lunedì 29 giugno 2009

La cultura giovanile in Iran: jeans, Internet e rock?

01/04/09  par Jan Aengenvoort - Isfahan 

Traduction : Alba Fortini

Il disegno che Shirin Germez traccia veloce sul tavolino di un bar pieno di fumo ad Esfahan è grande appena come un tovagliolo. È raffigurata una donna nuda che, circondata da minacciose macchie d’inchiostro, lancia uno sguardo rabbioso all’osservatore. L’oscurità circostante ha già invaso la figura della donna, solo un quadrato rosso al centro del corpo, protetto da due mani congiunte, resiste ancora al nero. «Questo non possono togliermelo», dice la giovane attrice toccando il quadrato e spegnendo una sigaretta con l’altra mano. «Ma in questo Paese non posso neanche mostrarlo». La paura per il proprio Governo, che Shirin Germez ha mostrato solo per un attimo ad un viaggiatore straniero, si può respirare in molte città del Paese. Il periodo di riforme del Presidente Khatami (1997-2005) è stato ricco di speranza nel cambiamento, ma dalla vittoria dell’élite conservatrice di Khamenei ed Ahmadinejad la delusione dei giovani istruiti e spesso occidentalisti è aumentata. Alcuni di loro lottano per una società più liberale, come i futuri medici dell’università di Shiraz, che si oppongono alla discriminazione sessuale nelle aule. Ma molti di loro si sono rassegnati, non credono più di poter cambiare questa repubblica.

orso castano : un tempo  la mia generazione cantava "e la pioggia che va " dei Rokes, augurandosi che i piccoli spazi di azzurro nel cielo sempre piu' si ingigantissero fino  a diventare " azzurro" . Potremmo ricantarla , in questi giorni tristi , insieme ai giovani iraniani.

venerdì 26 giugno 2009

Quel preveggente antropologo della mente che fu Levi'-Strauss

di Dan Sperber  da Domenica (Sole24ore) del 21/6/09 Claude Lévi-Strauss dev'essere l'antropologo più famoso nella storia della sua disciplina. Tra  gli intellettuali francesi, la sua figura si staglia singolare e imponente, seconda a nessun'altra, vicina a nessun'altra. Facendo battere loro il cuore con la promessa di avventure intellettuali, ha richiamato all'antropologia generazioni di studenti - e io fra questi - che altrimenti sarebbero diventati filosofi, storici o sociologi. Diversamente dal maestro, molti sono diventati ricercatori sul campo e non hanno dedicato molto tempo alla teoria. Nel suo seminario, di solito presentavano dati etnografici e i commenti teorici li faceva lui. Ha incoraggiato, e gliene sono ancora grato, le mie insolite meditazioni teoriche nonostante avessero un tenore critico, ma ricordo bene che molti suoi seguaci le giudicavano presuntuose come se, al suo teorizzare, si potesse sperare tutt'al più di aggiungere esegesi e note a pie'di pagina. Dite «Claude Lévi-Strauss», vi sentirete rispondere «strutturalismo». Giusto, ma in antropologia è stato anche, con molta costanza, il difensore solitario di una prospettiva naturalistica e mentalistica. E a differenza del suo strutturalismo, accolto con entusiasmo, questa è stata generalmente considerata sconveniente, un faux pas intellettuale che era meglio ignorare. Senza curarsene, in tutta la sua opera Lévi-Strauss ha insistito su una prospettiva naturalistica... Nel Pensiero selvaggio (1966), evoca la reintegrazione della «cultura nella natura e infine... della vita nell'insieme delle sue condizioni fisico-chimiche». InDa vicino e da lontano (1985), mentre prende le distanze dal naturalismo «ingenuo e semplicistico» della sociobiologia, accenna a una possibile convergenza delle scienze della natura e della cultura che spazierebbe dai meccanismi più elementari della vita ai fenomeni umani più complessi. Levi-Strauss usa «natura umana» e «mente umana» quasi come sinonimi. Già nel 1952 (alla conferenza di Bloomington, una pietra miliare) sosteneva che «un'antropologia concepita in modo più ampio» avrebbe un giorno rivelato come funziona la mente. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, la linguistica e la psicologia subirono grandi trasformazioni in seguito alle quali le loro relazioni reciproche e con l'antropologia furono da ripensare molto più radicalmente di quanto si prefigurasse Lévi-Strauss. In linguistica, lo strutturalismo è stato ormai relegato nella storia di una disciplina di cui il quadro concettuale, i metodi e il programma sono stati radicalmente ridefiniti sotto l'ìnfluenza di N0am Chomsky (ed è vero anche per la linguistica anti-chomskiana). Anche nelle sciènze sociali, lo strutturalismo appartiene al passato non perché sia stato soppiantato da un'alternativa irresistibile, ma perché lo scarto tra le sue promesse e i risultati era diventato fin troppo palese. Col  senno di poi, nelle scienze umane , lo sviluppo più importante della seconda metà nel Novecento non è stato lo strutturalismo (né - Serve dirlo? - il post-modernismo) ma   di gran lunga la «rivoluzione conitiva.  Tra gli altri successi, essa ha ricondotto la   psicologia allo studio dei meccanismi mentali; uno sviluppo che Lévi-strauss dovrebbe aver accolto con favore. Negli ultimi vent'anni inoltre, un numerocrescente di psicologi cognitivi si è reso conto che le strutture mentali potevano essere studiate non solo con esperimenti di laboratorio, ma anche attraverso le loro manifestazioni culturali. Da questo punto divista, si ricollegano a Lévi-Strauss il quale affermava nel  "Cottoo e il crudo (1969) che «lo scopo ultimo dell'antropologia è di contribuire a una miglior conoscenza del pensiero oggettivato e dei suoi meccanismi». Sotto molti aspetti, Lévi-Strauss è stato il pioniere di una vera « antropologia cognitiva». L'etichetta evoca ovviamente l'antropologia di scuola americana, nota anche come "etnoscienza" e molto influente negli anni Sessanta e Settanta. In Development of Cognitive Anthropology (1995) Roy D'Andrade parla dell'antropologia cognitiva più o meno come di un'esclusiva della scuola americana e cita a malapena Lévi-Strauss. Lo psicologo Howard Gardner, d'altro canto, in una precoce «storia della rivoluzioné cognitiva» (La nuova scienza delia mente, 1985) dimostrava una maggior comprensione, credo, nel dare pari spazio allo strutturalismo di Lévi-Strauss e all'etnoscienza. L'antropologia cognitiva americana ha prodotto un corpus di lavori (spesso discussi nel seminario di Lévi-Strauss) che ha contribuito parecchio a colmare il divario trala psicologìa cognitiva e l'antropologia. Tuttavia era concentrata sulla categorizzazione e sui modèlli culturali, e si occupava solo marginalmente di questioni più ampie di antropologia quali, per esempio, l'organizzazione sociale, la parentela o la religione. Era partita con grandi ambizioni, ma finì per ricavarsi un territorio limitato ai margini dell'antropologia e della psicologia. Invece Lévi-Strauss riteneva chelo studio dei meccanismi mentali fosse al centro delle preocupazioni dell'antropologia e pensava alla ricerca etnografica come a una fonte di saperi fondamentali sulla struttura della mente umana. L'impatto del lavoro di Lévi-Strauss sull'antropologia in sé non coincide con la fama universale di cui esso gode. Lo studio della parentela ha perso la sua centralità tradizionale, e si è focalizzato su questioni di potere o di genere molto lontane dai temi  levi'straussiani ; non ha ricevuto una grande spinta né ha tratto molta ispirazione dal suo monumentale contributo. Non saprei se questo abbia a che fare con Lévi-Strauss o con lo stato dell'antropologia, che rimane per gran parte a-teorica e non naturalistica. Anche se nuovi lettori rimangono colpiti o ispirati dalla straordinaria intelligenza ed eleganza dei suoi scritti, è improbabile che provino il senso di esaltazione intellettuale che mosse molti di noi quarant'anni fa. Ciò nonostante, mentre alcuni dei suoi pronunciamenti siano ormai di interesse storico, altri erano molto in anticipo sui tempi. Se, come credo che stia cominciando ad accadere, lo studio della mente e quello della cultura si unificheranno in un quadro naturalistico, allora Lévi-Strauss risalterà come un precursore di questa nuova avventura. (Traduzione diSytvie Coyoud)

