sabato 30 novembre 2013

limes : "Utopie del nostro tempo"


Il nuovo numero di Limes si intitola “Utopie del tempo nostro” ed è un percorso culturale e geopolitico che vuole provare a definire l’utopia (e le utopie).Dal 10 settembre in edicola, libreria e su iPad.Qui la copertina a cura di Laura Canali.
Il nuovo numero di Limes si intitola “Utopie del tempo nostro” ed è un percorso culturale e geopolitico che vuole provare a definire l’utopia (e le utopie).

Dal 10 settembre in edicola, libreria e su iPad.

Qui la copertina a cura di Laura Canali.street art
“Le utopie siamo noi”, l’editoriale di Lucio Caracciolo.
“Le utopie siamo noi”, l’editoriale di Lucio Caracciolo.

Prof. Fabris, Univ. Bologna : Heidegger , senso e significato



................Tra i suoi studi riguardo le diverse tradizioni della filosofia delle religioni compaiono approfondimenti fenomenologici ed ermeneutici, e la traduzione, tra gli altri, di testi di Martin Heidegger: da questi deriva il tema del suo intervento La questione della cosa.
Viene sollevata la domanda che pare la più scontata di tutte, sul significato di 'cosa' a partire dal saggio heideggeriano sull'Origine dell'opera d'arte: quotidianamente incontriamo cose, facciamo cose, inciampiamo in esse... ma cosa sono queste 'cose'? E perché ci poniamo questa domanda?
La lezione prova a spiegare il significato di 'essere' heideggeriano attraverso una relazione con le cose che non sia quello, scontato, dell'utilizzo che ne facciamo: se 'essere' è l'interdipendenza della totalità delle relazioni, è lecito ricondurre la totalità al concetto di relazione?La seconda parte dell'intervista al professor Fabris si apre con una domanda che verte sulla questione originaria del senso: ha lo stesso significato se sollevata in ambito filosofico o in quello religioso?
Il professore spiega come intendere il termine 'senso', differenziandolo dalla 'spiegazione' ed evidenziando le differenze tra i due ambiti; precisa in seguito che esistono momenti della vita in cui, anche se tutto è spiegato in modo convincente, possiamo porci una domanda diversa: perché è così?
Infine viene chiarito ulteriormente un concetto che gli è caro e che ha più volte trattato: il nostro tempo inteso come il tempo dell'indifferenza, ovvero l'epoca in cui non esistono riferimenti che ci permettano di istituire differenze e valori tra le cose.
Buona visione!
Intervista: Laura Stefenelli
Montaggio: Iacopo Colonna

Oms. Le strategie globali per la medicina "alternativa"


street art.

orso castano : la medicina "evidence based e' determinante. Sia le medicine tradizionali che quelle non convenzionali possono fornire "evidence " , ma il processo va molto a rilento per difficolta' intrinseche a queste "medicine" : sia le tecniche che i  principi attivi sono imprecisi e non ripetibili. Naturalmente questo non puo' e non deve esimere dallo studiare a fondo l'efficacia o la non efficacia (compresa la farmacovigilanza) delle terapie proposte da queste medicine. E' necessario andare avanti senza pregiudizi. 

...........................Cosa sono le Medicine Non Convenzionali (CM)
Accanto alla TM, c’è la “medicina complementare” (CM) o “alternativa”, cioè non convenzionale, che comprende una vasta gamma di pratiche di assistenza sanitaria. Tali pratiche non fanno parte di tutte le tradizioni e non sono completamente integrate all’interno del sistema sanitario predominante. Tra queste, la medicina antroposofica, l’omeopatia, la fitoterapia (medicina a base di erbe), la chiropratica, la naturopatia, l’osteopatia. Ad esempio in molti paesi europei e in Nord America, queste tecniche sono inserite all’interno di programmi a livello universitario. In maniera simile, in Cina, Repubblica di Corea, India e Vietnam, i dottori che esercitano un certo tipo di pratiche devono possedere un diploma universitario. Un ampio numero di pazienti con la sclerosi multipla, ad esempio, ricorrono alla Medicina complementare e alternativa (CAM), con una prevalenza in Spagna (41%), Canada (70%) e Australia (82%). L’uso di questo approccio varia notevolmente tra i 39 paesi presi in considerazione. Il rapporto sottolinea come ciascuna area geografica abbia la sua regolazione in materia di Cam e come quindi il paziente, spostandosi dal proprio paese, possa incontrare differenze sostanziali all’interno del sistema tra i professionisti di questo settore.

