martedì 30 dicembre 2014

la ricerca della felicita'.



orso castano : sofferenze e speranze, il lavoro come centro di investimenti e di identificazione, la sua precarieta' un grave problema, la poverta' come privazione di dgnita'avere una famiglia serena :
ottenere queste cose e'  felicita' ?

Trama (da Wikipedia)

Nel 1981 a San FranciscoChris Gardner (Will Smith) cerca di sbarcare il lunario vendendo una partita di scanner per rilevare la densità ossea acquistata con i risparmi di una vita. Le vendite tuttavia latitano: molti medici ritengono il macchinario eccessivamente costoso e tutto sommato inutile. La situazione economica si fa sempre più disperata per Chris e la sua famiglia, composta dalla moglie Linda (Thandie Newton) e dal figlio Christopher (Jaden Smith, figlio di Will Smith anche nella realtà).
Un giorno Chris vede un broker arrivare al posto di lavoro con la sua Ferrari e gli chiede a bruciapelo, ironicamente: "Due domande: che lavoro fa, e come si fa?". Decide di provare a diventare anche lui consulente finanziario per la medesima azienda, la Dean Witter.
La moglie, esasperata dalle privazioni, dal lavoro che grava interamente sulle sue spalle e - soprattutto - stanca di sentir parlare il marito di cose irrealizzabili, lo lascia.
Chris entra come stagista alla Dean Witter, dove però non gli viene fornito alcuno stipendio: deve affrontare un corso non pagato della durata di sei mesi alla fine del quale solo un aspirante broker dei venti partecipanti verrà assunto. Compito degli stagisti è contattare quanti più clienti possibile e "chiudere" il maggior numero di contratti.
Chris viene sfrattato da casa perché non paga l'affitto; allo stesso modo, gli viene confiscata l'automobile per una serie di multe non pagate. Si trasferisce in un motel poco distante, ma il proprietario dopo settimane di inutili richieste di pagamento gli farà trovare la serratura cambiata e i suoi averi fuori dalla porta. Chris non si perde d'animo, continua imperterrito a cercare ogni giorno assieme a Christopher i soldi per mangiare e dormire, passando molte notti nei dormitori per senzatetto e addirittura nel bagno della metropolitana.
Si divide tra la vendita degli ultimi due, tre scanner rimastigli, il lavoro in azienda e la cura del figlio. Alla fine del corso semestrale, gli verrà comunicato che è proprio lui il candidato scelto per l'assunzione. La sua gioia sarà incontenibile e potrà tornare ad avere una casa e una vita dignitosa.
Nelle didascalie finali del film viene raccontato che dopo un ottimo inizio carriera, nel 1987 Chris Gardner ha fondato l'azienda di investimenti Gardner Rich. Nel 2006 ha venduto il suo pacchetto azionario Dean Witter nel corso di un affare multimilionario.






LA FELICITA' PER I FILOSOFI GRECI

orso castano: la Dichiarazione dei Diritti degli USA fa chiaramente riferimento al diritto dei cittadini alla felicita', ma cosa puo' voler dire felicita' in una societa' che vede sempre piu' crescere per diversi motivi, gia' peraltro da noi accennati, sia i disoccupati giovani  (che non hanno mai avuto occasione di lavorare) che persone di 40-50-60 anni che perdono il lavoro , magari con filgo e famiglia. Se puo' essere utile ripercorrere il concetto di otium romano e quello di felicita' degli antichi greci , culture che sono all'origine della nostra civilta', per cercare concetti, comportamenti che ci consentano di far fronte al vuoto esistenziale , all'insufficienza esistenziale , all'anomia che decine di migliaia di persone stanno ed affronteranno sempre di piu', non si possono meccanicamente  applicare quei concetti e comportamenti all'essere umano occidentale di oggi. E' indispensabile rifletterci e lavorarci sopra , e molto. Comunque l'articolo di cui daremo diversi stralci puo' aiutarci a recuperare alcuni tratti della riflessione dei piu' importanti filosofi greci sulla felicitap'/saggezza


Il Giardino dei Pensieri - Studi di storia della FilosofiaFebbraio 2002
I Greci, scrive un noto studioso del pensiero antico, "si trovano alle sorgenti stesse della civiltà occidentale. Hanno posto le basi della scienza, della filosofia e dell’arte e hanno segnato a tutta la vita spirituale dell’età moderna la direzione che è l’unica in cui essa possa muoversi e progredire"(M. POHLENZ, L’uomo greco, Firenze 1989, pp. 868-869). Se è opinabile che la direzione indicata dai Greci sia l’unica in cui possa muoversi la civiltà contemporanea, mi pare, però, che si possa almeno affermare con certezza che le scelte e gli orientamenti della nostra società risultano semplicemente incomprensibili per chi ignora le prospettive elaborate nell’antica Grecia, delle quali siamo eredi anche quando le contestiamo radicalmente. Ecco perché chi voglia riflettere oggi su cosa possa significare per l’uomo la parola ‘felicità’ credo che debba ancora prendere le mosse da quella cultura che è effettivamente all’origine della nostra civiltà.

Le origini
In che cosa consiste la felicità
 Nell’esperienza dei Greci l’idea di felicità è collegata allo stato psichico conseguente a una sensazione di pienezza, di appagamento delle proprie aspirazioni, di espansione del proprio essere che in qualche modo giunge a compimento. La felicità, infatti, è chiamata dai Greci macarìa, termine collegato alla radice di mégas (ampio, esteso). Questo termine, comunemente tradotto in italiano con ‘beatitudine’, è usato prevalentemente per indicare la vita piena e indefettibile degli dei, mentre l’uomo sembra capace di sperimentare in maniera solo transitoria tale pienezza.

Che cosa dà questo senso di pienezza
 Tale sensazione di pienezza si sperimenta in momenti particolarmente significativi, come quando si è in pace con se stessi, si guarda la persona amata o si avverte un’irripetibile armonia col mondo circostante e divino: allora ci si sente felici, ci sembra che tutti i nostri desideri siano soddisfatti. Già i Greci hanno osservato che anche il ricordo di questi momenti dà felicità, meno intensa ma forse più durevole. Pur se sperimentata nell’attimo, essi hanno sottolineato che la felicità appaga tuttavia interamente, perché ha il potere di sospendere il tempo, di dilatare l’attimo in una durata avvertita come eterna.

La felicità umana: un’esperienza di cui non siamo padroni
L’attimo tuttavia svanisce e la vita riprende il suo corso, spesso noioso o addirittura doloroso. La condizione umana appare dunque instabile e incerta: non riusciamo a padroneggiarla. I momenti belli sono sentiti perciò come un dono e infatti il termine più frequentemente usato dai Greci per designare la felicità, eudaimonìa, indica proprio la vita buona assegnata all’uomo da un demone. Parimenti il termine eutuchìa pone l’accento sul fatto che felici sono quelli nei cui confronti la sorte si è mostrata favorevole. E, al contrario, non chiamiamo ancora oggi ‘sventurati’ gli infelici? Non appaiono immeritate e prodotte dalla ‘cattiva sorte’ le sofferenze di chi è vittima di malattie particolarmente dolorose, viene torturato o rinchiuso in un lager?

