giovedì 15 aprile 2010

il nostro ruolo e la prospettiva culturale del Mediterraneo : una middle class molto "globalizzata" portatrice di nuove idee

di Giovanna Mancini da Domenica , sole24ore di aprile 2010
Quando sua figlia le ha detto che intendeva indossare il velo, non ha potuto nascondere una certa sorpresa. Lei, Hanan Kassab Hassan, docente universitaria e direttrice della Dar Al-Assad Opera House for Culture and Arts di Damasco, il velo non lo ha mai portato. Cresciuta in una famiglia comunista (la madre partecipò alla ' marcia di Mao del 1949) Hanan ' ha studiato teatro nella capitale ' siriana e poi a Parigi. Tra le altre  cose è stata segretario generale ~ di Damasco capitale della cultura araba nel 2008. Un evento importante, perché ha portato oltre 500 nuovi posti di lavoro, ma e" soprattutto «ha sviluppato nuoveve abitudini culturali nell popolazione, creando un pubblico che oggi pretende manifestazioni culturali di livello alto». Hanan, bilingue e cosmopolita, elegante e sobria con i suoi capelli corti e nei pantaloni scuri abbinati a una semplice camicia bianca, è una delle tante donne emancipate e colte che sempre più spesso si incontrano nei paesi  musulmani del Mediterraneo. «Le donne in Siria hanno semre avuto un ruolo politicamente attivo,  a partire dal 1920 , come  dimostra la presenza di cinque  ministre nell'attuale governo, di i cui una al Lavoro, una all'Economia e una alla Vicepresidenza». ! Eppure il velo torna a vedersi nelle strade vivaci e illuminate dalle vetrine di Damasco e Aleppò, e spesso sono le più giovani  a indossarlo, a braccetto con madri che, come Hanan, camminano invece serenamente a capo scoperto. «La ragione non è pòlitica o religiosa - replica Hanan , ma mediatica: in televisione le donne compaiono con il velo e le giovani le imitano. È diventato un simbolo di identità». La questione del velo, concorda Raja Farhat drammaturgo e regista teatrale tunisino oggi consulente al ministero della Cultura del suo paese, è spesso un problema più europeo che musulmano Farhat, come Hassan, ha partecipato al primo Forum delle città del Mediterraneo di Napoli, dove rappresentanti culturali delle principali metropoli delle due sponde - testimoni di una middle dass in espansione - si sono confrontati per realizzare nel settembre 2011 un grande evento che porterà nel capoluo-go campano "frammenti" della vita culturale ed economica di queste città «Vogliamo trasmettere l'importanza che il Mediterraneo ha per lo sviluppo dell'Europa, troppo concentrata su un'espansione verso Est e poco attenta alle potenzialità del Sud», spiega Renato Quaglia, direttore artistico e organizzativo del progetto. Un progetto che si propone di rovesciare la visione dominante di lettura del rapporto Nord-Sud come un rapporto tra ricchezza e povertà. «È un'idea arcaica del mondo, di cui l'Europa è prigioniera-afferma Raja Farhat - legata a uno schema semplicistico che identifica Islam e fondamentalismo, ma che non tiene conto delle radici storiche e culturali comuni tra i paesi del Mediterraneo. Né tiene conto della crescita economica di questi paesi e della loro classe media, che vive in metropoli ricche di cultura, di teatri, di università». Farhad, quadrilingue (oltre all'arabo e al francese, parla italiano e inglese), è un vero cittadino del Mediterraneo:   ha dimenticato le sue radici e non si accorge che oggi la povertà è a Nord, non a Sud del Mediterraneo: è in Grecia, è in Spagna, non in Egitto o in Algeria». Più scettico sull'esistenza di un'identità comune, ma convinto dell'importanza del dialogo tra le due sponde del Mediterraneo per lo sviluppo sociale ed economico dei paesi che vi si affacciano, è Nagy Souraty, giovane drammaturgo libanese, docente universitario e consulente artistico del teatro Al-Madina di Beirut: «Non so se si possa parlare di un denominatore comune. Nello stesso Libano il problema dell'identità e dell'appartenenza è l'ostacolo principale alla soluzione dei conflitti. E vero però che sta crescendo il confronto tra le nuove generazioni e tra i giovani artisti dei diversi paesi». Figlio della buona borghesia libanese (madre insegnante e padre ispettore finanziario in una banca) Nagy vede oggi nel suo paese un arretramento di quella classe media che negli anni 70 diede vita al periodo d'oro della Beirut artistica. «Ma il fermento culturale c'è - dice -. È importante favorire le iniziative che vengono dal basso, fuori dalle istituzioni politiche e culturali». Meglio guardare, aggiunge Pierre Abi Saab, giornalista del quotidiano libanese Al-Akhbar, a fenomeni come l'arte di strada, «il rap soprattutto, che è il vero teatro odierno della contestazione, rivoluzionario come lo fu a suo tempo il Living Theatre: è il LivingTheatre di oggi!».

 orso castano : difficile prevedee gli sviluppi che il vecchio "mare nostrum"  sul quale per secoli e secoli si sono affacciate mille culture , mattoni fondanti della nostra attuale cultura (anche matematica e scientifica) , difficile anche capire perche' un simile sviluppo sisia arrestato o proceda a singhiozzo e se riuscira' a darsi una prospettiva innovatrice all'interno della cultura attualmente globalizzata ma appiattita su stereotipi troppo legati al dio mercato. Staremo a vedere. Certo e' che secoli di storia hanno lasciato un solco profondo che non e' possibile ignorare.


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