Le Medicine Tradizionali e Non Convenzionali T&CM
Utilizzate a livello mondiale e apprezzate per diverse ragioni, le T&CM racchiudono diversi approcci, comprendendo dunque le cure, le pratiche e le competenze professionali delle due medicine. L’uso di esse varia in maniera profonda da paese a paese e dipende dalla cultura, dalla comprensione delle tematiche sanitarie e dalla possibilità della popolazione di accedere alla medicina convenzionale.
A praticare le medicine tradizionali e non complementari sono i professionisti della medicina tradizionale e alternativa, tra cui dottori, dentisti, infermieri, ostetrici, farmacisti. Fra le terapie sono inclusi qigong, yoga, medicina termale e terapie fisiche, psicofisiche, mentali e spirituali. Le T&CM prevedono anche l’uso di medicinali e preparazioni a base di erbe, prodotti che contengono parti di piante e in alcuni casi ingredienti attivi naturali, organici o inorganici, che non provengono dai vegetali (ad esempio animali o minerali).

La scelta delle medicine tradizionali e non convenzionali dipende da vari fattori, come sottolinea l’Oms, tra cui la domanda crescente di una gamma completa di servizi sanitari, l’insoddisfazione dei servizi esistenti e il rinato l’interesse per la “cura della persona nella sua interezza”. Anche il risparmio economico fa parte di questi fattori: ad esempio, nella cura dei dolori al collo, la terapia manuale permette di salvare circa un terzo dei costi rispetto alla fisioterapia e alla terapia generale.

Uno dei fronti su cui si muovono gli Stati Membri per migliorare la sicurezza e lo standard di qualità delle T&CM riguarda l’educazione e la ricerca su questo settore: ad esempio, i programmi formativi che comprendono lauree, master e dottorati, sono aumentati fino a 39 unità, coprendo il 30% dei paesi intervistati. Nei paesi africani, la conoscenza della medicina tradizionale è stata diffusa oralmente dai professionisti della sanità per diverse generazioni.

Originaria della medicina tradizionale cinese, una pratica non convenzionale in grande espansione è ad esempio l’agopuntura, oggi utilizzata su scala globale. Secondo i dati forniti da 129 paesi, ben l’80% di essi ne riconoscono l’uso.
In generale, si osserva un’espansione ed una crescita dell’importanza economica delle T&CM, soprattutto rispetto ai prodotti acquistati online dai consumatori. Inoltre, in alcuni paesi, nel decennio 1995-2005 si registra un aumento percentuale di una o più decine di punti delle visite a specialisti di agopuntura, chiropratica e naturopatia.

Viola Rita

29 novembre 2013

venerdì 29 novembre 2013

orso castano : fa certamente riflettere ed e' una dichiarazione dei limiti della scienza. La "Scienza" non puo' tutto. Ci sono molte malattie che non sono state sconfitte. Ma il pericolo incombe: il minore e' il piu' debole dei deboli, sopratutto se malato gravemente. E' stupefacente che sia solo un'equipe medica a decidere, la responsabilita' di un atto cosi' grave dovrebbe richiedere garanzie assolute che si e' di fronte ad una reale malattia in stato avanzato enon guaribile. Non vogliamo rupe tarpee, ne' violenze cvammuffate.  Vedremo se il parlamento Belga approvera' una legge con queste lacune! Rispettiamo i diritti dei piu'deboli. La nostra societa' si sta imbarbarendo, e le fasce piu' deboli dei cittadini  stanno perdendo via via i loro diritti civili. Si sta creando un solco profondo tra le garanzie dei diritti  civili ed i piu' deboli. 

