lunedì 31 maggio 2010

Venter, la biologia sintetica s'impone , con grandi promesse.......

DI FRANCESCA CERATI

A una settimana dalla nascita di Synthia, il primo batterio con un genoma completamente sintetico a opera di Craig Venter, le reazioni sono state delle più diverse e contrastanti È davvero l'inizio di qualcosa di rivoluzionario che porterà a progettare organismi partendo da zero? O, al contrario, apre un'epoca buia in cui i malintenzionati produrranno agenti per distruggere l'ambiente? E solo un progresso tecnologico o una svolta concettuale? Va considerato un serio problema o unaben congegnata campagna pubblicitaria da parte di uno scienziato-imprenditore che la sa lunga in fatto di comunicazione (e che riceve milioni di dollari di finanziamenti)? Per gli addetti ai lavori, cioè per chi si occupa di biologia sintetica, Synthia non influenzerà il loro lavoro perché si tratta da un punto di vista tecnico di un piccolo passo, che ha però permesso di fare un grande salto in termini di conoscenza, portando questa disciplina scientifica all'attenzione del grande pubblico.
Basti pensare che non più di un anno fa un sondaggio negli Stati Uniti ha rilevato che solo il 20% delle persone aveva sentito parlare di biologia sintetica, ma ben il 90% pensava che il pubblico avrebbe dovuto essere informato sulle ricerche innovative. Detto fatto. E i segnali in questa direzione sono partiti già all'inizio di quest'anno, quando «Nature», che ha coniato il termine biologia sintetica, ha fatto il punto della situazione a io anni dalla nascita dei cosiddetti SynBio. Ma, a intravedere (o meglio a prevedere) già nel 2008 quello che sarebbe diventato il futuro della ricerca non è stata una rivista scientifica specializzata ,ma un magazine come Esquire. Stilando la lista dei 75 personaggi più influenti del 20simo secolo, la rivista ha inserito cinque scienziati, tre dei quali sono biologi sintetici: Jay Keasling, Drew Endy e ovviamente Craig Venter. Ma cosa sognano i paladini del mondo sintetico? Semi di zucca personalizzati che curano malattie, lieviti che producono biocarburanti per pochi centesimi, organismi fotosintetici capaci di raddoppiare laloro biomassa in poche ore. Non è fantasia, come ricordami altro guru della materia, il genetista George Church, della Harvard medicai school sottolineando che «negli ultimi io anni il costo della lettura e della riscrittura del Dna è scesa di un milione di volte, superando anche la legge di Moore.'.. e nel 2020 la biologia sintetica avrà un impatto notevolissimo in molti campi». Insommma, oggi labiologia sintetica è difficile da ignorare e ci sono  più modi per sapere quello che sta succedendo nei laboratori di tutto il mondo. «Science», per esempio, ha aperto un forum sul suo sito per domande, commenti e discussioni che sta attirando l'interesse di molti. E anche se la maggior parte delle persone ha saputo solo adesso che esiste questa scienza, i laboratori dei diversi continenti sono già attivi da un po'. Pochi giorni fa la Gran Bretagna ha deciso di finanziare con 1,5 milioni di sterline quattro nuovi progetti di biologia sintetica nell'ambito del programma EuroSynBio. L'obiettivo è di mettere a punto metodi biologi per produrre nuovi antibiotici e una nuova classe di farmaci, energia per azionare nanodispositivi, strumenti per lo studio della biologia cellulare. E in ltalia? Gli atenei che si occupano di biologia sintetica nel senso stretto del termine sono pochissimi, Bologna e Pavia sono le uniche università che hanno partecipato al concorso annuale iGem promosso dal Mit di Boston. Partecipazione che nel 2009 ha permesso al team di Paolo Magni, professore di Bioingegneria all'Università di Pavia non solo di vincere, ma di essere riconosciuto - unica università italiana accanto a quattro centri europei - da Nature "per U biocarburante dal siero del latte tra i principali contributi negli ultimi io anni nell'ambito dellabiologia sintetica". Magni torna a Boston anche quest'anno, anche se al momento il suo progetto resta top secret «per evitare che ci venga rubata l'idea». Non è un segreto invece che il suo team è alle prese anche con un altro progetto di biologia sintetica e che riguarda la modificazione di un battere per ottimizzare i filtri del rene artificiale. «Durante la dialisi si usano dei filtri usa e getta per purificare il sangue. In questa fase si può pensare di inserire anche sostanze prodotte da organismi modificati che integrati durante la pulizia del sangue evitano la somministrazione di farmaci Al momento stiamo disegnando le sequenze». Magni nel panoràma italiano della biologia sintetica appare come uni mosca bianca... «In ltalia sono pochi i gruppi universitari che si occupano di questa disciplina, che richiede risorse temporali e strutturali non indifferenti, in cui occorre addestrare le persone perché esula dalle attività curricolari. Di fatto è una scelta culturale. Io ho deciso di intraprenderla guardando quello che succedeva a livello mondiale». Quanto a Venter... «Il suo è un laboratorio importante per il settore, che ha notevoli finanziamenti. Non ha creato la vita, ma ha fatto un passo avanti su una strada segnata.Non mi aspetto che da quia due anni il mondo cambi». Le vere sfide della biologia sintetica, infatti, sembrano altre, come quelle di prevedere le conseguenze non intenzionali che questa ricerca potrebbe avere in ambito ecologico, sociale ed economico e avere, nel caso, gli strumenti per tutelarsi.


venerdì 28 maggio 2010

neuroscienze : il libero arbitrio ed il nostro cervello

da Domenica  , sole24ore , maggio 2010 ,di Arnaldo Benini
II dilemma circa la libertà dell'arbitrio non riguarda più solo religione e filosofia, ma anche le scienze naturalistiche. Gerhard Roth, neurobiologo di formazione filosofica noto per i suoi studi sui meccanismi della volontà, ha ripetuto poco fa che la libertà dell'arbitrio e la responsabilità sono illusioni tenaci e assurde. Nello stesso tempo uno dei maggiori scienziati cognitivi contemporanei, Wolf Singer, fìsicalista senza compromessi, riprendendo l'ottocentesco Ignorabimus di Emil du Bois-Reymond, ha riproposto il problema metodologico cruciale delle neuroscienze cognitive, giàpresente nelle riflessioni dei pionieri: come possano i meccanismi cerebrali della conoscenza capire sé stessi dal momento che sono l'oggetto del loro stesso studio? Fin quando questa incertezza non sarà superata (posto che lo possa essere), su che cosa si basa la certezza di Roth e della maggioranza dei neuroscienziati? E di quelli che dissentono? Le neuroscienze forniscono un'enorme mole di dati, ma non spiegano che cosa sia l'autocoscienza e quindi come funzionino i meccanismi della volontà Si citano ampiamente (anche nel libro di cui si parla qui) i lavori storici di Benjamin Libet e dei suoi allievi, chetantecose sembrano dimostrare nel senso di undetermini-smo assoluto (e quindi della volontà non libera), ma che non spiegano loro cosa ponga in movimento l'attìvità neuronale che porterà ad una decisione. Nella raccolta, molto ben assortita, di saggi a cura di M. De Caro, A, Gavazza e G. Sartori "Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del  libero arbitrio"  su quest'eterno cruccio della mente umana, Daniel Wenger, in un contributo che riassume il suo libro The Mission of Conscious Will del 2002, avanza l'ipotesi che il processo mentale dell'esperienza di sentirsi liberi potrebbe essere diverso da quello che determina l'azione che ci illudiamo di scegliere in libertà Già Hume diceva che la volontà è una sensazione.Il fatto  (sul quale insistetteWìlliam James) che di regola ci si sente liberi nel momento delle scelte potrebbe quindi non essere la prova a favore della libertà dell'arbitrio. Nel suo contributo Adina Roskies sostiene che «le tecniche neuroscientifiche non forniscono né il livello di grana sufficientemente fine, né l'ampiezza di informazione necessaria per rispondere alla questione del determinismo per il dibattito sul libero arbitrio». Chi condivide, pur nel riduzionismo assoluto, le riserve circa la possibilità dei meccanismi cognitivi del cervello di capire fino in fondo sé stessi, accetta questa opinione. Ma se non sulle neuroscienze, su che cosa altrimenti si crede di potersi basare per capir meglio i meccanismi della volontà? Nel suo contributo, il neurologo Bocioni Filippo, " Terapia "si chiede «se l'attività mentale consente e svolga un ruolo causale nelle decisioni umane», come se la mente non fosse il prodotto del cervello.Curioso che qui, come in studi analoghi, non si presti attenzione al condizionamento della memoria - inaffidabile per l'incostanza dei meccanismi che la producono, la conservano e di quelli che rimandano i ricordi all'autocoscienza - nei meccanismi della scelta. Il libro non fornisce risposte al "mistero" del libero arbitrio, né cerca di orientare verso una di loro. Esso è un panorama molto ben riuscito dei molti aspetti di una discussione nella qiiale, teme lo psicologo Wegner, «tutti escono sconfitti»; tutti quelli che pensano di poter fornire soluzioni all'insolubile.


per saperne di piu' :
Social consciousness and the consciousness of meaning.