Chi e' Dan Sperber : e' un pensatore che ha una concezione "forte" della natura umana e degli universali culturali di cui questa natura è costituita. Secondo Sperber il metodo strutturalista per rintracciare questi universali è superato, ma ciò non toglie nulla al progetto "forte" di comprendere l'essere umano nella sua interezza e su "larga scala", servendosi dell'etnologia come degli esperimenti di laboratorio, adottando un approccio darwiniano e facendo tesoro della lezione di Chomsky in ambito linguistico. Sperber ha portato avanti questo programma di ricerca come direttore dell'istituto Jean Nicod di Parigi e come autore di libri importanti come "Le structuralisme en anthropologie (1973), Rethinking Symbolism (1975), On Anthropological Knowledge (1985), Relevance. Communication and Cognition (con Deirdre Wilson, 1986), Explaining Culture (1996), Experimental pragmatìcs (con lraNoveck, 2004). Il suo lavoro sul simbolismo ha posto le basi per uno studio dei constraint cognitivi che determinano la distribuzione e la selezione delle rappresentazioni culturali La sua «teoria della pertinenza», o rilevanza, secondo la quale gli esseri umani sono continuamente ìmpegnati nella ricerca di un equilibrio tra sforzo cognitivo ed efficacia cognitiva, ha dominato la discussione nella linguistica ,nell'intelligenza artificiale e nella psicologia cognitiva deglì ultimi decenni Nei suoi ultimi lavori Sperber ha elaborato l'idea di una «epidemiologia delle rappresentazioni» che permetta di comprendere perché certe credenze, conoscenze o pregiudizi siradicano con maggiore successo di altre. Ar.M. orso castano : lo sforzo di recuperare L.Strauss all'interno di una "prospetiva naturalistica (si allude forse alla neuroscienza, oggi per la maggiore?) senza tuttavia far perdere al pensatore i suoi tratti di antropologo, e' interessante e ci aiuta meglio a comprendere cosa e' stata l'antropologia e come puo' essere comparata  (o meglio complementata) al cognitivismo, teoria/pratica che piu' di altre si presta a far da ponte tra la psicologia e le neuroscienze.  Ma e' necessario stare attenti alle tendenbze riduzionistiche , che tolgono peculiarita' all'originalita' delle teorie , appiattendole. Il fatto che una teoria antropologica o psicologica sia stata momentaneamente messa in secondo piano, non significa che non possa essere ripresa piu' tardi,  proprio rifacendosi alla sua intuizione originale , sempre ovviamente tenendo presente la sua corretta collocazione nello spirito del suo tempo. 

giovedì 25 giugno 2009

Neda, la ragazza uccisa a Teheran diventa il simbolo della rivolta

da La Repubblica.it Sui social network circola una foto presa da una pagina di Facebook Non c'è conferma che sia la stessa persona, ma agli oppositori poco importa di ALESSANDRA VITALI Un'immagine dal filmato che mostra la morte della ragazza a Teheran IL VIDEO della sua morte ha fatto il giro del mondo. I jeans, le scarpe da ginnastica, la maglietta nera, il sangue che le imbratta il viso, le urla di chi le tiene la testa mentre lei muore. Neda, la ragazza uccisa da un miliziano mentre manifestava insieme al padre nelle vie di Teheran è diventata il simbolo della rivolta dell'opposizione iraniana. Sul web, fra blog, siti, social network si accumulano in queste ore i messaggi in cui si fa il suo nome. Quasi tutti accomunati da una certezza: "Non sei morta invano"..............................

martedì 23 giugno 2009

lotta x la liberta'....

dall'ANSA del 23/6/09, clicca 

Iran: 457 i manifestanti arrestati Rilasciata la figlia dell'ex presidente Rafsanjani (ANSA) - TEHERAN, 22 GIU - Sono 457 le perone arrestate durante le violente proteste di sabato scorso nella zona di piazza Azadi a Teheran. Lo rende noto la polizia. Negli scontri 40 poliziotti sono rimasti feriti e 34 edifici governativi danneggiati. E' stata rilasciata intanto Faezeh Hashemi, la figlia dell'ex presidente iraniano Rafsanjani arrestata durante una delle manifestazioni non autorizzate. ''Poco verosimili'' i risultati del voto iraniano secondo un autorevole istituto di Londra.

scie chimiche..........aerei chimici..........salute chimica!!

le nanoparticelle, sempre piu' diffuse........e pericolose ? clicca x art. int.

Un nuovo rischio sull'ambiente di lavoro, sempre crescente, una tecnologia .....innovativa..... che non vorremmo diventasse, speriamo di dimensioni (in tutti i sensi)  minori, come quella dell'eternit. Dal punto di vista della giustizia ilo cxaso Eternit sta' facendo scuola. Speriamo di non dover applicare queste esperienze giuridiche alle nanoparticelle... 

Dal sito European Agency for safety and health at  work,  European Observatory of risk

In vivo studies for assessment of the health effects of nanomaterials , clicca x trad. To date, the promotion of research has mainly supported the performance of in vitro studies due toanimal welfare, ethical reasons related to human studies, costs. However, in general in vivo datarepresent a more reliable data base and are the European standard in regulatory toxicology in thecase of existing chemicals. The quality of the necessary toxicological investigations should also meet these standards in the case of nanomaterials. Data sets of in vivo studies involving high exposure nanomaterials must be established or supplemented. A recently developed code of conduct assists indevelopment of research programs maintaining high ethical standard.Validation of the in vitro methods and methods of physico-chemical properties as methods todetermine health effectsDue to the high costs, the long duration and for reasons of animal welfare in vivo methods have to besupplemented by in vitro methods and methods to determine physico-chemical properties, being predictive of health effects in humans. However, a comprehensive validation and evaluation of whichin vitro method (including PC method) is sufficiently sensitive and specific for long-term effects doesnot yet exist. This is necessary in order to demonstrate the relevance of these studies for regulatorytoxicology and to permit categorisation of nanomaterials and prediction of health damage.Training of workers and practical handling guidelines for activities involving nanomaterials inthe workplaceNanomaterials are increasingly produced, processed and used as a component of products, forexample, in small and medium-sized companies. Consequently, there is the need to provide aids forhandling in various work areas. General handling aids have already been produced. More specifichandling guidelines should be added for activities that possess a relevant exposure potential. Inaddition workers have to be prepared and trained to behave appropriately.It needs to be remembered that researchers working on the development of materials are among thefirst ones that may be exposed to new, potentially toxic substances. One of the main challenges is toensure their health and safety - and to maintain the development of the technology.The conclusions based on hard lessons learned following previous industrial revolutions instigate acautious approach to any new inventions. However, sufficient foresight and strategically directedresearch can – in combination – lead to successful development of nanotechnology not only as a veryhighly beneficial and profitable new technology, but also to ensuring that those working in this field cando so safely.

Effetti sulla salute . nanopatologia

da Wikipedia : effeti sulla salute delle nanoparticelle , clicca x art. ......Alcuni effetti sulla salute causati dal particolato fine (sia di natura organica che inorganica) sono già noti da tempo. La pneumoconiosi in genere (asbestosi, silicosi, talcosi, ecc.) o il mesotelioma nelle sue forme pleurica e peritoneale sono tra questi. Numerosi studi epidemiologici hanno infatti mostrato una chiara correlazione tra malattie cardiovascolari e respiratorie, da un lato, e quantità e concentrazione nell'ambiente di particelle (particulate matter, PM) di diametro aerodinamico medio inferiore a 10 micron (PM10) o a 2,5 micron (PM2,5). [2] [3] Esistono ampie prove che dimostrano come la facilità con cui il particolato entra nell'organismo dipenda in massima parte dalle sue dimensioni, al diminuire delle quali corrispondono maggiori quote d'ingresso.[4][5]............ Le nanotecnologie e l’ambiente dal sito  Straker , clicca Nel libro bianco del NIOSH sulle nanotecnologie, si afferma specificamente che i nanomateriali sono così piccoli che essi non danneggiano le cellule viventi. Tuttavia, recenti studi sull’uso dei nanotubi nei polmoni dei ratti, hanno dimostrato che essi si ammalano o muoiono dopo il trattamento. Nel progetto FMN, due persone affette da Morgellons hanno sottoposto dei campioni ad un’analisi che si è avvalsa del microscopio elettronico; i campioni sono stati confrontati con il materiale di ricaduta delle scie chimiche diffuse nei cieli del Texas. L’esame ha rivelato che il materiale in tutti i campioni erano rintracciabili vari stadi di sviluppo o degradazione delle sostanze trovate negli ospiti (Anna e Lilly): il campione delle scie chimiche corrisponde a quello delle donne esaminato. I campioni provenivano da zone distanti 1.500 miglia l’una dall’altra. Il nostro ambiente ha visto i risultati della diffusione di sostanze chimiche nel suolo, nell’acqua e nell’aria. Il DDT immesso rapidamente sul mercato quasi quarant’anni fa dalla American Bald Eagle, è stato un esempio perfetto di come una sostanza chimica può danneggiare la catena alimentare di altri animali. I nanomateriali, che vengono diffusi nei fiumi e nell’aria, sono una bomba ad orologeria per l’ambiente. E’ importante sia per gli scienziati sia per l’opinione pubblica controllare da vicino gli sviluppi della nanotecnologia e discernerne i fatti reali, per determinare se realmente può migliorare la nostra vita senza compromettere la dignità e l’integrità della specie umana. Dott. ssa Hildegarde Staninger  Traduzione di Zret & Straker

per saperne di piu' clicca

orso castano : perche' parlare delle varie forme di inquinamento  significa parlare anche del disagio psicologico? L'ambiente in cui viviamo ci puo' fornire sicurezza o incertezza , puo' causare danni al nostro cervello o puo renderlo piu efficiente, puo' fornirci strumenti oggettivi (o psicologici) per supportarci nella soluzione degli enormi problemi sociali , e psicosociali, che oggi storicamente abbiamo di fronte. Per questo e' determinante conoscere , sapere dstinguere, approfondire, criticare, il mondo materiale, l'ambiente nel quale volenti o no siamo costretti a vivere.