Come conquistare la felicità
E’ naturale perciò che l’uomo cerchi di controllare il corso degli eventi, per sperimentare stabilmente quella felicità che di solito gusta solo fugacemente. La felicità, da esperienza, diventa allora problema: ci si sforza di capire cosa è possibile fare non per godere di attimi di straordinaria pienezza ma per avere una vita piena, felice. La filosofia sin dall’inizio si è proposta proprio questo scopo. Agostino riecheggiava una lunga tradizione quando scriveva: "nulla est homini causa philosophandi nisi ut beatus sit"(De civitate Dei XIX, 1.3).

La vera felicità
E sin dall’inizio si è imposta questa conclusione: l’uomo può sperimentare una felicità durevole solo se appaga i suoi desideri in maniera durevole, cioè se possiede un bene stabile. I filosofi, quindi, cominciano a distinguere la ‘vera’ felicità, dipendente dal possesso del vero bene, da quella apparente, momentanea. La felicità vera non può consistere negli stati d’animo, negli istanti di particolare pienezza, nell’esperienza dei piaceri più intensi, generalmente legati alla sensibilità, di per sé tanto instabile: essa non si identifica con l’immediatezza del godimento ma è un obiettivo strategico, da perseguire con saggezza e costanza.

La felicità non è il piacere
All’opinione dei poeti e del senso comune, che identifica la felicità con i piaceri, e in particolare con quelli sessuali [vedi per es. Mimnermo (fiorito intorno al 585): "Vita… gioia… che sono senza l’aurea Afrodite? Meglio la morte, quando non più caro mi sia l’amore occulto, i doni delicati, il letto"(fr. 1)], Socrate (469-399), che pure non nutre alcuna diffidenza nei confronti del piacere, obietta che felice è solo la vita di chi conosce i propri desideri e sa agire per appagarli. La felicità, quindi, più che con l’immediatezza del godimento, si identifica con il sapere, che permette di discernere ciò che effettivamente ci appaga, e con l’agire di conseguenza. Una vita che non sia fatta oggetto di riflessione è per Socrate indegna di esseri umani: "proprio questo è per l’uomo il bene maggiore, ragionare ogni giorno della virtù […] e far ricerche su me stesso e sugli altri: una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta"(Platone, Apologia di Socrate 38a).

Platone (427-347)
L’antropologia platonica
Ma per sapere che cosa appaga l’uomo bisogna sapere che cosa è l’uomo. Platone, ispirandosi ai miti orfici, lo identifica con una realtà spirituale, l’anima, eterogenea rispetto al corpo e che pure si trova a convivere con esso. I desideri del corpo sono quindi ben diversi dai desideri dell’anima. Questa, essendo immortale, aspira al Bene in sé, immateriale ed eterno, e trova in esso la sua felicità ["le persone felici sono felici perché posseggono il bene"(Simposio 205a)]: vuole, mediante la contemplazione, possederlo per sempre e sente il corpo come un ostacolo alla propria vera realizzazione. Da ciò la diffidenza nei confronti dei piaceri sensibili, che sono i più veementi ed elementari, ma che proprio per questo legano l’anima al corpo e le impediscono di elevarsi al mondo spirituale. Il platonismo trova la sua ispirazione profonda proprio nell’idea che l’uomo, nell’atto della conoscenza, scopre la sua identità con l’anima e la sua estraneità rispetto al corpo: in questa presa di coscienza "è contenuta tutta la filosofia di stile platonico e neoplatonico"(P. RICOEUR, Finiture et culpabilité. II. La symbolique du mal, Paris 1960, p 280).

La vera felicità è nell’aldilà
Queste due affermazioni decisive (l’uomo è spirito e la sua anima è immortale) permettono a Platone di relativizzare la drammatica esperienza della sofferenza umana in questo mondo. La vera vita dell’anima è quella spirituale, l’anima che contempla il bene è felice, le pene quotidiane non riescono ad angustiarla. Neanche i tormenti più atroci possono comprometterne la felicità, perché, a differenza dell’ingiustizia, riguardano il corpo non l’anima. Questa anzi vive pienamente quando, con la morte, si libera dalla prigione corporea. La vita terrena non è, quindi, che preparazione alla vita dell’aldilà e la filosofia è esercizio di morte. E’ questa la prospettiva prevalente nel Fedone: "fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo mai in modo adeguato ciò che ardentemente desideriamo, vale a dire la verità"(66b); "è dunque proprio vero […] che i veri filosofi si esercitano a morire, e che la morte, a loro, fa molto meno paura che a qualunque altro uomo!"(67e). Se la vera vita è quella dell’aldilà, si capisce come il platonismo implichi un distacco dal mondo sensibile e dalla storia terrena.

Un uomo lacerato
Ma distacco non significa disimpegno: al contrario, per prepararsi alla vita dell’aldilà bisogna mettere ordine in questo mondo. E il disordine è anzitutto dentro l’uomo. Infatti l’anima non solo è eterogenea rispetto al corpo, ma è anche lacerata in se stessa, una sua parte essendo allettata dai piaceri sensibili. L’anima è dunque una realtà complessa, come Platone mostra con un’immagine efficacissima: "foggia un’unica forma di bestia mostruosa, a molte teste. […] Foggia poi un’altra forma, di leone, e una terza, di uomo. La prima sia di gran lunga la maggiore e la seconda venga per seconda. […] Applica ora tutt’intorno a loro, all’esterno, l’immagine di un unico essere, quella dell’uomo. E così chi non è capace di vedere gli elementi interni, ma vede solamente l’involucro, crederà di vedere un unico essere, un uomo" (Repubblica IX, 588c-e). Se, per quanto è possibile esserlo sulla terra, vuole essere felice, l’uomo deve dunque mettere ordine dentro di sé, cioè dominare le proprie passioni, far prevalere l’uomo interiore sul mostro policefalo, sublimando l’aggressività del leone.

La felicità implica la dimensione politica
Ma non meno essenziale è il compito di mettere ordine nel mondo circostante, plasmando la convivenza politica sul modello dello stato ideale. Anzi, l’uomo non può essere giusto e felice se lo stato non è giusto e felice. L’interesse politico è, assieme alla tensione verso il mondo trascendente, una componente fondamentale del platonismo, tanto che l’uomo ideale è il re-filosofo, cioè l’uomo capace di assicurare il dominio della razionalità sulle passioni, di convogliare la passione erotica verso la Bellezza in sé, di contemplare il Bene e di governare la città secondo giustizia: "l’uomo migliore o più giusto è il più felice, e questi è il più regale, e re di se stesso"(Rep IX 580c). Platone ritiene che l’uomo giusto sia felice per tre motivi; anzitutto perché "la giustizia in sé è il bene supremo per l’anima, di per se stessa"(Rep X 612b), e va praticata a qualunque costo, ma poi anche perché la sua vita è allietata dal vero piacere, quello della conoscenza: "il filosofo che cosa mai giudica gli altri piaceri [quelli della ricchezza e del successo] confrontati con il piacere di conoscere il vero così come esso è […]? Non li giudica assai lontani dalpiacere?"(Rep IX 581d-e). Infine, egli immagina nell’aldilà le anime degli ingiusti punite e quelle dei giusti colmate di felicità: "le prime, gemendo e piangendo, ricordavano tutti i vari patimenti e incubi che avevano sofferto nel loro cammino sotterraneo, mentre le seconde narravano i godimenti celesti e le visioni di straordinaria bellezza"(Rep X 615a).