Mead, George H.
Psychological Bulletin, Vol 7(12), Dec 1910, 397-405

Abstract

  1. Emphasizes and elaborates the origin of consciousness of meaning in the relation of mutual adjustment of social stimulation and response to activities which they mediated. Consciousness of meaning consists mainly in a consciousness of attitude, on the part of the individual; the readiness to respond; the power of distinguishing the different elements in the content of consciousness belongs to the field of stimulation and imagery; and the control and interpretation of gestures forms an important factor. Focuses on development of social consciousness and how it leads to consciousness of meaning. (PsycINFO Database Record (c) 2010 APA, all rights reserved)

mercoledì 26 maggio 2010

il "sacro" si attenua , ma la sensibilita' simbolica aumenta: e' cosi'?

di Gianfranco Ravasi da Domenica , sole 24ore, maggio 2010

In latino c'è un avverbio, modo, ehe significa «ora, poco fa»: forse non ci avete mai pensato, ma la nostra parola «moderno» deriva'proprio da qui, indicando qualcosa di recente, di attuale, di contemporaneo, quasi fosse da poco accaduto. È per questo che, a livello popolare, si è moderni per.ché si è aggiornati e si lascia alle spalle il «piccolo mondo antico». In verità, in ambito strettamente storiografico, l'era moderna è qualcosa di antico, se è vero che la si fa cominciare attorno agli inizi del Seicento, con l'esaltazione dell'individualità autonoma e autosufficiente e l'imporsi dell'epistemologia scientifica alla Galileo. Erano, in realtà, due orizzonti straordinari che già covavano nel terreno storico precedente e che, però, si sarebbero successivamente avviati anche verso derive rischiose come l'individualismo esasperato e sradicato e l'empirismo scientifico e positivista. Bisogna anche dire che, sotto la cappa della modernità, hanno trovato riparo molte tipologie diverse: tanto per fare qualche esempio scelto casualmente, si pensi al «modernismo» teologico o a quello letterario ispano-portoghese (Rubén Darìo) oppure al «modern style» praticato dall'«art nouveau» catalana o inglese. Sta di fatto, però, che - a partire più o meno dal Sessantotto - si è dato un calcio alla modernità per introdurre il «postmoderno», non tanto architettonico (fu forse il prino uso del termine) quanto culturale, contrassegnato da una fiera critica nei confronti degli idoli del progresso, della produzione industriale, dei soggetti definiti, degli stili codificati.Anche qui, sotto il manto della postmodernità, si è allocato un po' di tutto, come già faceva balenare nel 1985 il famoso saggio sulla Fine della modernità del filosofo francese Jean-Francois Lyotard, preparato dalla precedente (1979) analisi sulla Condizione postmoderna. Sebbene sia ormai usata anche da coloro che non hanno mai letto una riga di questo sociologo polacco, la formula fortunatissima della Modernità liquida (2000) di Zygmunt Bauman esprime icasticamente la sostanziale fluidità fin evanescente che regge (si fa per dure) la postmodernità. In un contesto del genere, si può ben immaginare quanto si trovi spaesato il credente o il teologo che ha nel suo bagaglio temi «premoderni» solidi come la trascendenza, l'assoluto, il totale, la comunione e così via, ben lontani dalla frammentazione, dalla contingenza, dalla superficialità e dall'immediatezza divenute ormai i vessilli comportamentali piantati nella piazza della «città secolare». ............(lo stesso Cox confessava di essersi sbagliato celebrando le sorti ma-gnifiche e progressive della secolarizzazione nel successivo scritto del 1984 intitolato emblematicamente Religion in thè Secular City. Toward a Postmodem Theology); ma anche un ben più accurato e raffinato studioso, come il canadese Charles Taylor, conia sua imponente A Secular Age (L'età secolare, Feltrinelli 2009) ha dimostrato la necessità di un andare oltre, travalicando perimetri e categorie apparentemente consolidate nell'esame di questo importante fenomeno postmoderno................Le interpretazìoni dì Charles Taylor rilanciano le tesi sul mutamento dei modelli antropologici «quantitativi», inclini appunto a misurare le regressioni del sacro, le riduzioni delle concezioni e delle pratiche religiose, sostanzialmente orientate a proporre quelle che Taylor definisce come «teorie della sottrazione» che elencano e quantificano il «sottrarsi» della contemporaneità all'ombrello del religioso....... Per essere più chiari ed espliciti rimandiamo a questa infaizione del grande poeta Eliot che incfividuava la crisi secolare non «nella semplice incapacità di credere in alcune tesi su Dio credute dai nostri antenati , bensì nell'incapacità di prosare le stesse emozioni ed esperienze verso Dio e verso l'uomo». E, quindi, il mutamento di un modello antropologico ed esistenziale che di per sé può offrire anche spazi per un nuovo annunzio religioso, perché - come segnalava già  nel 1953 il teologo Friedrich Gogarten nel suo studio sulla «secolarizzazióne come problema teologico» - l'autentica «secolarità», prima che degeneri in «secolarismo» dissacrante, è una «necessaria e legittima conseguenza della fede cristiana». Essa è, infatti, incarnata ma non teocratica, è in solidarietà con la mondanità e non in altezzosa separatezza sacrale, pur non dissolvendosi in una mera funzione di agenzia solidale. ............... Un soggetto che in apertura è simbolicamente raffigurato attraverso un dipinto di Turner ove , un peschereccio è scosso e tormentato da una tempesta, ma la scena è squarciata da due luci: una breccia luminosa dal cielo e un chiarore che emana dalla stessa imbarcazione. Una metafora di realismo e di Speranza, di crisi e di attesa.

Lettera internazionale n.86 in uscita contiene un dossier sul mondo islamico, dalle origini fino all’estremismo fondamentalista, con contributi, tra gli altri, del neuropsichiatra franco-tunisino Fethi Benslama: L'islamismo, un delirio che uccide. A proposito della crisi che oggi, al contatto con la modernità, attraversano le società musulmane, Benslama parla di psicosi e assimila il discorso islamista a un delirio, a un delirio di massa.. “ Una persona devota – osserva Benslama – può anche essere delirante. E penso proprio che una parte dell'islamismo sia delirante, per esempio il salafismo. (...). I salafisti sostengono che, per effetto della modernizzazione mondiale e la creazione di stati musulmani, le società musulmane sono regredite e sono uscite dall'islam. Secondo loro, quindi, i musulmani sarebbero andati a ritroso nel tempo fino a oltrepassare la 'soglia' dell'origine e a ritrovarsi in un periodo preislamico. (...). I salafisti sostengono che bisogna far ripassare i musulmani dall'origine, ecco perché chiedono agli altri musulmani di convertirsi. E questo è più che paradossale: è delirante. Per loro i musulmani non sono più musulmani. E' una follia! Ed è grave perché questa follia porta alla violenza. Si tratta di un delirio omicida. Questa gente si è assegnata il compito di sorvegliare la 'soglia' dell'origine con lo scopo di rimettere sulla giusta via coloro che si sono smarriti, costi quel che costi. E' un delirio paranoico. Pensate che in Algeria ci sono stati estremisti che prima di sgozzare le vittime dicevano: ' Ringraziami, perché con questo gesto ti consento di non morire apostata'. In una situazione ordinaria parleremmo di psicopatici , ma quando ci troviamo davanti a un delirio di massa, ogni banale psicopatico può trasformarsi in un temibile assassino ...”. Qui il testo originale, in francese, dell' intervista di Hamid Barrada e Renaud de Rochebrune a Fethi Benslama: L'islamisme, ou le délire qui tue. Su Fethi Benslama, v. anche : Clinica delle notti.