CHI MUORE SUL LAVORO ?

dal blog "Morti sul lavoro",clicca x art. int.

In questo copione la morte bianca è descritta sempre come figlia della mancata osservanza delle norme, dalla precarietà del lavoro, dalla rapacità di imprenditori che pur di risparmiare mettono a repentaglio la vita dei loro dipendenti. A volere esaminare il gravissimo fenomeno con gli occhi delle statistiche INAIL la faccenda è completamente diversa. Innanzitutto per le forme contrattuali: dei 1205 morti registrati nel 2006 nell’industria e nei servizi 11 erano interinali, 22 parasubordinati e 31 apprendisti per un totale che ammonta a poco più del 5 per cento. Un altro 15 per cento è classificato come autonomi mentre l’80 per cento è rappresentato da normali dipendenti, con contratto a tempo indeterminato. Quindi ancora una volta si conferma che le morti bianche non sono legate al precariato o a forme di sfruttamento forsennato del lavoro tant’è che c’è un altro dato impressionante: il fenomeno delle morti bianche è prettamente maschile: 92,6 per cento contro il 7,4 per cento delle donne. Vero è che in Italia secondo l’ISTAT le donne occupate sono meno degli uomini ma comunque rappresentano il 39 per cento della forza lavoro e si sa che da sempre sono quelle caratterizzate da maggiore sfruttamento e precarietà. Per capire meglio le cause di questo fenomeno è bene considerare le categorie che sono maggiormente esposte agli infortuni mortali: al primo posto, nell’industria e servizi, ritroviamo l’immagini di impalcature e di elmetti mai messi. Il settore costruzioni da solo è responsabile del 27 per cento delle morti bianche. Dopo però ci sono categorie molto più tranquille: trasporti e comunicazioni, commercio e addirittura attività immobiliari e servizi all’impresa. Questi tre settori, dove è difficile immaginare macchine utensili impazzite o carichi che precipitano, da soli sono responsabili del 31 per cento dei decessi. GLI INFORTUNI STRADALI – Il motivo però non è così misterioso: la metà di tutte le morti bianche (688 su 1344) sono da attribuirsi ai cosiddetti infortuni stradali, quelli che comunemente si chiamano incidenti stradali. Agenti di commercio, camionisti o autisti, passano molta della loro vita sulla strada e, percentualmente, sono più esposti ai rischi di chiunque altro. Eppure non c’è un telegiornale che ne parla, non c’è un solo trafiletto che dice, quando vi è un incidente stradale, che le vittime erano gente che stava sulla strada per lavoro o, in quasi metà dei casi a lavoro ci stava andando o tornando. Tutti questi incidenti sono classificati, giustamente, come infortuni sul lavoro ma la loro soluzione non sta in decreti che includano pene più severe con gli imprenditori, in forme di contratto meno precarie o ribellioni sindacali non si sa contro cosa. La loro riduzione passa invece attraverso l’installazione dei Safety tutor che dimezzano i morti sulle autostrade, sui t-red che multano chiunque passi con il rosso falcidiando pedoni e motociclisti, sul potenziamento di vigili e polizia stradale che hanno un notevole potere deterrente.

orso castano : le morti bianche , quelle di cui non si parla, quelle su cui che i Medici di Medicina Generale dovrebbero a lungo riflettere perche' avvengono spesso in situazioni di rischio perdurante, che portano allo stress, ad una vita precaria, alla pagnotta guadagnata a costo della vita, quelle che fanno disagio psicologico, quelle che fanno vivere dentro uno stress continuo......quelle cose quotidiane cui i giornali , quando lo fanno, dedicano un...trafiletto...anche questo e' disagio psicologico !!

sabato 20 giugno 2009

ANTITRUST: "STILLICIDIO DI LEGGI CONTRO I CONSUMATORI" !!

clicca x sito antitrust

da  L'Espresso Multimedia , clicca x il video di Catricala' , presidente Antitrust

un es. : class action , altro rinvio

  6-06-09 ANTITRUST: SU CLASS ACTION SI PROFILA PEGGIORAMENTO DELLA LEGGE , clicca  (ASCA) - Roma, 16 giu - Sulla class action si profila un peggioramento della legge. E' quanto afferma il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricala', nella relazione annuale.Il presidente dell'Autorita' ricorda che ''l'anno scorso avevamo auspicato che il rinvio dell'entrata in vigore della legge introduttiva servisse a migliorarla. La soluzione che oggi si profila sembra di segno contrario e le associazioni dei consumatori sono rimaste sole nell'affermazione di un principio di civilta' giuridica''. Piu' in dettaglio Catricala' indica che all'Antitrust ''potrebbe essere riconosciuto un ruolo piu' incisivo nell'istituto della class action che in Italia, per la resistenza di pochi, stenta a trovare giusta considerazione''.did/sam/alf      orso castano : tra i consumatori ci sono quelli che consumano farmaci e d interventi terapeutici. Anche loro hanno diritto al well beeing !!        

lu music da "City Lights" di C. Chaplin

giovedì 18 giugno 2009

il fattore umano e' determinante x la produttivita'

di Guido Romeo , da nova, il sole24ore

«La complessità aumentata e la più alta capacità richiesta si trasformano in freni» , « Da Armonk, nello Stato di New York, il lavoro intelligente è un mantra che si è diffuso in tutto il mondo. È qui, infatti, che ha sede Ibm che della "smarter workforce" ha fatto una pietra angolare sia del proprio funzionamento che dei servizi proposti ai clienti. Il lavoro intelligente, anche se "smart" richiama altrettanto efficacemente agilità e rapidità di risposta, è infatti una delle colonne portanti della visione "Smarter Planet" lanciata qualche mese fa dal Geo Sam Palmisano: un mondo più piatto e connesso, più efficiente, competitivo e pulito. «L'idea della "smarter workforce" discende da un'analisi approfondita degli scenari globali, confermata dalla recente crisi - osserva Martina Pareschi, leader per risorse umane di lbm nei global business services in Italia -: si tratta di un insieme di tecnologie e servizi che permettono di lavorare in maniera interconnessa e orizzontale, molto richiesti da aziende e organizzazioni che si evolvono verso grandi strutture a rete. È comunque un'analisi cross-sector e cross-industry». Il recente studio di Ibm, che ha coinvolto 400 Ciò, ha evidenziato le tendenze che avranno il maggior impatto entro il 2010. Non è un caso se tra esse emergono l'integrazione globale, l'internet partecipativa; il cambiamento della demografia della forza lavoro; la crescita del software come servizio; la virtualizzazione dei dati e dei dispositivi e l'accresciuta ; semplicità nell'utilizzo della tecnologia. «Gli ultimi 18 mesi hanno registrato una grande vitalità nella richiesta di questi servizi - osserva Pareschi - ed evidenziano un'importanza crescente del fattore umano , nell'utilizzo delle tecnologie perché si punta a sviluppare organizzazioni del lavoro in grado di produrre innovazione continua. In questo quadro il management delle risorse umane deve giocare un ruolo sempre più importante». Così, se una volta chi parlava di informatizzazione per le risorse umane pensava soprattutto alla gestione degli stipendi e delle risorse interne, oggi le esigenze sono assai più sofisticate «Ora si chiede supporto più evoluto al business e capacità di giocare un ruolo attivo nel rispondere alle esigenze aziendali-sottolinea- per che è sempre più chiaro che »  un'organizzazione più dinamica della propria forza lavoro sarà un fattore cruciale nel determinare in che condizione le aziende emergeranno dalla crisi e contribuirà alla competitivita di lungo periodo». L'introduzione di questi nuovi strumenti, e la riorganizzazione del lavoro che li deve accompagnare non è però sempre facile, soprattutto in Italia. «I problemi sono sostanzialmente riconducibili a tre ordini di fattori - chiarisce Pareschi - da una parte l'aumento di complessità che richiede un ripensamento del modo di lavorare per guadagnare davvero  efficienze e che si scontra con inevitabili resistenze al cambiamento; la tecnologia come fattore abilitante, ma che richiede una capacità più alta»  di elaborazione dei dati; infine un ripensamento del ruolo dei responsabili delle risorse umane che devono essere in grado di condividere meglio le informazioni». L'adattamento al lavoro intelligente non è sempre facile, ma porta in sé un grande potenziale, soprattutto nell'attrazione dei talenti, la risorsa più preziosa della nuova economia della conoscenza, che mostralo di preferire organizzazioni più dinamiche e tecnologicamente evolute, dove le proprie capacità possono esprimersi al meglio. 

orso castano : vexata questio , ma sempre valida ed attuale . Il fattore umano e' sempre determinante  nell'impresa . La luga storia sindacale italiana e' puntellata da rivendicazioni che vanno in questa direzione.

