martedì 31 maggio 2011

la collaborazione tra lo yemen e l'Universita' "La Sapienza " Roma,clicca



Sarkozy ha paura di internet. Due miliardi di persone sono difficili da controllare. Percio' prepara un enorme apparato repressivo da far impallidire !il grande fratello"

A Parigi si è tenuto l'EG8 dedicato a 
Interne con "i Grandi della Terra". 
L'evento è stato voluto dal bombar-
diere francese Sarkozy, reduce dalle
imprese in Libia e in Costa d'Avorio, 
per regolamentare a livello internazi
onale la Rete, in particolare per la pu
bblicazione dei contenuti. La Francia
ha fatto approvare una legge censoria
detta "three strikes and you are out",
che impedisce l'accesso a Internet 
attraverso i service provider a chi 
si collega per tre volte a siti P2P 
per scaricare contenuti ritenuti illegali.
 Per questo scopo è stata addirittura 
creata un'agenzia che invia due mail di 
avviso e poi ti stacca la spina. 
Lawrence Lessig, autore di "Free Culture", 
avvocato statunitense ed esperto dei pro-
blemi legati al copyright definì la legge
"una soluzione da cerebrolesi" che 
invece di sviluppare nuovi settori, proteg.
geva attività in declino. La società McKin-
sey ha calcolato che per ogni posto dii
 lavoro perso in Francia negli ultimi 15 
anni a causa di Internet ne sono stati 
creati 2,4 nuovi grazie alla Rete, con un 
attivo di 700.000 posti. (*) Al summiit 
sono stati invitati i principali attori della 
Rete. Molti hanno disertato come Cory 
Doctorow di Boing Boing che considera 
l'EG8 un tentativo dei governi di mettere 
le mani sulla Rete. Sarkozy ha aperto i 
lavori con un discorso intimidatorio rivolto 
a chi usa la Rete "Il mondo che rappresen-
tate non è un universo parallelo dove 
non sono contemplate le regole legali 
e morali e i principi che governano la 
società". Quali sono queste regole e qua-
li interessi proteggono? La legge sul 
copyright risale allo Statuto di Anna 
del 1710, una legge fatta su misura 
dopo l'invenzione della stampa di Gu-
temberg. Introduceva la proprietà i
intellettuale dell'autore, un periodo dii
15 anni, e una tutela politica. Nei secoli
la legge è diventata maggiormente restrit-
tiva, il copyright si sta estendendo a 100
anni, le pene sono sempre più severe. 
Il copyright, di fatto, è diventato 
una barriera per lo sviluppo della Rete. 
All'incontro dei "Grandi" alle 
Tuileries sono stati invitati due elementi 
di spicco dell'Italia, il nuovo che avanza, 
Bernabè di Telecom e Carlo De Benedetti 
del Gruppo L'Espresso. Quest'ultimo che ebbe a dire 
che Google è un parassita dell'informazione ha 
rincarato la dose "Pensiamo che sia ingiusto che 
Google o altri prendano i nostri contenuti senza 
pagare". Anch'io la penso uguale. Suggerisco a 
Google di eliminare Repubblica dal motore 
di ricerca.

lunedì 23 maggio 2011

analisi storica sulla convivenza sulle sponde del mare nostrum di civilta' scomparse : Alain De Benoist intervista Danilo Zolo* clicca x art,

Ringraziamo della possibilita' che ci viene data di
pubblicare questo articolo. Ne pubblicheremo
altri. Sono un'ottima fonte di riflessione.
Senza studio della storia non c'e' futuro,
la magistra vitae  docet il futuro.

GIOVEDÌ 3 MARZO 2011


             MARE NOSTRUM?