Una visione aristocratica
L’ideale del filosofo regale non si adatta però, secondo Platone, a tutti gli uomini ma solo a un’élite. Se il filosofo deve farsi carico del governo nell’interesse della collettività, la massa, incapace di elevarsi alla contemplazione e di partecipare alla gestione del potere, ha solo il compito di obbedire. E’ vero che Platone ha scritto: "noi crediamo di plasmare lo stato felice non rendendo felici nello stato alcuni pochi individui separatamente presi ma l’insieme dello stato"(Rep IV 420c); è vero che egli ha mostrato una grande apertura sostenendo che l’appartenenza alla classe dei governanti, di cui possono addirittura far parte anche le donne, dipende dalle capacità personali e non dalla nascita. Ma è innegabile che la vera felicità, quella della contemplazione, è riservata alla minoranza dei governanti-filosofi. Una condizione di inferiorità non può risultare certo gradita ai più; per farla accettare Platone pensa, perciò, che i governanti possano ricorrere anche alla ‘nobile menzogna’: "voi cittadini siete tutti fratelli, ma la divinità, mentre vi plasmava, ai governanti mescolò dell’oro, ai guerrieri argento, ferro e bronzo agli agricoltori e agli altri artigiani"(Rep III 415a). In effetti Platone non ha molta stima degli uomini così come sono: nel Fedone si diverte ad immaginare che gli uomini sensuali assumeranno, reincarnandosi, la forma di asini, i violenti e collerici di lupi, i buoni borghesi di api o formiche…(cfr. 81e-82b). Si capisce, quindi, che la massa incapace di usare la ragione debba essere governata anche con l’inganno: "se c’è qualcuno che ha diritto di dire il falso, questi sono i governanti, per ingannare nemici o concittadini nell’interesse dello stato"(Rep III 389b).

Importanza della tradizione religiosa
‘Utili menzogne’ e ‘parole incantatrici’ appaiono mezzi necessari "per far compiere a tutti tutte le cose giuste, non con la forza ma spontaneamente"(Le leggi II 663e). A tal fine ha un valore insostituibile la tradizione religiosa, e perciò Platone vorrebbe rafforzare l’autorità di Delfi: "le norme che riguardano la religione in tutti gli aspetti si traggano dall’oracolo di Delfi e si usino dopo aver disposto degli interpreti ufficiali di queste"(Le leggi VI 759c). Ciò non significa che Platone "credesse nella effettiva ispirazione della Pizia; mi sembra che verso Delfi il suo atteggiamento fosse piuttosto quello che certi settori politici del mondo cattolico dei giorni nostri mantengono nei confronti del Vaticano: egli vedeva Delfi come una grande potenza conservatrice, cui doveva essere affidato il compito di stabilizzare la tradizione religiosa greca, tenendo a freno sia il dilagare del materialismo, sia lo sviluppo di deviazioni all’interno della tradizione stessa"(E. R. DODDS, I Greci e l’irrazionale, Firenze 1986, p 252, pp. 273-274). Se qualcuno, poi, osa mettere in discussione le verità su cui si fonda lo stato deve essere punito, anche con la morte, da un Consiglio notturno, "dotato della pienezza della virtù"(Le leggi XII 962d), cui è affidata la custodia dell’ortodossia e che anticipa i tribunali dell’Inquisizione e i processi del ’900 contro gli intellettuali deviazionisti. Il quadro, per tanti versi esaltante, della felicità del re-filosofo non è dunque privo di ombre!

Aristotele (384-322)
Una diversa prospettiva
Il discorso etico di Aristotele ha un’impostazione ben diversa da quella platonica. Non ritroviamo, infatti, alcune delle caratteristiche essenziali del platonismo. 1) Il fine dell’uomo non è il Bene in sé, il bene eterno e trascendente ma la realizzazione dell’uomo e i beni che sono alla sua portata (cfr. Etica nicomachea I, 6, 1096 b 32-35). 2) L’opera fondamentale che affronta il problema morale, l’Etica nicomachea, non conosce l’immortalità dell’anima: su questo tema scende un silenzio totale. 3) Aristotele ignora anche la lacerazione interna all’uomo platonico. Nel De anima l’uomo sarà concepito come un essere unitario, l’anima essendo la forma del corpo; ma già prima, nell’Etica, i desideri (epithumìa) del platonico mostro policefalo, privati della loro valenza negativa, diventano tendenze (òrexis) che la ragione può orientare senza eccessive difficoltà (cfr. I, 13, 1102 b 30). 4) Infine Aristotele non nutre per i suoi contemporanei la disistima nutrita da Platone; anzi, il modello di uomo che egli presenta è ricalcato sostanzialmente sui comportamenti dei migliori tra gli Ateniesi del suo tempo: egli non ha copiato la realtà "ma non l’ha perduta di vista un momento, e ce ne presenta l’immagine ingrandita, abbellita, idealizzata"(L. OLLE’-LAPRUNE, Essai sur la morale d’Aristote, Paris 1881, p 52), "la sua morale è, con una purezza ideale, la pratica dei migliori dei suoi contemporanei"(ivi, p 74).

L’ideale di uomo
I membri delle classi dirigenti ateniesi appaiono ad Aristotele animati da un forte sentimento vitale, che li sospinge verso tutto ciò che porta il segno dell’intelligenza e della bellezza. Non si preoccupano di accumulare ricchezze e tuttavia possiedono abbastanza per vivere agiatamente; disprezzano il lavoro manuale e amano la scholé, l’otium che consente di dedicarsi alle attività liberali; sanno assumere responsabilità pubbliche e al contempo godere dell’amicizia e dell’amore; trovano nella ragione la regola che stabilisce la misura dei piaceri, senza che ciò implichi austerità alcuna; sanno gustare la gioia che deriva dalla contemplazione della bellezza e dell’armonia quali si manifestano nei giovani corpi, nelle gare olimpiche, nel grande spettacolo del mondo. Quest’umanità sembra capace, grazie alla sua intelligenza e al suo impegno, di rendere amabile la vita, riducendone al minimo gli aspetti di dolore e di fallimento. Certo, tali privilegi sono frutto del lavoro e della sofferenza di altri uomini, nei cui confronti questa cerchia ristretta nutre però una suprema indifferenza.