Confindustria, perso 1 milione posti lavoro entro 1° trim. 2010 , clicca x art. int.

  giovedì 18 giugno 2009 14:05  di Francesca Piscioneri ROMA (Reuters) - Il Centro studi di Confindustria stima che la recessione distruggerà entro il primo trimestre del 2010 un milione di posti di lavoro in Italia, fra cassa integrazione e disoccupazione, cifra che potrebbe aumentare nel caso di grosse ristrutturazioni produttive. Nel rapporto presentato oggi dal direttore del Csc, Luca Paolazzi, si rivedono al ribasso le stime sul Pil del 2009 portandole a -4,9% rispetto al -3,5% indicato a fine marzo e si conferma il segno più per il 2010 (+0,7% da +0,8%) basato sull'ipotesi di una ripresa dell'export dopo il -17,3% del 2009. La ripresa, avvisa il Csc, sarà tuttavia "ripida, faticosa" e "una ripresa lenta non basterebbe a evitare ristrutturazioni in molti settori". "Complessivamente le unità di lavoro perse a causa della recessione tra il primo trimestre del 2008 e il primo trimestre del 2010 sono stimate prossime a un milione", si legge nel rapporto sulla situazione economica italiana................................

Stress – Mind – Health The START procedure for the risk assessment and risk management of work-related stress di Rolf Satzer , clicca x art. int.

da European Agency for Safety and Health at Work 

Since 1996, a labour protection law in compliance with the compulsory statutory prescriptions of the European Union (Directive 89/391/EEC) has also been applied in Germany. At the heart of the law lies the intention to create a people-friendly structuring of work, and along with it, all-inclusive, effective and preventative occupational health and safety. Put in another way, it concerns a humanisation of work in order to make possible working conditions that not only prevent the occurrence of health problems and illnesses but also make it possible for employees to work in a safe and healthy way. Inappropriate mental stress such as work-related stress due to heavy work load and time pressure is part and parcel of everyday working life for an increasing number of employees, with corresponding effects on their health. Estimates and scientific research reveal that in Germany around 20,000 cases of heart attacks have work-related causes. In relation to the amount of inappropriate mental stress, experts like the occupational health practitioner Professor Siegrist judge that 10,000 of these heart attack cases could be prevented by stress prevention at the workplace. All the more important, therefore, are company preventative measures and corporate campaigns such as those that have been conducted within the framework of “The Company Crime Scene - psychological stress“ by IG Metall in Baden-Württemberg. The experiences collected here show: a risk assessment of mental stress at a company level is made possible by the use of simple, comprehensible and practical tools. This leads as a consequence to a marked improvement in the stress and health conditions of employees and can provide a springboard for an advanced preventative process. The present Handbook presents an implementation strategy for risk assessment of mental stress which was carried out with positive results in numerous companies within the framework of the campaign. It sets out a handy procedure that has been tried and tested in company practice and which is recommended to employees, workers’ councils, employers and company occupational health and safety practitioners. The procedure is based on statutory requirements and norms. It can be modified, meaning that it can be tailored to varying working conditions and requirements......The norm relates explicitly to the workplace and applies to the structuring of working conditions. It distinguishesbetween occupational mental stress and the demands of work, where occupational stress is to be understood as those factors that affect people. In contrast to this, mental strain represents the immediate (not long term) personal consequences of these work-related effects on people – that is, the short term results of demands on the body and mind. These definitions are, first of all, very general and neutral; that is, one can presume that there may be positive as well as negative stresses and demands. So the term stress, contrary to its use in everyday speech, is not employed in a negative sense but rather neutrally in the first instance. Stress can have positive as well as negative effects. Positive effects may for instance take the form of motivation, training, practice or the development of a skill.......Mental stress is here defined as “The total of all assessable influences impinging upon a human being from external sources and affecting it mentally” The norm lists in an exemplary and concrete way what is to be understood by these influences from the occupational point of view. They come into being through: demands made upon them by the task (e.g. the processing of information, unbroken concentration, shift work or risks); social and organisational factors (e.g. the atmosphere in the company or the management structures); physical conditions (e.g. noise or climatic conditions); social factors outside the organisation (e.g. the economic situation); In relation to the working process the factors that influence mental stress and its characteristics may be set out in the following manner...........................traduci con google

orso castano : anche a livello europeo le istituzioni preposte agli interventi sulle malattie da lavoro stanno semprepiu' prendendo coscienza ed organizzando interventi per riconoscere e prevenire i rischi che provocano stress lavorativo . L'articolo ne e' un esempio , anche se molti concetti e strumenti di controllo in questo campo  sono ancore da meglio definire. Questo certamente avverra' nel tempo attraverso la loro sperimentazione. Interessante il concetto , ancora abbozzato, sul lavoro come fattore per i well beeing.

mercoledì 17 giugno 2009

La sessualità: normalità e patologia

da "L'altro", rivista di formaazione della SIFIP

di Maria Fontana (psicolga) , Marina Miniati (psichiatra), Alessandro Bani (psichiatra) : AUSL 12 Viareggio

Lo sviluppo dell'attuale concetto di sessualità è il risultato di un percorso complesso e articolato, caratterizzato dall'attribuzione di connotazioni talvolta positive, talvolta negative, che chiama in causa diversi ambiti di interesse. Parlando di sessualità, dobbiamo riferirci ad aspetti biologici (elementi determinati a livello cromo-somico e neuroendocrino) , cognitivi  (definizione di sé, degli altri e concezione stessa di sessualità) , comportamentali (azioni che sono il risultato di condotte innate o di apprendimenti a livello sociale) e infine emozionali (modalità di risposte di attivazione anche in questo caso geneticamente determinate o apprese).  La nozione di "sessualità" è strettamente correlata a quella di identità e comporta il riferimento a diverse tipologie di manifestazione o concettualizzazione del termine stesso . A tal proposito possiamo citare la classificazione realizzata da Bancroft , il quale ne distingue otto forme diverse, seguenti l'una all'altra (eccezion fatta per l'ultima, che si sviluppa parallelamente alle precedenti) : sesso cromosomico (o genotìpico) , gonadico, ormonale, organi sessuali interni, sesso fenotipico (genitali esterni e caratteristiche sessuali secondarie), legale (anagrafico), identità di genere e differenziazione sessuale cerebrale. Bai darò Verde e Grazziottin definiscono l'identità come la "totalità della persona" costituita da tre componenti: biologica (cromosomica e gonadica) , sociale (definita dal sesso anagrafico e quindi dal nome assegnato alla nascita) e psicologica (rappresentata dal Sé psichico, la "totalità della struttura mentale").Viene quindi considerato essenziale il riferimento a componenti sia geneticamente che culturalmente determinate. In questo senso, la sessualità e l'identità rappresentano l'esito dell'interazione tra molti fattori e tale esito può essere considerato come aderente o meno alla "norma".La normalità in materia sessuale può riferirsi alla norma intesa come biologica (per cui si è normali quando si appartiene a uno dei due sessi presenti in natura, maschile o femminile) , statistica (la curva gaussiana prevede una percentuale di popolazione normale di circa il 66%), psicologica: la normalità comporta lo sviluppo armonioso della personalità .