“Se viene accertata la volontà di un minore, se è capace di intendere e di volere, perché non dovrebbe accedere alla pratica della “dolce morte”? “. Lo afferma il filosofo della Scienza Giulio Giorello, durante la trasmissione ‘Effetto Notte le notizie in 60 minuti’, su Radio 24, a proposito della proposta di legge che in Belgio prevede l’estensione dell’eutanasia anche ai minori.
Il Belgio, uno dei pochi paesi ad avere legalizzato l’eutanasia, ha deciso di estendere la “dolce morte” ai bambini malati terminali, capaci di intendere e volere e con sofferenze “insopportabili che non possono essere alleviate”. La proposta di legge è stata approvata dalla commissione Giustizia e affari sociali del senato belga. La bozza di legge passa ora al voto delle due camere nei prossimi mesi. La pratica dovrà avvenire sotto consiglio di un’equipe medica e con il consenso dei genitori. “Se così è” sottolinea Giorello “se l’accertamento della volontà del minore è al di là di ogni ragionevole dubbio, uno potrebbe dire che anche un minore è responsabile delle proprie scelte. Quindi”, conclude Giorello “perché no? Resta da capire bene a quale soglia di età uno possa servirsi di questa norma”
LA RICHIESTA DEL BAMBINO – Secondo il testo adottato con 13 voti a favore contro 4 contrari, potrà essere praticata l’eutanasia a quei minori che si trovano di fronte a “sofferenze fisiche insopportabili e inguaribili, in fase terminale”, se richiesta da loro stessi e “con l’accordo dei genitori”. A votare a favore nelle commissioni Affari sociali e Giustizia del Senato belga, tutte le forze politiche belghe ad accezione dei cristianodemocratici francofoni e fiamminghi e del partito di estrema destra fiammingo Vlaams Belang.

giovedì 21 novembre 2013

read key: ambientstress: inquinamento atmosferico e rischio di cancro?

  • L'argentina Nina Surel a Lucca con le sue donne in fiore in scene senza tempo Nina Surel Nina Surel mostra a Lucca donne senza tempo
  • Esiste una relazione ben nota tra inquinamento e infiammazione dei polmoni che può in parte spiegare come lo smog possa favorire la comparsa del cancro.
  • Uno studio in 9 Paesi e 300.000 persone seguite per oltre 13 anni, pubblicato nel luglio 2013, ha dimostrato la relazione tra aumento delle polveri sottili e numero di tumori, indipendentemente da altri fattori come il fumo di sigaretta.
  • L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha classificato l'inquinamento atmosferico e le polveri sottili fra i carcinogeni umani di tipo 1.
  • Lo smog rimane una causa di tumore polmonare minore rispetto ad altre, in primo luogo il fumo, ma non per questo deve essere sottovalutata.
  • Per molti anni l'impatto dell'inquinamento atmosferico sulla formazione dei tumori, in particolare di quello al polmone, è stata oggetto di dibattito. Gli studi epidemiologici portati avanti nei diversi Paesi davano infatti risultati discordanti. Misurare l'impatto di un fattore complesso come l'inquinamento atmosferico sulla salute di un singolo individuo, in particolare quando si tratta di malattie a lenta formazione come i tumori, è molto difficile dal punto di vista metodologico: ogni volta che emerge una relazione, bisogna verificare la presenza di eventuali altri fattori (come il fumo e le altre abitudini di vita, l'alimentazione e persino le caratteristiche genetiche di una certa popolazione) che possono confondere i dati poiché a loro volta possono essere all'origine di un aumento dei casi di cancro.

    Da dove nasce l'ipotesi?

    Per saperne di più

    L'articolo di Lancet Oncology su cui sono riportati i risultati dello studio ESCAPE.