La virtù come potenziamento delle capacità umane
L’Ateniese spudaios (perbene, eccellente), pensa Aristotele, sta vivendo bene la sua vita, perché sta cercando di attuare, e nella maniera migliore, le sue potenzialità. Come il bravo flautista è quello che sa suonare bene il flauto, così l’uomo riuscito è quello che sa fare bene il proprio mestiere di uomo. Per far ciò, egli deve servirsi della ragione per individuare le proprie virtualità ed agire per realizzarle, regolando la sua vita passionale in modo che nulla resti in lui incompiuto o venga sviluppato in misura sproporzionata (cfr. Etica nicomachea II, 6, 1106 b 18-27). Questa capacità di scegliere e di agire rapportandosi, secondo le proprie esigenze, nel modo più efficace a ciascun bene è ciò che Aristotele chiama areté (cfrEtica nicomachea II, 6, 1106 b 36). L’uomo che acquista tale capacità entra in possesso di una seconda natura, un habitus, una disposizione o attitudine interiore (éxis), che gli consente di agire nelle diverse circostanze con prontezza e con facilità nel modo più conveniente, evitando gli errori sia per eccesso che per difetto.

Le virtù etiche
L’uomo ideale è, dunque, un uomo saggio che, come l’artista che conosce i segreti della propria arte, sa fare della propria vita un capolavoro, plasmandola secondo ragione in modo poliedrico ed armonioso, e quindi è temperante, perché sa godere dei piaceri, la cui innocenza è sempre minacciata, senza lasciarsene dominare, coraggioso, perché, dominando la paura, sa battersi per una degna causa sino a mettere a repentaglio la stessa vita, giusto, perché, geloso dei propri diritti, è ugualmente pronto a rispettare quelli altrui, attento al valore dell’amicizia, soprattutto quella fondata sulla comunanza degli ideali morali, generosomagnanimomite… Una simile vita, che è anche piacevole, non essendo il piacere che la risonanza soggettiva che accompagna e perfeziona ogni attuazione delle potenzialità umane (cfr. Etica nicomachea X, 4, 1174 b 31-33), è dunque alla portata dell’uomo che abbia ricevuto una buona educazione e che, grazie a un lungo esercizio, abbia acquistato questa padronanza di sé.

La felicità si riduce alla virtù?
Basta allora la virtù per essere felici? Certamente no. Aristotele sa che l’uomo ideale di cui ha parlato ha bisogno per realizzarsi anche di potere e di denaro, di figli e di amici, di un buon casato e di un corpo non privo di bellezza: in conclusione, "sembra che la felicità richieda che si aggiunga alla virtù tutto ciò che può rendere la vita serena come una bella giornata"(Etica nicomachea I,9, 1099 b 6-7). Anzi, la felicità esige ancora la durata, perché non può dirsi certo felice la vita di chi, come Priamo, il leggendario re di Troia, dopo aver goduto di tanti beni, assista poi alla rovina della sua famiglia e alla distruzione della sua città (cfr. Etica nicomachea I, 11, 1101 a 6-7). Aristotele sembra affermare e negare l’autosufficienza della virtù, e non pare che sia riuscito a eliminare la contraddizione: "come è possibile che la felicità appaia di volta in volta come assolutamente indipendente dai beni esteriori e come incapace di farne a meno? […] i vantaggi esteriori sono lungi dall’essere disdegnati, e ciò nella stessa pagina in cui sembravano perfettamente dimenticati" (OLLE’-LAPRUNE, Essai, p 146).

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L’antropologia strumentalista
La superiorità della vita contemplativa non si fonda, secondo quest’ultimo studioso, né sull’antropologia ilemorfica, che sarà elaborata nel De anima, né sull’antropologia platonica, già abbandonata quando Aristotele scrive laNicomachea. Essa è coerente con un’antropologia strumentalista, che ancora non concepisce l’uomo come un essere unitario ma che già considera il corpo non più come una prigione ma come uno strumento di cui l’anima razionale si serve per i propri fini. In effetti, nella Nicomachea si dice che "là dove non esiste alcun interesse comune al capo e al subordinato, non c’è nemmeno tra essi amicizia ma una relazione del genere di quella che esiste tra l’artigiano e il suo utensile, tra l’anima e il corpo, tra il padrone e lo schiavo"(VIII, 13, 1161 a 32-35). L’uomo, quindi, è ancora identificato con la sua anima, mentre il corpo non è più visto come un nemico ma come uno strumento utile perché l’anima possa conseguire i propri fini. Questa interpretazione permette di sciogliere le due contraddizioni precedentemente rilevate. Si capisce, infatti, perché già nel primo libro della Nicomachea Aristotele abbia sostenuto che "il bene dell’uomo sarà un’attività dell’anima secondo la virtù, e, se molteplici sono le virtù, secondo la migliore e la più perfetta"(I, 6, 1098 a 16-17), identificando il bene dell’uomo con quello dell’anima. Essendo la contemplazione filosofica la più perfetta virtù, cioè la più compiuta realizzazione, dell’anima razionale, nell’ultimo libro dell’opera egli può quindi affermare che la contemplazione appunto "sarà la felicità perfetta dell’uomo"(Etica nicomachea X, 7, 1177 b 24). Ma, se l’uomo è un’anima che si serve di un corpo, si capisce anche come Aristotele possa parlare, oltre che di beni esteriori, di beni del corpo e di beni dell’anima (anziché di beni dell’uomo, come sarebbe logico per chi di quest’ultimo avesse una visione unitaria), e come possa attribuire una qualche rilevanza a beni quali la ricchezza, la salute, i figli e gli amici ritenendoli strumenti necessari in vista del bene dell’anima, che è quello che conta veramente.

Conseguenze
 L’idea che l’attività propriamente umana sia essenzialmente quella intellettuale implica conseguenze non indifferenti. Per Aristotele, infatti, il lavoro manuale, non costituendo attività propriamente umana, è compito degli schiavi, incapaci di servirsi della ragione. Naturalmente in questa prospettiva la sfera dei sentimenti non può trovare adeguata valorizzazione; i piaceri sensibili sono ammessi non in vista dell’equilibrio umano ma in vista del bene della ragione, e l’intemperanza diventa "il più biasimevole di tutti i vizi, perché non è per ciò che fa che siamo uomini che essa si insinua in noi, ma per ciò che fa che siamo animali"(Etica nicomachea III, 13, 1118 b 2). Persino le virtù etiche sono viste in funzione del bene dell’anima razionale: grazie alla saggezza, al coraggio… la ragione, infatti, estende la sua influenza e il suo controllo sulle forze arazionali. Anche quando si dona all’amico o si sacrifica per lo stato l’uomo, quindi, cerca sempre il bene della propria anima razionale: innegabilmente un certo egocentrismo "risulta essere la caratteristica di fondo del sistema etico dello Stagirita"(G. REALE, Storia della filosofia antica, vol. II, Milano 1981, p 370).