orso castano : la quetione del sacro che si "allenta e dellla domanda di  simbolico che contenporaneamente  cresce si pone in senso globale , sopratutto oggi. Il contrasto tra religioni assume una certa rilevanza ed , ad esempio, al dila  di un Islam moderato , e' indispensabile sapere cosa dice l'Islam non moderato e cosa puo' significare moderazione per quella religione.

lunedì 24 maggio 2010

e' morto Martin Gardner , il giocoliere della matematica , un suo famoso indovinello da "pensieri parole" , clicca

Jones, un giocatore d'azzardo, mette tre carte coperte sul tavolo. Una delle carte è un asso; le altre sono due figure.Voi appoggiate il dito su una delle carte, scommettendo che sia l'asso. Ovviamente, la probabilità che lo sia realmente è pari a 1/3. Ora Jones dà una sbirciatina di nascosto alle tre carte. Dato che l'asso è uno solo, almeno una delle carte che non avete scelto deve essere una figura. Jones la volta e ve la fa vedere.A questo punto, qual è la probabilità che ora il vostro dito sia sull'asso?

risposta (da nascondere):Molti pensano che la probabilità sia salita da 1/3 a 1/2. Dopo tutto, ci sono solo due carte coperte, e una deve essere l'asso. In realtà la probabilità rimane 1/3.La probabilità che non abbiate scelto l'asso rimane 2/3, anche se Jones sembra aver eliminato parzialmente l'incertezza mostrando che una delle due carte non prescelte non è l'asso.La probabilità che l'altra delle due carte non prescelte sia l'asso, tuttavia, resta uguale a 2/3, perché la scelta era avvenuta prima. Se Jones vi desse l'opportunità di spostare la vostra scommessa su quella carta, dovreste accettare (sempre che non abbia qualche carta nella manica, naturalmente

riferimento :Martin Gardner presentò per la prima volta questo problema, nell'ottobre 1959, in una formulazione diversa (al posto delle tre carte, c'erano tre prigionieri, uno dei quali era stato graziato dal governatore locale). Nel 1990 Marilyn vos Savant, autrice di una popolare rubrica sulla rivista Parade, ne propose un'ulteriore versione (che contemplava tre porte, dietro le quali si celavano un'automobile e due capre). La vos Savant fornì la risposta corretta, ma ricevette migliaia di lettere infuriate (molte delle quali, inviate da docenti di matematica... ) che l'accusavano di ignorare la teoria delle probabilità. Il caso finì in prima pagina sul New York Times e il problema acquistò in breve tempo una popolarità planetaria, arrivando a essere valutato come il più bel paradosso probabilistico del secondo millennio.

Social Media Revolution 2010

clicca immg

domenica 23 maggio 2010

il concetto "ESSERE" e' universale, presente in tutte le lingue? Due testi sul linguaggio

di Armando Massarenti
Davvero l'Essere, come voleva Aristotele, «si dice in molti modi»: anzi lo si è detto, negli ultimi duemila-cinquecento anni, perlomeno in Occidente.in mille disquisizioni logiche, metafisiche, linguistiche, dalla Grecia classica ad Abelardo, dall'inizio della modernità fino allalinguistica, scienza, quest'ultima, che nel Novecento è divenuta un modello propulsivo per le neuroscienze e per le scienze cognitive. Però, il ruolo centrale e le pretese di universalità che l'Essere ha assunto nella tradizione filosofica andrebbero un po' ridimensionate alla luce di questi ultimi sviluppi, proprio a partire dalla grammatica: È una delle conclusioni (non. l'unica, forse'neppure la più importante) cui giunge con il suo lungo ragionamento Andrea Moro, docente di Linguistica generale al San  Raffaele di Milano, uno dei piu' brillanti scienziati che lavorano sul paradigma chomskiano della grammatica generativa, autore di Breve storia del verbo essere. Viaggio al centro della frase, che Adelphi manderà in libreria il 26 maggio. Unlibro in cui confermale suedotìdi divulgatore e, insieme, di innovatore, già espresse ini confini di Babele, n cervello e il mìstefo delle lingue impossibili (Longanesi, 2006), nel quale dimostrava che ci sono limiti precisi entro cui si possono immaginare nuove lingue.Il verbo "essere", sostiene Moro, se forse non è, come disse Bertrand Russell, «una disgrazia per il genere umano», è tutto fuorché un universale linguistico: in molte lingue o non esiste o si manifesta Soloin casi specifici. Oppure lesuefiin-zioni sono vicariaiìe da altri elementi linguistici, come ad esempio i pronomi in ebraico. «Su un campione rappresentativo di 386 lingue, in ben 175, laddove nelle altre compare il verbo essere o unsuoequivalente,nOnsolonpnc'èalcunverbo: non c'è proprio niente. Per intenderci, sono Un-
gueincuiperdire Giovanni è un maestro si dice qualcosacomeGiovanniun maestro». A un estremo troviamo l'italiano e l'inglese, dove il verbo essere è sempre obbligatorio. All'estremo opposto, ci sono il sin/iato (parlato nello Sri Lanka) o il tubu (parlato in Libia) dove non ve n'è traccia alcuna. Insomma, se la competenza linguistica è universale nel genere umano, il nostro amato verbo essere non ne è un ingrediente necessario. Il  libro di Moro, oltre che a presentare argomenti stringentUegatiauna scoperta rivoluzionaria, è il racconto di una storia finora mai raccontata Hpiglio è insieme narrativo e argomentativo, con risvolti che riguardano, oltre che il linguaggio, l'evoluzione e, più in generale, la natura e la struttura della mente umana. Tutto ciò a partire dallo studio di qualcosa di apparentemente innocuo: la frase. Le espressioni con il verbo essere - osserva Moro - sono un'occasione unica per capire l'anatomia della frase, che, in realtà, è l'oggetto linguistico più complesso del linguaggio umano, non condiviso da nessun codice di comunicazione di nessun'altra specie. La frase si compone essenzialmente di due pilastri: il soggetto e il predicato. Il soggetto si identifica con il nome o gruppo nominale che si accompagna con un verbo o gruppo verbale (che può o meno contenere dei complementi). C'è però un terzo ingrediente, decisivo: il tempo, che siesprimenormalmente conia desinenza del verbo: «Paolo causava la rivolta», «Paolo causerà la rivolta», eccetera. Ebbene, il verbo essere è unico nel suo genere perché esprime il tempo in modo autonomo, senza incidere sul predicato. Sé dico: «Paolo era la causa della rivolta», o «Paolo fu la causa della rivolta», eccetera, devo osservare che qui il predicato è «causa (della rivolta)» ejì tempo è semplicemente «era» o «fu». La scoperta di Moro riguarda la nozione di simmetria. Con il verbo essere si possono creare strutture simmetriche dove il nome o gruppo nominale che precede il verbo non è un soggetto ma un predicato! Ad esempio, «la causa della rivolta era Paolo», «la causa della rivolta fu Paolo», eccetera Questo scardina dalle fondamenta il postulato delle lingue umane secondo il quale il nome o gruppo nominale che si trova a sinistra del verbo identifica sempre il soggetto. I verbi che si accompagnano con un nome o un gruppo nominale a destra e uno a sinistra si accordalo sempre con il nome a sinistra: ad esempio, «una ragazza ama un ragazzo», «due ragazze amano un ragazzo» ma non «una ragazza amano due ragazzi». Con il verbo essere si ha invece, sorprendentemente: «La causa è un ragazzo» ma «la causa sono due ragazzi» enon «la causa è due ragazzi». Ciò mostra che il nome che segue il verbo è un soggetto, perché è capace di far scattare l'accordo.
La caduta del postulato del soggetto ha conseguenze enormi sulla struttura della grammatica Si può forse addirittura dire.suggerisce Moro, con una analogia con la storia della geometria, che le grammatiche senza questo postulato, ma ancora coerenti, sono grammatiche "non euclidee". Insomma, è una rivoluzione. Implica anche che non ha più senso usare il verbo essere per esprimere il concetto astratto di Essere? Quando lo si fa, spiega Moro, il verbo funziona un po' come un pronome: sta al posto di tutti i predicati possibili, che si accompagnano con il verbo "essere". Perlomeno nelle lingne che ce l'hanno. Un po' come quando si dice «il fare» e si usa il verbo fare come pronome di tutte le azionipossibili Ma cosisi vedeche il verbo essere non ha alcun significato. E il bello di questa storia è che fu proprio Aristotele, l'autore della Metafisica, a sostenere per primo che il verbo èssere non è affatto un predicato!
• Andrea Moro, «Breve storia del verbo essere. Viaggio al centro della frase», Adelphi, Milano, pagg. 336, € 26,00. In librerìa dal 26 maggio.

