domenica 17 aprile 2016

Teorie della globalizzazione e libertà individuale di Flavia Monceri (Docente di Filosofia della Politica. Università di Pisa.)

Ampi stralci di un docuento sulla globalizzazione , che dovrebbe essere letto perche' e' una sintesi teorica dei vari punti di vista sulla globalizzazione , dal livello "Risultati immagini per societa' liberafilosofico a quello sociologico.Risultati immagini per societa' liberaRisultati immagini per societa' libera

......................La situazione si fa ancora più complessa sul piano della filosofia e metodologia delle scienze sociali. Certamente si può concordare sul fatto che la percezione di vivere su un “globo”, dotato di confini fluidi che costringono tendenzialmente tutti a prendere coscienza della possibilità, e a volte dell’inevitabilità, di entrare in contatto con realtà anche molto distanti dalla propria sia uno dei tratti caratteristici della nostra contemporaneità. Ma questa percezione è molto meno diffusa a livello individuale di quanto spesso gli scienziati sociali mostrino di credere, perché essa dipende da una valutazione soggettiva, e dunque dalla concreta estensione della “sfera vitale” di ogni singolo individuo................la percezione di vivere in uno spazio globale sia ancora piuttosto limitata, e riguardi principalmente coloro che per professione o per vicende personali si trovano a dover spostare costantemente i confini del proprio “ambiente”. Nella stragrande maggioranza dei casi, invece, lo spazio globale non è che una essenza non ben definita al di là della propria, e generalmente travalica le possibilità concrete di fruizione individuale................rimettere in discussione i tradizionali strumenti della ricerca scientifico-sociale per valutarne l’applicabilità a una situazione che non era stata prevista all’epoca della loro elaborazione. In definitiva, il primo problema cui si deve cercare di dare una soluzione riguarda gli strumenti concettuali per mezzo dei quali può essere possibile ricostruire teoricamente il fenomeno della “globalizzazione”. Come è naturale, il primo concetto da porre in discussione è proprio quello di “globalizzazione”, il significato del quale non può essere dato per scontato all’inizio dell’indagine, mentre dovrebbe semmai scaturire dall’analisi dei concreti processi in atto a livello globale..............Qui sta allora la principale aporia nell’uso del termine “globalizzazione”: esso rimanda a un concetto di tipo universalistico, che comporta la preliminare professione di fede nell’esistenza di sistemi di valore condivisibili ed estensibili, i cui contenuti sono tutti da ricondurre a visioni del mondo di tipo occidentale. E’ il caso di concetti-valori quali i “diritti umani”, la “democrazia”, la “libertà e l’autodeterminazione dei popoli”, e così via, alla definizione contenutistica dei quali non è previsto che partecipino anche gli esponenti delle culture da “globalizzare”, rendendo ancor più problematico il senso del rapporto fra la “globalizzazione” così intesa e la libertà di tutti gli individui che popolano lo spazio globale...............Secondo Fukuyama (La fine della storia e l’ultimo uomo, trad. it. Milano, 1996) il crollo dei regimi socialisti nell’Europa orientale e il conseguente indebolimento dei regimi ad essi assimilabili nel resto del mondo, permetterebbe di affermare la “fine della storia”, intesa come processo dialettico. Infatti, nella configurazione storico-mondiale successiva al 1989 non esisterebbero più seri ostacoli alla diffusione dei regimi di stampo democratico-liberale occidentale, perché non esiste più neppure l’avversario ideologico presente nell’epoca della Guerra fredda. Da questo punto di vista, “fine della storia” significa che esiste ormai un solo praticabile sviluppo, costituito dalla diffusione capillare e dal perfezionamento del modello economico del capitalismo occidentale, accompagnato da quello politico della democrazia-liberale. Questi due modelli costituiscono insieme il fine che la storia universale doveva raggiungere e la fine della storia intesa come sede di conflitti “dialettici” fra diverse ideologie.
Una posizione piuttosto diversa è quella di Samuel P. Huntington (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it. Milano, 1997), che non accetta la tesi della fine della storia, sostenendo anzi che la rottura dell’equilibrio bipolare, e il conseguente trapasso a una configurazione geopolitica multipolare, determina una situazione nella quale i conflitti si acuiscono e assumono un carattere irriducibile. Gli attori del mondo multipolare post-Guerra Fredda non sono più gli stati-nazione, quanto piuttosto le “civiltà”, il cui nucleo è costituito da una serie di valori condivisi dai suoi membri, di tipo principalmente religioso e culturale. Ne risulta una configurazione nella quale esiste un numero determinabile di grandi civiltà (che Huntington non riesce però precisamente a stabilire, oscillando fra le sette e le nove) che rappresentano ognuna il più ampio contesto identitario possibile per gli individui. L’appartenenza a una determinata civiltà è esclusiva, nel senso che comporta la totale lealtà verso di essa e un atteggiamento conflittuale verso tutte le altre.
Così, mentre Fukuyama sembra pronosticare un futuro di pacificazione fra le diverse culture, sulla scorta della diffusione globale del capitalismo e soprattutto della democrazia, evento che data l’univocità del processo storico appare inevitabile anche là dove meno sembra prevedibile, Huntington sembra più propenso a ritenere che i microconflitti scaturiti dalla fine del bipolarismo si trasformeranno in macroconflitti fra civiltà (occidentale, ortodossa, sinica, islamica, africana (forse), giapponese, indù, latinoamericana), determinati principalmente dalla incomunicabilità di principio fra sistemi di valore assoluti all’interno e impermeabili verso l’esterno.