La felicità non è per tutti
 L’etica aristotelica, pur se elaborata in funzione di una concezione inadeguata dell’uomo quale quella strumentalista, resta certamente uno straordinario tentativo di giungere ad una visione più equilibrata ed armonica della vita umana, e ancora oggi non manca chi la considera "un’etica esclusivamente umana ed insieme integralmente umana, che tiene conto di tutte le dimensioni dell’uomo ed insieme stabilisce tra esse una precisa gerarchia"(E. BERTI, Profilo di Aristotele, Roma 1979, p 280). In realtà, come abbiamo visto, la felicità di Aristotele riguarda soltanto l’anima. Non solo: riguarda soltanto l’anima di un ristretto numero di privilegiati. Infatti, per dedicarsi alla contemplazione filosofica si richiedono non solo doti intellettuali notevoli ma anche particolari condizioni sociali. Restano, quindi, esclusi dalla possibilità di tendere alla felicità i bambini, le donne, gli schiavi e tutti coloro che lavorano al fine di guadagnare: cioè, la maggior parte degli esseri umani. Anche l’ideale umano proposto da Aristotele, per quanto affascinante, non pare dunque esente da ombre.

L’ellenismo
Stoicismo, Epicureismo, Scetticismo
Notevoli sono le trasformazioni (politiche, sociali, culturali, psicologiche) che si verificano nell’età ellenistica, ma l’intellettualismo resta la caratteristica della morale greca. Gli Stoici, come Zenone (335-263) e Crisippo (281-208), negarono la complessità dell’anima umana scoperta da Platone e Aristotele, tornando ad identificarla con la sola ragione, a cui attribuirono una valenza non speculativa ma solo pratica. Di conseguenza, come scrive Seneca (4 a. C.-65 d. C.), dato che l’uomo"ha per suo proprio bene la ragione, se ha portato questa alla perfezione, ha raggiunto il fine ultimo della sua natura"(Epistola 76, 9). Perciò, "il conseguimento della perfezione morale […] dipende unicamente dall’esercizio della ragione. E non c’è anima irrazionale con cui la ragione debba lottare: le cosiddette passioni sono soltanto errori di giudizio o turbamenti morbosi dovuti a errori di giudizio. Se si corregge l’errore, i turbamenti cesseranno automaticamente, lasciando lo spirito sgombro da gioie o dolori, non turbato da speranze o da timori"(DODDS, I Greci, p 282). E questa imperturbabilità è l’obiettivo da perseguire anche secondo Epicuro (341-270) e Pirrone (360-270): "entrambe le scuole avrebbero voluto bandire le passioni dalla vita umana; ideale comune era l’ataraxìa, la liberazione da emozioni perturbatrici, cui si poteva giungere secondo gli uni professando rette opinioni sugli uomini e sugli dei, secondo gli altri astenendosi da qualunque opinione"(DODDS, I Greci, p 284).

Punti di contatto e differenze
 Se identico è il fine, differenti sono le strategie per raggiungerlo. Per gli Stoici bisogna obbedire alla ragione, compiendo il proprio dovere e liberandosi dalle passioni (apàtheia): per la felicità basta la virtù ("il saggio non può perdere nulla; ha depositato ogni cosa in sé stesso, non ha affidato nulla alla fortuna: ha tutti i suoi beni al sicuro, giacché gli basta la virtù, che non ha bisogno di ciò che dipende dal caso"[Seneca, De constantia sapientis 5.4]), anche se di uomini veramente saggi ne appare uno ogni due o tre secoli. Per gli Epicurei bisogna godere della vita, appagando solo i bisogni essenziali (Epicuro meriterebbe una trattazione ben più ampia di quella consentita dai limiti della presente relazione: la sua costituisce infatti una visione radicalmente alternativa a quella platonica, e perciò quasi cancellata dal trionfo di quest’ultima): libero dalla paura degli dei e della morte, l’uomo gusterà il piacere, che consiste essenzialmente nell’assenza del dolore (aponìa). Per gli Scettici l’indagine critica, la sképsis, libera dalle pretese certezze e dalle spiegazioni definitive: proprio sapere che non ci sono verità assolute, che bene e male sono opinioni senza solido fondamento è la condizione per vivere senza timore (cfr Sesto Empirico [150-220 circa],Adversus ethicos 4.113). Comune alle tre scuole, poi, è l’idea che il saggio sia felice anche in mezzo ai tormenti [poiché il dolore intenso non è duraturo, per Epicuro "il saggio sarà felice anche fra i tormenti"(DIOGENE LAERZIO X, 118)] e che la saggezza sia preclusa alla maggioranza degli uomini: riportando le parole di Epicuro "le masse non trovano di loro gusto quel che io so, e delle cose che le masse apprezzano io non so niente", Seneca aggiungeva: "la stessa cosa ti diranno tutti: Aristotelici e Platonici, Stoici e Cinici"(Epistola 29, 10). Né è possibile sperare che la situazione possa cambiare: "chi ha visto le cose presenti le ha viste tutte, quelle che accaddero dall’eternità e quelle che saranno per l’eternità"(Marco Aurelio [121-180], Ricordi 6.37).

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Costanti


In conclusione, possiamo rilevare alcune costanti della filosofia greca riguardo al tema della felicità. Questa: a) non è per tutti; b) è attingibile nella misura in cui l’uomo si identifica con la ragione e ad essa si riduce; c) è una conquista dell’uomo; d) implica, tranne che per gli epicurei, una certa diffidenza nei confronti del piacere sensibile; e) dipende da beni che sono alla portata dell’uomo nella vita terrena, tranne che nel filone platonico e neoplatonico, che la ripone nell’aldilà e nel possesso del Bene assoluto e divino.

Bulent Kilic reporter , the best for "Time": apochissime ore di distanza da Roma

orso castano: ai margini ( ed anche dentro) l'Europa consumistica che bene sa come camminare sul filo di lana con sotto il burrone , in equilibrio instabile, c'e' l'orrore della guerra , spesso rimosso, nascosto daun consumismo seza senso mentre l'eco delle bombe, a chi sa ascoltare, giunge da lontano e fa rabbrividire se si pensa a quello che porta con  se.  Occorre stare molto, davvero molto attenti. L'Europa e' ancora troppo indifferente , qi suoi confini un esercito di "sans papiers" preme senza guardare in faccia a nulla, e' la loro speranza di vita. 


Turkia


KievKievUcrainaUCRAINAkIEVSIRIA

sabato 27 dicembre 2014

anche a Torino stessa situazione di Roma : MAFIA CAPITALE, E SE SI INDAGASSE DI PIU?

ORSO CASTANO: Torino e' la citta' dove il "familismo amorale" e "le cerchie chiuse" sono una selle caratteristiche strutturali della citta'. La citta' ha avuto in questi anni uno sviluppo di edilizia privata e pubblica enorme. Da dove arrivano tutti questi soldi per costruire case su case , mangiando oltretrutto suolo agricolo i quantita' industriali. Molti comuni del circondario sono stati commissariati per mafia. Tutto questo non pujo' non avere ripercussioni sullo sviluppo economico e  scientifico della citta'. Ma tutto sembra filare liscio.............

giovedì 25 dicembre 2014

passione nell'antica Roma



Molto interessante , ben documentata  dal veramente bravo Alberto Angela, questo documentario che descrive in maniera minuziosa moltissimi aspetti delle relazioni familiari, ed amorose nell'antica Roma. Senza dubbio da vedere. Molti costumi, comportamenti non sono cambiati, Il problema della non dispersione degli averi , delle proprieta' e' molto vicino ai giorni nostri, con alcune scuciture. Questo condiziona pesantemente i comportamenti sessuali ed i rapporti di subordinazione della donna all'uomo, ed i costumi maschilisti e di concubinato. Paradossalmente ,e fortunatamente, nella cultura occidentale  le "ideologie" femministe contemporanee  stanno operando una rivoluzione nelle relazioni uomo donna. Ma ancora resta un pezzo di camminoda fare.

