giovedì 31 maggio 2012

Presidi contro il DDL sul lavoro


Presidio Cgil, Rossello: “No a questo ddl, sì a interventi incisivi su crescita e fisco”

Francesco Rossello, Cgil

Savona. “Questa è la giornata del voto di fiducia sul disegno di legge sul mercato del lavoro. Abbiamo accompagnato la discussione nelle commissioni e in aula con una serie di manifestazioni di protesta. Non sarà un disegno di legge a offrire nuove opportunità di lavoro, sono necessari semmai interventi incisivi su crescita e fisco”. E’ il commento di Francesco Rossello, segretario generale della Cgil Savona, oggi nel presidio sotto la sede della prefettura.
Ieri il report della Cgil aveva evidenziato le grandi ombre della crisi regionale: dal 2008 alla fine del 2011 la Liguria ha perso 5.859 posti di lavoro. Il Savonese sta pagando un tributo altissimo. Prosegue Rossello: “L’attuale ddl è insufficiente e contiene norme sugli ammortizzatori sociali che non danno garanzie ai lavoratori, oltre ai tanti capitoli irrisolti dopo lo scempio della riforma delle pensioni. Sono molti i lavoratori che non hanno garanzie di accompagnamento alla pensione e che vengono snobbati dal governo; e per questo noi protestiamo”.
Il governo ha incassato le prime fiducie sul testo della riforma, spezzata in quattro maxiemendamenti. Ieri sono stati approvati i pacchetti che riguardano la flessibilità in “entrata” e “uscita” (tra cui anche il nuovo articolo 18 che consente i licenziamenti economici individuali) e i nuovi ammortizzatori sociali. Oggi gli altri due voti su cui è stata posta la fiducia: sulle tutele in costanza di rapporto di lavoro, e le misure su formazione e politiche attive per il lavoro.
“Cresce il numero dei disoccupati che perdono il posto fisso e non sono abituati a un mercato del lavoro flessibile – osserva Rossello – C’è poi il problema dei giovani che non trovano lavoro e dei precari che sempre più fragili e poco tutelati. Bisogna creare nuove opportunità di lavoro, e queste opportunità si creano rilanciando i consumi e attraverso politiche industriali serie. Questo ddl doveva essere più incisivo e dare più sicurezze a chi è precario”.
“I progetti previsti in provincia di Savona prevedono investimenti che darebbero certamente impulso per un rilancio dell’economia del territorio. Poi c’è da fare tutto un ragionamento su un modello di sviluppo che preveda un welfare forte e che bisogna ripensare a livello nazionale. In Italia, oggi, è necessario un governo forte di cui oggi siamo orfani” conclude il segretario della Cgil savonese.

DA "iL MANIFESTO"


Viviamo in un paese in cui il capo del governo viene scelto dalla troika europea, incoronato dal presidente della repubblica e sostenuto da un arco di forze che occupano l'85% del parlamento. Alla prima verifica popolare, le elezioni in molte città italiane, i partiti governativi prendono una sberla senza precedenti e persino chi «vince» perde voti. Soprattutto, va a votare soltanto la metà dell'elettorato, addirittura il 39% a Genova, mentre Grillo sbanca a Parma e conquista più sindaci della Lega.
Non si vede nel paese un'alternativa credibile allo stato di cose esistente e dunque la si cerca altrove dai luoghi e dai soggetti canonici, o si smette di cercarla. Contemporaneamente, il consenso di Monti accolto solo pochi mesi fa come il salvatore della patria si è dimezzato. C'entreranno qualcosa le sue politiche liberiste, la ghigliottina sulle pensioni, l'abbandono a se stessi dei giovani senza futuro, l'assalto ai diritti dei lavoratori dipendenti pubblici e privati? E avrà qualcosa a che fare l'abbandono delle urne con la debacle di una politica sempre più distante dai ceti sociali che finge di rappresentare?
In molti dovrebbero porsi queste domande, ma è sicuro che c'è almeno un luogo in cui esse sono al centro della riflessione collettiva: questo luogo è la Fiom, impegnata nella difesa della rappresentanza sociale minata da accordi separati e modifiche legislative che stanno riportando i rapporti tra capitale e lavoro agli anni Cinquanta. È ovvio che la Fiom si interroghi anche e di conseguenza sulla crisi della rappresentanza politica che ha espulso il lavoro dalla sua agenda, contribuendo ad approfondire il fossato che la separa dai ceti sociali devastati dalla crisi e dalle risposte classiste del governo, sostenute da Pdl, Udc e Pd e non osteggiate con la necessaria forza dai sindacati confederali. La mancata inversione di tendenza sulla precarizzazione del lavoro, l'attacco all'articolo 18, allo Statuto dei lavoratori e all'intero impianto delle relazioni sociali costruite in decenni di lotte operaie e sindacali, la svalorizzazione dei salari e delle pensioni, i tagli al welfare e quelli minacciati agli ammortizzatori sociali, fanno da pendant a una politica basata sui tagli e sull'ideologia del pareggio di bilancio. Nessun intervento serio di politica economica, nessuna scelta anticrisi, nessun invesimento per rilanciare uno sviluppo e un lavoro socialmente e ambientalmente compatibili.
Di questo si parla in Fiom, nei gruppi dirigenti come tra i delegati e gli iscritti dove cresce l'idea che questo modello di sviluppo e le ricette liberiste siano incompatibili con la stessa democrazia. Ma siccome i metalmeccanici della Cgil non sono abituarsi alle lamentele sterili, non si limitano a interrogarsi e condannare, al contrario mettono in campo tutta la loro forza e si aprono ai soggetti più deboli della società italiana, giovani, precari, disoccupati, movimenti sociali e territoriali con cui stanno intessendo rapporti positivi per rimandare al mittente il tentativo di dividere per colpire meglio, una alla volta, le vittime designate di una politica nemica.
Resta però il nodo della politica. Quando si parla di politica e di partiti, in casa Fiom si pensa innanzitutto alle sinistre. Non esistono, e da tempo immemorabile, partiti di riferimento e tanto meno governi amici per i metalmeccanici «rossi», che però rossi (e anche esperti) sono e restano. E si chiedono come dei partiti che traggono la loro sia pur lontana origine dalla storia del movimento operaio non ritengano giunto il tempo di fermarsi e guardare al presente, con un occhio al passato e l'altro a un futuro oggi coperto da nuvoloni neri. O c'è ancora chi pensa, nonostante l'evidenza, che il voto dei lavoratori dipendenti, dei giovani, dei pensionati sia conservato in un silos immarcescibile, perché tanto alla fine la truppa segue? Che ruolo hanno il lavoro e i diritti di chi lavora nella formazione della volontà politica di chi dice di proporsi come alternativa alle destre e alla disaffezione?