L'evoluzione dei concetti normale-patologico Non è semplice definire il concetto di normalità in questo ambito. Si potrebbe affermare che la definizione assume connotati diversi nel tempo e nello spazio. Ciò che era "anormale" anche solo un secolo fa. oggi potrebbe non essere più considerato tale. Se pensiamo all'epoca vittoriana, i criteri di normalità stabiliti erano molto rigidi e tutto ciò che si distaccava dal biologicamente determinato era definito perverso e deviante. Andando indietro nel tempo, secondo studi etnologici sulle culture primitive, le deviazioni vittoriane erano invece accettate (ad esempio, persone che vivevano come se appartenessero al sesso opposto rispetto a quello biologico erano considerati sciamani) e nell'antichità greco-romana erano praticate e accettate forme di omosessualità maschile e pederastia. L'evoluzione dei concetti normale-patologico è evidente anche all'interno delle diverse edizioni del DSM. il Manuale Diagnostico e Statistico dell'APA. Pensiamo al caso dell'omosessualità, considerata nelle prime edizioni una "Deviazione Sessuale", un "Disturbo della condotta sessuale". A partire dal DSM-III-R  ritroviamo solo l'omosessualità nella forma egodistonica come "Disturbo dell'orientamento sessuale", mentre la forma egosintonica è stata eliminata in quanto non più considerata patologica. Questo per quanto riguarda l'evoluzione temporale del concetto. Per quanto concerne invece la dimensione spaziale, esistono differenze presenti tra le varie culture nel definire ciò che rientra nella normalità e ciò che invece costituisce patologia. A tal proposito alcuni studiosi parlano di "sindrome legata alla cultura" (4), secondo la quale alcuni comportamenti sarebbero risposte a condizioni definite culturalmente. Evero peraltro che nella nostra cultura vengono attuati dei comportamenti "normali", ma che sono considerati patologici in altre culture. Ad esempio, relativamente all'omosessualità, nella cultura occidentale spesso questa non è accettata e comporta atteggiamenti discriminatori e colpevolizzanti; in molte culture non occidentali, invece, l'omosessualità è accettata, soprattutto in alcune forme (paticismo e pederastia; in altre ancora, l'omosessualità femminile, al contrario di quella maschile, viene duramente condannata. Sono presenti anche delle condizioni riconosciute come patologiche da tutte le culture. Possiamo citare il Deficit della 5-alfa reduttasi3 e il Koro. Il Disturbo dell'Identità di Genere (DIO) è definito quindi come patologia proprio in quanto comporta l'esclusione di chi ne soffre dalle due categorie di genere biologicamente stabilite, cioè maschio o femmina, e ciò che viene criticato dalla popolazione transgender è proprio l'impossibilità di poter trovare una collocazione sull'asse della sessualità che vede ad un estremo l'uomo e all'altro la donna; al centro trovano spazio tutta una serie di manifestazioni e di espressioni "non convenzionali" del modo in cui ognuno può vivere la propria sessualità. La questione relativa al mantenimento di questa patologia all'interno dei principali sistemi nosografici è attualmente in discussione e comporta riflessioni di carattere etico-legale oltre che clinico. Il Disturbo dell'Identità di Genere II concetto di genere viene comunemente utilizzato per indicare l'appartenenza al mondo femminile o maschile. La questione è stata affrontata tra gli altri da Money, che inizialmente ha utilizzato il termine come concetto "ombrello" per distinguere la femminilità e la mascolinità dal sesso biologico. È necessario infatti separare sesso e genere; il primo è impiegato come criterio classificatore relativo al sesso genetico, ormonale o dei genitali esterni; il secondo è un termine maggiormente estensivo in quanto include aspetti somatici e comportamentali. Partendo da questi presupposti, l'Autore  sviluppa il concetto di identità di genere, definita come la percezione globale dell'individuo sul suo genere e quindi l'identità personale come uomo o donna. Al tempo stesso, indica anche il livello personale di conformità alle norme sociali relative a ciò che è femminilità e mascolinità. In riferimento a quest'ultimo aspetto, si può parlare di ruolo di genere, cioè tutto ciò che una persona fa per dimostrare a sé stesso e agli altri il suo grado di femminilità, mascolinità o ambivalenza. Il ruolo quindi include aspetti come il lavoro, lo sport, i giochi, l'abbigliamento (forse il simbolo principale per un'identificazione immediata), il proprio stile di vita in generale. Altro concetto che dobbiamo analizzare è quello di orientamento sessuale; è un'ulteriore componente dell'identità di genere riferita alla persona, all'oggetto o circostanza che è in grado di produrre eccitamento e interesse sessuale, nonché la modalità di risposta ai diversi stimoli sessuali. I tre concetti sono strettamente correlati e la maggior parte delle persone mostra congruenza e armonia tra identità, ruolo di genere e orientamento sessuale. Esiste comunque una minoranza che manifesta comportamenti non conformi a quanto socialmente stabilito per il genere di appartenenza. In questo caso è più corretto parlare di un continuum lungo il quale si manifestano diversi gradi di tale incongruenza. A tal proposito possiamo citare la scala elaborata da Kinsey nel 1948 (12), che classifica sette diverse forme di orientamento, collocando agli estremi l'omosessualità e l'eterosessualità esclusive; al centro si trovano cinque forme che esprimono una maggiore o minore soglia di omosessualità/etero-sessualità.Doorn (13) ipotizza la compresenza di un sottosistema maschile e di uno femminile dell'identità di genere; quest'ultima quindi si esprime in modo diverso a seconda della superiorità e della modalità di espressione di uno dei due sottosistemi. Anche in questo caso, come per Kinsey, non abbiamo una classificazione dicotomica ma un continuum che vede ad un estremo persone che manifestano un'identità congruente con il sesso biologico e all'altro persone che vivono come appartenenti al sesso opposto (transessuali); al centro l'Autore colloca gli eterosessuali non esclusivi, i bisessuali, gli omosessuali e i travestiti.Se ci riferiamo al DSM IV TR (2000) emerge peraltro come il DIG sia inserito in una classe di disturbi che non prevede il Feticismo di Travestimento che invece è inserito nelle Parafilie. Questo per sottolineare ancora una volta che da un punto di vista categoriale i criteri sono significativi per enfatizzare alcune caratteristiche del DIG stesso: "una forte e persistente identificazione con il sesso opposto" con "persistente malessere riguardo il proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso". La condotta di travestimento, anche dal punto di vista psicodinamico, come sottolineano Affatati e Coli. (2006) (14), viene ad essere conseguenza della identificazione con il sesso opposto e questo differenzia il DIG dal Feticismo di Travestimento dove il travestimento ha effetto e finalità eroticizzante ed eccitante. Nel parafilico "la motivazione del travestimento è individuabile nel piacere narcisistico di vedersi ed essere visto come essere ermafrodita, per il transessuale travestirsi è adeguarsi a come si sente di essere".Per quanto riguarda il processo di formazione dell'identità sessuale, Fenelli e Volpi (15) evidenziano l'interazione tra fattori biologici (espressi attraverso il sistema endocrino e che determinano il dimorfismo sessuale del sistema nervoso centrale e periferico) e contesto ambientale (indicanti le basi per il comportamento e lo stile di vita maschile e femminile). Partendo dal corredo cromosomico XX o XY, la produzione ormonale determina, già a livello intrauterino, la differenziazione go-nadica, degli organi sessuali esterni e cerebrale. Il comportamento, invece, sarebbe determinato più da processi di comunicazione sociale e di apprendimento che da differenze ormonali. In questo caso emergerebbe quindi un processo organizzativo della conoscenza individuale (16) basato essenzialmente su processi emozionali; attraverso l'autostimolazione dei primi anni di vita, l'attività masturbatoria nella pubertà e lo sviluppo di forme più complesse del linguaggio, emergerebbero nuovi livelli di conoscenza sempre più articolati ed eterogenei. Il desiderio sessuale diventerebbe via via sempre più influenzato da stimoli psicosociali, oltre che dalle fluttuazioni ormonali. L'identità sessuale è formata quindi da alcuni elementi strutturali (corredo cromosomico, contesto ambientale ed ecosistema) che però non sono totipotenti e rappresentano le prime possibilità di crescita e al tempo stesso i primi vincoli. Nel momento in cui si verificano delle deviazioni daquesto percorso, è possibile che emergano incongruità tra il sesso biologico e la percezione che il singolo ha di se stesso come appartenente ad un determinato genere. In questo caso Fenelli e Volpi si chiedono se sia possibile parlare di "identità transessuale". Ipotizzano che il transessuale sappia "che cosa non è" (non si sente né uomo né donna) e vada alla ricerca di comportamenti o interventi sul proprio corpo che gli garantiscano un'identità definita. In questo senso si potrebbe sostenere che la continua ricerca di un adeguamento al sesso opposto (che raggiunge il culmine con la Riattribuzione Chirurgica di Sesso, RCS) sia il risultato di pressioni sociali tendenti a far rientrare nella norma ciò che viene percepito come diverso. Baldaro Verde e Grazziottin (2) distinguono tra basi pre e post-natali dell'identità sessuale psicologica. Nel primo caso si evidenziano processi di tipo inconscio e il processo di divisione dell'archetipo dell'androgino e l'accettazione dell'appartenenza al proprio sesso biologico. I fattori post-natali comprendono in primo luogo i rapporti che si istaurano con la coppia genitoriale. Emerge l'esigenza di soddisfare alcuni bisogni di base, tra i quali il bisogno di essere accettato e riconosciuto dalla madre, bisogni di attaccamento, potere, autonomia e autostima. La soddisfazione di questi bisogni psicologici si realizza durante quelli che sono i tre periodi critici fondamentali: il primo (corrisponde ai primi 18 mesi di vita) vede centrale il rapporto con la madre per l'accettazione della realtà esterna come luogo positivo, per l'acquisizione dell'identità di genere e di ruolo e una corretta erotizzazione del corpo, mentre il padre svolge un ruolo indiretto evitando di trasmettere un'immagine maschile negativa. Nel secondo periodo critico (edipico) il ruolo del padre è decisamente più attivo e in primo piano. Infatti, oltre a permettere il distacco dalla figura materna, consente l'identificazione e l'idealizzazione della figura maschile nel figlio; nella figlia permette il consolidamento e completamento dell'identità femminile. La terza fase (dalla pubertà alla tarda adolescenza) vede come bisogni principali l'autonomia e l'autostima ed è necessaria una ristrutturazione dell'identità acquisita in precedenza per interiorizzare l'identità sessuale certa. Secondo questi Autori quindi si può ipotizzare che la percezione intra-psichica dell'identità sessuale sia legata soprattutto alla fase post-natale e sarebbero centrali i processi e le modalità con cui si realizzano le interazioni di identificazione con il genitore dello stesso sesso e di complementazione con il genitore del sesso opposto. Secondo la teoria di Ruggeri e Ravenna ( 171 la percezione corporea è il fondamento dell'identità. L'Io, infatti, sarebbe un'unità psicofisica risultante dall'integrazione di tre livelli di esperienza: le proiezioni sensoriali (dagli organi di senso alle strutture cerebrali), l'immagine corporea e la rappresentazione del Sé (che comprende anche modelli sociali). I processi alla base dell'immagine corporea sono sia analitici (percezione delle sin-gole zone del corpo) sia sintetici (ampi distretti e sottounità) . Da questo avrebbero origine delle vere e proprie mappe corticali connesse agli stili di vita, alla storia relazionale e intrapsichica del singolo, e quindi alla sua identità. Al di là delle posizioni personali, la conoscenza delle più importanti teorie della formazione dell'identità sono essenziali per un più corretto e responsabile approccio al problema ed ad una sua gestione globale più adeguata; nel momento in cui si verificano deviazioni da questo percorso (causate da diversi fattori, a seconda della teoria eziologia di riferimento), possono presentarsi quindi delle difficoltà nell'identificazione e nell'acccttazione del proprio genere; se tali difficoltà diventano persistenti e sono causa di disagio e sofferenza, possiamo parlare di un Disturbo dell'Identità di Genere..................   BIBLIOGRAFIA.................... (1) Bancroft, J., Human sexuality and its problems, Edimbourgh, Churchill Livingstone, 1989. (2) Baldaro Verde, J., & Grazziottin, A., L'enigma dell'identità: il transessualismo, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1999...........................Note................................

