domenica 7 marzo 2010

Giampaolo Fabris, sociologo e autore del libro "Societing" e (piu' recente) "la societa' post crescita"


Giampaolo Fabris: rifondiamo il marketing (clicca x video/intervista, sito Episteme)

Societing, il titolo del suo ultimo libro, è già un neologismo utilizzato dagli operatori del marketing. E' la società a fare il marketing, non più le aziende in maniera verticale. L'intervista di Eccellere al noto sociologo per capire chi dovrà fare il primo passo.
di Enrico Ratto
I grandi mercati di massa non sono più dominanti, la società del grande ceto medio non si è realizzata. Secondo Gianpaolo Fabris, autore del libro "Societing. Il marketing nella società post-moderna" (Egea Editore), qualcuno dovrà tener conto di tutto questo, perchè il vecchio sistema di vendita e comunicazione del prodotto sta accusando seri colpi.



Professor Fabris, anche una certezza antica come il vecchio incontro tra domanda e offerta, può andare verso il fallimento di fronte al mutare dell'assetto sociale?
Il marketing nasce in una società post-taylorista, ma che ha ancora in sé i fondamentali del taylorismo. Nasce in un periodo in cui si prospettava una gigantesca società di ceti medi, nella quale il consumatore è una figura passiva, una società in cui vi era una forte asimmetria informativa e in cui tutto il potere era nelle mani dell'impresa.
Come sono cambiate le cose negli ultimi decenni?
Prima di tutto è cambiato il sociale, il mondo si è rivelato molto più frammentato rispetto ai modelli proposti. L'individuo ha dimostrato una grande "individualità" e il consumatore, termine tipico del marketing vecchio stampo, dopo aver fatto un lungo periodo di apprendistato, ha imparato il mestiere.
Si dice infatti che consumare sia un mestiere...
Esatto. Gli individui hanno imparato questo mestiere. Poi sono arrivate le tecnologie digitali: il detonatore. La tesi del mio libro è che sta iniziando un'epoca nuova, ma voi, uomini di marketing, non ve ne siete accorti.
E quando i marketing manager, o gli imprenditori stessi, se ne accorgeranno, come dovrà cambiare il loro atteggiamento?
Dovranno pensare al marketing come a qualcosa di orizzontale, non più verticistico. Si è passati dal modello "da uno a molti", poi al modello "da molti a uno", infine oggi si opera nel modello "da molti a molti".
Però sono stati inventate nuove strategie di marketing, con un occhio a quest'ultimo modello...
Sono strategie più di maniera che di sostanza. Non si tratta di inventare una nuova strumentazione all'interno di un modello e di una concezione antica. Si tratta di rifondare il marketing.
Che ruolo deve avere il marketing?
Il marketing deve tornare ad essere una funzione nobile all'interno dell'impresa. Oggi spesso si pensa al marketing e agli strumenti di vendita e di comunicazione come a qualcosa di mistificatorio. E' il risultato di anni di vecchie procedure verticali. Dovrebbe cambiare anche l'uso dei termini: il consumatore visto come una preda, la parola target è troppo militaresca... In futuro dovrà esserci relazione, rapporto dialettico tra l'impresa e chi usufruisce dei suoi beni e servizi.
Quale errore ha commesso il marketing per ottenere questi risultati?
Il marketing ha fatto l'errore di traslare le strategie competitive tra le aziende, quelle azioni che portano ad una sana concorrenza, sul rapporto impresa - cliente. Si è visto il cliente come un qualcosa da conquistare, non come un partner o un committente. L'impresa dovrebbe capire che se il consumatore diventa un collaboratore, questa sua posizione acquista un significato molto interessante, soprattutto in una prospettiva di business. Perchè le aziende fanno business, non pensiamo che facciano altro.
Quella asimmetria informativa in cui è cresciuto il marketing, con le nuove tecnologie, si sta appiattendo sempre di più...
Il successo delle auto Km Zero, l'abbattimento degli intermediari, sono tutti indicatori di un cliente che conosce molte più cose rispetto al passato.
Ma seguire nuove strade, adottare nuove strategie, va d'accordo con un periodo economico così difficile?
L'azienda deve adottare il marketing più efficace possibile. La mia idea è che sia molto più efficace il marketing che dialoga con il consumatore, rispetto al vecchio modello. Quanto Procter & Gamble, Fiat, aziende importanti, investono in queste nuove strade, non è che non abbiano la contingenza di vendere i prodotti, non lo fanno solo per sperimentare. Lo fanno perchè credono sia la strada più efficace. Il libro non è un wishful thinking, è una analisi dello stato delle cose.
Il successo dei grandi marchi, di chi spinge molto il brand a scapito del prodotto, sembra però dire "guardate che una volta ottenuta la fiducia, il consumatore non confronta più i prodotti, non si pone più molte domande". Questo atteggiamento è esattamente l'opposto che vede il cliente interessato a conoscere sempre più...
Per una stragrande maggioranza dei beni e dei servizi, il consumatore non si porrà mai problemi. Per i prodotti quotidiani, probabilmente continueranno ad esserci comportamenti non-critici. Ma per i consumi che contano, ci troveremo di fronte ad un cliente proattivo. Tutto ciò che viene venduto su internet è più legato al prodotto che alla marca: alberghi, voli, conti correnti... C'è un confronto continuo "tra molti e molti" che spinge alla conoscenza.
In un modello di marketing "tra molti e molti" che cosa deve fare un marketing manager per seguire lo sviluppo di un prodotto?
Il tempo delle vecchie ricerche di mercato è ormai concluso: creano solo delle caricature. In termini più generici e orizzonti più lontani, ci si chiede anche se il vecchio totem della crescita non sia un asset da mettere in discussione. Il marketing deve dialogare sempre più con tutti gli stakeholders, non solo badare al profitto continuo e crescente. E' un meccanismo più complesso, ma perchè è la società ad essere più complessa. E' la società che ci siamo prodotti da soli.
Chi dovrà segnare il cambiamento? Gli imprenditori, gli operatori del marketing, le istituzioni?
La scuola. Le università, le business school. Dovranno nascere dei dibattiti molto duri sull'argomento, bisognerà scrivere dei manifesti del nuovo marketing per laicizzare i pilastri del vecchio sistema di fare mercato.