esercizio fisico, immunita' , flessibilita'

MedlinePlus Trusted Health Information for YouUn servizio della US National Library of Medicine 

Dal National Institutes of HealthNational Institutes of Health

Esercizio e immunità

Combattere un altro colpo di tosse o raffreddore? Sensazione di stanchezza per tutto il tempo? Facendo una passeggiata quotidiana o in seguito ad un semplice esercizio di routine un paio di volte a settimana può aiutare a sentirsi meglio.
Esercizio non solo aiuta il sistema immunitario a combattere le infezioni batteriche e virali semplici, diminuisce la probabilità di sviluppare malattie cardiache, osteoporosi, e il cancro.
Non sappiamo esattamente come esercizio aumenta la vostra immunità a certe malattie, ma ci sono diverse teorie.
  • L'attività fisica può aiutare, tramite iniezione di batteri fuori dai polmoni (diminuendo così la probabilità di un raffreddore, influenza o altre malattie per via aerea) e può scovare sostanze cancerogene (sostanze cancerogene) per aumentare la produzione di rifiuti, come l'urina e sudore.
  • Esercizio invia anticorpi e globuli bianchi (cellule di difesa del corpo) attraverso il corpo ad un ritmo più veloce. Poiché questi anticorpi o globuli bianchi circolano più rapidamente, potrebbero rilevare le malattie prima di quanto potrebbe normalmente. Il tasso di aumento del sangue circolante può anche innescare il rilascio di ormoni che "avvertono" cellule immunitarie di intrusione batteri o virus.
  • L'aumento temporaneo della temperatura corporea può impedire la crescita batterica, permettendo al corpo di combattere in modo più efficace l'infezione. (Questo è simile a ciò che accade quando il corpo ha la febbre.)
  • Esercizio rallenta il rilascio di ormoni legati allo stress. Lo stress aumenta la probabilità di malattia.
Mentre l'esercizio è utile, stare attenti a non "esagerare" esso. Le persone che già esercitano regolarmente sono invitati a non sviluppare troppo vigorosa un programma di allenamento nella speranza di aumentare i benefici di immunità. , Esercizio a lungo termine pesante (come maratona corsa e palestra di formazione intenso) potrebbe effettivamente ridurre la quantità di globuli bianchi che circolano attraverso il corpo e di aumentare la presenza di ormoni legati allo stress.
Gli studi hanno dimostrato che le persone che beneficiano maggiormente di partenza (e di attaccare a) un programma di esercizio sono quelli che vanno da un sedentario ("couch potato") stile di vita per uno stile di vita moderatamente energica. Un programma moderato può essere costituito da:
  • Andare in bicicletta con i bambini un paio di volte a settimana
  • Giornaliero 20 - 30 camminate minute
  • Andare in palestra a giorni alterni
  • Giocare a golf regolarmente
L'esercizio fisico può aiutare a farci sentire meglio con noi stessi, semplicemente facendoci sentire più energico e più sano. Quindi, andare avanti, prendere quella classe di aerobica o andare per quella passeggiata - e sentirsi meglio e più sano per esso.
Non vi è una forte evidenza che l'assunzione di eventuali supplementi immuni insieme con l'esercizio abbassa la probabilità di malattia o infezioni.
Esercizio Flessibilità
Esercitazione di flessibilità nelle sue semplici tratti forma e allunga i muscoli.Discipline che incorporano di stretching con il controllo del respiro e la meditazione includono yoga e t'ai chi. I vantaggi di una maggiore flessibilità può andare oltre il fisico al miglioramento di riduzione dello stress e la promozione di un maggiore senso di benessere.

Aggiornamento Data: 2012/10/23

Attualizzato tramite: ADAM Health Solutions, Ebix, Inc., redazione: David Zieve, MD, MHA, e David R. Eltz. Precedentemente recensito da Fred K. Berger, MD, tossicodipendenze e psichiatra forense, Scripps Memorial Hospital, La Jolla, California (2012/03/07).

mercoledì 24 dicembre 2014

decrescita : i critici della filosofia del lavoro



orso castano: " Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America ; Documento Che segna la Nascita degli stati uniti d'America, ratificato a Filadelfia il 4 luglio 1776.

Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati Uguali, Che essi sono dotati dal Creatore di alcuni diritti inalienabili, Che fra questi ci sono la Vita, la Libertà e la Ricerca delle Felicità; Che allo Scopo di garantire questi diritti, sono stati creati fra gli uomini i governi, I quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; Che ogni qual volta una qualsiasi forma di governo, tende a negare tali fini, e' diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo Governo che ponga le fondamenta sul querelare tali principi e organizzi i suoi poteri nella forma che al popolo sembri più probabile possa apportare Sicurezza e Felicità ............... "

La nostra Costituzione e' 'fondata sul lavoro. C'e' una differenza tra La Dichiarazione degli Stati Uniti d'America e la Nostra Costituzione. Ma i problemi posti dalla globalizzazione dall'informatiz -zazioned dalla razionalizzazione, dalla robotizzazione, dalla delocalizzazione della produzione manifatturiera ripropongono il superamento e l'importanza dialettica di queste due visioni del mondo. La crescente mancanza di lavoro, la precarietà ' del lavoro stesso sotto la Spinta delle condizioni del continuo cambiamento del mercato, Il diritto del soggetto nel poter individuare un senso da dare alla propria esistenza,  il diritto "alla felicita ', pongono con forza il passaggio, in misura forte, della societa' della manifattura alla societa 'della scienza. Problema complesso........
  