Il Mediterraneo,  l'imperialismo, 
l'Islam e l'avvenire dell'Europa
Alain De Benoist intervista Danilo Zolo*
«In questo senso il Mediterraneo ha 
preservato la sua unità in quanto 'mare fra 
le terre',
 resistendo alla sfida proveniente dai grandi 
spazi oceanici 
e continentali scoperti dai navigatori 
spagnoli e portoghesi. Si potrebbe dire, 
attualiz-
zando, che le 'civiltà mediterranee' sono 
sopravis-
sute resistendo all''atlantismo' americano».
Alain de Benoist
Lei è stato l'architetto, insieme a Franco 
Cassano, di un libro collettivo di oltre
 650 pagine intitolato L'alternativa mediter-
ranea (1). Citando Peregrine Horden e Nich-
olasPurcell - che nella loro opera monum-
entale
The Corrupting Sea. A Study of Mediterra-
nean 
History (2000) scrivono: «l'unità e la coere-
nza
dell'area mediterranea sono indiscutibili»
 - aggiungete: «"Unità" non significa unifor-
mità 
culturale o monoteismo», ma al contrario 
«pluriverso». Nel corso della storia, dalle 
guerre
 di Atene contro Sparta o dal grande scisma 
d'Oriente
 alla divisione attuale dei paesi arabi, passa-
ndo
 per le avventure coloniali francesi e britan-
niche, 
non è che il Mediterraneo sia sempre stato 
profondamente diviso? Aldilà dei conflitti di 
cui il Mediterraneo è stato testimone, 
secondo Lei, cosa crea questa unità mediter-
ranea, 
sia a livello storico e geografico che a livello 
spirituale, ambientale o simbolico?
Danilo Zolo 
Come è noto, un contributo di grande rilievo
 al dibattito sulla questione mediterranea,
 e quindi sull'unità del Mediterraneo, è stato 
offerto 
da Fernand Braudel. Ed è appunto al suo
 pensiero storiografico che si ispira il libro 
che Franco Cassano ed io abbiamo 
recentemente curato per l'Editore Feltrinelli.
 Mentre Henry Pirenne aveva elaborato lo 
schema della cesura dell'unità mediter-
ranea 
a causa della conquista araba del Medio 
Oriente 
e dell'Africa del Nord, Braudel ha valoriz
zato
il pluralismo delle fonti culturali che hanno 
dato vita alla civiltà mediterranea.
È un fatto incontestabile che la tradizione 
greca e quella latina hanno interagito con
la cultura ebraica e con il mondo arabo-
islamico grazie, fra l'altro, alla feconda 
mediazione degli ebrei spagnoli e dei 
moriscos, rifugiati in massa nel Maghreb
 nel corso del Cinquecento. Contro gli 
stereotipi dell'egemonia greco-latina, 
dell'orientalismo e del razzismo coloniale,
 Braudel e la"scuola algerina" hanno 
rivalutato la cultura
 araba: il suo immaginario artistico, la grande
 tradizione speculativa, medica e matematica. 
Come Peregrine Horden e Nicholas Purcell 
hanno più recentemente sostenuto nella scia 
della lezione di Braudel, c'è un elemento che 
dal punto di vista storico-ecologico unifica 
il Mediterraneo e lo distingue da ogni altra
 area
 geografica: è la rara coesistenza fra un am-ù
biente 
naturale nel quale le comunicazioni umane 
si sono agevolmente sviluppate lungo le 
sponde marine e una topografia costituita da
 nuclei sociali di ridotte dimensioni, 
dislocati e frammentati lungo le coste e nelle 
isole. La singolarità orografica, il clima tempe-
rato e una vegetazione particolare - la vite,
 l'ulivo, gli agrumi - hanno fatto del Mediterra-
neo uno spazio ecologico che per millenni 
ha favorito, lungo tutte le sue sponde, 
la formazione e la stabilizzazione di strutture
abitative, di colture rurali e di sistemi commer-
ciali spazialmente dislocati e frammentati, 
ma nello stesso tempo in stretta comunicazio-
ne fra loro. L'intensità delle relazioni comuni-
cative, dei travasi culturali, dei rapporti com