Dal punto di vista metodologico, allora, la posizione di Fukuyama può essere definita “universalistica” nel senso che ammette la possibilità di individuare un nucleo di princìpi e di istituzioni in grado di diffondersi capillarmente fino a costituire il fondamento di una “civiltà universale” alla maniera di Immanuel Kant (Per la pace perpetua, 1795), riducendo progressivamente le occasioni di conflitto. La posizione di Huntington è invece affine al “relativismo culturale”, già proposto da Oswald Spengler ne Il tramonto dell’Occidente (1918-22), secondo il quale esistono tanti sistemi di valore assoluti quante sono le culture, sistemi che proprio per la loro assolutezza e autoreferenzialità rendono inevitabile lo “scontro” fra le civiltà....................................Secondo Beck, infatti, la globalizzazione è un fenomeno che deve essere controllato sulla scorta di alcuni princìpi di tipo etico-giuridico, senza l’ausilio dei quali i processi in atto si trasformerebbero in forze incontrollabili il cui esito potrebbe essere soltanto la distruzione dell’ecosistema globale. In tale contesto, l’Unione Europea viene considerata come un primo importante passo sulla via dell’unificazione mondiale, ed essa, che per prima si è mossa sulla via del superamento degli stati-nazione in vista di un ordinamento sovranazionale, ha il compito (la missione) di renderne partecipi tutti gli altri popoli della Terra, indicando loro la via da percorrere per raggiungere il fine ultimo: la creazione di una “repubblica federale mondiale” che permetta di sottoporre a correttivi gli effetti perversi dei processi di globalizzazione (economica, ma anche culturale).............I ristoranti fast-food e le carte di credito sono ben lontani dall’essere l’unica esportazione americana che sta cambiando radicalmente il globo. Inoltre, non è soltanto che gli Stati Uniti stanno producendo beni di consumo poi esportati nel resto del mondo. Ciò che i ristoranti fast-food e le carte di credito mostrano è il fatto che gli Stati Uniti hanno adesso intrapreso il business di creare, produrre ed esportare mezzi di consumo drammaticamente nuovi. Gli Stati Uniti, una volta centro di sviluppi rivoluzionari nei mezzi di produzione, oggi possono essere meglio descritti come il centro della creazione di mezzi di consumo radicalmente nuovi. Esportare i mezzi di consumo in altre società, spesso insieme ai beni che possono essere consumati tramite tali mezzi, è un fatto di importanza molto maggiore rispetto alla semplice esportazione di beni. Infatti, ciò altera radicalmente non solo ciò che le persone consumano, ma il modo in cui esse consumano.
La nozione di mezzi di consumo deriva dal concetto di Marx di mezzi di produzione, ovvero gli strumenti, le macchine, le materie grezze e tutto ciò che era posseduto dai capitalisti e di cui i proletari avevano bisogno per essere produttivi. I mezzi di consumo possono essere definiti come quelle cose possedute dai capitalisti che essi rendono necessarie per i consumatori, perché essi possano consumare. Le catene di ristoranti fast-food e il sistema di carte di credito rientrano chiaramente in questa definizione. Al pari dei marxiani mezzi di produzione, i mezzi di consumo dovrebbero essere considerati come fenomeni materiali. […]