le modifiche chieste dalla CGIL , dom,ani in discussione alla Camera


Il testo del Disegno di legge di riforma del mercato del lavoro giunge in aula al Senato con diverse novità positive e alcuni peggioramenti.

Per la CGIL si può fare di più e meglio nella riduzione della precarietà e nell'allargamento in senso universale degli ammortizzatori sociali e nelle tutele nei confronti degli abusi, pertanto il testo ad oggi all'esame non risponde alla necessità di riaprire per l'Italia una “prospettiva di crescita”, come pure recita il titolo del provvedimento, della quale il lavoro dovrebbe essere parte essenziale.

La logica della riduzione dei costi che accompagna il provvedimento non dà alcuna garanzia alla stabilizzazione dei giovani nel mercato del lavoro e all’allargamento dell’occupazione femminile.

Per la CGIL si è ancora in presenza di un testo che ha bisogno di importanti modifiche.

Per questi motivi la CGIL, non rinunciando all'idea che vi possano essere miglioramenti al testo, conferma la propria intenzione di presidiare la discussione del Disegno di legge sia al Senato che successivamente alla Camera dei Deputati.

Sulle tipologie di lavoro, la CGIL apprezza il fatto che il compenso dei collaboratori a progetto non possa essere inferiore ai minimi salariali dei lavoratori subordinati equivalenti.

Si tratta di una conquista importante in assoluto, a maggior ragione se posta in relazione con l'incremento del costo contributivo già previsto dal testo in entrata.

Se analizzate congiuntamente con le “presunzioni di subordinazione” già previste dal testo in entrata, frutto del confronto tra parti sociali e governo, si pongono le premesse normative per un’importante opera di pulizia del mercato del lavoro dalle forme elusive di ricorso al lavoro autonomo, e al contempo di tutela efficace dei redditi per le collaborazioni genuine.

Questo obiettivo però rischia di essere compromesso dalla normativa introdotta sul contrasto alle partite Iva fittizie: aver esentato da qualsivoglia presunzione di subordinazione il percettore di compensi superiori a 18mila € lordi annui (pari a poco più di 700€ mensili) significa aver impedito l'efficacia di un'opera di bonifica del mercato del lavoro dai comportamenti elusivi, cui si aggiunge il netto arretramento delle disposizioni sulle associazioni in partecipazione. Pertanto la meritoria azione verso le collaborazioni rischia di agevolare “fughe” verso tipologie meno protette, vanificando così il risultato ottenuto.

Quanto alle misure di contrasto alla precarietà, si nota con rammarico che il testo che giunge in Aula peggiora le disposizioni riguardo al già grave superamento dell'obbligo di giustificazione per il primo ricorso al contratto a termine o di somministrazione, raddoppiando il periodo “senza bisogno di giustificazione”a 12 mesi, o prevedendo in alternativa la possibilità per la contrattazione collettiva di disporre che fino al 6% dell'organico aziendale si possa evitare l'obbligo di giustificazione per il ricorso a rapporti a termine o in somministrazione.

Sbagliata è la norma sul lavoro intermittente che ripristina, pur con lievi correttivi, l’unica base giuridica che ha permesso alle imprese di ricorrere a questa forma di lavoro drammaticamente precarizzante.

Significativa è la soluzione trovata sul ricorso al voucher in agricoltura che difende le conquiste storicamente raggiunte in materia di governo del mercato del lavoro, anche se è previsto l’allargamento nell’uso del voucher per le imprese commerciali e gli studi professionali.

Sugli ammortizzatori, il tema decisivo della copertura universale di tutti i soggetti nel mercato del lavoro già eluso dal testo governativo, non risulta migliorato nella sostanza. Infatti l'allargamento ai collaboratori a progetto delle disposizioni sull'ASpI è rinviato al 2016 previa verifica della compatibilità economica. Per le imprese con meno di 15 dipendenti escluse dalla copertura della CIG si riscopre una vecchia disposizione di derivazione dal precedente governo che rovescia i rapporti tra provvidenza di fonte pubblica  ( l'ASpI) e l'integrazione proveniente dalla bilateralità privata: è noto che sulla disposizione originaria (art. 19 legge 2/09) la Cgil ha promosso giudizio di costituzionalità pendente davanti alla Corte.

Sugli ammortizzatori si tocca con forza il tema della scarsità delle risorse pubbliche impegnate per la “riforma”. Inoltre l’allungamento dell’età pensionabile e la riduzione della durata degli ammortizzatori (ASpI e mini AspI rispetto alla mobilità) rischiano di produrre una condizione acutissima di disagio sociale soprattutto in una fase di crisi recessiva.

