martedì 10 novembre 2015

André Glucksmann nous a laissé

Risultati immagini per andre' glucksmannorsRisultati immagini per andre' glucksmanno castano : A. Glucksmann era un "sessantottino" doc. Dalla cultura nata in quella stagione che aveva posto una grande3 attenzionne al soggetto, all'immaginazione al potere, ai diritti civili, all'attenzione ai piu' deboli nel senso del mpotere contrattuale politico, alla lotta contro nle "grandi ideologie" che grondavano di "lacrime e sangue" , al faro che dovrebbe guidare "gli uomini liberi" : Voltaire , "Indipendentemente da cosa uno dica, tutti devono sempre poter dire la propria. Io sono per questo pronto a lottare sino alla morte per la libertà!".
Treccani............Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano: Le discours de la haine (2004; trad. it. 2005); l’autobiografia Une rage d'enfant (2006; trad. it. 2006); Mai 68 expliqué a Nicolas Sarkozy (2008; trad. it. Sessantotto. Dialogo tra un padre e un figlio su una stagione mai finita), serrata analisi della contestazione politica del Sessantotto francese ed europeo scritta con il figlio Raphaël; Les deux chemins de la philosophie (2009), riflessione sulle basi teoriche dell'esistenzialismo articolata attraverso la comparazione del pensiero di Socrate e di Heidegger; Voltaire contre-attaque (2014).04-parkeharrison_190x74
In difesa della globalizzazione, con il Candido di Voltaire, proprio quando tutti sembrano abbandonare la nave del cosmopolitismo. Nella destra francese, Sarkozy torna in politica e per prima cosa ripete che la Francia deve denunciare il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone in Europa. A sinistra, il socialista Manuel Valls dice che i rom non hanno vocazione a integrarsi e devono tornare in Romania e Bulgaria. Marine Le Pen, a suo dire né di destra né di sinistra ma «contro il sistema», vince le elezioni europee promettendo che farà uscire la Francia dall’Unione Europea. Se questa è la politica, il panorama culturale francese tributa poi un grande successo al ripiegamento nazionale di un libro come L’ identité malheureus e di Al a in Finkielkraut, dalla parte dei «francesi sedentari che fanno comunque l’esperienza dell’esilio perché (per colpa dell’immigrazione, ndr) intorno a loro tutto è cambiato». Questi sono i tempi, e allora il filosofo André Glucksmann torna con un saggio provocatorio, che osa difendere idee ormai poco alla moda come l’universalismo e la contaminazione, dall’epoca dei Greci alla base della civiltà europea.
Voltaire contre-attaque (Robert Laffont) è una staffilata di 207 pagine al nuovo consenso. «Un consenso — scrive Glucksmann — che, a destra, sinistra e ali estreme, sguazza nei ruscelli putridi degli egoismi di corto respiro. Assecondando gli stati d’ansia, la politica diventa un’arte reazionaria. Vuole salvare quel che può, ripristinare frontiere obsolete, dare una riverniciata a cosiddetti valori che non sono, in realtà, mai esistiti».
Il settantasettenne Glucksmann insorge contro quel tic intellettuale contemporaneo che consiste nel tacciare di ipocrisia e scollamento dalla realtà quanti ancora si ostinano a difendere i diritti dell’uomo, accusati di essere sognatori, «anime belle» irresponsabili, sulle quali poi pende la scomunica definitiva di «radical chic» qualora siano schierati a sinistra. Non è questo certamente il caso di André Glucksmann, e da tempo: protagonista del Sessantotto parigino, l’allora nouveau philosophe intraprese il suo distacco dalla gauche nei primi anni Settanta, quando denunciò gli orrori del socialismo reale a Muro di Berlino ancora ben saldo.
Lei scrive che la contrapposizione tra realismo e difesa dei diritti umani è ridicola.