Secondo la classificazione di Gorer (5), si distinguono tre forme di omosessualità: pederastia, omofilia e paticismo; quest'ultimo caso comporta una trasformazione di ruolo del partner passivo, il quale solitamente non svolge un ruolo maschile né sessualmente, né socialmente (6). Anche Herdt (7) individua tre stili di omosessualità: gender-reversed, role-specific ed infine age-asymmetric. Il modello gender-reversed corrisponde al paticismo di Gorer.La pederastia è definita come il rapporto omosessuale tra due partner con notevole differenza di età; nello specifico uno dei due è in età pubere o addirittura prepubere (Gorer, 1966). Corrisponde al modulo "asimmetrico rispetto all'età" di Herdt (7).

Il deficit della 5-alfa-reduttasi è una rara malattia autosomica recessiva che causa pseudoermafroditismo maschile, con differenziazione incompleta dei genitali maschili in pazienti 46, XY. Tale condizione è determinata dalla carenza dell'enzima 5-alfa-reduttasi responsabile della conversione del testosterone in diidrotestosterone, essenziale per la normale differenziazione dei genitali maschili esterni. Durante la pubertà, ammesso che non sia stata eseguita la gonadectomia, si ha una virilizzazione significativa, grazie alla quantità di androgeni sufficienti a mascolinizzare i genitali esterni, mutando così l'aspetto da ragazza a ragazzo. Per quanto riguarda l'identità di genere, non sembrano presenti particolari problemi anche grazia all'adeguata mascolinizzazione delle strutture cerebrali (8) Il Koro e' un episodio di ansia estrema, rilevato anche nel Sud e nell'Est dell'Asia, relativa alla possibilità che il pene rientri nel corpo, provocandone persino la morte (9). Il Disturbo dell'Identità di Genere . Alla domanda relativa alla motivazione della classificazione del DIO come disturbo mentale, Cohen-Kettenis (10) risponde che uno dei principali motivi è di ordine pratico e fa riferimento ai costi economici che comporta il trattamento del disturbo stesso (che normalmente sono sostenuti dai vari sistemi sanitari nazionali; ciò non si verificherebbe se si riportasse la questione nella "normalità").

il mobbing tra donne : una novita' molto negativa (clicca x articolo int.)

daJobtalk di Luigi Ballerini.- Lo ha rivelato una ricerca svolta nel 2007 dal Workplace Bullying Institute in partnership con Zogby International, sulla base di 7,740 interviste online capaci di costituire un campione rappresentativo della popolazione adulta US (margine di errore +/- 1.1 punti percentuali) Tale indagine è stata recentemente ripresa da Mickey Meece nella rubrica Business del New York Times portandola di stridente attualità. Primo dato della survey: il 37 % dei lavoratori ha subito atti di bullismo. Si potrebbe parlare di una situazione a carattere epidemico senza il timore di esagerare. Tra gli altri key finding: la maggior parte dei bulli sono capi (72%), il bullismo ha una frequenza quattro volte maggiore delle cosiddette molestie illegali, il 45% delle vittime soffre di problemi di salute correlati allo stress, il 40% delle vittime non dichiara il bullismo al proprio datore di lavoro e solo il 3% si rivolge a legali. A un certo punto però un dato balza all’occhio, proprio quello ripreso dal NYT nel suo titolo: “Backlash: Women Bullying Women at Work”, che potremmo tradurre come “Un colpo di frusta: donne che esercitano il bullismo sulle altre donne al lavoro”. Ci sono più bulli in ufficio tra gli uomini (60%) che tra le donne (40%), ma se andiamo a vedere il target dei loro atti di bullismo scopriamo che ben il 71% delle donne esercita azioni contro altre donne. Gli uomini invece si rivolgono nel 54% dei casi contro altri uomini, e nel 46% verso le donne............

Intervista esclusiva a Faezeh Hashemi sulla situazione in Iran dopo l'esito delle elezioni presidenzial

da Radio Radicale, un esempio dell'uso di internet come strumento libero di informazione , contro ogni bavaglio !!

TEHERAN, 14 giugno 2009 - 12:32 - Di Francesco De Leo  I leader riformisti sono agli arresti o barricati in casa. Subiscono con sempre maggiore frequenza minacce e violenze. Faezeh Hashemi, Presidente della "Federazione Islamica delle donne dello sport" e figlia dell’ex Presidente Hashemi Rafsanjani ha, nonostante questo, accettato di essere intervistata da RadioRadicale. La sua famiglia è stata attaccata con forza da Ahmadinejad in campagna elettorale e dopo l'esito del voto, il presidente ha promesso alla gente che sarà lui in persona ad occuparsi dei nemici interni dell'Iran. Hashemi Rafsanjani è considerato dal regime il grande stratega delle proteste di questi giorni e si parla con sempre più insistenza di un immediato regolamento di conti nel Paese

anche questo e' disagio......!!....forse provoca depressione e disperazione !

da Radio Radicale

Sit-in di protesta organizzato da una delegazione della popolazione colpita dal terremoto in Abruzzo in piazza Montecitorio