La disciplina sulla responsabilità solidale negli appalti contiene una positiva correzione al testo già peggiorato dalla legge sulle liberalizzazioni. Rimane comunque il rischio che si determini lo slittamento dei tempi e quindi un danno aggiuntivo per i lavoratori.

Sulla disciplina dei licenziamenti, si riconferma il giudizio più volte espresso dalla CGIL.
La correzione negativa, introdotta in Commissione, secondo cui in caso di esito inefficacie del tentativo obbligatorio di conciliazione, il licenziamento decorre retroattivamente dal giorno della comunicazione al lavoratore, e il periodo lavorato in costanza di tentativo di conciliazione viene “declassato” a periodo di preavviso, rappresenta un atto chiaramente vessatorio e di dubbia legittimità.

La CGIL chiede pertanto, a conferma delle proposte già consegnate durante l’esame del provvedimento al Senato nel prosieguo dell’iter parlamentare di:
  • rimuovere o comunque restringere significativamente i periodi che non necessitano di causale giustificativa nel ricorso ai rapporti di lavoro a termine;
  • ripristinare le disposizioni restrittive sul lavoro intermittente;
  • innalzare significativamente, fino a tre volte, il riferimento economico che esenta il titolare di P.Iva dalla presunzione di subordinazione ( da 18mila a 42mila Euro lordi annui);
  • universalizzare effettivamente gli ammortizzatori sociali per tutti i settori e le tipologie di impiego, mantenendo la funzione integrativa della bilateralità contrattuale;
  • rimuovere la retroattività del licenziamento in caso di esito negativo della procedura di conciliazione

da la Repubblica.it nuovo art.18


LA SCHEDA

Articolo 18, ecco la nuova formula  nata dall'accordo governo-partiti

Dopo le dure polemiche tra Palazzo Chigi e sindacati, con il Pd a difendere il diritto al reintegro previsto dalla Statuto dei lavoratori, il vertice di martedì a Palazzo Giustiniani 1ha portato a un accordo che reintroduce la possibilità di rientrare al lavoro se i motivi oggettivi addotti dall'azienda fossero "manifestamente insussistenti".

TUTTE LE MISURE DELLA RIFORMA SUL LAVORO 2

Ecco il quadro completo delle modifiche all'articolo 18 che saranno previste nell'articolo 14 (il testo 3) del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro. Rimane in vigore la soglia dei 15 dipendenti, sotto la quale l'articolo 18 non si applica.

COM’È OGGICOME SARÀ
Licenziamento individuale per motivi economici *Il licenziamento individuale per motivi economici, riconosciuti come validi, è già previstoe non dà diritto né al reintegro né all’indennizzo.Non cambia
- applicabile fino a 4 dipendenti nell’arco di 120 giorni
Se il giudice ritiene non valido il motivo economico addotto dall’azienda, può decidere il reintegro del lavoratore. Sarà il dipendente, nel caso, a scegliere in alternativa l’indennizzo.Se il giudice ritiene non valido il motivo economico addotto dall’azienda, dovrà decidere per l’indennizzo economico, che sarà tra le 12 e le 24 mensilità in base alle dimensioni dell’azienda, dell’anzianità del lavoratore e del comportamento delle parti nella fase di conciliazione.
L'unico caso in cui il lavoratore avrebbe diritto al reintegro è se il giudice trovasse che i motivi addotti dall'azienda sono "manifestamente insussistenti"


L'onere della prova è a carico dell'azienda. Se il giudice valuta che le motivazioni economiche nascondo motivi discriminatori o disciplinari, si ricadrà nei casi qui di seguito.Non cambia

Licenziamento per motivi disciplinariSe il giudice riconosce validi motivi disciplinari, non scatta né il reintegro né l’indennizzoNon cambia
Come per i licenziamenti per motivo economico, il giudice che ritiene non valido il motivo disciplinare addotto dall’azienda, può decidere il reintegro del lavoratore. Sarà il dipendente, nel caso, a scegliere in alternativa l’indennizzo. Di fatto, oggi non esiste differenzaIl giudice avrà di fronte due alternative:
1. se il fatto imputato al lavoratore non sussiste, o non è stato commesso dal lavoratore o se è un motivo punibile con una sanzione conservativa (secondo i contratti di settore), allora deciderà per il reintegro, in aggiunta al pagamento della retribuzione per tutto il periodo tra il licenziamento e il reintegro stesso.
2. in tutti gli altri casi di motivo ingiustificato ci sarà l’indennizzo, che lo stesso giudice stabilirà tra le 12 e le 24 mensilità in base alle dimensioni dell’azienda, dell’anzianità del lavoratore e del comportamento delle parti

Licenziamento per motivi discriminatoriSe il giudice non riconosce la discriminazione, il licenziamento resta validoNon cambia
 - Si applica anche alle aziende con meno di 15 dipendentiIl lavoratore può impugnare il licenziamento e deve dimostrare davanti al giudice che è stato discriminatorio. Se il giudice ritiene fondato il ricorso, annulla il licenziamento e reintegra il lavoratore. Il lavoratore può decidere di optare per un indennizzo di 15 mensilità.Non cambia

* Questo tipo di licenziamenti prevederà una procedura di conciliazione presso la Direzione territoriale del lavoro. Se il tentativo fallisce entro 20 giorni, il datore di lavoro comunica il licenziamento. A quel punto il dipendente potrà la possibilità di ricorrere in tribunale
(05 aprile 2012)




Il parerare di Camusso


Roma, 31 mag. - (Adnkronso) - ''Il disegno di legge e' squilibrato. Non interviene sufficientemente nel contrasto alla precarieta', ha delle soluzioni sugli ammortizzatori che contrastano e che contrasteranno con la dimensione della crisi e con la gestione che ci sono dei problemi. E quindi contienueremo le nostre iniziative, siamo in presidio davanti al Senato, per provare a modificare il provvedimento alla Camera''. Ad affermarlo e' il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, in merito alla riforma del lavoro, a margine dell'Assemblea di Banca d'Italia.



