giovedì 12 novembre 2009

"Troppi medici hanno pensato: in fondo era solo un tossico

di Maria Zegarelli de l'Unita'

Ignazio Marino è senatore, presidente della Commissione parlamentare d’indagine sul Servizio Sanitario nazionale. Ma prima di tutto è un medico. e ogni sua considerazione da lì parte, dal suo essere medico. Il faldone sul caso di Stefano Cucchi ogni giorno si riempie di più. E ogni giorno si aggiungono particolari che non tornano. Contraddizioni. Troppe.  Presidente, lei ha parlato di contraddizioni e cose che la convincono poco. Ma ce n’è una che più l’ha colpita? In alcuni medici e in alcune delle persone che abbiamo ascoltato in questi giorni ho coltoun atteggiamento molto simile a quello di Giovanardi. Non lo hanno detto esplicitamente ma mi è sembrato che il loro approccio fosse quello. Come a dire, in fondo era un tossico, uno spacciatore, dal carattere difficile. È questo che le hanno fatto intendere? Sì, in alcune delle persone ascoltate c’era una certa insofferenza. Insofferenza soltanto o anche omertà? Guardi, io ho respirato da parte di alcuni medici una certa passività rispetto ai regolamenti che privano di ogni umanità questa professione. Si sono adeguati senza sentire il bisogno di ribellarsi a comportamenti richiesti che confliggono con il nostro dovere. A chi si riferisce in particolare? Per esempio ai medici del Sandro Pertini. Mi chiedo come sia possibile che di fronte ad un ragazzo che sta per morire nessuno sente il bisogno di alzare il telefono e avvertire un famigliare. Non lo fanno neanche quando Stefano Cucchi muore. La madre lo viene a sapere perché gli recapitano la richiesta di autorizzazione a procedere all’autopsia. C’è qualcosa che va rivisto in questo meccanismo perché è disumano. Cucchi ci mette di fronte a questo problema. I medici del Fatebenefratelli hanno detto che quando Cucchi arrivò al pronto soccorso non aveva lesioni sul volto. Come se lo spiega? Continuo a non spiegarmelo: Cucchi va al Fatebenefratelli dopo aver fatto le foto segnaletiche in carcere nelle quali si vedono chiaramente le ecchimosi sul volto. Come mai i quattro medici del Fatebenefratelli dicono che loro non ne hanno viste mentre in due certificati antecedenti, altri medici constatano quelle ecchimosi? Altra circostanza: sappiamo che Cucchi è stato picchiato, gli hanno rotto due vertebre, ma non sappiamo quante volte è stato picchiato. Vado avanti: i sanitari di Regina Coeli dicono che non poteva camminare quando lo hanno portato all’isola Tiberina: lì i medici dicono che camminava. Per questo motivo insieme ai senatori Galiato (Pdl) e Soliani (Pd), stiamo valutando l’ipotesi di un confronto diretto tra medici. Le rifaccio la domanda: quanta omertà c’è in tutta questa storia? Cucchi davanti ai medici non era mai solo, c’era sempre un agente di polizia penitenziaria. Questo può aver influito sulle sue dichiarazioni e sulle domande dei medici? Omertà ce n’è, tanto è vero che malgrado la documentazione raccolta e le deposizioni, ancora non si riesce a capire quale sia stata la dinamica dei fatti, perché ognuno dà una versione diversa. Quanto al fatto che Cucchi parlasse sempre davanti ad un agente è un aspetto che non abbiamo ancora approfonditomache affronteremo. Si è capito perché Cucchi ha rifiutato il ricovero al Fatebenefratelli la prima volta? Da quello che ci ha riferito un medico di Regina Coeli il suo rifiuto nasceva dal fatto che gli avevano detto che lì non avrebbe potuto fumare, mentre in carcere poteva, anche in infermeria. Possibile che nessun medico ha avuto dubbi sulla storia della caduta dalle scale? Anche qui ci sono discordanze: a Regina Coeli Cucchi dice di essere caduto dalle scale, mentre al Fatebenefratelli racconta di aver sbattuto contro uno spigolo. 12 novembre 2009

per non dimenticare : speriamo che non si ripeta , ma la situazione e' inquietante!!

.....................Franco Basaglia aveva 37 anni quando incontrò per la prima volta la realtà del manicomio: nel 1961, dopo aver rinunciato alla carriera universitaria intrapresa presso l’università di Padova, assunse la direzione dell’Ospedale psichiatrico di Gorizia. L’impatto fu traumatico: il giovane psichiatra osservava con sconcerto le pratiche in uso all’interno del manicomio e i trattamenti vessatori a cui i degenti erano sottoposti. Elettroshock, camicia di forza, contenzione, induzione di febbri malariche erano solo alcune delle torture non soltanto tollerate, ma addirittura prescritte dal regolamento di questi istituti. Basaglia iniziò a guardare con interesse alle correnti psichiatriche di origine fenomenologia ed esistenziale (Jaspers, Minkowski, Binswanger) e provò gradualmente a ricreare, all’interno dell’ospedale psichiatrico, il modello della “comunità terapeutica”, di origine britannica. “Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (...) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone”, ripeteva il nuovo Direttore ai medici ed agli infermieri del suo manicomio...........................

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