Ereditando e Sviluppando il pensiero di Karl Polanyi e Ivan Illich, Serge Latouche ha Elaborato un'analisi critica dell'Economia occidentale, fatalmente destinata al collasso, e ha articolato Una Prospettiva economica alternativa Che, proprio per l'inversione di Tendenza Che Propone, E nominata "decrescita". 
Latouche Dichiara Essere ONU "obiettore di crescita", Ossia di opporsi a Quella Che definisce " la religione imperante della crescita " [1] , cultura  Che costringe una Ricercare, in modo irrazionale e distruttivo, Uno Sviluppo Economico continuo e sottile A se stesso. L'economia, Così intesa, riesce a funzionare Solamente Attraverso ONU Aumento continuo del Pil, comportandosi "Come un gigante Che Non E a Grado di guardare in equilibrio se non Continuando a Correre, ma Così Facendo schiaccia tutto cio Che incontra sul Suo percorso. " [2]  Un Sistema di this Tipo E del tutto insostenibile sotto il Profilo ecologico e sociale Perché destinato a scontrarsi con Una limitatezza di Risorse con la Quale, Ancora, rifiuta di Mettersi a confronto. Oltre a cio, this Sistema Presenta Un'altra Fondamentale Contraddizione: pur offrendo all'uomo (Quello occidentale) OGNI agio e  comfort,  lo Condanna Uno annuncio stile di vita frenetico, di perenne insoddisfazione e racconto da PRODURRE Una Società Malata di Ricchezza, impregnata di disuguaglianze ed ingiustizie. La critica di Latouche alla Società della Crescita si estende a Qualsiasi Proposta Che, con Qualche mistificazione in piu, non vada Verso una vera e propria inversione di Tendenza; Così Vienne smascherato il Concetto di "Sviluppo sostenibile", Espressione contraddittoria con la Quale si rifiuta di Uscire da un'economia di Crescita, Nella convinzione Che da ESSA dipenda il benessere dei popoli. La decrescita auspicata da Latouche, invece, costituisce Un'alternativa non da solo economica, ma Anche esistenziale, Che permettera di Uscire radicalmente da this distruttivo Sistema. Non Casualmente l'Espressione con cui ESSA E Tipicamente Presentata E proprio "decrescita serena". L'Intuizione della decrescita, infatti, Vuole ONU arretramento del Pil in please di ONU Aumento di benessere: benessere inteso da Latouche Come un  bien vivre  Che tiene Conto di Aspetti immateriali e normalmente "dimenticati", Quali la cultura, il tempo libero, le Relazioni umane. L'arretramento Necessario Che la strada della decrescita Richiede, però,  nulla non ha di nostalgico; Esso DEVE, al contrario, Essere Accompagnato da Cambiamenti qualitativi, resi Possibili da Tecniche e tecnologie innovative ma pur sempre caratterizzate da Equità ecologica e sociale. Richiamandosi al pensiero di Ivan Illich, Latouche osserva Che la Necessaria limitazione dei Nostri Livelli di consumo e di Produzione non riporterà ad Una vita di privazione e fatica, ma ad Una riscoperta di creatività e convivialità, Così da offrire a tutti la possibilita di condurre Una Degna vita e Meno stressante Di quella attuale. Per Raggiungere this Obiettivo Latouche Propone otto Punti programmatici, noti venire le "otto erre": rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Rivalutare significa riscoprire Valori Nuovi e Nuovi atteggiamenti Andando incontro, Inevitabilmente, ad Una Diversa visione del Mondo e della Società. In modo affine, Una riconcettualizzazione Richiede di significare Diversamente ALCUNI Concetti venire "Ricchezza" e "Povertà", "rarità" e "abbondanza". Cambiare I valori rende obbligatorio conseguente ONU adeguamento dell 'apparato produttivo Intero e della Gestione dei Rapporti Sociali, quindi Una "Ristrutturazione" completa della Società. This Richiede, Necessariamente, l'Uscita dal capitalismo e l'inquadratura delle Istituzioni Sociali in Una logica differente. La Ristrutturazione della Società DEVE permettere un'adeguata ridistribuzione delle ricchezze e delle possibilita di accesso alle Risorse della natura. Uno degli Strumenti Strategici su cui verte this Trasformazione E la rilocalizzazione delle attività produttive; this rendera possibile Una "riterritorializzazione" dei Luoghi e delle Nazioni Unite Più Diretto contatto chat con i prodotti ei Mercati Vicini. La rilocalizzazione Proposta da Latouche si spinge Fino All'Invito all'autoproduzione dei beni. Decrescita significa Anche, ineluttabilmente, "RIDUZIONE". La RIDUZIONE dovra Toccare, per Latouche, Diversi Ambiti: energetico, TRAMITE Una RIDUZIONE dei trasporti e degli scambi Commerciali assurdi; Lavorative ore, Così da riassorbire la disoccupazione e riscoprire proprio ONU tempo Personale; Produzione dei Rifiuti, quindi also dell'obsolescenza (Programmata e psicologica) dei beni. Per quest'ultimo punto DIVENTANO Allora Indispensabili Pratiche di riutilizzo dei beni Che Giungano a soppiantare Definitivamente la cultura favorendo "usa e getta" dell ', al contrario, il riciclo degli Oggetti, quindi il Recupero di Componenti da ritrasformare in prime Materie.
Perché tutto this Abbia Luogo bisogna Necessariamente Switch to Attraverso Una "decolonizzazione dell'immaginario", UN Cambiamento di mentalità Che permetta, prima di tutto, di " lontano Uscire il martello economico Dalla testa " [3]  per approcciarsi a Nuovi Valori, Nuovi modi di intendere il benessere e ad ONU nuovo atteggiamento verso la terra e la Società. This Transizione, Che non PUÒ Che Partire in modo locale e modesto, Richiede il Contributo Attivo di Intellettuali e artisti. QUESTI, infatti, con la Loro creatività, Sono Capaci di "reincantare Il Mondo", in Opposizione alla banalizzazione e al disincanto prodotto Dalla Società dei Consumi.
Venite Si Può Notare, La Proposta di Latouche (Sulla Quale verte la maggior Parte delle Sue opere) non ê Strettamente Uno studio di economico Quanto Più ONU Programma pratico e filosofico. Cosa SIA la felicità e da Quale tipo di Ricchezza ESSA dipenda E l'interrogativo basilare a cui la Riflessione di Latouche Vuole osare Una concreta Risposta. Interrogativo Che, vieni Latouche Ricorda, si fa sempre Più urgente È necessario.

Serge Latouche: Crisi e Decrescita Felice

l filosofo ed economista francese Serge  Latouche , ci racconta la SUA idea di Crisi, analizzando il rapporto di tra ecologia, economia e filosofia. Durante la Conferenza, svoltasi pressoterapia l'Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Roma Tre, E Emerso Che Quello che sta accadendo in campo Ambientale, economico e sociale, e Il risultato Località vicine di Una Concezione di progresso Che non tiene Conto dei Limiti naturali e Temporali e Che alla Cooperazione Sostituisce la Competizione ed Il conflitto. Secondo  Latouche , invertire la rotta prima di Emergenze e disastri a cui potrebbero corrispondere svolte autoritarie Forse E Ancora possibile, ma cio implica ONU Cambiamento culturale ed Una presa di Coscienza urgente e di Portata globale.


