domenica 1 giugno 2014

cosa significa "lavoro" oggi , come l'informatica modifica questo concetto.

orso castano : riflessioni intyeressanti , non esaustive , sul concetto odierno di lavoro , su cosa esso possa nel "futuro prossimo" concretamente significare. E' difficile immaginare oggi un welfare che oltre ai diritti tradizionali (salute, assistenza, casa, ecc) includa anche l'autodeterminazione a scegliersi un lavoro. Siamo ancora lontani, in un mondo governato dlla globalizzaione delle multinazionali e dagli interessi finanziari, che governano la globalizzazione, a creare nuove forme di lavoro vicine a quell'0TIUM latino cche privileggiava la speculazione filosofica, la crescita umana personale, la produzione intellettuale utile al bene comune. Eppure la sensazione e' che l'area del "non lavoro" drammaticamente nell'occidente si allarga e la funzione del lavoro di dare un senso ed una possibilita' di investire positivamente le nostre energie psico-fisiche viene sempre piu'a mancare e , quindi, si avvicina in maniera cruciale il tempo di rtiflettere edare una risposta a questi quersiti che si collocano tutti dentro una dimensione psicologica soggettiva. : "Presso i latini, il termine Ozio (derivato dal latino"otium") indica un'occupazione principalmente votata alla speculazione intellettuale, attività di fatto riservata alle classi dominanti, in contrapposizione al concetto di “negotium”, inteso come occuparsi (più per necessità che per scelta) dei propri affari.
Nel tempo l'ozio ha assunto una connotazione negativa (l'ozio è il padre dei vizi) perché sinonimo di inattività, pigrizia, inerzia, ma non è sempre stato oggetto di riprovazione sociale.
Noi ora, con un piccolo giochetto intellettuale, proveremo a distinguere l’ozio - padre dei vizi ed inerzia totale, portata da indolenza od incapacità di occuparsi di qualunque cosa – dall’”otium” – lasso di tempo che ognuno deve concedersi per “staccare” da quello che i latini avrebbero chiamato “negotium”.
Il “negotium” comprende tutto ciò che riguarda:
  • famiglia ed impegni connessi;
  • attività lavorativa;
  • azioni indispensabili connesse con la ordinaria contingenza.
In contrapposizione al “negotium” è appunto indispensabile l’”otium”, cioè i momenti che uno dedica esclusivamente a sé stesso, non per egoismo, ma per consapevole scelta intellettuale.
Tutto ciò che viene svolto nell’otium non è da collegare con inerzia o pigrizia, ma sicuramente è intimamente connesso con il concetto che non sia necessario farlo: l’otium deve essere una libera scelta, perché se diventa obbligatorio ricade inevitabilmente nel “negotium”........."


Seneca.JPGda Wikipedia :" Seneca , De Otio,: Otium epicureo e otium stoico
Infine, argomenta Seneca, la differenza sostanziale nella scelta dell’otium tra epicurei e stoici consiste in questo: che Epicuro sceglie preventivamente di non accostarsi alla vita pubblica a meno che intervengano fattori esterni a intralciare la scelta; Zenone invece fa scelta prioritaria di vita pubblica a meno che fattori esterni ne impediscano l’accesso:
(LA)
« Alter otium ex proposito petit, alter ex causa »
(IT)
« L’uno (Epicuro) si volge all’ozio per scelta deliberata, l’altro (Zenone) per causa [di forza maggiore] »
Ma questa causa, soggiunge Seneca, late patet: è largamente diffusa. Motivi personali e motivi ambientali possono intrecciarsi nell’impedire al sapiente di occuparsi di cosa pubblica: la mancanza di forza fisica (ma anche politica) per poter intervenire efficacemente, la bassa condizione sociale che impedisce l’accesso alla vita politica, lo stato di corruzione, di disfacimento della res publica tale che ogni rimedio sia vano. In questi e consimili casi il sapiente non si sforzerà invano, ma invece di tentare inutilmente di giovare ai più, gioverà solo ai prossimi, e se neppure ciò sia possibile gioverà almeno a se stesso; opera anch’essa di pubblica utilità in quanto migliorare se stesso prepara una persona che potrà essere utile se vi sarà ventura d’accedere alla politica. Del resto, annota Seneca, se io non seguo i precetti stoici, seguo però l’esempio dei loro maestri, che per vari motivi fin dal capostipite Zenone mai si sono potuti occupare attivamente di politica. Ma chi sosterrà che la loro vita privata sia stata meno utile che se avessero avuto cariche pubbliche civili o militari? Gli si può chiedere forse di più che di rendersi simile, d’imitare l’esempio dei suoi maestri?



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