra individuo e contesto, nella quale cioè assumono rilevanza gli elementi di competenza professionale e organizzativa. Coerentemente, sia l'attribuzione causale della perdita del lavoro, sia il reinserimento nel processo produttivo, vengono affrontatati nei termini di una valutazione del rapporto tra competenze individuali e richieste del contesto-mercato
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studio 2 , Risultati.  L'analisi delle corrispondenze degli item relativi all'area A. mostra che il campo rappresentazionale della disoccupazione nel nostro campione viene descritto lungo tre dimensioni che spiegano complessivamente il 64.6 % della varianza. La prima (27.4% di varianza) contrappone un'immagine della disoccupazione come evento profondamente depauperante su un piano personale e del riconoscimento sociale (item esemplificativi: la disoccupazione è diminuzione del prestigio, un tradimento delle Istituzioni, uno spreco capacita professionali, depressione) ad una che al contrario ne evidenzia le possibilità e le occasioni di sviluppo che essa può offrire (la disoccupazione è l'occasione per cercare risorse, un periodo di riflessione per riorganizzare vita lavorativa, per nuovi apprendimenti, per nuove esperienze). La seconda e la terza dimensione (19.8% e 17.4% di varianza) contrappongono rispettivamente un atteggiamento di rassegnazione (la disoccupazione è la mancanza sicurezza, è causa di depressione) o uno di fuga (la disoccupazione mi consente di riuscire in altri campi, di non dover obbedire a nessuno o rispettare orari), all'impegno nella risoluzione del problema del lavoro più o meno connotato in termini di sfida (la disoccupazione è una sfida, è l'occasione per mostrare il proprio valore, la disoccupazione mi consente di mostrare quanto valgo e di cercare dentro di me le risorse per farcela).
Un'analisi dei cluster condotta sui punteggi fattoriali dei soggetti suggerisce l'esistenza di gruppi omogenei.
Nel cluster 1 (n = 47, 37.3%) la rappresentazione della disoccupazione tende a organizzarsi attorno ai poli che abbiamo indicato come depauperazione e rassegnazione. Secondo questo modello culturale la disoccupazione costituisce infatti un processo estremamente depauperante per l'individuo che lo subisce, caratterizzato da una serie di perdite (sicurezza, prestigio, potere) e dal tradimento da parte "delle Istituzioni" ritenute responsabili del problema e della sua mancata soluzione. Tale processo viene rappresentato come ineluttabile e senza via d'uscita. Sono cioè scarsamente presenti aspetti che rimandano ad una possibilità evolutiva e al superamento della crisi ingenerata dalla perdita del lavoro.
Le cause della disoccupazione sono individuate nella disonestà dei politici e nel disinteresse dello Stato. I Sindacati, il Ministero del Lavoro, gli Enti di formazione, sono percepiti come profondamente impotenti seppur interessati al problema della disoccupazione e al destino dei disoccupati, mentre il rapporto con i datori di lavoro tende ad essere definito rispettivamente attraverso le categorie emozionali complementari "abbandono e sfruttamento" o "presa in carico". Nel complesso, dunque, all'interno di questo modello culturale, il principale contenuto atteso dalla relazione con il contesto (il motivo per il quale la relazione e gli scambi tra gli attori esistono) è un processo affiliativo, cioè l'instaurazione e il mantenimento di un rapporto di sostegno. Diventano pertanto poco rilevanti gli elementi di competenza. Su un piano emozionale tale configurazione si muove dunque lungo l'asse gratificazione-persecuzione: gratificazione nel caso in cui il contesto-mercato e le Istituzioni rispondono alle aspettative, persecuzione quando esso non vi risponde

Nel cluster 2 (n = 33, 26,2%) la rappresentazione della disoccupazione si organizza intorno ai poli depauperazione e sfida. La disoccupazione è rappresentata come un processo di aggressione che minaccia l'identità professionale dell'individuo, a cui rispondere simmetricamente con un atteggiamento di sfida che consenta un riscatto personale. Pur sottolineando la responsabilità delle Istituzioni, le cause della disoccupazione sono più spesso individuate nella mancanza di potere personale e nell'avidità delle aziende e dei datori di lavoro. L'immagine dei Sindacati, del Ministero del lavoro, degli Enti di formazione, assume anche in questo caso una forte connotazione emozionale, rispettivamente nei termini di rifiuto e disinteresse e di incompetenza. In merito alle strategie di reinserimento sul mercato del lavoro, i soggetti appartenenti a questo cluster sembrano essere più orientati verso strategie dirette di job-searching piuttosto che verso strategie mediate dal reperimento o acquisizione di maggiori risorse. Tra i fattori di successo, nella vita e nel lavoro, viene più spesso indicata la mancanza di scrupoli.
Rispetto al primo nucleo rappresentazionale, in questo secondo l'immagine del disoccupato sembra orientarsi maggiormente verso la caratterizzazione di competenza e intraprendenza.
Nel complesso, anche all'interno di questo modello culturale, il rapporto con le Istituzioni e con il contesto-mercato è fortemente connotato in termini emozionali e rappresentato prevalentemente attraverso categorie che rimandano da un lato all'aspetto più francamente persecutorio della dimensione affiliativa, dall'altro ad una dinamica di potere e di rivendicazione.