LICENZIAMENTO – REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO (ordinamento attuale che potrebbe essere trasformato)

Questione 1
Cosa può fare un lavoratore qualora, disposta la reintegrazione da parte del giudice a seguito dell'accertamento della illegittimità del licenziamento inflittogli, non intenda tornare al lavoro?
L'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori prevede che il giudice, qualora annulli un licenziamento (per esempio, perché intimato senza giusta causa o giustificato motivo, oppure perché discriminatorio o intimato a voce), ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Inoltre, nello stesso caso, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, nella misura della retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali; in ogni caso, l'indennità dovuta a titolo di risarcimento del danno non potrà essere inferiore a cinque mensilità.
Peraltro, l'art. 18 S.L. è applicabile solo ai datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, che abbiano alle proprie dipendenze più di quindici dipendenti nell'unità produttiva in cui è avvenuto il licenziamento, ovvero nell'ambito dello stesso comune (il numero dei dipendenti è ridotto a più di cinque se il datore di lavoro è un imprenditore agricolo); inoltre, la norma in questione è applicabile ai datori di lavoro che occupino, complessivamente, più di sessanta lavoratori.
La recente riforma introdotta dalla legge n. 108 del 1990 ha anche considerato l'ipotesi che il lavoratore, reintegrato a seguito di un illegittimo licenziamento, preferisca rinunciare al posto di lavoro. L'ipotesi è disciplinata dall'art. 18 c. 5 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dalla citata L. 108/90. Più precisamente, la legge prevede che il lavoratore, a seguito dell'ordine di reintegrazione formulato dal giudice, opti per la risoluzione del rapporto in cambio di una indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. In altre parole, il lavoratore ha la facoltà di domandare al datore di lavoro, al posto della reintegrazione, la somma ora indicata, che andrà ad aggiungersi a quella già liquidata dal giudice a titolo di risarcimento del danno e di cui si è già detto.
Tuttavia, il lavoratore deve esercitare tale facoltà nel termine tassativo di trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza. In ogni caso, fino a quando l'opzione non sia stata esercitata, il lavoratore ha diritto alla retribuzione dovuta a far tempo dalla sentenza di reintegrazione. La Corte di cassazione ha precisato che la retribuzione è dovuta anche nel caso in cui il lavoratore non ottemperi all'invito, rivoltogli dal datore di lavoro, di riprendere servizio (sentenza n. 6494 del 7/6/91); a tale riguardo, si tenga però presente che, se entro trenta giorni dall'invito il servizio non viene ripreso, il rapporto è automaticamente risolto senza diritto ad alcuna indennità.
Inoltre, la Corte Costituzionale (sentenza n.291/96) ha affermato che la facoltà insindacabile di monetizzare il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, attribuita al lavoratore dal 5° comma dell'art. 18 S.L., non può essere vanificata dalla revoca del licenziamento da parte del datore di lavoro, nel corso del giudizio avanti l'Autorità Giudiziaria; tale revoca infatti non può giungere ad effetto se non vi è accettazione del dipendente.
Questione 2
Nel caso in cui un lavoratore, accertata la illegittimità del licenziamento, venga reintegrato nel posto di lavoro, che ne è dei contributi dovuti per il periodo che intercorre dal licenziamento alla reintegrazione?
Fino a qualche tempo fa, la questione era, per la verità, controversa, sebbene risolta, dalla maggioranza dei giudici, nel senso che la posizione contributiva del lavoratore illegittimamente licenziato andava comunque regolarizzata. Attualmente, invece, la legge disciplina espressamente la questione. L'art. 18 S.L., a seguito della modifica introdotta dalla L. 108/1990, ha stabilito che il giudice, accertata la illegittimità del licenziamento, oltre a ordinare la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, debba condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno, corrispondendo una indennità commisurata alla retribuzione dovuta dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti nello stesso periodo.
Poiché il risarcimento del danno è dovuto nella misura minima di 5 mensilità, potrebbe accadere che l'indennità menzionata sia superiore alle retribuzioni effettivamente perdute. Ciò potrebbe accadere se il lavoratore fosse reintegrato prima della scadenza del quinto mese dalla data del licenziamento. E' peraltro ovvio che, in questo caso, il versamento dei contributi deve coprire solo il tempo effettivamente intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione.
Invece, la legge non disciplina la questione contributiva in ordine alla indennità, commisurata a 15 mensilità, che il lavoratore può rivendicare al posto della reintegrazione. Resta così controverso se, in questo caso, il datore di lavoro sia anche obbligato al versamento dei contributi. A tale riguardo, bisogna però segnalare che l'Inps ha emanato una circolare secondo la quale i contributi non sono dovuti, dal momento che la somma non viene corrisposta a titolo di retribuzione, avendo natura risarcitoria.
Discorso analogo viene fatto per il caso in cui, nelle aziende di minori dimensioni, alle quali non sia applicabile l'art. 18 S.L., il datore di lavoro, invece di riassumere il lavoratore illegittimamente licenziato, preferisca corrispondergli l'indennità stabilita dalla legge (da 2,5 a 6 mensilità). Si è infatti sostenuto che, stante la natura risarcitoria della somma dovuta, il datore di lavoro non è tenuto al versamento contributivo.
Questione 3
A seguito della reintegrazione, il lavoratore illegittimamente messo in mobilità deve restituire il TFR percepito al momento del licenziamento? E l'Inps potrebbe pretendere la restituzione della indennità di mobilità corrisposta?
Sicuramente, il lavoratore licenziato, reintegrato nel posto di lavoro a seguito di una sentenza di accertamento della illegittimità del licenziamento, deve restituire il TFR eventualmente percepito. Tuttavia, questa regola generale incontra precise limitazioni. In primo luogo, bisogna distinguere se il provvedimento giudiziario di reintegrazione sia una sentenza, ovvero un provvedimento cautelare d'urgenza (si tratta del provvedimento che conclude la fase, appunto, d'urgenza che di regola, in caso di licenziamento, precede il vero e proprio giudizio di primo grado a cognizione piena). Infatti, una recente sentenza ha stabilito che, in quest'ultimo caso, il lavoratore può rivendicare il pagamento del TFR non corrisposto. Infatti, solo la sentenza, e non il provvedimento d'urgenza, ricostituisce il rapporto di lavoro (così Pret. Frosinone 4/2/94, est. Cianfrocca, nella causa Air Capitol Srl contro Battista).
Inoltre, secondo la Corte di cassazione, il datore di lavoro non può, unilateralmente e senza il consenso del lavoratore, recuperare somme che pretende essere dovute mediante trattenute sulla retribuzione. Al contrario, se il lavoratore contesta l'esistenza del credito, il datore di lavoro deve promuovere un giudizio che ne accerti l'esistenza. Infatti, consentire la unilaterale trattenuta sulla retribuzione equivarrebbe a riconoscere al datore di lavoro un potere di autotutela estraneo all'ordinamento giuridico (così Cass. 7/9/93 n. 9388, pres. Mollica, est. Buccarelli, nella causa Cosentino e altri contro A.C.T.P.N.).
In ogni caso, l'art. 545 cpc dispone che le retribuzioni e le "altre indennità relative al rapporto di lavoro" non possono essere pignorate in misura superiore ad un quinto. Pertanto, anche se, contro la giurisprudenza sopra citata, si ammettesse la possibilità di una sorta di compensazione automatica tra i crediti, il datore di lavoro non potrebbe trattenere più di un quinto della retribuzione.