Andrea Moro – I Confini di Babele – Timeoutintensiva – Maggio 2008I CONFINI DI BABELE – Andrea Moro
RECENSIONE di Lorenzo Palizzolo
Chiunque abbia toccato con mano l'impossibilità di comunicare col linguaggio – verbale e scritto,
ma anche dei segni – sa che dramma di isolamento vive l'uomo che non può parlare con un altro
uomo. Tale circostanza è ben nota agli operatori della Terapia Intensiva, che spesso si ritrovano al
cospetto di pazienti che devono nuovamente imparare a parlare e a comprendere i simboli della
propria lingua.
Apparentemente scontata questa facoltà dell'uomo è un mistero affascinante e tutt'altro che risolto,
nonostante gli enormi progressi fatti da quando, nel 1861, il neurologo e antropologo PierrePaul
Broca all'esame autoptico eseguito sul cervello di un paziente che aveva presentato gravi disturbi del
linguaggio, evidenziò una lesione in un area cerebrale ben delimitata, localizzata nel lobo frontale
sinistro (oggi conosciuta appunto come Area di Broca), e che senza dubbio era stata la causa del suo
disturbo.
Il linguaggio viene spesso considerato in termini di comunicazione verbale, come un ente che ha la
proprietà, per l'uomo, di informare su altri enti.
É da sottolineare inoltre che per lunghi anni e fino all'inizio degli anni '80 dello scorso secolo si è
cercato do capire il rapporto fra linguaggio e cervello partendo dallo studio di pazienti con lesioni
cerebrali e cercando una correlazione fra sintomatologia e sede anatomica della lesione. Ben altra
cosa è la comprensione dei meccanismi di apprendimento del linguaggio prescindendo
dall'osservazione di eventi patologici.
È ormai un fatto noto che dietro le grandi differenze che separano tutte le lingue, i dialetti e gli
idiomi del mondo, potrebbe celarsi una struttura o una trama comune che le raggruppa tutte: la
cosiddetta Grammatica Universale (GU), ipotizzata dal linguista americano Noam Chomsky circa
mezzo secolo fa. L'esistenza di questa GU rappresenta, davanti alle innumerevoli variazioni delle
circa 7.000 lingue naturali esistenti, la possibile esistenza di regole comuni a tutte le sintassi.
Potrebbe dunque essere necessario chiedersi se esista un limite al numero di lingue e di
grammatiche esistenti. Se sia sempre possibile inventarne di nuove, e se esistano dei limiti a questo
inventare; e ancora se il loro numero sia dunque potenzialmente infinito o se, magari, esistono
lingue che non potremo usare mai. Il testo di Andrea Moro, I Confini di Babele, come egli stesso sostiene, rappresenta il tentativo di portare alla luce una rivoluzione nascosta nella scienza contemporanea: “La scoperta che le grammatiche possibili non sono infinite e che il loro numero è limitato biologicamente” (p. 11).
Il suo viaggio alla ricerca dei confini di Babele nasce dallo stupore per una domanda semplice e
allo stesso tempo profonda, “perché non tutte le grammatiche concepibili sono realizzate nelle
lingue naturali?” (p. 12).Il saggio di Moro può essere considerato una riflessione lucida circa tale argomento e, come sottolineato nella nota introduttiva di Chomsky, un percorso dalle “conseguenze affascinanti che
vanno molto al di là della biolinguistica” (p. 6), valido sia per gli addetti ai lavori quanto per un
lettore interessato senza competenze specifiche.
Il libro è diviso in tre capitoli principali, il primo dei quali, insieme ad una sezione metodologica,
mostra una sintesi dei più importanti risultati degli ultimi cinquant'anni in linguistica, con
particolare attenzione all'ambito della grammatica generativa e ai fenomeni riguardanti il principio
di dipendenza dalla struttura . A ciò segue la descrizione di due esperimenti, ai quali l'Autore ha personalmente preso parte, condotti con l'ausilio delle moderne tecniche di neuroimmagine, ovvero la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI), grazie alle quali la biolinguistica è oggi in grado di raggiungere nuovi traguardi, potendo, in un certo senso, “osservare il
funzionamento del cervello in vivo”. In breve: risulta possibile individuare le zone sottoposte a un
lavoro rilevando in quella zona l'aumento del flusso ematico.
Andrea Moro ha voluto usufruire dei risultati di tali esperimenti per consolidare l'ipotesi ormai nota
di un area cerebrale dedicata alla sintassi. A tal fine è dedicata la formulazione di grammatiche
impossibili, ovvero grammatiche che non rispettano i principi generali comuni a tutte le sintassi,
come la dipendenza dalla struttura.
Infine Moro conclude il testo con un terzo e ultimo capitolo dove si affronteranno alcuni aspetti
critici della ricerca attuale ed eventuali nuove direzioni, ed il particolare rapporto tra la natura
lineare del codice linguistico, aspetto peculiare delle lingue umane, e la struttura biologica
dell'organismo per quanto riguarda la costruzione di regole grammaticali. È qui, come egli stesso
sostiene, che ci muoveremo “sulle sabbie mobili della speculazione” (p. 221).
Andrea Moro (Pavia, 1962) è professore ordinario di linguistica generale all'Università “VitaSalute”
San Raffaele di Milano. Dottore di ricerca in linguistica, ha fatto studi di perfezionamento
all'Università di Ginevra ed è stato visiting scientist al MIT di Boston. Si occupa di teoria della
sintassi e del rapporto tra cervello e linguaggio. È stato professore associato all'Università di
Bologna e ha tenuto corsi in molti atenei in Europa e negli Stati Uniti. Oltre a vari articoli su riviste
internazionali (tra cui Nature Neuroscience), ha pubblicato due libri: The Raising of Predicates
(Cambridge University Press, 1997) e Dynamic Antisymmetry (MIT Press, 2000).
Del presente volume è in corso la traduzione in inglese per la MIT Press