Nel cluster 3 (n = 46, 36.5%) la rappresentazione della disoccupazione si organizza soprattutto attorno al polo sviluppo. La disoccupazione in questo caso rappresenta, oltre che un momento di crisi, l'occasione di conseguire nuovi apprendimenti e di fare nuove esperienze. E' anche presente, in questo nucleo rappresentazionale, quella dimensione di fuga che abbiamo descritto quale polo negativo della terza dimensione.
I risultati delle analisi mostrano come questo gruppo di soggetti tenda ad attribuire lo stato di disoccupazione a fattori causali che rimandano a dimensioni di competenza, alla mancanza di mezzi personali, oltreché a un fattore di crisi economica. L'immagine del disoccupato è definita in termini di ridotta competenza.
Anche l'immagine dei Sindacati è descritta nei termini di incompetenza e inesperienza ove lo scarso impatto dell'azione sindacale sul problema della disoccupazione è attribuito ad un problema di competenza piuttosto che ad una dimensione connotata emozionalmente, di rifiuto e disinteresse. Se il rapporto tra Istituzioni e disoccupati tende ad essere definito criticamente nei termini del controllo di una potenziale minaccia, quello con i datori di lavoro viene descritto con modalità che rimandano alle regole di mercato e al rapporto tra domanda e offerta di manodopera. Per ciò che concerne le strategie di reimpiego, questo gruppo, rispetto ai primi due, privilegia la formazione professionale e lo sviluppo di contatti con referenti privilegiati, cioè strategie orientate al reperimento di maggiori risorse personali e relazionali. Tra i fattori di successo, in questo gruppo più che negli altri si sottolinea la propensione a rischiare personalmente.
Nel rappresentare il rapporto con le Istituzioni e il contesto-mercato, dunque, i soggetti che condividono questo modello culturale sembrano meno implicati in dinamiche a prevalente connotazione emozionale. La rappresentazione della relazione sembra piuttosto fondata su una dimensione di competenza e di orientamento alla riuscita. In altri termini, il terzo raggruppamento culturale appare fortemente orientato al conseguimento di un obiettivo di reingresso nel mercato del lavoro attraverso l'incremento o l'aggiornamento delle proprie competenze e meno coinvolto in una dinamica disperante o rivendicativa nel rapporto con le Istituzioni e il contesto mercato, pur mantenendo un atteggiamento critico nei confronti dei dispositivi previsti per intervenire sul problema.

Rimettiamo il lavoro al centro


Roma, 17-10-2010 (RAINews 24 on line)
Dopo la manifestazione del 27 novembre - ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani parlando dal palco di piazza San Giovanni - "in assenza di risposte, continueremo la nostra iniziativa anche con lo sciopero generale. E' una delle armi che puo' essere utilizzata, anche se non l'unica".
Centinaia di migliaia di persone si sono ritrovate ieri a Roma per la manifestazione indetta dai metalmeccanici. I cortei hanno sfilato senza incidenti, mentre sul palco c'e' stata intesa tra Cgil e Fiom...................Sono centinaia di migliaia le persone scese in piazza. La Fiom sceglie di non fornire cifre ufficiali sulla partecipazione ("Contateci voi", risponde Landini ai giornalisti), ma il presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, azzarda una "stima" vicina ad un milione................ Parla del contratto nazionale e dell' "attacco" venuto dall'accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano e sulle deroghe (entrambi non firmati dalla Fiom); chiede, come Epifani, una politica diversa per uscire dalla crisi, insiste su nuove regole per la democrazia sindacale. "Il Paese sta rotolando, da mesi e' lasciato a se stesso", incalza Epifani, che parla di un governo "debole" e difende la scelta della Fiom di non accettare le deroghe. "Abbiamo il dovere di continuare questa battaglie e per continuarla si deve arrivare alla programmazione dello sciopero generale", dice Landini nel suo intervento. Dopo la manifestazione della Cgil del 27 novembre, "in assenza di risposte, continueremo la nostra iniziativa anche con lo sciopero generale. E' una delle armi che puo' essere utilizzata, anche se non l'unica", risponde Epifani, tra gli applausi della piazza. Per lui e' l'ultima manifestazione, l'ultimo comizio; il 3 novembre lascera' la guida della Cgil a Susanna Camusso.