Quanto alla indennità di mobilità, anch'essa deve essere restituita, peraltro sempre secondo la regola imposta dall'art. 545 sopra citato. In ogni caso, va detto che la restituzione dell'indennità in questione non costituisce un danno per il lavoratore, poiché la sentenza che accerti la illegittimità del licenziamento condanna il datore di lavoro a corrispondere la retribuzione piena per un periodo almeno pari a quello in cui è perdurata la messa in mobilità.
Questione 4
E' vero che alcuni vorrebbero innalzare la soglia dei 15 dipendenti, prevista per la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato?
Il tema del giorno, in materia di lavoro, è senza dubbio l’innalzamento del tetto di 15 dipendenti, al fine dell’applicabilità dello Statuto dei diritti dei lavoratori e conseguentemente a tutto l’apparato di diritti e libertà sindacali, e al limite ai licenziamenti, attraverso la norma che sancisce l’obbligo della reintegrazione nel posto di lavoro a seguito di licenziamento dichiarato illegittimo dal Giudice.
Si dice che il limite è oggi anacronistico e che altri dovrebbero essere i parametri per valutare le dimensioni dell'impresa: ma poi si dice anche che la soluzione ideale sarebbe non solo innalzare tale limite, ma anche sottrarre ai giudici della Repubblica la valutazione circa la fondatezza dei licenziamenti, per affidarli a collegi arbitrali privati. Si potrebbe discutere a lungo se l’innalzare il limite di 15 dipendenti sia oggi opportuno o meno, ma pare comunque necessario ricordare che quel limite non voleva indicare solo le dimensioni dell’impresa, ma anche e soprattutto consentire la reintegrazione, in caso di licenziamento illegittimo, solo in aziende le cui dimensioni in termini di occupazione consentissero il reinserimento senza traumi particolari. Vi è ancora da ricordare che pochi anni fa, al fine di evitare un referendum proprio sul numero dei dipendenti ai fini dell’applicazione dello Statuto, si andò nella direzione opposta, introducendo tutele anche sotto il limite di 15 dipendenti.
Vi è ancora da osservare che la tutela dei diritti dei lavoratori negli ultimi anni è già andata affievolendosi notevolmente; non solo, ma le imprese hanno da tempo escogitato diversi sistemi (frammentazione dell’azienda in svariate società, out-sourcing, contratti di parasubordinazione), per sfuggire all’applicazione delle norme dello Statuto. La flessibilità oggi in Italia è sicuramente massiccia, nel campo del lavoro. Un altro esempio è dato dalla introduzione del lavoro interinale, cui si collegavano effetti miracolosi in termini di aumento dell’occupazione.
Quello che non si è ancora riusciti ad eliminare del tutto è il controllo della Magistratura sulla legittimità e fondatezza dei licenziamenti. Ma siamo certi che gli italiani preferiscano vivere in un paese in cui chiunque può essere licenziato per i motivi più strani, senza alcun controllo giudiziale e senza possibilità di ripristinare la situazione, in caso di accertamento della illegittimità del comportamento datoriale ?
In sostanza viene addossata alla Magistratura la colpa di non consentire un’adeguata flessibilità, con ciò non dicendo fino in fondo che quel che si vuole è una mancanza totale di controllo della legittimità sui licenziamenti. Il cattivo funzionamento della Magistratura è infatti rappresentato dall’annullamento di troppi licenziamenti: ma questo significa solo che troppe imprese effettuano licenziamenti viziati, mal fatti, discriminatori, di ritorsione, e, in una parola, privi di giustificazione.
La soluzione sarebbe dunque rappresentata dalla possibilità di sottrarre i licenziamenti (ma, possibilmente anche la tutela di tutti i diritti dei lavoratori) al controllo di un organo terzo, come la Magistratura, colpevole di eccessiva rigidità e di un esasperato garantismo, per rivolgersi a un soggetto privato (il Collegio Arbitrale), che dovrebbe svolgere lo stesso ruolo di garanzia e di controllo, ma con ben minore rigidità.
Si riproduce in questo caso quello che è già avvenuto in materia di collocamento: quando si ritiene che un apparato dello Stato non funzioni, non si opera per renderlo efficiente e farlo funzionare al meglio, ma si preferisce che lo Stato si faccia da parte, abdicando al suo ruolo, per affidare ai privati i compiti che dovrebbero essere pubblici.
E non si dica che in tal modo non si cercano diversi e non confessabili risultati, in quanto il fatto che il terzo che dovrebbe valutare la fondatezza di un licenziamento sia un soggetto pubblico o un soggetto privato, dovrebbe, di per sé, essere ininfluente.
Tutto questo, per di più, in un paese in cui tra le tante falle della giustizia, la giustizia del lavoro viene additata come l’unica isola felice di buon funzionamento. Ma forse è proprio questo l’aspetto che non va bene.
Questione 5
Il lavoratore illegittimamente licenziato può essere reintegrato in una diversa unità produttiva?
Come è noto, accertata l'illegittimità di un licenziamento intimato da un datore di lavoro che occupi più di 15 dipendenti presso ciascuna sede o stabilimento, ovvero più di sessanta lavoratori complessivamente, il Giudice deve ordinare la reintegrazione del lavoratore nel suo posto di lavoro. Talvolta però accade che il datore di lavoro, dopo aver subito questa condanna, di fatto la aggiri, reintegrando il lavoratore in una posizione differente da quella occupata prima del licenziamento; talvolta, la reintegrazione avviene addirittura presso una diversa unità produttiva. Come si diceva, in questo modo l'ordine di reintegrazione viene adempiuto solo parzialmente e, nella sostanza, viene disatteso, dal momento che, a seguito di un licenziamento ingiustificato, sarebbe necessario ricostituire la situazione così come era prima dell'atto illegittimo. Al contrario, la reintegrazione del lavoratore in una posizione diversa è inidonea a rimuovere tutti gli effetti lesivi del licenziamento annullato dal Giudice.
Un'ipotesi simile a quella di cui si è appena detto si era verificata nel caso esaminato dalla sentenza n. 3248, pronunciata dalla Corte di cassazione in data 3/4/99. Infatti, in quel caso, il datore di lavoro, dopo essere stato condannato a reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, aveva provveduto a riammettere in servizio il lavoratore in questione in una diversa posizione lavorativa e, addirittura, in un diverso luogo di lavoro. Questo comportamento è stato ritenuto illegittimo dalla sentenza citata. Infatti, la Corte ha ritenuto che l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, emanato dal giudice per sanzionare un licenziamento illegittimo, esige che il lavoratore sia, in ogni caso, ricollocato nel posto occupato prima del licenziamento. Solo dopo questa effettiva reintegrazione, il datore di lavoro ha la facoltà - eventualmente - di trasferire lo stesso lavoratore, ovviamente nel rispetto dei limiti imposti dall'art. 2103 c.c. che, in particolare, consente al datore di lavoro di trasferire un proprio dipendente da una sede ad un'altra solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive: in altre parole, il trasferimento è legittimo a condizione che il lavoratore non sia più utilizzabile nella sede di provenienza e sia invece indispensabile in quella di destinazione.
La Suprema Corte ha chiarito che la regola sopra enunciata si giustifica anche in considerazione della scelta, operata dal legislatore, di tutelare la posizione del lavoratore illegittimamente licenziato nella sua effettività, ovvero avendo riguardo della sua professionalità ma anche della sua vita sociale e familiare: evidentemente, tutto questo sarebbe pregiudicato se il lavoratore illegittimamente licenziato non fosse reintegrato nel medesimo posto di lavoro. Naturalmente, la tutela offerta dal legislatore contro un simile pregiudizio varrebbe anche qualora il posto di lavoro in questione fosse stato nel frattempo assegnato ad un altro lavoratore: in altre parole, una simile eventualità sarebbe irrilevante e non assolverebbe il datore di lavoro dall'obbligo di reintegrare il lavoratore nella posizione lavorativa ricoperta prima di essere illegittimamente licenziato.