lunedì 15 giugno 2009

vulnerabilita' alla depressione

da "L'altro" del sett. dic. 08, Soc. Ital. Form. Psich. allegata alla SIP

Giovanni Stanghellini Alessandro Ambrosini, Raffaella Ciglia Dipartimento dì Scienze Biomediche - Università "G. D'Annunzio" Chieti) Riassunto II concetto di crescita appartiene ad un'epoca pre-tecnologica, in cui l'adolescenza era concepita come età di transizione con lo sguardo implicitamente volto al futuro. L'epoca della Tecnica sta oggi imponendo, pur nell'inconsapevolezza collettiva, un cambiamento radicale: nel modo di vivere il tempo, caratterizzato dall'enfasi del presente; nel modo di affrontare la vita, dove gli strumenti anticipano i progetti; nelle relazioni interpersonali spogliate del carattere di immediatezza. La psicopatologia degli adolescenti, analizzata nelle esperienze del panico, dei disturbi alimentari e della noia cronica, rivela le ombre dell'odierno clima culturale, facendo emergere inadeguatezze nel controllo delle emozioni, nell'accettazione del corpo, nel colmare l'angoscia del vuoto. Solo la creazione di nuove forme simboliche culturali, capaci di garantire un senso antropologico alla vita degli adolescenti, può rimotivare il desiderio della crescita. Esse precedono ogni tecnica psicoterapeutica e hanno a che fare con le categorie dell'entusiasmo, dell'accompagnamento da parte degli adulti, della responsabilità e del limite. Summary The growth concepì belongs to a pre-technological's era, in which adolescence was conceived like a transi-tion age with thè look implicitly face to thè future. The Technic's era is nowadays imposing, even if in a collec-tive unconsciousness, a radicai change: in thè way to live thè time, characterized by thè present's emphasis; in thè way to face thè life, where instruments come before projects; in interpersonal relationships undressed from immediateness character. The psychopathology of teenagers, analysed in panie's experiences, in alimentary disturbs and in chronic bore, reveals thè shadows of today's cultural situation, making to emerge inadequacies in thè contrai of emo-tions, in body's acceptation, to filling thè empty's an-guish. Only thè creation of new types of cultural symbols, able to assure an anthropologic sense to thè life of teenagers, can motivate again thè growth desire. They anticipate each type of psychotherapeutic technique and they con-cern thè categories of enthusiasm, accompanyment by thè adults, responsability and limit. Dal concetto di temperamento al concetto di configurazione antropologica Per formulare un discorso sulla vulnerabilità alla depressione è necessario considerare le strutture soggiacenti la persona, individuate nelle nozioni di temperamento e personalità. I concetti di "personalità" e "temperamento" consentono di individuare la caratterizzazione fenotipica della vulnerabilità ai disturbi affettivi e la comprensione della loro patogenesi.I vari modelli presenti in letteratura si sviluppano lungo un continuum che, partendo da profili prossimi alla sfera biologica, si snodano progressivamente verso costrutti di più ampio respiro antropologico passando attraverso la sfera cognitiva, emotiva e comportamentale e arrivando a considerare la posizione dell'uomo in quanto modo-di-essere-al-mondo. Nel definire il rapporto tra i due concetti, Jaspers afferma che il temperamento è la struttura soggiacente alla personalità. Le varie definizioni di temperamento, infatti, ne mettono in luce la prossimità alla componente biologica della persona: temperamento come atmosfera interna (internai weather) in cui evolve la personalità (Allport, 1961), come insieme di caratteristiche semplici, non motivazionali e non cognitive (Ruttert, 1987), come comportamento stabile e reazioni emotive che compaiono precocemente in parte influenzate dalla costituzione genetica (Kagan, 1994), come insieme di attitudini e abilità basate su percetti (percept-based) (Clo-ninger, 1994). Rispetto al temperamento la personalità è un concetto più comprensivo, riferito a quell'insieme relativamente omogeneo di pensieri, costumi , valori e comportamenti che, nella loro integrazione, costituiscono il nucleo fondante il proprio essere e il proprio agire. Jaspers definisce il carattere o la personalità' come "l'insieme individualmente caratteristico e vario dei rapporti comprensibili della vita psichica". Nel delineare il pensiero caratteriologico ne mette in luce l'intrinseca ambiguità: da una parte si propone come conoscenza nel tentativo di constatare ciò che è così, dall'altra diviene un appello alla libertà aprendosi alle possibilità dell'esistenza, a ciò che può essere. Da un lato infatti il carattere si riferisce a un modo peculiare di essere, che esiste originariamente e non si modifica essenzialmente, dall'altro è anche divenire ed essere divenuto, è ciò che nel mondo si realizza attraverso le situazioni, le occasioni ed i compiti che gli vengono dati, è il prodursi dell'uomo nel tempo (Jaspers -1913). La caratterologia è rivolta allo speciale "essere così" (Soseih) dei singoli individui, al concatenarsi di qualità costanti e alle loro relazioni comprensibili. L'esistenza di un individuo non è afferrabile come carattere, semmai appare attraverso di esso, che ne rappresenta una manifestazione empirica sempre aperta a nuove possibilità. Anche Schneider (Schneider -1946) ridimensiona il determinismo di fattori disposizionali e rivendica il ruolo dell'autodeterminazione dell'individuo che possiede un certo margine di libertà per esercitare le proprie scelte. Inoltre esplicita la necessità di evitare improprie sovrapposizioni tra i concetti di varianti di personalità e disturbi di personalità. Per quanto concerne le varianti di personalità non è dato fare diagnosi, ma al più individuare tipi pregnanti. Per Schneider l'abnormità consiste nel prevalere di un determinato tratto di personalità, che di per sé non ha nulla di patologico, ma può riscontrarsi in misura maggiore o minore in tutto il genere umano. "Esistono tratti e tipi di personalità che, pur essendo varianti disposizionali, sono modificati dallo sviluppo, dalle oscillazioni del fondo (Untergrund) e dall'azione degli avvenimenti (Erlebnisse) in senso lato." In quest'ottica una personalità con una data disposizione ùmica è un individuo con una potenzialità per il dispiegamento di determinati tratti di personalità. Nel caso della personalità depressiva è improprio ridurla a un "disturbo", in quanto incarna un vissuto espressione della condizione umana. Rispetto al concetto di personalità, quello di "configurazione antropologica" consente di comprendere il ruolo che giocano i valori in quanto ordinatori dei significati della propria esistenza. Infatti nella loro dimensione assiologica i valori sono attitudini che concorrono a regolare le azioni significative della persona, sono articolati in concetti originatisi non dalla ragione ma dai sentimenti; sono organizzati secondo una costituzione ontologica, vale a dire un certo tipo di relazione che la persona intrattiene con se stessa, con gli altri e con il mondo. Date queste caratteristiche/i valori strutturano una visione del mondo che comporta assunzioni circa ciò che è giusto e ciò che è importante. Il costrutto di "configurazione antropologica" applicato alla psicopatologia mette in luce come nello stile di vita e nella struttura dei valori della persona sia già inscritto il germe del proprio scompensarsi (Stanghellini 1997). La configurazione antropologica vulnerabile alla depressione: il Typus Melancholicus Nel caso specifico della vulnerabilità alla depressione, il Typus Melancholicus (TM)3, così come descritto da  Tellenbach, potrebbe essere inquadrato come un "assio-tipo", in quanto nella struttura dei propri valori si trova inscritto il destino fenotipico della melancolia. Nella struttura valoriale del TM il concetto di ciò che è giusto è parametrato rispetto ad un criterio esterno impersonale dettato dall' Altro generalizzato (Mead 1934). Prima facie lo stile di vita delle persone inquadrabili in questa configurazione sembrerebbe caratterizzato da ipernormalità, conformismo ed estremo adattamento alle norme sociali. Una rigida adesione alle regole e alle gerarchie sociali garantisce il mantenimento di un ordine prevedibile e gestibile nei rapporti interpersonali. Le caratteristiche che emergono in primo piano come tipizzanti tale assetto di personalità sono la  ordinatezza e coscienziosità. Inordinatezza è definita come una versione accentuata di ordine particolarmente evidente nel campo delle relazioni interpersonali. Il rassettare e mettere in ordine del TM passa attraverso il rapporto con il prossimo, si manifesta soprattutto nell'ambiente domestico e lavorativo ed è finalizzato al mantenimento dell'atmosfera circostante sgombra da possibili conflitti che potrebbero comportare sentimenti di colpevolezza. Il TM incarna il prototipo della sollecitudine; attraverso il suo modo di essere per gli altri egli riesce ad anticipare qualunque possibilità di rimanere in debito. Emblematico a questo riguardo il vissuto espresso da una paziente: "Quando qualcuno mi aiuta io mi sento in colpa. Se qualcuno mi aiuta poi dovrebbe dimenticare di averlo fatto. Non voglio avere il pensiero di doverlo ringraziare". La sua sola esistenza non può dare gioia ad alcuno, l'essere amati è un diritto che va acquisito. "Il melanconico non può accettare niente peggio dell'incondizionato [..] Egli infatti non conosce il puro e semplice esserci per gli altri senza prestarsi tangibilmente. Il suo dare è per lui troppo ovvio e senza un auto godimento riflesso" (Tellenbach- 1961). La sua intersoggettività non prevede il piacere insito nello stare-insieme-agli-altri. Occupare un posto nello spazio fisico o relazionale è un diritto da conquistare e guadagnare con fatica e impegno in un regime di rigida meritocrazia. Non è contemplato uno scambio gratuito, scevro da obblighi di restituzione, il suo senso di "giustezza" lo costringe in un circolo di do ut des in cui il melanconico rischia sempre di rimanere indietro. "Il pronunciato senso d'ordine è completato da un ulteriore tratto fondamentale: un'elevata pretesa, al di sopra della media, dalle proprie prestazioni." Il melanconico vuole adempiere a molti compiti e tutto questo lo vuole regolarmente. La necessità di dover essere sempre all'altezza dei propositi fa sì che ciò che appare impossibile non venga mai perseguito. All'interno di questo cliché l'attività come tale è più importante del godimento di quanto si è raggiunto. Il necessario ancoraggio al proprio ordine controllabile e prevedibile garantisce lo stato di benessere e difende dalle potenziali minacce del mondo circostante, quali l'indefinito, il non tangibile, l'incontrollabile. Il rinchiudersi entro i confini dell'ordine è un modo per assegnarsi un posto, uno spazio delimitato e circoscritto