«Certamente. Dove sta il vero realismo? Il primo dei diritti dell’uomo, la libertà di circolare, non è il regalo di cuori generosi, ma la condizione necessaria della nostra prosperità. Abbiamo rigettato le ideologie progressiste che, in nome di un modello unico di Umanità, hanno giustificato tante ignominie, e abbiamo fatto bene. Ma dalle utopie marxiste e dalle elegie hegeliane siamo precipitati a questa specie di fatalismo, di cinismo postmoderno».
Perché Voltaire è importante per l’idea di Europa e di Occidente?
«È un antidoto ai nazionalismi, è un filosofo molto più contemporaneo di tutti i suoi successori, adepti dei sistemi chiusi. Voltaire rifiuta le ideologie, l’ossessione per le radici, le frontiere, lotta contro i fanatismi. Ha vissuto quasi tre secoli fa, ma di sicuro è meno anacronistico dei critici che gli sono succeduti. Anche il mio amico Roland Barthes, che pure era un voltairiano, si è distaccato da Voltaire. È sempre stato così, i sostenitori a un certo punto sono diventati i più grandi detrattori».
Barthes accusava Voltaire di essere anti-intellettuale, troppo leggero.
«Mi viene da ridere. La semplicità, lo stile distaccato e ironico sono precisamente i suoi punti di forza e non di debolezza. Contro Hegel e i suoi discendenti degli ultimi due secoli, contro i pensatori dell’assoluto, a mio parere conviene andare più indietro. L’ultimo grande è stato Voltaire, ma Barthes non poteva riconoscerlo perché era schiavo dello spirito sistemico della sua epoca, del marxismo. Gli eredi di Voltaire non li troviamo in filosofia, ma in letteratura: Stendhal e Flaubert vanno nello stesso senso».
Per esempio?
«Prendiamo Flaubert e i rom: poco incline al romanticismo, l’autore di Madame Bovary lascia Esmeralda a Victor Hugo e Carmen a Georges Bizet, ma nel 1867 racconta a George Sand del suo incontro con un accampamento di tzigani a Rouen. Dice di aver dato loro qualche soldo e di essere stato aggredito dalla folla per questo, e descrive quell’odio, l’odio che gli uomini d’ordine riservano all’eretico, al filosofo, al solitario, al poeta».
Nel capitolo intitolato «Elogio del mendicante, del gitano e del sans-papiers» lei se la prende con le espulsioni dei rom.
«È incredibile che nella Francia del XXI secolo, dove peraltro la distinzione tra destra e sinistra è completamente saltata, il governo socialista punti a espellere i rom considerandoli una minaccia. Una comunità di 15, di 20 mila persone al massimo, capace di mandare in crisi una nazione di 60 milioni di abitanti? Non si è mai visto un capro espiatorio così perfetto. In una Francia che da almeno un secolo accoglie italiani, polacchi, spagnoli, portoghesi, maghrebini, africani ed ebrei, il pugno di mendicanti nelle nostre strade è una goccia d’acqua, un puro argomento di propaganda».
Lei esalta il Voltaire di «Candido», non quello di «Zadig».
«Zadig è un uomo che accetta il sapere assoluto. Zadig nasce e cresce ricco, sta bene all’inizio delle sue peripezie, bene alla fine, conosce l’infelicità, ma non ne è toccato, guarda i disastri del secolo a cui appartiene, ma non sono i suoi. È un rappresentante della filosofia classica contro Candido».
Degli uomini politici contemporanei c’è qualcuno che lei considera un erede di Voltaire?
«I dissidenti. Václav Havel. I comunisti avevano rivoltato i valori come un guanto, il vocabolario sovietico aveva stravolto la realtà: in nome della pace, immense mobilitazioni militari; in nome dell’Uomo nuovo a venire, la persecuzione dei viventi. Armati delle loro disillusioni, i protagonisti delle rivoluzioni di velluto hanno cambiato l’Europa. La cortina di ferro è crollata sotto la pressione di migliaia di Candidi».
E adesso?
«Dilaga la tentazione dell’“ognuno a casa sua”. Il ripiegamento identitario fa risorgere un pericolo contro il quale due guerre mondiali dovrebbero averci vaccinato. L’Europa è stata ed è una bella idea. Purtroppo si sfalda a partire dalla sua testa prima ancora che per colpa dell’economia. Contro le nuove linee Maginot, bisognerebbe tornare al Candido».
Twitter @Stef_Montefiori

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