mercoledì 30 maggio 2012

Presidi CGIL contro il voto di fiducia al Ddl lavoro


Presidio Cgil oggi pomeriggio a Roma in piazza Vidoni nei pressi del Senato dopo la decisione di porre quattro voti di fiducia al ddl lavoro. Presidi spontanei davanti alle prefetture. Domani la mobilitazione prosegue.
30/05/2012 Condividi su:  condividi su Facebook condividi su Twitter Presidio di protesta questo pomeriggio a Roma a piazza Vidoni, nei pressi del Senato, organizzato dalla Cgil per contestare la decisione del governo di porre la fiducia sul provvedimento di riforma del mercato del lavoro . In alltre città si sono svolti presidi spontanei davanti alle prefetture.
La scelta del governo di porre le quattro questioni di fiducia, spiega la Cgil, “impedisce quei miglioramenti, possibili solo attraverso il dibattito parlamentare, su di un provvedimento che contiene diverse novità positive e alcuni peggioramenti e che ha ancora bisogno di importanti modifiche”.La mobilitazione proseguirà da domani.


martedì 29 maggio 2012

la Fornero , ministro di destra, attacca i diritti dei disabili ed il welfare: IDV ,SEL, GRILLO avanti tutta senza PD ed ICHINO,

da  Logo FISH


orso castano : questa e' l'idea della Fornero suyl welfare : le assicurazioni private!! peggio che negli USA, la Fornero vuole distruggere il welfare esistente prima  di andarsene! Il PD resta a guardare! Da tempo non e' piu' un partito di opposizione, ma un partito moderato che vorrebbe occupare il posto dell'UDC ? Lo dica chiaramente. Sant'Ichino , Beato, fara' salti di gioia!