LAFARGUE, IL TEMPO LIBERO E GLI SVILUPPI DELLA TECNOLOGIA



P. Lafargue,  Il diritto all'ozio



QUESTE miserie Individuali e Sociali, per Grandi e innumerevoli Che Siano, per eterne Che appaiano, spariranno vieni Le Iene e sciacalli Gli all'avvicinarsi del leone, allorchè il proletariato dira: "Lo voglio". Ma perché pervenga alla Coscienza della SUA forza, È necessario Che il proletariato Schiacci sotto i Piedi i Pregiudizi della morale cristiana, economica, libero-pensatrice; È necessario Che ritorni Ai Suoi istinti naturali, Che proclami i  Diritti dell'ozio , Mille volte piu Sacri e piú nobili degli asfittici  Diritti dell'Uomo , escogitati Dagli avvocati metafisici della rivoluzione borghese; Che si costringa a non Lavorare piú di tre ORE al giorno, a non far niente bis bisboccia lontani per il resto della giornata e della notte.
Fin qui il mio Compito facile e Stato, non avevo Che da descrivere dei mali reali a noi tutti, ahimè, ben noti! Ma convincere il proletario Che La parola d'ordine di Che Gli has been inculcata E perversa, Che il lavoro sfrenato al which Si e date Dagli Inizi del secolo e Il piú tremendo flagello Che mai Abbia Colpito l'umanità, Che il lavoro diverra ONU complemento del piacere dell'ozio, ONU benefico Esercizio per l'Organismo Umano, una passione Utile all'organismo sociale solista when Sarà saggiamente regolamentato e Limitato un'ONU massimo di ore al giorno tre, QUESTO E UN Compito arduo al di sopra delle mie Forze; solista dei fisiologi, degli Igienisti, degli economisti comunisti potrebbero affrontarlo. Nelle pagine Che seguono, mi limiterò a Dimostrare Che, Dati i Mezzi di Produzione Moderni e la Loro illimitata Capacità riproduttiva, bisogna reprimere la passione aberrante degli operai per il lavoro e obbligarli a Consumare le merci Che Producono.

P. Lafargue,  Il diritto all'ozio , Feltrinelli, Milano, 1971, pagg. 124-125

http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/mostre/RavennAntica/otium_ravenna.htm
L'otium ha sempre suscitato Sentimenti contrapposti. Condannato a Più riprese e poi bandito Dalla cultura industrialista, per SECOLI e Stato nell'impero romano Uno stile di vita ELEVATO, considerato di pari Valore RISPETTO al negotium. Insomma, piano per i Cittadini dei Primi SECOLI dell'Era cristiana vita pubblica e vita privata erano sullo Stesso, in perfetto equilibrio.  Per le classi Dominanti dell'epoca, l'otium E Complesso delle Nazioni Unite di Attività Intellettuali e meditativo, RICREATIVE e ristoratrici Che rappresenta non Solo Un bisogno Essenziale, ma also element caratterizzante dello stile di vita, della libertà Personale, della tempra morale ............. Lungi dall'essere disprezzato e demonizzato, l'ozio era considerato venire Essenziale libertà e venire completamento RISPETTO Agli obblighi del lavoro e Agli impegni di Carattere Pubblico - ma non in contrasto con Quelli - e quindi venire possibilita di dedicarsi alla cura di sé. L'era otium lo spazio dell'anima e Il Luogo dei piaceri del Corpo. Era arte di vivere. Una Condizione Privilegiata e invidiabile. La Massima Aspirazione Per un uomo che Fosse in Grado di trovare il giusto equilibrio fra la Dimensione pubblica e privata Quella della vita .............. L'otium s'identifica quindi con ONU ideale culturale e filosofico volto a Raggiungere la Conoscenza venire superiore Valore etico e morale ............ Accanto alla cura dello spirito C'è poi la cura del Corpo Nelle terme private, Che fioriscono Nelle ville di campagna e Nelle domus di città, per soddisfare i piaceri del Corpo in ambito ONU di riservatezza ...... DALLA tryphé DEGLI ETRUSCHI ALL'OTIUM DEI LATINI di Luigi Malnati
La cultura dell'otium degli strati Sociali Agiati Nel tardo Periodo repubblicano e dei Primi SECOLI dell'Impero romano s'inserisce nell'eclettismo di origine ellenistica, il Che TROVA il Suo Rappresentante Più autorevole in Cicerone. L'otium cui l'Intellettuale, ma Meglio sarebbe dire il "perfetto gentiluomo", dell'epoca aspira E ONU Modello di vita Che Concilia buone letture filosofiche, gusto per l'arte, Esercizio fisico, vita sociale e conviviale e Una Partecipazione alla Politica Che, con l'avvento del regime imperiale, si Andrà trasformando in Un impegno nell'amministrazione civile e militare.
La Posizione di Cicerone e di Sallustio riflette tuttavia il rammarico di Uomini che avevano Avuto altera parte rilevante Nel Gioco politico romano e il Che erano STATI costretti Dalle circostanze di ritirarsi a "vita privata" nell'otium ea rifugiarsi, per Quanto operoso. Già Diversa E La Posizione di Seneca, Ormai in Piena Età imperiale; l'otium per lui non e Piu Solo Un rifugio, MA e ONU ideale di vita, l'unico Degno dell'Uomo colto, del raffinato Intellettuale, in contrasto con la DeGenerazione della vita civile, in cui prevalgono i "Nuovi Ricchi".
Tuttavia, l'elogio di this ideale di vita "filosofica", Che prendeva un Modello lo stoicismo e l'Epicureismo, non era sempre Stato ONU patrimonio tradizionale della cultura latina. Anzi, in eta repubblicana i Latini avevano venire Riferimenti Negativi popoli venuti Gli Etruschi, Che venivano accusati di Avere perso l'originaria Virtù militare un Vantaggio di Uno stile di vita eccessivamente dedito ia Piaceri.
Il giudizio sprezzante Sugli Etruschi venire popolo dedito non solista al lusso e Ai piaceri (alla tryphé), ma all'immoralità Sessuale ea costumi sfrenati e Imbelli, risente Certamente di ONU Giudizio Che i Greci avevano Elaborato da tempo ma raccoglie also Tradizioni diffusa NEGLI ambienti italici della tarda Età repubblicana.
In Sostanza, il tema della tryphé etrusca non ê solista un'invenzione della propaganda greca ostile, ma affonda le radici in Una Più generale VALUTAZIONE da altera parte dei Romani e, Certo, Anche DEGLI ALTRI popoli italici Di quella Che era Stata la potenza del nomen etrusco, il Che AVEVA tempo ONU Dominato l'Italia, Ma che poi AVEVA perso la SUA forza e il Suo prestigio.
Di Potere e Ricchezza facevano sfoggio i principes etruschi Fino Dalla multa dell'VIII Secolo e Certamente Nel VI Secolo aC Che rappresenta, con l'affermarsi della monarchia etrusca a Roma, l'apogeo politico degli Etruschi in Italia. QUANDO this tenore di vita non Trovò Più Corrispondenza con Una pari Autorità politica, si diffuse da altera parte dell'élite romana Una VALUTAZIONE spregiativa del Loro modo di vivere.
E infatti C'è La reazione della classe dirigente romana a Partire Dalla presa di Potere oligarchica del V Secolo. Tra le Disposizioni delle XII tavole netta E infatti La condanna delle Manifestazioni Esteriori del lusso, con il Divieto di esibizioni Nelle cerimonie funebri.
Con l'espandersi della repubblica e Nella fase di Transizione all'impero, also nell'élite romana si diffondono Nuovi Stili di vita, il Che in Parte Vanno un Recuperare le Tradizioni dell'aristocrazia etrusca. InOLTRE, molte delle Grandi Famiglie etrusche si erano Progressivamente Inserite di Nel tessuto del patriziato romano e lo influenzavano.
In definitiva, Si Può dire Che l'otium acquista Dignità e diventa stile di vita delle classi Privilegiate grazie alla doppia influenza esercitata a Roma Dalla Tradizione culturale etrusca e Dalle concezioni filosofiche dell'ellenismo.