mer-ciali, degli incroci demografici e degli 
scambi più diversi, inclusi i conflitti, le guerre,
 le crociate e le 
scorrerie piratesche, hanno contribuito a
 forgiare una solida koiné culturale e civile.
 Lo sviluppo 
della cultura europea, a cominciare dalla ecce
zionale esperienza di Al-Andalus, si è 
intrecciata con 
la tradizione coranica. Queste radici comuni 
non sono state divelte neppure dai più aspri 
antagonismi e hanno prodotto frutti ricchis-
simi. Basti pensare che l'area mediterranea 
vanta la più grande concentrazione artistica
 del mondo. L'unità e la grandezza del Mediter
raneo - questa è una delle tesi 
centrali 
del nostro libro su L'alternativa mediterranea- 
sta nella longevità del suo 'pluriverso' culturale 
che a rigore si è articolato non entro 'un mare', 
ma 
entro un 'complesso di mari'. E si è trattato, 
come ha scritto Braudel, di mari "ingombri di 
isole, tagliati da penisole, circondati da coste 
frastagliate [...] la cui vita si è mescolata alla
 terra 
e non è separabile dal mondo terrestre che 
l'avvolge". In questo senso il Mediterraneo ha 
preservato la sua unità in quanto 'mare fra le 
terre', resistendo alla sfida proveniente dai 
grandi spazi oceanici e continentali scoperti 
dai navigatori spagnoli e portoghesi. Si
 potrebbe 
dire, attualizzando, che le 'civiltà mediter-
ranee' 
sono sopravissute resistendo all''atlantismo' 
americano.
Alain de Benoist
Nel suo libro L'occidentalisation du monde
 Serge Latouche, che ha contribuito anche 
al vostro volume, utilizza la parola «decultu--
razione» per descrivere il momento in cui 
il contatto tra culture «non si manifesta 
attraverso uno scambio equilibrato ma 
piuttosto attraverso un flusso massiccio a 
senso unico: la cultura che riceve è invasa, 
minacciata nella sua propria essenza e può 
essere considerata vittima di una vera e 
propria aggressione». Nel passato, l'espansio-
ne coloniale rappresentò un «flusso massic-
cio a senso unico», ma oggi è piuttosto il 
contrario. Sono le vecchie potenze coloniali 
che vivono con il sentimento di essere "invase"
 e «minacciate nella loro essenza». 
L'immigrazione massiccia con la quale gli Euro
pei oggi si confron-tano ha creato le condizioni
possibili per la moltipli-
cazione veloce nei paesi occidentali di libri che 
puntano il dito non soltanto contro 
l'islamismo radicale 
ma anche contro l'Islam tout court. L'Europa 
si è rinchiusa in una posizione difensiva,
 avvertendo il 
mondo musulmano come una minaccia su 
tutti i 
fronti, sia interno che esterno. Un atteggia-
mento del
genere non aiuta ovviamente alla realizzazione 
del parternariato euro-mediterraneo che voi 
vorreste vedere realizzato. Come analizza 
questa
 situazione? Come è possibile uscire dallo
 schema
 dello 'scontro di civiltà' e ricreare le condizioni 
propizie ad uno «scambio equilibrato»?
Danilo Zolo
Non direi in alcun modo che oggi assistiamo 
ad una inversione del fenomeno coloniale. 
Nell'Ottocento e nella prima metà del 
Novecento le armate europee hanno invaso 
e occupato il resto del mondo e in particola-
re i paesi africani e arabo-islamici, facendo 
strage di centinaia di migliaia di persone 
innocenti, distruggendo le strutture politiche
ed economiche dei paesi aggrediti, e devastan-
done le culture e le tradizioni. Oggi - si sostiene 
- sarebbero le vecchie potenze coloniali ad 
essere investite da imponenti flussi migratori 
che l'Europa inevitabilmente percepisce 
come una invasione coloniale in direzione 
inversa. Si tratta, a mio parere, di due