    Il comunicato con cui l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) annuncia l'inserimento dell'inquinamento atmosferico nel gruppo1 (in inglese pdf small).
    L'idea che l'inquinamento potesse facilitare la trasformazione delle cellule sane in cancerose ha però sempre avuto una solida base teorica. Oltre agli effetti tossici diretti di alcuni componenti dell'inquinamento cittadino (come il benzene) sul DNA cellulare, è noto da anni - e dimostrato da numerose ricerche epidemiologiche - che i polmoni di chi abita in città sono più frequentemente infiammati, così come è risaputo che le malattie infettive stagionali, come le bronchiti, guariscono con maggiore difficoltà in inverno e nei luoghi molto inquinati, proprio perché lo smog mantiene attivi i fenomeni infiammatori. E l'infiammazione, specie quando ècronica, è a sua volta un fattore che promuove il cancro non solo nei polmoni, ma in tutti i tessuti e organi. Mancava però una dimostrazione epidemiologica solida di questa relazione e, soprattutto, una misura dell'impatto dello smog sul rischio di cancro.

    I dati sperimentali

    Nel mese di luglio del 2013 la rivista Lancet Oncology ha pubblicato uno studio molto ampio, condotto in 36 diversi centri europei, che ha coinvolto 300.000 persone tra i 43 e i 73 anni in nove diversi Paesi. Per l'Italia ha partecipato il gruppo di epidemiologi dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano diretto da Vittorio Krogh. I dati ottenuti, che fanno parte del progetto ESCAPE (European Study of Cohortes for Air Pollution Effects), riguardano persone tenute in osservazione per ben 13 anni. Sono stati registrati le abitudini di vita e i cambi di residenza di ogni persona, per mettere in relazione l'eventuale comparsa di un tumore polmonare con il grado di inquinamento delle aree in cui hanno abitato.
    Nel corso del periodo di osservazione si sono ammalate di cancro al polmone 2.095 persone. Di ognuna di esse è stata studiata l'esposizione alle cosiddette polveri sottili (PM 10 e PM 2,5), legate soprattutto all'inquinamento da traffico, ma anche ad altre sostanze prodotte dai riscaldamenti o dalle industrie.
    Il risultato non lascia dubbi: per ogni incremento di 5 μg/m3 di PM 2,5, il rischio relativo di ammalarsi di tumore al polmone aumenta del 18%, mentre cresce del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM 10. Sono quindi le polveri sottili le principali responsabili dell'effetto cancerogeno.
    Lo studio dice anche non esistono limiti al di sotto dei quali l'effetto nocivo svanisce: si sono infatti registrati incrementi dei casi di cancro al polmone anche in gruppi esposti a un livello di inquinamento inferiore ai limiti massimi di norma secondo l'attuale legislazione europea (pari a 40 μg/m3 di PM 10 e a 25 μg/m3 di PM 2,5), limiti che peraltro vengono facilmente superati per molti giorni di seguito anche nelle grandi città italiane.
    Lo studio è talmente convincente che l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha annunciato il 17 ottobre 2013 di avere incluso l'inquinamento atmosferico e le polveri sottili (in gergo, il cosiddetto particolato) fra i carcinogeni umani di tipo 1.