Non si può pensare che lo Stato sia in grado di fornire tutto in termini di trasferimenti e servizi’’. Lo ha dichiarato il Ministro del Lavoro Elsa Fornero durante il convegno Autonomia delle persone con disabilità: un nuovo contributo per assicurarla (Reatech, Milano, 25 maggio).Il Ministro ha poi aggiunto: “Sia il privato che lavora per il profitto sia il volontariato no profit sono necessari per superare i vincoli di risorse. Il privato, in più del pubblico, possiede anche la creatività per innovare e per creare prodotti che aiutino i disabili. La sinergia tra pubblico e privato va quindi rafforzata”.I prodotti di cui si parla sarebbero quelli assicurativi. Infatti la Fornero prosegue: “Per evitare accuse di raggiro o frodi, il ruolo pubblico dovrebbe dare credibilità inserendosi nella relazione tra la persona e il mondo assicurativo. C’è bisogno di innovazione finanziaria e creatività”.Parole che lasciano sconcertate le organizzazioni delle persone con disabilità, per la loro crudezza e per l’evocazione di una “cultura” che non si pensava potesse penetrare nel nostro Paese risalendo fino ai vertici di un Governo che si appella ad ogni piè sospinto all’equità.
Con la prima affermazione la Fornero gela qualsiasi ipotesi e speranza di innovazione sociale, di garanzia dei diritti civili, di efficacia ed efficienza dei servizi sociali, di miglioramento delle prestazioni per i disabili gravissimi e per i non autosufficienti.........Ma la seconda parte delle affermazioni del Ministro ha risvolti non meno inquietanti.Lo Stato, pur di liberarsi della spesa per la disabilità e la non autosufficienza, diventa procacciatore d’affari per le Assicurazioni e le eventuali risposte assistenziali sarebbero erogate in virtù di una polizza pagata in vita dai Cittadini.Una privatizzazione assicurativa del welfare che inizia dalle persone con disabilità per spingersi fin dove la “creatività” può consentire.A chi non giovi tutto ciò è presto detto: a chi non può permettersi di pagare una polizza assicurativa e a chi nasce con una grave menomazione o la contrae in tenera età.
A chi giova invece questa prospettiva oltre che allo Stato? Sicuramente il giro d’affari per le Compagnie assicuratrici è notevolissimo e, in periodo di crisi, un vero toccasana. Nuovi introiti e nuove prospettive anche sul fronte immobiliare. Tradiscono l’attesa le stesse parole della Fornero: “Qualche volta le persone anziane si trovano intrappolate in una casa che costa troppo e hanno difficoltà ad ottenere aiuti”. Un patrimonio immobiliare che fa gola a molti.........

Esodati, Inps chiede soluzione per tutti, Fornero frena


da 

Reuters IT

orso castano : la Fornero maestrina dei licenziamenti di massa (con conseguenti suicidi sfoltitori pensionistici) non la smette. Questo governo deve andare a casa , Pd o non PD






martedì 29 maggio 2012 12:29
 

ROMA (Reuters) - Botta e risposta tra il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua e il ministro del Welfare, Elsa Fornero, sul reddito da garantire ai lavoratori esodati, cioè a coloro che per accordi raggiunti con le aziende prima della nuova riforma previdenziale che innalza l'età pensionabile, hanno lasciato la propria occupazione e rischiano oggi di rimanere senza lavoro e senza pensione.Leggendo la relazione annuale sull'attività dell'Inps, Mastrapasqua ha chiesto al governo che gli interventi a favore degli esodati riguardino tutti gli aventi diritto e non solo una quota."La loro condizione [degli esodati] deve trovare una soluzione che valga per tutti e non solo per un contingente di coloro che hanno questo diritto", ha detto Mastrapasqua.In un altro passaggio dell'intervento, il presidente dell'Inps ha detto che "nei processi di transizione chi è colto a metà del suo passaggio personale non può e non deve essere dimenticato o trascurato".Intervenendo alla stessa cerimonia, Fornero frena e rinvia a una successiva trattativa con i sindacati la possibilità di dare una soluzione per tutti."Non possiamo pensare che tutto si riapra, abbiamo un decreto pronto che ha la firma del ministro dell'Economia e che arriverà nei prossimi giorni. E' una soluzione parziale ma le riforme costano e gli esodati sono un costo della riforma", ha detto il ministro."Poi, insieme alle parti sociali, si cercherà una soluzione per gli altri", ha aggiunto.Il governo per ora ha intenzione di garantire un reddito a 65.000 persone, cioè coloro che hanno lasciato il lavoro entro dicembre 2011. Gli stanziamenti sono quelli previsti dal decreto Salva-Italia e dal milleproroghe sufficienti per applicare le vecchie norme previdenziali a questi 65.000 lavoratori.L'Inps ha stimato in non meno di 130 mila i lavoratori esodati nei prossimi quattro anni.   

lunedì 28 maggio 2012

quelli che fornero vorrebbe licenziare


Operaio muore in un cantieretravolto dal braccio della gru

Messaggero logo ROMA -.Incidente in un cantiere di via Val di Sangro in zona Prati Fiscali. Un operaio è morto mentre due sono rimasti feriti. Dalle prime informazioni sembra che sia caduta una grucon un carro elevatore su un'impalcatura di uno stabile. L'incidente è avvenuto intorno alle 9.30. La vittima, probabilmente un cittadino romeno di circa 50 anni, è deceduto sul colpo dopo essere stato colpito dalla gru. Un altro dipendente è stato invece soccorso dal 118. Sul posto la polizia e la polizia municipale.