 fenomeni completamente diversi. 
Oggi il fenomeno coloniale è solo formalmen-
te esaurito. In realtà, in particolare dopo 
il collasso dell'impero sovietico e l'emersione 
dello strapotere degli Stati Uniti d'America 
e dei suoi più stretti alleati europei,
 assistiamo 
a forme di neo-colonialismo particola-
rmente
aggressivo che investono in particolare 
i paesi arabo-islamici. E questo accade 
nel contesto dei processi di globalizzazi-
one che in larga parte coincidono con il 
progetto occidentale di egemonia globa-
le sul piano economico, politico e militare. 
Lo Stato di Israele è l'architrave di questo
 colonialismo perdurante che occupa 
militarmente e domina un'area cruciale 
del Medio Oriente arabo-islamico. Nel 
frattempo sono i processi di globalizzazio-
ne economica guidati dalle massime poten-
ze economiche del pianeta a produrre, 
con le crescenti sperequazioni econom-
ico-sociali che generano su scala plane-
taria, le grandi migrazioni verso Occi-
dente. In questo senso il Mare mediter-
raneo, nelle condizioni in cui oggi si 
trova, è per un verso uno spazio neo-
coloniale a disposizione delle grandi 
potenze occidentali per controllare 
militarmente l'intera area mediorientale, 
mesopotamica e centro-asiatica. Per un
 altro verso il Mediterraneo viene usato 
dall'Europa come barriera per contenere 
drasticamente i flussi migratori provenien-
ti in larga parte dai paesi arabo-islamici del-
la sponda sud-est. L'Occidente intero nega 
se stesso nel suo delirio di onnipotenza e 
fomenta il fenomeno del terrorismo islamico, 
mentre l'Europa percepisce i migranti - di
 cui peraltro ha un estremo bisogno - come 
"diversi", come nemici invasori, come 
quasi-terroristi. La sola risposta possibile 
a questo collasso è un'Europa meno occiden-
tale e più "europea", meno asservita agli interes-
si degli Stati Uniti, pronta a un dialogo parita-
rio con il mondo islamico, capace di imposta-
re la questione israelo-palestinese come un 
problema mediterraneo, attenta e partecipe 
alle imponenti novità che stanno investendo 
l'Asia orientale, a cominciare dal colosso
 cinese.
Alain de Benoist
A partire dagli anni Settanta, la «questione 
mediterranea» è stata affrontata nei paesi
 europei soprattutto dal punto di vista 
dell'«integrazione regionale». In particola-
re ci si ricorderà della creazione di un 
Forum mediterraneo nel 1988, di una ses-
sione 
della Conferenza per la sicurezza e la coopera-
zione nel Mediterraneo nel 
1990 e della prima Conferenza Euro-Medi
terranea nel novembre 1995 a Barcellona. 
Qual è il bilancio di queste iniziative? 
E cosa 
pensa del progetto di un'«Unione per
 il Mediterraneo» sostenuta e voluta da
 Nicolas Sarkozy?
Danilo Zolo
Il "processo di Barcellona", che ha concluso
 una lunga serie in iniziative prodromiche, 
è stata una strategia europea molto 
ambiziosa, che per la prima volta 
ha tentato di avviare una cooperazione 
di largo respiro fra le due sponde del 
Mediterraneo. L'accordo riguardava il 
progetto di un 'partenariato globale' di 
lungo periodo, che fra l'altro intendeva 
attribuire particolare rilievo alle 'società 
civili' e alla dimensione culturale. Sono 
trascorsi
i oltre dieci anni dalla Dichiarazione di 
Barcellona
un arco di tempo sufficiente per tentare 
una valutazione dei risultati ottenuti. 
Per quanto riguarda il tema della pace e 
della sicurezza, due vicende hanno segnato 
l'area euromediterranea nell'ultimo decen-
nio del Novecento e nel primo lustro del 
Duemila: la prima riguarda il fallimento di 
ogni progetto di riscatto del popolo palesti-