    Le dimensioni del rischio

    È importante sottolineare che, pur presente, il rischio di ammalarsi di tumore al polmone a causa dello smog è piuttosto limitato. Secondo stime dell'Organizzazione mondiale della sanità rilasciate poco dopo la pubblicazione di questo studio, ilfumo di sigaretta è all'origine del 71% dei casi di cancro polmonare (con 5,1 milioni di decessi nel mondo), mentre allo smogè attribuibile l'8% dei casi (pari a 1,2 milioni di decessi). Inoltre, lo smog sembra essere legato principalmente all'adenocarcinoma, una forma di tumore polmonare che si spera di poter individuare precocemente con l'aiuto di test come la TC spirale e l'analisi del microRNA, ambedue ancora allo studio ma molto promettenti. Con una diagnosi precoce, l'adenocarcinoma può essere curato in una buona percentuale di casi. Infine lo smog, come il fumo di sigaretta, può essere contenuto con apposite misure di tutela della salute pubblica, oltre che con un comportamento individuale responsabile, che limiti al massimo l'uso dell'automobile durante i periodi di massimo inquinamento. La cosa più importante, però, è evitare di sommare rischio a rischio: tutti dovrebbero evitare il fumo di sigaretta, ma chi abita in città ha una ragione in più per farlo.
  • Esiste una relazione ben nota tra inquinamento e infiammazione dei polmoni che può in parte spiegare come lo smog possa favorire la comparsa del cancro.
  • Uno studio in 9 Paesi e 300.000 persone seguite per oltre 13 anni, pubblicato nel luglio 2013, ha dimostrato la relazione tra aumento delle polveri sottili e numero di tumori, indipendentemente da altri fattori come il fumo di sigaretta.
  • L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha classificato l'inquinamento atmosferico e le polveri sottili fra i carcinogeni umani di tipo 1.
  • Lo smog rimane una causa di tumore polmonare minore rispetto ad altre, in primo luogo il fumo, ma non per questo deve essere sottovalutata.
  • Per molti anni l'impatto dell'inquinamento atmosferico sulla formazione dei tumori, in particolare di quello al polmone, è stata oggetto di dibattito. Gli studi epidemiologici portati avanti nei diversi Paesi davano infatti risultati discordanti. Misurare l'impatto di un fattore complesso come l'inquinamento atmosferico sulla salute di un singolo individuo, in particolare quando si tratta di malattie a lenta formazione come i tumori, è molto difficile dal punto di vista metodologico: ogni volta che emerge una relazione, bisogna verificare la presenza di eventuali altri fattori (come il fumo e le altre abitudini di vita, l'alimentazione e persino le caratteristiche genetiche di una certa popolazione) che possono confondere i dati poiché a loro volta possono essere all'origine di un aumento dei casi di cancro.

    Da dove nasce l'ipotesi?

    Per saperne di più

    L'articolo di Lancet Oncology su cui sono riportati i risultati dello studio ESCAPE.

    Il comunicato con cui l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) annuncia l'inserimento dell'inquinamento atmosferico nel gruppo1 (in inglese pdf small).
    L'idea che l'inquinamento potesse facilitare la trasformazione delle cellule sane in cancerose ha però sempre avuto una solida base teorica. Oltre agli effetti tossici diretti di alcuni componenti dell'inquinamento cittadino (come il benzene) sul DNA cellulare, è noto da anni - e dimostrato da numerose ricerche epidemiologiche - che i polmoni di chi abita in città sono più frequentemente infiammati, così come è risaputo che le malattie infettive stagionali, come le bronchiti, guariscono con maggiore difficoltà in inverno e nei luoghi molto inquinati, proprio perché lo smog mantiene attivi i fenomeni infiammatori. E l'infiammazione, specie quando ècronica, è a sua volta un fattore che promuove il cancro non solo nei polmoni, ma in tutti i tessuti e organi. Mancava però una dimostrazione epidemiologica solida di questa relazione e, soprattutto, una misura dell'impatto dello smog sul rischio di cancro.

    I dati sperimentali

    Nel mese di luglio del 2013 la rivista Lancet Oncology ha pubblicato uno studio molto ampio, condotto in 36 diversi centri europei, che ha coinvolto 300.000 persone tra i 43 e i 73 anni in nove diversi Paesi. Per l'Italia ha partecipato il gruppo di epidemiologi dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano diretto da Vittorio Krogh. I dati ottenuti, che fanno parte del progetto ESCAPE (European Study of Cohortes for Air Pollution Effects), riguardano persone tenute in osservazione per ben 13 anni. Sono stati registrati le abitudini di vita e i cambi di residenza di ogni persona, per mettere in relazione l'eventuale comparsa di un tumore polmonare con il grado di inquinamento delle aree in cui hanno abitato.
    Nel corso del periodo di osservazione si sono ammalate di cancro al polmone 2.095 persone. Di ognuna di esse è stata studiata l'esposizione alle cosiddette polveri sottili (PM 10 e PM 2,5), legate soprattutto all'inquinamento da traffico, ma anche ad altre sostanze prodotte dai riscaldamenti o dalle industrie.
    Il risultato non lascia dubbi: per ogni incremento di 5 μg/m3 di PM 2,5, il rischio relativo di ammalarsi di tumore al polmone aumenta del 18%, mentre cresce del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM 10. Sono quindi le polveri sottili le principali responsabili dell'effetto cancerogeno.
    Lo studio dice anche non esistono limiti al di sotto dei quali l'effetto nocivo svanisce: si sono infatti registrati incrementi dei casi di cancro al polmone anche in gruppi esposti a un livello di inquinamento inferiore ai limiti massimi di norma secondo l'attuale legislazione europea (pari a 40 μg/m3 di PM 10 e a 25 μg/m3 di PM 2,5), limiti che peraltro vengono facilmente superati per molti giorni di seguito anche nelle grandi città italiane.
    Lo studio è talmente convincente che l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha annunciato il 17 ottobre 2013 di avere incluso l'inquinamento atmosferico e le polveri sottili (in gergo, il cosiddetto particolato) fra i carcinogeni umani di tipo 1.