LEGGE INTERCETTAZIONI: INTERVISTA A MARCO TRAVAGLIO , dal sito di Franca Rame



Lo scandalo che ha travolto il ministro Scajola, il giro di appalti e favori dell’imprenditore Anemone, le indagini su Bertolaso, il mandato di arresto per il sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino. È lunga la lista dei casi giudiziari e politici che, con la legge Alfano in vigore, sarebbero rimasti “segreti”. O meglio, noti solo a magistrati e avvocati della difesa, ma non all’opinione pubblica. Su questo il Salvagente ha intervistato il giornalista Marco Travaglio.
 Travaglio, con la legge Alfano in vigore che cosa potranno ancora legittimamente scrivere i giornalisti?
È semplice, niente. È l’abolizione totale della cronaca giudiziaria e riguarda molto di più delle sole intercettazioni. Basti pensare che non si potrà pubblicare neanche il riassunto degli atti di indagine, fino al momento dell’udienza preliminare, e comunque nulla delle indagini archiviate su persone non indagate. L’esempio classico in questo periodo è il caso Scajola: della vicenda che ha travolto e costretto alle dimissioni il ministro non si saprebbe nulla, visto che formalmente non è indagato. E anche se lo fosse (cosa che ritengo abbastanza probabile), se il reato di cui è accusato cadesse in prescrizione prima dell’udienza preliminare, sarebbe impossibile scriverne e darne conto all’opinione pubblica.
 Davvero non rimane nulla da raccontare?
L’unica cosa che si potrà fare è raccontare, solo per riassunto, il contenuto di un’ordinanza di custodia cautelare nel momento in cui è notificata all’arrestato.
Ma anche qui c’è il trucco. Nel caso dei parlamentari il mandato di cattura non viene notificato direttamente alla persona ma al Parlamento, che deve concedere l’autorizzazione a procedere.
Stando così le cose, del mandato di cattura che pende su Nicola Cosentino, presidente del Cipe, non si saprebbe niente.
È un caso che si discuta di “legge-bavaglio” proprio nel momento in cui si sta scoperchiando un intreccio illecito di affari e politica?
Non è una coincidenza. E qualcuno si sta mordendo le mani. Se avessero approvato la legge un anno fa, non sapremmo nulla degli affari dell’imprenditore Anemone: Scajola sarebbe ancora ministro e Bertolaso starebbe tranquillo. 
 Si deve ammettere che sui giornali a volte si fa un uso delle intercettazioni, invasivo della privacy delle persone...
Non ricordo casi di abuso giornalistico, tranne forse la pubblicazione di sms privati tra Anna Falchi e Stefano Ricucci, peraltro non compromettenti. Per il resto si è sempre trattato di notizie di grande interesse pubblico. Secondo il mio giudizio, è stato giusto pubblicare anche le telefonate tra Fassino e Consorte e tra questi e D’Alema. Il potere politico che si interessa a una banca è una notizia.
E la reputazione delle persone che si trovano sbattute in prima pagina senza aver commesso reati?
Certo è compito del giornalista selezionare il materiale di cui viene in possesso e controllare bene, non basta prendere i brogliacci e sbatterli in pagina.
Per questo motivo io, per esempio, non avrei pubblicato la lista di chi ha avuto la casa ristrutturata da Anemone. Non possiamo sapere quanti tra quelli abbiano effettivamente e regolarmente pagato i lavori e quanti abbiano ricevuto favori.
 Lei è soprannominato la “voce delle procure”: che cosa farà se la legge verrà approvata?
Continuerò a fare il mio lavoro.
La mia unica preoccupazione è che la notizia sia vera, nuova e di interesse pubblico. Del resto già oggi è perseguibile il giornalista che pubblica atti secretati, ma questo non mi ha mai fermato.
Io e i miei colleghi de “Il Fatto” continueremo a pubblicare le notizie pubbliche ma non pubblicabili e quelle secretate.Se poi finiremo in tribunale, chiederemo al nostro avvocato di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma.

sabato 22 maggio 2010

c'e' una nuova "sintomatologia psichiatrica" in circolazione ?