nese dalla spietata occupazione militare 
israeliana. La seconda vicenda riguarda la 
crescente pressione strategica che gli Stati 
Uniti, direttamente o attraverso la NATO, 
hanno esercitato nei confronti dell'area 
euromedi-
terranea, in particolare nei Balcani. Queste
 due 
vicende mostrano come il 'processo di 
Barcellona' non abbia impedito che
 il Mediterraneo e 
il Medio Oriente divenissero, congiuntamente, 
l'epicentro di un conflitto mondiale: 
da una parte 
le potenze 'atlantiche', incluso Israele, e 
dall'altra 
i paesi da esse considerati ostili, perché 
in contrasto con gli 'interessi vitali' e 
le strategie egemoniche 
dell'Occidente o perché ritenuti terro
ristici o complici del terrorismo. 
Anche il partenariato economico
-finanziario varato a Barcellona non ha 
realizzato i risultati che prometteva con 
la seducente formu-
la della 'prosperità condivisa': non ha 
ridotto lo 
squilibrio esistente fra le due sponde del 
Mediterra-
neo e non ha garantito stabilità e sicurezza. 
Il Mediterr-
aneo era caratterizzato al momento del 
lancio del 'proces-
so di Barcellona' da un altissimo livello di 
disomogeneità socio-economica. Questa 
situazione 
non solo non è cambiata, ma si è aggravata. 
In particolare il protezionismo praticato
 dall'Europa a tutela degli agricoltori
 europei ha contri-
buito all'ulteriore impoverimento 
dei paesi arabi. 
Mentre è stata liberata la circolazione 
dei manufatti, per i prodotti agricoli è stato 
mantenuto un regime di 'regionalismo 
bilaterale' che consente l'appli-
cazione di quote e restrizioni all'importazione 
di questi beni nei paesi europei. E questo ha 
inibito lo sviluppo del mercato proprio in un 
settore nel quale i paesi mediterranei economi-
camente meno avanzati avrebbero potuto 
fruire di un vantaggio comparato. Per tradursi 
in una effettiva esperienza di integrazione econo-
mica - con i corollari politici auspicati - il processo 
di Barcellona avrebbe dovuto intensificare la
tensione 
politica e culturale verso una cooperazione 
realmente multilaterale. E questo avrebbe dovuto 
comportare, soprattutto per iniziativa dei paesi 
euromediterranei come la Spagna, la Francia e
l'Italia, un reale trasferimento di risorse, incluse 
le risorse umane, culturali, scientifiche e 
tecnologiche, che ponesse in secondo piano i 
temi della sicurezza, del controllo dei flussi 
migratori, dello smercio dei prodotti industriali e 
della protezione dei mercati agricoli.
Quanto al progetto dell'«Union méditerranéenne», 
recentemente lanciato da Nicolas Sarkozy, risulta 
difficile darne una precisa valutazione poiché è 
arduo coglierne le motivazioni e le finalità. 
Si tratta probabilmente di una confusa ed 
estemporanea idea neo-coloniale diretta
a restituire alla 
Francia una funzione di controllo del 
Mediterraneo occidentale, tale da irrobustire il 
ruolo francese all'interno dell'Unione europea, in
competizione soprattutto con la Germania.
Alain de Benoist
La dilatazione globale della potenza marittima 
fa sì che il Mediterraneo sia diventato, in parte, 
un mare americano, e allo stesso tempo una delle 
zone più instabili e pericolose del mondo. 
Samir Amin ha scritto che il Mediterraneo oggi 
rappresenta la principale zona di influenza di 
un'Alleanza atlantica che non è più diretta 
contro la minaccia sovietica, ma contro il Sud. 
In qualità di autore di numerosi lavori sul diritto
internazionale e sul suo sviluppo, come giudica 
questa presenza americana nel Mediterraneo? 
Una «dottrina Monroe» per questa zona 
del mondo é ancora possibile?