Ritornando al tema centrale, i ristoranti fast-food e le carte di credito sono soltanto due innovazioni nei mezzi di consumo all’interno del continuo flusso che ci si può aspettare dagli Stati Uniti nei prossimi anni. Essi non solo soltanto fenomeni eccezionali; sono parte di un processo di lungo periodo che sta alterando il modo in cui le persone consumano e vivono.

Per evitare che il lettore possa nutrire ancora dei dubbi sulle conclusioni qui tratte, mi si lasci concludere con un altro esempio della rivoluzione nei mezzi di consumo, una rivoluzione ancora nei suoi primissimi stadi di sviluppo. Si tratta dell’emergenza dei cybermalls[centri commerciali cibernetici] su Internet. […] Ciò che colpisce in questa tendenza sono le sue implicazioni globali. Verrà un tempo in cui chiunque abbia un computer potrà attingere in qualsiasi luogo da Internet e dai suoi cybermalls. Assisteremo a un livello senza precedenti di omogeneizzazione nei consumi in tutto il mondo; il mondo avrà effettivamente il suo centro commerciale unico. I centri commerciali cibernetici, creati in America, e indubbiamente dominati – perlomeno all’inizio – dalla tecnologia e dal business americani, condurrà a livelli sempre maggiori di americanizzazione e omogeneizzazione.
.........................Una tendenza generale che troviamo nelle religioni occidentali contemporanee (principalmente ebraismo, cristianesimo e islam) è l’idea di un Dio che creò l’universo e che interviene regolarmente nella storia. Il messaggio implicito rivolto ai credenti è «Vai e fai altrettanto»; quindi, ci troviamo di fronte a una divinità attiva che costantemente modella e crea il mondo e si aspetta che i suoi fedeli facciano altrettanto. Dio spesso invia gli uomini in missioni per compiere opere divine nel mondo ed in alcuni casi anche attività economiche; ciò viene definito come una “chiamata” da Dio. Di conseguenza, una tendenza verso un orientamento così terreno, che enfatizza l’azione nel mondo per ordine del divino, è evidente nella maggior parte delle religioni occidentali, benché ognuna di loro possieda anche una teologia ultraterrena.
Le religioni orientali tendono invece a venerare sia le molte divinità, specializzate secondo le diverse funzioni, sia gli uomini che vengono divinizzati, come Buddha o Confucio. Queste divinità, piuttosto che impartire ordini ed intervenire nella storia, preferiscono semplicemente spiegare come opera l’universo e suggerire agli uomini come ottenere il meglio con quello che è stato loro predestinato in questa vita. Essi istruiscono la collettività a determinare il loro dharma (obbligo religioso/dovere) in un momento particolare della loro esistenza e ad adempierlo al meglio delle loro abilità: A causa del karma (la legge causa-effetto che governa l’universo) essi saranno premiati se fedeli all’impegno verso il loro dharma, o saranno puniti se falliranno nell’adempierlo. Quindi, il dovere di ognuno non è cambiare il mondo, come per le religioni occidentali, ma seguire i suoi precetti per sfuggire al suo controllo. La ricompensa abituale, secondo la tradizione indù e quella buddista, è un’incarnazione più benevola nella vita successiva, mentre la prevedibile punizione è un’incarnazione inn un’esistenza seguente meno favorevole. Non si tratta quindi di essere o meno morale o immorale, oppure di fare o non fare ciò che gli dei suggeriscono, ma di essere armoniosamente allineato con l’universo. […]

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