cliccare  per l'arte di Yayoi Kusama

dallultimo numero rivista L'altro, della SIFIP , un ampio stralcio dall'articolo : "Forme della psicopatologia contemporanea : implicazioni per la psicoterapia " l'orientamento di chi ha scritto l'articolo e' strettamente psicoanalitico
................Le nuove forme del sintomo
Rivolgiamo adesso la nostra attenzione alla seconda questione che avevo posto all'inizio e riflettiamo sulle trasformazioni che osserviamo nella psicopatologia contemporanea, ponendo una distinzione tra il classico sintomo nevrotico e i nuovi sintomi.I sintomi, che a inizio del XX secolo portavano le persone a chiedere una consultazione, erano la forma metaforica di un desiderio inaccettabile per le istanze etiche del soggetto. I classici sintomi nevrotici rappresentano infatti un'incrinatura dell'identificazione al ruolo sociale, si insinuano come una faglia nella vita troppo levigata del soggetto e la disarticolano dal suo interno. I sintomi decifrati da Freud sono le righe scritte da una passione inaccettabile, che riaffiora tra le maglie incerte della "feroce coazione" ad adeguare la propria vita alle esigenze della società. In sintesi possiamo isolare tre caratteristiche principali dei classici sintomi freudiani: II disturbo ha sempre una significazione psichica particolare, quindi il sintomo parla, anche se in modo enigmatico si configura come una metafora di ciò che è stato rimosso.Il sintomo è sempre la manifestazione di un conflitto. È una divisione nevrotica tra il volere e il fare. Più una persona è coerente con ciò che desidera più è sana; più una persona è lontana da ciò che desidera più soffre. Sul piano della conduzione della cura osserviamo che il sintomo classico è sensibile all'interpretazione: l'interpretazione semantica ha effetti terapeutici sul sintomo. Se invece concentriamo la nostra attenzione sui fenomeni che caratterizzano le forme della psicopatologia contemporanea allora ci accorgiamo innanzitutto che il sintomo non ha più qualcosa da dire, è solamente un segno che non allude ad alcun senso, è semmai completamente appiattito sulla dimensione dell'agire. I nuovi sintomi (attacchi di panico, depressioni, anoressie, bulimie e nuove forme di dipendenza) non sono più la metafora di un significato rimosso, ma rappresentano sempre più la spinta ad agire, scavalcando la mediazione del simbolo. Il fondo psicotico della clinica contemporanea riguarda in effetti proprio questa debolezza del simbolico nei confronti del godimento (effetto dell'evaporazione della funzione del Nome-del-Padre) che va di pari passo con il ritorno dei sintomi sul corpo del soggetto. "Anoressia, bulimia, tossicomania e attacchi di panico mostrano la varietà di questi ritorni e il loro motivo comune: la parola è surclassata dal godimento come evento del corpo". I sintomi contemporanei sono quindi marcati da un eccesso libidico che scarta la funzione della parola.
In un suo recente articolo sul "soggetto tossicomane" Massimo Recalcati introduce il suo quadro di riferimento riprendendo una frase pronunciata da Lacan alla fine degli anni Settanta, nella quale il godimento della società contemporanea viene definito come "godimento smarrito". Il messaggio dominante del discorso sociale spinge infatti i soggetti verso un'escalation di sensazioni che però non riescono a trasformarsi in esperienza, un'esperienza in cui si possa sedimentare un proprio progetto esistentivo. Questa accentuazione godimento smarrito, ossia una soddisfazione slegata dall'orientamento dell'Ideale, si esprime in configurazioni psicopatologiche dove prevale il senso della precarietà o, per dirla in altri termini, una "stabile instabilità". Una delle forme paradigmatiche della clinica contemporanea è rappresentata infatti dal cosiddetto disturbo borderline, che alcuni psicoanalisti, come Agostino Racalbuto, considerano "non come riferito a una struttura psichica al limite fra nevrosi e psicosi, ma come a un modo di funzionare ai margini dello psichismo", ossia in quanto espressione dei limiti del simbolico nel dare significato all'esperienza. Gli "stati caotici della mente" in fondo rivelano un soggetto in cui si consuma la scissione tra la dimensione simbolica e quella pulsionale. Nella "clinica borderline" l'esperienza affettiva e pulsionale, ormai priva della bussola simbolica, fa precipitare il soggetto oltre i confini del rappresentabile e in tal modo lo lascia nell'angoscia. Ed è proprio dal vissuto generato dall'angoscia che scaturisce la spinta al passaggio all'atto che caratterizza il borderline. Osserviamo quindi da un lato una difficoltà del soggetto borderline a sostare entro i limiti del simbolico e dall'altro la necessità di ritrovare attraverso l'atto, quindi senza la mediazione del simbolo, il limite per il disagio e l'angoscia che caratterizzano il suo essere "borderline". In sintesi possiamo schematizzare le caratteristiche dei nuovi sintomi, che rappresentano comunque una certa prismaticità dei quadri clinici, isolando tre formulazioni principali:
a) I nuovi sintomi tendono a prendere la forma della scarica, parafrasando le riflessioni di Agostino Racalbuto possiamo dire che "l'agito prende il posto del pensato". Questa formulazione ha due risvolti clinici. Innanzitutto non siamo in presenza di un sintomo da decifrare. La povertà semantica dei nuovi sintomi per certi versi ci permette di registrare il carattere alessitimico della nuova clinica. In una delle pagine del libro Cllnica del vuoto Recalcati scrive che la vera sterilità dell'anoressica consiste nel non lasciarsi fecondare dal simbolo. Il sintomo anoressico infatti non si configura come il segno di una conversione isterica, il corpo non si fa veicolo di un messaggio rivolto all'Altro del linguaggio e quindi non diventa un geroglifico da interpretare, una metafora del soggetto dell'inconscio. Il secondo aspetto che viene implicato dalla formula "l'agito prende il posto del pensato" riguarda l'esperienza della temporalità che viene vissuta nella dimensione di un presente che non si aggancia al passato e che non proietta verso il futuro. Recentemente Kernberg ha approfondito questo tema attraverso la presentazione di casi clinici che evidenziavano la "distruzione del tempo nel narcisismo patologico". Ciò è particolarmente evidente anche nel borderline, dove la "momentaneizzazione" del vissuto temporale non permette al soggetto di sentirsi ancorato in una prospettiva esistentiva. Come osserva anche Rossi Monti: nel microcosmo del rapporto terapeutico tutto questo è particolarmente visibile. A partire dalla difficoltà di articolare tra loro le sedute come eventi che godono di un duplice statuto temporale: da un lato eventi chiusi in se stessi (le singole sedute), ma dall'altro eventi inseriti in una successione nella quale le sedute si integrano tra loro a costituire una continuità. Nel lavoro con i pazienti borderline ogni volta tutto ricomincia da capo: all'inizio di ogni seduta manca spesso la percezione di un luogo interno ove sia possible conservare il ricordo delle sedute precedenti e della storia della relazione così come si va sviluppando. Il clinico ha spesso, per lungo tempo, la sensazione di stare provando a costruire sulle sabbie mobili. Ogni volta si ricomincia da capo: l'organizzazione della temporalità borderline consente di saltare da presente a presente, facendo di ogni attimo un'eternità. Da questi attimi non scaturisce una storia. Ognuno di essi occlude una storia che non può essere raccontata. Qualunque cosa accada, dopo ne accade un'altra e se si continua a inseguire gli eventi, concentrandosi sul presente, si potrà continuare ad avere a che fare solo con un evento invece che con una storia o con una narrazione nella quale riconoscersi .Possiamo collegare questa condizione clinica con la declinazione contemporanea del discorso della Civiltà segnalando un'osservazione di Giorgio Agamben, nella quale afferma che il nostro tempo è il tempo in cui il culto della sensazione ha distrutto l'esperienza. Il discorso della civiltà ipermoderna propone il culto delle sensazioni: la tendenza alla scarica contro l'espressione simbolica.
b) I nuovi sintomi non esprimono un conflitto del soggetto ed escludono il legame con l'Altro. In primo piano non è il contrasto tra legge e desiderio; al posto del desiderio abbiamo l'angoscia. Recalcati ipotizza che i nuovi sintomi siano un trattamento dell'angoscia, angoscia non di fronte al desiderio dell'Altro, ma angoscia rispetto alla ferita narcisistica. Perdippiù i nuovi paradigmi clinici hanno smesso di rappresentare la discrepanza tra il desiderio soggettivo e le richieste della società, infatti non sono l'indice di quella questione che poneva il soggetto in impasse rispetto all'Altro. I nuovi sintomi sono semmai l'indice di un eccesso "normotico" del soggetto al messaggio dell'Altro contemporaneo, sono dei sintomi che in un certo senso sono chiamati a contribuire a un adeguamento del soggetto allo stile di vita incoraggiato dal discorso sociale. L'anoressia è, per esempio, l'esaltazione psicopatologica della passione per il corpo magro, oppure l'uso di sostanze è oggi finalizzato a rendere il soggetto sempre più all'altezza dei ritmi dettati dai vari comandamenti sociali. Un mio giovane paziente diceva appunto che la cocaina gli consentiva di "avere il piede in due staffe". Un giorno in seduta lo stesso paziente mi racconta un sogno in cui il padre lo incitava ad assumere la cocaina. Il sogno era apparentemente in contrasto con la realtà, infatti il padre è un rappresentante della legge che è contrario al suo stile di vita tendente alla dissipazione. Il sogno però rivela un'interpretazione inconscia del paziente: dietro l'enunciato che pone il divieto il soggetto ipotizza una complicità del padre nel comportamento fuori-legge, un sostegno paterno alla trasgressione. Ebbene, tutto ciò non è poi così lontano dalla realtà della relazione padre-figlio, infatti nel periodo appena precedente le analisi tossicologiche del figlio il padre svelerà al figlio i trucchi per aggirare i controlli e farla franca. È un esempio contemporaneo del rovesciamento della funzione d'interdizione veicolata dalla figura paterna, che si ritrova invece a incarnare l'agente di>un messaggio che favorisce l'evitamento dell'incontro con la dimensione del limite e della castrazione simbolica. Inoltre l'anoressia o le tossicomanie aprono uno scenario psicopatologico che esclude il riferimento all'Altro e si configurano come il tentativo di fare barriera proprio alla relazione intersoggettiva. L'anoressia è infatti la drammatica messa in atto del rifiuto dell'Altro. L'uso di sostanze stupefacenti è invece il ricorso ad un oggetto che consente di godere, facendo però a meno della presenza di un altro soggetto.La psicopatologia contemporanea ci mostra però anche un altro lato delle trasformazioni soggettive, infatti accanto a quelle forme sintomatiche che manifestano un'esclusione dell'Altro e che fanno del soggetto una fortezza vuota, osserviamo dei sintomi che evidenziano lo sgretolamento dell'identità: si tratta ad esempio degli attacchi di panico e delle depressioni. Gli attacchi di panico e le forme di depressione cosiddette atipiche - in realtà così tanto tipiche nella nostra pratica - sono un altro indice della profonda vacillazione delle fondamenta del soggetto e del legame interpersonale. L'attacco di panico si presenta come "un fulmine a ciel sereno" e in modo imprevedibile fa emergere la vita fuori da qualsiasi rappresentazione e da qualsiasi limite. La crisi di panico si configura come un'esperienza che mette in risalto il limite dell'esistenza, problema che assume le sembianze dell'evento traumatico perché il soggetto si ritrova ad affrontare la "nuda vita" senza riferimenti simbolici. La depressione evidenzia lo svuotamento del desiderio, che strutturalmente si configura come desiderio del desiderio dell'Altro. La depressione contemporanea inoltre non trova più il suo organizzatore psicopatologico nel senso di colpa ed è sempre più spostata nell'area borderline e narcisistica. Come fa notare Rossi Monti si tratta di forme depressive che si aggregano intorno a due fondamentali costellazioni di esperienze: una prima costituita da disforia-rabbia-solitudine-vuoto e che affonda le radici in un assetto di personalità borderline; una seconda, organizzata intorno alle esperienze di vuoto-insufficienza-delusione-vergogna, che si inscrive nell'ambito della personalità narcisistica. In questo senso l'epidemia depressiva potrebbe essere considerata come l'involucro esteriore di alcune vicissitudini psicopatologiche in assetti di personalità che appartengono all'area borderline e narcisistica.
c) I nuovi sintomi si presentano come dei sintomi che resistono all'effetto dell'interpretazione semantica. Sui nuovi sintomi l'interpretazione semantica non ha effetto. L'arma decisiva con i nuovi sintomi è il maneggia-mento della relazione terapeutica, la relazione terapeutica diventa più decisiva dell'interpretazione. Le forme contemporanee della clinica pongono ancor di più il problema del trattamento del godimento, ossia di ciò che è refrattario alla dimensione della parola e che il paziente indica come "ciò che è più forte di me". Si tratta del "tornaconto paradossale del sintomo" che nel testo del colloquio possiamo dedurre da frasi con struttura logica simile: "non ne posso più, ma non ne posso fare a meno". Ora, se nella clinica della nevrosi questo aspetto è ciò che si fa cifra sintomatica di una posizione soggettiva, nella clinica del vuoto il sintomo non è metafora del soggetto dell'inconscio, ma è segno di un regime di godimento da tutelare o ripristinare. "L'inclinazione olofrastica" dei nuovi sintomi produce infatti un effetto di congelamento della dialettica tra il soggetto e l'Altro, dove il sintomo non diviene metafora di una verità rimossa, ma custode di un Io che scarta l'Altro. Ecco perché, a differenza della classica nevrosi, il paziente chiede soltanto di "aggiustare" il funzionamento del suo Io senza voler sapere quali implicazioni intersoggettive siano nascoste nel suo sintomo. La "clinica del vuoto" si configura dunque come un'esclusione a priori dell'Altro, il vuoto non è aperto sull'Altro della parola. Nella classica nevrosi l'Altro viene implicato nella verità rimossa del sintomo, per cui il soggetto si rivolge al terapeuta in quanto incarnazione del luogo della verità: "Ti parlo perché tu sei in grado di ascoltare la verità che mi sfugge". Nella clinica del vuoto invece il paziente non si presenta come soggetto diviso dal proprio sinto.......mo, poiché il soggetto è alienato in un'identificazione con il sintomo - "sono un'anoressica", oppure "sono un depresso" - che non viene interrogata nella sua valenza metaforica, ma solo nei suoi aspetti comportamentali. Nei nuovi sintomi la domanda di aiuto tendenzialmente è refrattaria alla dimensione della parola, si articola su uno sfondo alessitimico, da cui deriva la precarietà del legame transferale, ossia della domanda di senso che viene rivolta all'Altro.La caratteristica anti-metaforica della domanda apre allora la questione del trattamento preliminare della domanda, affinchè il paziente possa riconoscere l'enigma (il sintomo-messaggio) che potrebbe coinvolgerlo in una domanda inedita sulla propria verità................
orso castano : La "clinica del vuoto" si configura dunque come un'esclusione a priori dell'Altro, il vuoto non è aperto sull'Altro della parola. IL "godimento" nel senso di forte godimento corporeo che basta a a se'  riempie questo vuoto privo di simboli , quindi di parole , dell'Altro, con cui non "sembra" esserci il bisogno di comunicare , il godimento corporeo , che rimanda al "godimento narcisistico" (che non e' poi un vero godimento" ) e prevalentemente corporeo , isola , lascias l'IO in balia dei sensi, lo priva della possibilita' di costruire un rapporto non depauperato con l'Altro, mancano i simboli. Bel lavoro senzaltro da leggere con calma.