Scena raccapricciante. Hanno sentito prima un forte boato, come se un camion rovesciasse il suo carico di oggetti metallici, poi hanno visto scendere il sangue dall'impalcatura fino a formare una pozza sull'asfalto. È una scena «raccapricciante» quella che alcuni testimoni si sono trovati davanti questa mattina in via Val di Sangro a Roma dove un operaio ha perso la vita cadendo dalla gru. «Alle 9.15 abbiamo sentito un enorme frastuono - ha raccontato la proprietaria di un bar le cui vetrate sono proprio davanti al luogo dell'incidente - e poi abbiamo visto quell'uomo disteso sull'impalcatura che perdeva tanto sangue. Una scena davvero orribile. Erano in due sulla gru, con caschi e imbracature di sicurezza ma queste non sono servite visto che hanno fatto un volo di quasi quattro piani. L'altro operaio si è salvato: era tutto bianco dalla paura e cercava, avvicinandosi al collega, di capire se fosse ancora vivo. Purtroppo era immobile, deve essere morto sul colpo». .............

era ora che Di Pietro si muovesse, avanti tutta, prima che la maestriIna dalla penna rotta, alias Brunetta di destra incattivita, licenzi tutti e ci butti sul lastrico a chiedere l'elemosina


Idv, cantiere aperto con Sel, avanti anche senza Pd
(ANSA) - ROMA, 28 MAG - ''Assieme a Sel abbiamo aperto il cantiere sui temi del lavoro, dell'occupazione e della legalita'. Non vogliamo tirare per la giacchetta nessuno e neanche continuare ad aspettare. Vogliamo assumerci le nostre responsabilita' e, per questo, a Vasto chi vuole venire e' bene accetto. Chi non vuole esserci, non ci impedira' di fare il nostro lavoro''. Cosi' Antonio Di Pietro lancia il suo appello al Pd.

domenica 27 maggio 2012

siamo ancora alla bozza!! mentre in USA sono alla costruzione avviata di un piano mix di rinnovabili , gas e fossile estratto in USA. Passera vuole che noi restiamo dipendenti dall'estero ed i partiti , ormai decotti, esistenti solo in Parlamento e non nel paese reale , che lo appoggiano, stanno zitti ed acconsetono al groviglio di interessi che sta dietro questo gravissimo ritardo! e


BOZZA DEL PIANO ENERGETICO NAZIONALE ALLO STUDIO DI PASSERA (clicca)

da ANSA.it


Prima pagina: Ansa.it orso castano : fa rabbia leggere questi successi della ricerca italiana e vedere poi un governo incapace di riformare l'Universita'', supportare l'industria e riformare la burocrazia  x snellirna e farla diventare efficiente ed efficace!!Monti lasci il posto ad un governo delle sinistre appoggiato ono dal PD .

L'Italia in prima fila per il radiotelescopio Ska

Sul piano scientifico e industriale

26 maggio, 09:47
Rappresentazione delle antenne paraboliche del radiotelescopio Ska (fonte: SKA Organisation/TDP/DRAO/Swinburne Astronomy Productions)Rappresentazione delle antenne paraboliche del radiotelescopio Ska (fonte: SKA Organisation/TDP/DRAO/Swinburne Astronomy Productions)
L'Italia e' in prima fila nel progetto del radiotelescopio piu' grande del mondo, lo Square Kilometer Array (Ska), sia sul piano scientifico sia industriale, con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e con la Finmeccanica. Il governo Italiano ha inoltre candidato Roma per avere la cabina di regia per la realizzazione del radiotelescopio, che sara' costruito in Australia e Sudafrica (quest'ultimo avra' il maggior numero di antenne, ma sono coinvolti altri sette Paesi africani). ''Con l'Inaf - ha spiegato Corrado Perna, che si occupa delle politiche industriali dell'Inaf - l'Italia fa parte della Ska Organisation, che ha lo scopo di definire la progettazione esecutiva di Ska e che comprende altri sette Paesi: Australia, Canada, Cina, Nuova Zelanda, Sudafrica Olanda e Regno Unito''.  Secondo Perna ''realizzare Ska sara' una sfida a livello tecnologico. Sara' infatti il primo radiotelescopio costituito con migliaia di antenne che funzioneranno simultaneamente, raggiungendo una sensibilita' 50 volte superiore a quella dei piu' potenti radiotelescopi esistenti''. Di conseguenza, ha rilevato, bisognera' mettere a punto tecnologie nuove.
   Per questo motivo cinque multinazionali hanno stretto un accordo con la Ska Organisation: l'obiettivo e' mettere a punto le soluzioni tecnologhe piu' efficienti per rispondere alle sfide di Ska. L'industria italiana e' coinvolta con la Finmeccanica, capofila di molte piccole e medie imprese italiane del settore che si stanno raggruppando nel napoletano con il nome di Iskaic. La Finmeccanica, ha aggiunto Perna, si e' candidata a sviluppare la tecnologia per la gestione della operativia' del radiotelescopio, per l'integrazione del sistema e lo sviluppo delle antenne. L'Italia e' candidata anche ad ospitare la cabina di regia del progetto: ''il governo Italiano - ha proseguito Perna - nel 2010 ha comunicato la volonta' di offrire Roma, con l'area della Tiburtina Valley, quale sede del quartier generale per la futura organizzazione internazionale che, se tutto andra' come da programma, nel 2016 dovra' gestire la costruzione e operativita' del radiotelescopio''. Scelto il doppio sito dove realizzare il radiotelescopio, ha concluso Perna, si attende ora l'inizio dei negoziati per la scelta dove collocare la cabina di regia. L'Italia concorre con la Gran Bretagna, che ha indicato come sede Manchester.