    Le dimensioni del rischio

    È importante sottolineare che, pur presente, il rischio di ammalarsi di tumore al polmone a causa dello smog è piuttosto limitato. Secondo stime dell'Organizzazione mondiale della sanità rilasciate poco dopo la pubblicazione di questo studio, ilfumo di sigaretta è all'origine del 71% dei casi di cancro polmonare (con 5,1 milioni di decessi nel mondo), mentre allo smogè attribuibile l'8% dei casi (pari a 1,2 milioni di decessi). Inoltre, lo smog sembra essere legato principalmente all'adenocarcinoma, una forma di tumore polmonare che si spera di poter individuare precocemente con l'aiuto di test come la TC spirale e l'analisi del microRNA, ambedue ancora allo studio ma molto promettenti. Con una diagnosi precoce, l'adenocarcinoma può essere curato in una buona percentuale di casi. Infine lo smog, come il fumo di sigaretta, può essere contenuto con apposite misure di tutela della salute pubblica, oltre che con un comportamento individuale responsabile, che limiti al massimo l'uso dell'automobile durante i periodi di massimo inquinamento. La cosa più importante, però, è evitare di sommare rischio a rischio: tutti dovrebbero evitare il fumo di sigaretta, ma chi abita in città ha una ragione in più per farlo.
  • La relazione tra smog e aumento dei casi di cancro, specie al polmone, è stata dibattuta a lungo perché era difficile da dimostrare.
  • Esiste una relazione ben nota tra inquinamento e infiammazione dei polmoni che può in parte spiegare come lo smog possa favorire la comparsa del cancro.
  • Uno studio in 9 Paesi e 300.000 persone seguite per oltre 13 anni, pubblicato nel luglio 2013, ha dimostrato la relazione tra aumento delle polveri sottili e numero di tumori, indipendentemente da altri fattori come il fumo di sigaretta.
  • L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha classificato l'inquinamento atmosferico e le polveri sottili fra i carcinogeni umani di tipo 1.
  • Lo smog rimane una causa di tumore polmonare minore rispetto ad altre, in primo luogo il fumo, ma non per questo deve essere sottovalutata.
  • Per molti anni l'impatto dell'inquinamento atmosferico sulla formazione dei tumori, in particolare di quello al polmone, è stata oggetto di dibattito. Gli studi epidemiologici portati avanti nei diversi Paesi davano infatti risultati discordanti. Misurare l'impatto di un fattore complesso come l'inquinamento atmosferico sulla salute di un singolo individuo, in particolare quando si tratta di malattie a lenta formazione come i tumori, è molto difficile dal punto di vista metodologico: ogni volta che emerge una relazione, bisogna verificare la presenza di eventuali altri fattori (come il fumo e le altre abitudini di vita, l'alimentazione e persino le caratteristiche genetiche di una certa popolazione) che possono confondere i dati poiché a loro volta possono essere all'origine di un aumento dei casi di cancro.

    Da dove nasce l'ipotesi?

    Per saperne di più

    L'articolo di Lancet Oncology su cui sono riportati i risultati dello studio ESCAPE.