giovedì 7 ottobre 2010

Diminuzione del suicidio non collegato ai più recenti farmaci antidepressivi

9 settembre 2010 l tasso di suicidi è in calo dalla fine degli anni 1980 in molti paesi occidentali, tra cui Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia. Intorno al 1990, i nuovi farmaci SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) è diventato disponibile sul mercato. I dati di vendita per questi nuovi farmaci antidepressivi sono aumentate su base annua, mentre le vendite dei farmaci più anziani TCA (antidepressivi triciclici) sono diminuiti drasticamente. TCA farmaci sono associati ad un rischio di avvelenamento con overdose. In uno studio recentemente pubblicato su BMC Psychiatry, i ricercatori hanno raccolto dati provenienti dai paesi nordici per il tasso di suicidi (numero di suicidi ogni 100 000 abitanti) e dati di vendita di antidepressivi, sia per gli SSRI e TCA. Un totale di oltre 60 000 i suicidi sono stati inclusi nello studio. Gli scienziati hanno effettuato un'analisi statistica della relazione tra cambiamenti nei tassi di suicidio e le variazioni delle vendite sia per i vecchi e nuovi antidepressivi nel periodo 1990-1998 nei rispettivi paesi. E 'durante questo periodo di tempo che l'aumento delle vendite è stato più grande e dove il più grande calo nel tasso di suicidi si poteva aspettare. Le questioni principali sollevate sono state: Può un significativo aumento delle vendite dei farmaci SSRI, ogni anno, essere correlato ad un netto calo del tasso di suicidi nello stesso anno? Può il calo delle vendite degli ACT essere correlato alla diminuzione del tasso di suicidio? Quando i paesi nordici sono studiate come un gruppo, lo studio si conclude con una risposta negativa ad entrambe le domande. In un precedente studio da parte (al Bramness et al, 2007) NIPH una correlazione tra l'aumento delle vendite per gli SSRI e la diminuzione del tasso di suicidi in Norvegia all'inizio degli anni 1990 è stato osservato ed è stato suggerito che questo potrebbe essere spiegato da il fatto che sempre meno persone ACT usato per commettere suicidio. Nel nuovo studio nordico questa correlazione può essere trascurato quando gli altri paesi sono inclusi nell'analisi. Il nuovo studio ha inoltre rilevato che la riduzione delle vendite TCA non può spiegare la riduzione dei tassi di suicidio. I ricercatori alla base dello studio concludono che il tasso di suicidi non è influenzato dalla vendita di antidepressivi , ma da altri fattori che sono poco compresi e sono difficili da misurare. Per maggiori informazioni: Zahl PH et al. Il rapporto tra vendite di SSRI, TCA e tassi di suicidio nei paesi nordici. BMC Psychiatry 2010, 10:62 Fornito da Istituto norvegese di sanità pubblica


orso castano : molto interesante la notizia , che arriva da fonte sufficientemente credibile.  Se pero' pensiamo alla depressione come un scivolare verso il ripiegamento su se stessi , verso la visione di u futuro c upo , verso la chiusura o comunque una forte riduzione delle relazioni nella qualita' e quantita', allora bisogna includere tra i fattori del calo suicidario anche il tresformarsi delle modalita' e possibilita' comunicative. Oggi i millenials possono esere meno soli, a nzi c'e' una ridondanza di possibilita' comunicative che pone e sempre piu' porra' ben altri problemi come ad esempio quello della critica ai contenuti di comunicazioni inutili , se non dannose o pericolose, nel senso dell'induzione di comportamenti dissociali o che si collocano sul fronte dell'assenza di etica. Ma anche qui' attenti a non drammazizzare. Gli strumenti dei millenials sono un grossissimo passo avanti nella comunicazione. La cosa piu' starna e' che sembra che queste cose interessino davvero poco ai "grandi" psichiatri.

lunedì 4 ottobre 2010

dal sito de " l'Unita" di oggi


Magistrati contro premier «Mette a rischio l'equilibrio tra istituzioni»

Il premier vuole una magistratura docile, il livello delle invettive e degli insulti ha raggiunto livelli mai visti e con la violenza dei suoi attacchi Berlusconi mette a rischio l'equilibrio tra le istituzioni (che è – lo ricordiamo – uno dei cardini della divisione dei poteri nelle democrazie). Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara commenta con amarezza e durezza le invettive del presidente del Consiglio che invoca una commissione d'inchiesta sui magistrati dove, per lui, ci sarebbe una vera associazione a delinquere che trama perché intenzionata a destituirlo dal potere benché – come ripete – investito dal popolo.
La situazione è gravissima e Palamara non lo nasconde. «Assistiamo a invettive e insulti, si vuole una magistratura docile che non disturbi il manovratore di turno», dichiara. «È difficile trovare parole per esprimere il più ampio disappunto», confessa a Sky Tg24, perché ormai «si sono raggiunti, negli ultimi tempi, livelli mai visti». Per il magistrato il quadro è allarmante: «mettere in maniera così violenta in discussione un'istituzione dello Stato, rischia realmente di sovvertire gli equilibri», ma «qui non si può più parlare di rispetto reciproco o altro, qui si tratta un'aggressione di fronte alla quale quotidianamente» siamo costretti a replicare «e questo è un problema, non solo più dei magistrati, ma delle istituzioni e del paese intero».
Le conseguenze di simili attacchi sono nefaste per la democrazia stessa, dunque. «Se questo è il principio al quale dobbiamo giungere allora possiamo pure chiudere le serrande e andare via», constata infine il magistrato. Amara, come constatazione, e purtroppo fondata.