giovedì 20 maggio 2010

a cosa serve la stimolazione magnetica transcranica


cos'e la Stimolazione Magnetica
E’ un’apparecchiatura costituita da un generatore di corrente di elevata intensità e da una sonda mobile la quale viene posta a diretto contatto dello scalpo del paziente. Quando attivato, il generatore di corrente produce un campo elettrico che viene veicolato lungo la sonda. Il campo elettrico a sua volta produce un campo magnetico che ha la proprietà di poter passare attraverso le strutture dello scalpo senza alcuna dispersione ed in modo pressoché indolore potendo pertanto raggiungere le strutture cerebrali sottostanti, in particolare la corteccia cerebrale, e modificarne l’attività elettrica.
Come agisce la Stimolazione Magnetica Transcranica?
Il campo magnetico agisce sulle strutture della corteccia cerebrale determinandone una modificazione della sua attività elettrica che può perdurare oltre il periodo della stimolazione stessa. E’ stata riscontrata inoltre una modulazione nella secrezione di neurotrasmettitori specifici quali dopamina e serotonina, entrambi alterati nei disturbi del tono dell’umore, dopo trattamento con TMS. Si ipotizza che la combinazione di questi effetti possa essere responsabile del miglioramento sintomatologico riscontrato su buona parte dei pazienti trattati con TMS
In quali ambiti viene utilizzata?
Già a partire dalla metà degli anni ’80 la Stimolazione Magnetica Transcranica viene utilizzata in clinica neurologica come strumento diagnostico per patologie che comportano un’alterazione della funzionalità di diverse strutture nervose. In particolar modo consente di stabilire se esistano delle lesioni di diversa natura (infiammatoria, ischemica, compressiva, tumorale) lungo la via motoria.Recentemente è stato riscontrato, in modo del tutto accidentale, come pazienti affetti da patologia neurologica che venivano sottoposti a TMS a fini diagnostici e che presentavano associato un disturbo del tono dell’umore (depressione) potessero presentare un miglioramento del quadro depressivo.Quest’ultimo riscontro ha dato avvio all’utilizzo della TMS come trattamento terapeutico in ambito psichiatrico.
Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) e Funzioni Cognitive: quali possibili applicazioni riabilititive?
La stimolazione magnetica transcranica (TMS) rappresenta una tecnica di definita validità nello studio delle funzioni corticali, in particolare quelle motorie come dimostrato da studi di neurofisiologia clinica. Recentemente, la TMS sia a singolo stimolo che ripetitiva è stata utilizzata nell’uomo sano anche per studiare le funzioni cognitive. Tale approccio può essere utilizzato non solo per capire se una data area cerebrale è cruciale per un determinato compito cognitivo, ma anche per tentare di modulare una determinata funzione cerebrale, sia in persone sane che con patologia. In base alla funzione cognitiva studiata ed ai parametri di stimolazione utilizzati (frequenza, durata, intensità di stimolazione e sito), la TMS può sia attivare che disattivare una determinata funzione cognitiva.Anche se gli effetti interferenti o facilitanti della TMS sono generalmente transitori, c’è la possibilità che tali modulazioni perdurino per un periodo di tempo maggiore. In letteratura sono presenti alcuni lavori che dimostrano come la TMS possa migliorare alcune funzioni cognitive o possa servire come trattamento complementare per alcune patologie, quali negligenza spaziale unilaterale e afasia. E’ quindi interessante approfondire questo ambito cercando di capire, con ricerche future, i meccanismi attraverso i quali la TMS modifica l’attività cerebrale stimolando un miglioramento comportamentale.
Quali sono le indicazioni per il suo utilizzo in ambito psichiatrico?
L’indicazione per l’utilizzo della TMS in ambito psichiatrico è costituita dalle forme farmacoresistenti di disturbi del tono dell’umore. In particolare la TMS ha trovato applicazione nel trattamento della depressione nelle sue diverse espressioni, con limitazioni legate all'età e alla presenza di sintomi psicotici.
La TMS non si pone come alternativa al trattamento farmacologico, ma come supporto allo stesso. L’indicazione al suo utilizzo è riservata ai pazienti che non trovano beneficio alcuno dalla terapia farmacologica (farmacoresistenza). Per farmacoresistenza si intende una risposta inadeguata dopo un trattamento farmacologico a dosaggi standard, per un periodo di almeno tre mesi, con una classe di antidepressivi o neurolettici.
Quali sono i risultati finora ottenuti?
dalla casistica derivata dall’esperienza di Centri italiani ed internazionali sembrerebbe documentata una reale efficacia del trattamento di Stimolazione Magnetica Transcranica in pazienti affetti da depressione farmacoresistente in una percentuale che si aggira intorno al 40-50%. Questo dato si deve interpretare come miglioramento sintomatologico del quadro clinico, non come risoluzione completa di malattia.
Quali sono le controindicazioni al suo impiego?
Esistono poche controindicazioni all’utilizzo della TMS. In particolare è sconsigliato il suo impiego in soggetti che presentino una storia clinica di epilessia, in portatori di pace-maker cardiaci e/o di protesi acustiche, in soggetti portatori di protesi metalliche cranio-facciali conseguenti a interventi di ricostruzione plastica, e in donne in stato di gravidanza.
Quali sono gli effetti collaterali?
Non sono stati segnalati ad oggi effetti collaterali di rilievo se si escludono sporadici casi di cefalea che regrediscono comunque nell’arco di poche ore dalla fine del trattamento. La farmacoresistenza (vale a dire la mancata risposta al trattamento farmacologico) costituisce uno degli aspetti più problematici per il trattamento terapeutico dei disturbi del tono dell’umore, in particolar modo della depressione.Si calcola che una percentuale del 30-40% dei pazienti affetti da disturbo del tono dell’umore non risponda in modo adeguato alla terapia farmacologica.Un’alternativa alla terapia farmacologica è rappresentata da metodi di intervento “non convenzionali” i quali agiscono come supporto al trattamento farmacologico stesso. Storicamente, la terapia elettroconvulsiva (elettroshock) è quella che ha dato i risultati più incoraggianti. Tuttavia l’elettroshock è una metodica altamente invasiva che richiede l’anestesia generale del paziente e l’induzione di una crisi epilettica; inoltre l’elettroshock è spesso causa di effetti collaterali rilevanti e duraturi come perdita della memoria e stato confusionale. Tutto ciò ha fortemente limitato l’impiego dell’elettroshock come metodo di intervento terapeutico in ambito clinico nonostante i benefici effetti documentati.Da qualche anno la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) viene utilizzata in alcuni Centri come alternativa alla terapia elettroconvulsiva con risultati incoraggianti e per certi versi sovrapponibili a quelli ottenuti mediante elettroshock. Il grande vantaggio della Stimolazione Magnetica Transcranica è rappresentato dal fatto di essere una metodica non invasiva, indolore e praticamente priva di effetti collaterali. Non richiede inoltre la sedazione del paziente.
Stimolazione Magnetica Transcranica: plasticità e stroke
Il sistema nervoso è modificabile sulla base dello sviluppo e delle esperienze effettuate nel corso della vita, mantenendo anche nell’individuo adulto, la capacità di riorganizzarsi sia in risposta ad una lesione, che all’addestramento. Il termine plasticità, descrive i diversi cambiamenti che avvengono a vari livelli di organizzazione neuronale, dalle molecole alle sinapsi e le reti neuronali a larga scala (mappe spaziali). Esempi sono i meccanismi d’auto-riparazione e di riorganizzazione delle connessioni neuronali, come l’utilizzazione di vie alternative funzionalmente omologhe ma anatomicamente distinte da quelle danneggiate, la sinaptogenesi, l’arborizzazione dendritica, il rinforzo secondario all’esperienza di connessioni sinaptiche precedentemente esistenti sul piano strutturale, ma silenti funzionalmente (Rossini & Pauri, 2000). Esistono due strategie fondamentali per esaminare la plasticità. In un approccio longitudinale, gli individui vengono esaminati diverse volte nel corso dell’apprendimento o dello sviluppo, ad esempio, quantificando l’attivazione di determinate aree corticali per un compito cognitivo prima e dopo (a volte anche durante) l’addestramento. Gli approcci longitudinali sono anche utili per valutare il recupero funzionale in diverse patologie neurologiche, soprattutto se questo avviene in un periodo relativamente breve. Una strategia alternativa è l’approccio trasversale che consiste nel confrontare la funzionalità neuronali di una determinata area cerebrale in con diversi livelli di abilità nell’attuazione di un dato compito (Poldrack RA, 2000). Tale metodo consente uno studio dello sviluppo nel corso di numerosi anni, ad esempio, Amunts e colleghi (1997) osservarono una relazione di proporzionalità tra la lunghezza del giro precentrale ed il numero d’anni di pratica musicale. Allo stesso modo l’approccio trasversale si è rivelato utile nell’esaminare i fenomeni plastici che si verificano a seguito di danni cerebrali (esempio stroke), e che altrimenti richiederebbero diversi mesi o perfino anni di osservazione. Tali studi sono stati resi possibili dallo sviluppo di moderne tecnologie di imaging funzionale non invasive che traggono il loro segnali dall’attivazione neurale come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la magnetoencefalografia (MEG), la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e le tecniche di elettroencefalografia ad alta definizione (HD-EEG). Il principio alla base di queste metodiche è che l'attività del cervello si associa a variazioni di differenti parametri fisiologici e biofisici che possono essere misurati in ciascun area: la scarica e la frequenza della medesima, i potenziali post-sinaptici, la sincronizzazione e la coerenza del firing dei neuroni. Alcune metodiche (HD-EEG, MEG) analizzano direttamente tali parametri, mentre altre ne forniscono una misurazione indiretta, attraverso la quantizzazione delle variazioni differenziali locali del consumo di energia (metabolismo) o dell'afflusso di sangue, che sono dipendenti dalle variazioni di fabbisogno energetico nelle aree cerebrali più coinvolte in un determinato compito. Ognuna delle tecniche descritte, tuttavia, dimostra dei limiti in termini di discriminazione temporale o spaziale, di conseguenza, un imaging ad alta risoluzione spazio-temporale richiede l’integrazione di informazione da modalità di acquisizione di segnali multiple grazie a tecnologie integrate. Ad esempio, se la fMRI ha permesso di ottenere un segnale dalle variazioni nell’ossigenazione ematica e dalla perfusione locoregionale del cervello con una risoluzione spaziale di poche centinaia di micron è necessario ricorrere agli avanzamenti dell’HDEEG e della MEG per ottenere una stima dell’attività cerebrale con una risoluzione temporale dell’ordine dei millisecondi o frazione di essi. La TMS utilizza campi magnetici rapidamente varianti per attivare la corteccia cerebrale con una risoluzione temporale inferiore ad un secondo, ed una spaziale di 1 centimetro. La TMS può rilevare i cambiamenti dell’eccitabilità corticale in soggetti sani o in varie tipologie di pazienti, e permette di valutare in questi la possibile riorganizzazione delle mappe d’attivazione cerebrale. Un altro esempio è rappresentato dalla plasticità a livello delle cortecce associative, quando l’attivazione delle afferenze sensoriali periferiche appaiata con la TMS causa un incremento della eccitabilità corticale. Le altre tecniche di imaging funzionale (come la PET, la MEG o l’fMRI) analizzano più attentamente i fenomeni plastici che modificano la normale topografia cerebrale, dimostrata essere fisiologicamente simmetrica nei due emisferi se pur con un alta variabilità interindividuale. Studi neurofisiologici, utilizzando tali tecnologie, hanno dimostrato una modificazione di tale simmetria di rappresentazione corticale, sia in termini di posizione che d’estensione d’attivazione cerebrale, sulla base dello sviluppo, dell’apprendimento e del recupero clinico. Recenti osservazioni inoltre, indicano che nei pazienti affetti da patologia cerebro vascolare può non esserci corrispondenza tra l’attivazione neuronale e la rilevazione del segnale BOLD di risonanza funzionale (che trae origine da una risposta emodinamica), suggerendo la combinazione di diverse tecniche di imaging per una piena comprensione dei fenomeni di plasticità (Pineiro, 2002). Uno degli obiettivi che la ricerca nel campo si pone di raggiungere è quindi conoscere il più precocemente possibile che livello di recupero ci si può aspettare in seguito ad uno stroke. Ciò è importante per riconoscere la prognosi e per la determinazione delle procedure riabilitative (Rossini et al 2003.
Bibliografia.................