    Il comunicato con cui l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) annuncia l'inserimento dell'inquinamento atmosferico nel gruppo1 (in inglese pdf small).
    L'idea che l'inquinamento potesse facilitare la trasformazione delle cellule sane in cancerose ha però sempre avuto una solida base teorica. Oltre agli effetti tossici diretti di alcuni componenti dell'inquinamento cittadino (come il benzene) sul DNA cellulare, è noto da anni - e dimostrato da numerose ricerche epidemiologiche - che i polmoni di chi abita in città sono più frequentemente infiammati, così come è risaputo che le malattie infettive stagionali, come le bronchiti, guariscono con maggiore difficoltà in inverno e nei luoghi molto inquinati, proprio perché lo smog mantiene attivi i fenomeni infiammatori. E l'infiammazione, specie quando ècronica, è a sua volta un fattore che promuove il cancro non solo nei polmoni, ma in tutti i tessuti e organi. Mancava però una dimostrazione epidemiologica solida di questa relazione e, soprattutto, una misura dell'impatto dello smog sul rischio di cancro.

    I dati sperimentali

    Nel mese di luglio del 2013 la rivista Lancet Oncology ha pubblicato uno studio molto ampio, condotto in 36 diversi centri europei, che ha coinvolto 300.000 persone tra i 43 e i 73 anni in nove diversi Paesi. Per l'Italia ha partecipato il gruppo di epidemiologi dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano diretto da Vittorio Krogh. I dati ottenuti, che fanno parte del progetto ESCAPE (European Study of Cohortes for Air Pollution Effects), riguardano persone tenute in osservazione per ben 13 anni. Sono stati registrati le abitudini di vita e i cambi di residenza di ogni persona, per mettere in relazione l'eventuale comparsa di un tumore polmonare con il grado di inquinamento delle aree in cui hanno abitato.
    Nel corso del periodo di osservazione si sono ammalate di cancro al polmone 2.095 persone. Di ognuna di esse è stata studiata l'esposizione alle cosiddette polveri sottili (PM 10 e PM 2,5), legate soprattutto all'inquinamento da traffico, ma anche ad altre sostanze prodotte dai riscaldamenti o dalle industrie.
    Il risultato non lascia dubbi: per ogni incremento di 5 μg/m3 di PM 2,5, il rischio relativo di ammalarsi di tumore al polmone aumenta del 18%, mentre cresce del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM 10. Sono quindi le polveri sottili le principali responsabili dell'effetto cancerogeno.
    Lo studio dice anche non esistono limiti al di sotto dei quali l'effetto nocivo svanisce: si sono infatti registrati incrementi dei casi di cancro al polmone anche in gruppi esposti a un livello di inquinamento inferiore ai limiti massimi di norma secondo l'attuale legislazione europea (pari a 40 μg/m3 di PM 10 e a 25 μg/m3 di PM 2,5), limiti che peraltro vengono facilmente superati per molti giorni di seguito anche nelle grandi città italiane.
    Lo studio è talmente convincente che l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha annunciato il 17 ottobre 2013 di avere incluso l'inquinamento atmosferico e le polveri sottili (in gergo, il cosiddetto particolato) fra i carcinogeni umani di tipo 1.

    Le dimensioni del rischio

    È importante sottolineare che, pur presente, il rischio di ammalarsi di tumore al polmone a causa dello smog è piuttosto limitato. Secondo stime dell'Organizzazione mondiale della sanità rilasciate poco dopo la pubblicazione di questo studio, ilfumo di sigaretta è all'origine del 71% dei casi di cancro polmonare (con 5,1 milioni di decessi nel mondo), mentre allo smogè attribuibile l'8% dei casi (pari a 1,2 milioni di decessi). Inoltre, lo smog sembra essere legato principalmente all'adenocarcinoma, una forma di tumore polmonare che si spera di poter individuare precocemente con l'aiuto di test come la TC spirale e l'analisi del microRNA, ambedue ancora allo studio ma molto promettenti. Con una diagnosi precoce, l'adenocarcinoma può essere curato in una buona percentuale di casi. Infine lo smog, come il fumo di sigaretta, può essere contenuto con apposite misure di tutela della salute pubblica, oltre che con un comportamento individuale responsabile, che limiti al massimo l'uso dell'automobile durante i periodi di massimo inquinamento. La cosa più importante, però, è evitare di sommare rischio a rischio: tutti dovrebbero evitare il fumo di sigaretta, ma chi abita in città ha una ragione in più per farlo.