 30-Lug-2008
© 2008 - Eccellere - Business Community


presentazione del libro (clicca x link):
Non è sufficiente aggiungere il termine compatibile per restituire ruolo e legittimità alla crescita. Se parlare di decrescita - all'insegna del "fermate il mondo voglio scendere" - è solo una prospettiva utopica e conservatrice, si impone comunque un nuovo tipo di crescita. Che ha come presupposto un vero cambiamento nell'antropologia del consumo e stili di vita diversi di cui si vedono, già adesso, testimonianze intorno a noi. La società del futuro è quella della post-crescita: ne sarà protagonista il consumatore, novello Davide contro Golia. Soprattutto perché ha oggi in mano un'arma potentissima, il mondo Web, a cui fa ricorso non soltanto per massimizzare i propri diritti e interessi, ma anche per creare, più o meno consapevolmente, lo stato nascente di una nuova proposta di civilizzazione. Che non possa divenire il consumo - un tempo area del privato e del disimpegno - la nuova frontiera della partecipazione politica?

Credo sia la prima volta che venga usato pubblicamente il termine"post-crescita" .Qualcuno tremerà: esiste qualcosa dopo (o oltre la crescita)? La crescita economica non assorbe in sè tutto ciò che possiamo pensare o affermare sul mondo? Mi sembra chiaro che parlare di post-crescita, significa affermare che il tempo della crescita è ormai finito. L'idea di crescita economica ha fatto il suo tempo.Fabris si guardà però bene dal dirlo. Affrontando questo argomento, avrebbe potuto avviare un interessante dialogo con il vivace e variegato mondo della decrescita, ma invece chiude a prioritutte le porte, ironizzando e criticando la decrescita, su cui sostiene esista una facile saggistica . Scive Fabris: Opporre a questa tipologia di crescita la decrescita ... significa proporre strategie che ignorano con fastidiosa supponenza cosa oggi rappresenti il consumo nelle nostre vite, i suoi significati simbolici, identitari, indulgendo nelle demonizzazioni di antico conio.  Significa, ancora una volta, fare di tutt'erba un fascio riscattando solo i valori d'uso del consumo per persistere a legittimare un nuovo anatema sui suoi significati edonistici, espressivi, semiotici, identitari. Significa reintrodurre anacronistici steccati tra bisogni primari e secondaridi cui speravamo esserci liberati per sempre. Mi chiedo se l'esimio prof. Fabris abbia mai letto a fondo l'opera di Serge LatoucheIvan Illich e Cornelius Castoriadis, se abbia mai viaggiato in Africa e conosca qualcosa delle società non occidentaliLatouche direbbe probabilmente che questa prosa rappresenta un perfetto esempio di immaginario colonizzatoL'orizzonte del signor Fabris si muove solo dentro al consumo; non esiste più la società, non esistono più i cittadini (parole che infatti nell'articolo non compaiono mai), ma solo i consumatori e leaziendeMentre alcuni privilegiati si baloccano sul senso edonistico o identitario dei consumi, nel mondo un miliardo di persone soffre la fame ed ha scarso accesso all'acqua potabile.Per loro la distinzione tra bisogni primari e secondari è piuttosto evidente e niente affatto anacronisticaFinchè si vive, come Fabris, nella religione del consumo, si resta totalmente impelagati nell'idea della crescita e non si è certo "post". Forse gli edonisti se ne renderanno conto quando resteranno a secco con i loro SUV, avranno finito la Nutella o dovranno staccare la spina dell'idromassaggio...

l'intervento di Latouche ad un recente convegno , a Torino







orso castano : Fabris e Latouche , due punti di vista opposti ? o diversi ? o complementari ? Le argomentazioni che ambedue  portano, sembrano interessanti : se e'  importante monitorare in che modo i "consumatori" utilizzano il web per informarsi sui "prodotti piu' svariati , diventando sempre piu' informati e  scambiandosi sempre piu' esperienze rispetto all'uso dei "prodotti" (importante anche perche'  cosi' si costruiscono di fatto social network utili ed interessanti , in continua crescita) e' altrettanto importante non demonizzare le teorie sulla decrescita per quel che di positivo suggeriscono,un modo di produrre compatibile ned un modo di consumare alternativo : vedi le Transition Town, o le esperienze di " verde verticale" all'interno delle citta'.In ogni caso sta emergendo un nuovo modo di utilizzare le informazioni (ed il web la fa sempre piu' da padrone) e di richiedere "prodotti" , modo sempre meno passivo e , quindi, piu' partecipato. Nel campo medico il "consumatore" (brutta parola) potra' trovare sul web informazioni abbondanti , ma anche contradditorie. L'esperienza clinica , certo, non puo' essere sostituita dalla comunicazione di informazioni sul web, ma la domanda di salute e di assistenza si  andra' facendo sempre piu' precisa ed informata. Questo comportera' , da parte del mondo sanitario, la necessita' di un aggiornamento costante , ma anche la capacita' di porsi "meta", cioe' in una situazione di "arbitrato competente" rispetto alle stessi informazioni presenti sul web.

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