orso castano : non e' un intervento analogo all'elettroshock , ma quello che fa riflettere che si e' giunti alla possibilita' di manipolare le strutture cerebrali , fino in profondita', in maniera non invasiva ed indolore. Questo pone , che, anche a livello terapeutico (come nel campo di alcune ricerche genetiche "ricombinanti") ci sia, quanto meno, un codice etico sulle tipologie di intervento alternative ai farmaci. Le potenzialita' di tali interventi, in prospetiva, proprioperche' non hanno gli effetti collaterali dei farmaci,(o con minori effetti collaterali in genere), potrebbero rivelarsi di grosso peso , n on solo a livello terapeutico, ma anche in campi molto delicati,  come  influire sulle modalita' stesse della formulazione e dell'espressione del pensiero. Cerche remo di documentare questo aspetto...

la controvalutazione di xagenaNews



La stimolazione magnetica transcranica a bassa frequenza non offre benefici per i pazienti con fibromialgia e depressione maggiore E’ stata studiata l’efficacia della stimolazione magnetica transcranica a bassa frequenza nei pazienti con fibromialgia e depressione maggiore.Un totale di 28 pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 20 sessioni di stimolazione magnetica transcranica, reale o simulata, della corteccia prefrontale dorsolaterale destra.I principali parametri di stimolazione erano 15 serie di stimoli pari al 110% della soglia motoria per 60 secondi a una frequenza di 1 Hz.Sono state utilizzate diverse scale di valutazione per la fibromialgia ( FibroFatigue, Likert Pain ) e per la depressione ( Hamilton Depression Rating Scale, Clinical Global Impression ).Entrambi i gruppi di trattamento ( reale e simulato ) hanno migliorato i loro punteggi in alcune scale ( FibroFatigue e Clinical Global Impression ), sebbene non siano state osservate differenze tra loro.Nessun miglioramento è stato riscontrato nella scala Likert Pain per entrambi i gruppi.
Questo studio ha mostrato che i pazienti con fibromialgia sottoposti a stimolazione magnetica reale non presentano significative differenze nei sintomi rispetto ai pazienti che ricevono una stimolazione magnetica simulata. ( Xagena2009 )
Carretero B et al, Pain Med 2009; Epub ahead of print