all'interno del quale il melancolico sente di poter esercitare la propria 'autonomia'. La coscienziosità si manifesta nella necessità di prevenire l'attribuzione e i sentimenti di colpa. Il comportamento del TM è motivato dalla ricerca dell'accettazione da parte dell'altro e non si basa su criteri personali, ma sulle aspettative sociali. Ogni gesto è un tributo dovuto all'esistenza, una necessità che metta al riparo da ogni possibile mancanza. La domanda che si nasconde dietro ogni azione del TM è: "Cosa sarebbe giusto fare in questa occasione? Cosa gli altri si aspettano che io faccia in questa situazione?". Questo è il modo in cui egli tenta di tenere la coscienza meticolosamente pulita e al riparo da qualsiasi sentimento di colpa. È fondamentale non poter essere incolpato di alcunché. Per preservare l'armonia interiore ogni cosa deve occupare un posto dettato da un ordine prestabilito. Infatti la coscienziosità è espressione di un ordine interiore fondato su un rigorismo eccessivo, di una sensibilità molto accentuata nella gestione dei rapporti personali e materiali. L'idea che il typus ha del suo ordine non prevede eccezioni, in quanto non aperto ad un flessibile adattamento alla situazione. Dato che l'imprevisto presto o tardi calca le scene dell'esistenza, l'assoluta refrattarietà del typus a confrontarsi con quanto esula dai suoi schemi apre una delle più importanti falle di vulnerabilità. Infatti la composizione accurata di ogni elemento all'interno di questo ordine non garantisce l'agognata armonia, poiché la costrizione entro rigidi confini preclude la trascendenza necessaria per raggiungere equilibri più elevati. Al contrario, in un esistenza aperta al possibile, la "coscienza sta sì in rapporto costante con ordini obbligati, ha però la sua libertà di superarli nella decisione personale" (Tellenbach - 1961). È come se il typus avesse acquisito una volta per tutte un ordine impersonale, che esclude il margine di libertà necessario per gestire il rapporto con il mondo in maniera soggettiva. In seguito Alfred Kraus, allievo di Tellenbach, individua altre due caratteristiche di tale configurazione antropologica fecalizzando la propria attenzione sul modo di essere sociale di tali esistenze: iperleteronomia e intolleranza alla ambiguità. Kraus analizza il TM alla luce della teoria dei ruoli sociali (Mead 1934) e pone l'accento sulla adesione incondizionata ai ruoli prestabiliti e condivisi socialmente. Per inquadrare in modo tipico l'essere sociale del typus, Kraus si riferisce alla dialettica tra identità di ruolo e identità egoica. L'identità di ruolo è quella che ognuno tende ad assumere sulla base della propria funzione sociale, l'identità egoica (Erikson) è l'autodeterminazione della personalità, ciò che l'uomo è al di là e in più della sua semplice e pura identificazione con il ruolo. L'identità egoica ci permette di prendere una distanza non solamente dallo sguardo delle attese di ruolo, ma, allo stesso modo, dalla identità trovata all'interno dei ruoli. Così nasce una relazione di tensione tra la persona e i suoi ruoli. La distanza dal ruolo è un'operazione necessaria, in quanto nella biografia umana è implicato un continuo cambiamento di ruoli, e permette di conservare l'articolazione di se stesso come persona e non come semplice agente dei propri ruoli. Questo fa sì che una persona possa preservare un senso di continuità della sua biografia, riconoscersi nonostante le trasformazioni e non divenire estranea a se stessa (Kraus 1987). La dialettica tra identità di ruolo e identità egoica non è presente nel TM, il quale non è in grado di trascendere le regole socialmente stabilite dando vita ad una inter-pretazione soggettiva di se stesso, degli altri e del mondo. Il typus cerca continuamente la conferma esterna della propria identità attraverso un modus operandi che Kraus definisce iper/etero-nomia. L'ipernomia consiste in un adattamento eccessivamente rigido alla norma, dove l'aspetto eccessivo è dovuto all'applicazione indiscriminata e stereotipa delle regole sganciate dal contesto e dalla funzione che assumono in situazione. L'altra faccia di questa incapacità di monitorare le situazioni in modo autonomo e personale è costituita daireteronomia, una recettività esagerata della norma esterna, per cui ogni azione è sottesa da una motivazione impersonale, riferita a criteri socialmente condivisi. La necessità di inquadrare se stessi all'interno di rigidi involucri identitari porta a tipizzare gli altri appiattendoli su prototipi che, essendo semplificazioni, non prevedono la compresenza di caratteristiche opposte rispetto ad uno stesso oggetto, persona o relazione. L'intolleranza all'ambiguità permette al TM di vivere soltanto situazioni sociali che confermino l'immagine prestabilita di se stesso e degli altri. Ciò compromette la capacità di intrattenere relazioni interpersonali autentiche e di contemplare situazioni che presuppongono il riconoscimento di una complessità emotiva. Il TM non riesce a cogliere l'individualità propria e degli altri (idioagnosia), poiché il tipo esemplare assorbe completamente le sue attenzioni. In questo modo la sua inter-soggettività è mutilata, in quanto privata delle implicazioni emotive relative al riconoscimento della propria e dell'altrui soggettività. Infatti, relazionandosi all'altro solo attraverso il medium del ruolo, il TM non risponde ai bisogni, ai desideri e ai sentimenti individuali, ma solo a quelli direttamente derivabili dall'identità sociale. Apparentemente il typus è estremamente attento agli altri, ne anticipa le necessità e si adopera alacremente per soddisfarle, in realtà il suo slancio altruistico non è rivolto ad una persona in carne-e-ossa, ma è finalizzato a mantenere l'equilibrio sociale. La sua è un'empatia "impersonale", fondata sullo sforzo di sintonizzarsi con l'Altro in quanto attore sociale, che si muove seguendo percorsi e regole predeterminate. Evento e identità nel Typus Melancholicus All'interno di questa costellazione rigida di ruoli e di valori, gli eventi, se non rispondenti a caratterizzazioni prevedibili, rappresentano l'irruzione dell'alterila che minaccia il mantenimento dello status quo. L'impreve-dibilità dell'evento apre al rischio di incrinare l'ordine del proprio mondo e di scompaginare la trama della propria storia. L'evento è accettato solo in quanto riproposizione di un contesto o di un rapporto io-mondo già sperimentato, che egli costituisce e in qualche modo anticipa: il typus cerca negli avvenimenti una ripetizione e una conferma della propria identità. Egli non tollera l'evento alterila, cioè l'avvenimento non corrispondente alla regola del già noto, poiché non vi coglie un'occasione per conoscere un altro aspetto di sé, ma solo una potenziale minaccia alla sua identità. L'identità umana è frutto di una tensione dialettica (Ri-coeur 1984) tra un nucleo invariante del proprio sé nel tempo (essere-lo-stesso) e la proiezione del proprio sé nell'evoluzione esistenziale (essere-se stesso), che prevede l'integrazione nel sé dell'altro-da-sé, quindi di nuove possibilità rispetto al già stato. Nel TM si assiste ad un irrigidimento della dialettica identitaria che si radicalizza al solo polo della staticità, limitata a confermare sé stesso come lo stesso, quale protagonista previsto di una narrazione già scritta. L'arroccamento sulla medesimezza5 non è il risultato di una completa rinuncia al movimento dell'esistenza: costretto dalla vita alla non immobilità, si obbliga a ricalcare sentieri segnati, riproponendo se stesso esponenzialmente senza la possibilità di un addendo di novità. Nell'andare incontro alle situazioni il typus ha preventivamente selezionato un ventaglio di possibilità che ripropongono l'eco di se stesso non come riattualizzazio-ne storicamente contestualizzata di una identità in evoluzione, ma come replica di una identità cristallizzata refrattaria alla fisiologica metamorfosi dell'esistenza. In questa cornice l'incontro con qualcosa di altro rispetto a quanto già sperimentato risulta essere un corpo estraneo non integrabile nella propria "storia di vita" (Binswanger 1928). Quando il TM non riesce a bandire l'alterila come fonte di nullificazione, né ad escludere il tempo e la storia con il loro carico di novilà e il loro significalo di apertura verso allre idenlità, si trova a vivere uno slalo di "disunione angosciosa" (Verzweiflung). Un'allra possibilità di essere svela l'inautenticilà della propria condizione e pone le basi di una conlraddizione insolubile e di uno iato insanabile: "non può più decidersi (...) non può abituarsi più alla sua realtà, che nasce dalle sue possibilità". Egli "non può trascendere questa situazione. Piuttosto si può dire che egli stesso ne è «trasceso»" (Tellenbach- 1961). Si assiste a quella sproporzione antropologica, che rimanda alla disarticolazione del rapporto tra l'esperire e il comprendere così come descritta da Binswanger, in cui la situazione va oltre la possibilità del soggetto di utilizzarla. Il melanconico è in grado di gestire solo ciò che già conosce, in quanto vissuto in precedenza o deducibile a partire dai suoi schemi relativi all'ordine delle cose. Di fronte ad un evento che esula dai suoi sche- mi egli si trova dibattuto nel dubbio, incapace di propendere per un'opzione piuttosto che per un'altra. Ogni esperienza nuova, infatti, presuppone una trasformazione del rapporto con il mondo e con se stessi, che il typus contempla solo entro i limiti artificiosi e angusti di un circuito chiuso. Qualora si presenti una circostanza non riconducibile ai rapporti consolidati, stenta a ricono-scersi come soggetto intenzionale e si trova dilaniato tra alternative impossibili.

Il valore della conoscenza (o della consulenza?) : una parabola vera di Ascanio Orlandini , clicca

dal blog jobtalk

..................In effetti il consulente, ma anche il dipendente, vale per quello che sa, e più sa prima raggiunge l’obiettivo. Tuttavia viene di solito pagato a tempo: a giornata o a ora. La retribuzione a giornata, o ciò che i suoi clienti sono disposti a pagare, tiene conto della qualità del lavoro e delle capacità della persona? Oppure, dal punto di vista del consulente, ha senso fermarsi dei giorni per studiare o approfondire un argomento per migliorarsi e perfezionare le sue tecniche, o alla fine prevale sempre il “learning on the job” a spese del cliente, ma non con lo scopo di eccellere in un argomento quanto piuttosto quello di imparare il minimo indispensabile per raggiungere l’obiettivo?.......................

domenica 14 giugno 2009

intervista ad Alberto OPliverio , neurobiologo, Universita' La Sapienza , Roma

La cultura modifica il cervello ? Le neurotecnologie: oltre la naturalità della mente?parte 1 Le neurotecnologie: oltre la naturalità della mente?parte 2

Le neurotecnologie: oltre la naturalità della mente?parte 3