lunedì 25 agosto 2014

Inchiesta sugli immigrati in Italia durante la crisi

Le occasioni di lavoro, insomma sono sempre meno e sempre meno qualificate. E per chi si è spostato in cerca di una vita migliore, rinunciando alla propria terra e ai propri affetti, tanto vale fare di nuovo le valigie. Secondo i dati Ismu, solo nel 2011 200mila immigrati hanno lasciato il nostro Paese, spostando la propria residenza all’estero. La crisi economica ha reso meno attraente l’Italia, anche per gli stranieri. Soltanto gli ingressi per ricongiungimento familiare (120mila durante il 2012) non subiscono flessioni significative rispetto agli anni scorsi, a testimonianza del fatto che il fenomeno migratorio in Italia è sempre più stabile, regolare e di tipo familiare. 
Ma le occasioni di lavoro continuano a calare. Nel 2012 gli immigrati occupati sono 2 milioni 334mila, 82mila in più rispetto al 2011. A crescere (+80%) è solo la domanda di assistenza familiare, che occupa soprattutto le donne. Ma per effetto della crescita degli immigrati in cerca di lavoro, aumenta anche la disoccupazione: nel primo semestre 2013 i senza lavoro stranieri erano 511mila, mentre nel 2012 erano 380mila (+25% nel giro di 12 mesi). Il 60% si concentra al Nord, e nel Nord Ovest quasi un disoccupato su quattro è straniero. Se guardiamo al periodo 2011-2012, è la componente maschile ad avere registrato un vero e proprio tracollo. Nel Mezzogiorno, l’aggravamento del tasso di disoccupazione per gli uomini immigrati è pari addirittura al 43,6%, 13 punti superiore a quello che ha colpito i lavoratori autoctoni. Nel “mitico” Nord Est, invece, il tracollo accomuna italiani e immigrati: 40,2% l’incremento del tasso di disoccupazione registrato tra i primi, 42,2% tra i secondi.
lavoro immigrati
Il calo più drastico si registra nell’industria e nell’edilizia, i settori che più hanno richiesto manodopera durante gli anni. Nell’industria si registra un meno 48%, nelle costruzioni un meno 38 per cento. Rispetto ai livelli precrisi del 2007, le assunzioni di stranieri nel settore dell’edilizia si sono ridotte dell’80 per cento. Il calo dipende da una minore richiesta di stranieri da parte degli imprenditori, ma anche da una maggiore offerta di italiani in questi settori, spiegano da Ismu. L’unico comparto (da sempre caratterizzato da lavoro immigrato) che “tiene” è quello dell’assistenza familiare: secondo i più recenti dati ministeriali gli occupati stranieri nei servizi alla persona nel primo semestre del 2013 sono cresciuti del 5 per cento. 

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«È dunque del tutto inverosimile ipotizzare nei prossimi anni una crescita del lavoro straniero simile a quella che ha caratterizzato lo scorso decennio», si legge nel rapporto della Fondazione Ismu. «Si presume dunque che l’economia italiana non avrà bisogno di nuovi lavoratori stranieri proprio per la progressiva saturazione della domanda di lavoro tradizionalmente rivolta agli immigrati. O comunque si ipotizza che l’economia italiana avrà una domanda di lavoro straniero che potrà essere più che soddisfatta dagli immigrati presenti o da quelli in arrivo per ragioni umanitarie o familiari». Quello che manca sono «servizi adeguati a favorire l’effettivo incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ad esempio oltre la metà degli stranieri disoccupati nel 2012 ha contattato un centro per l’impiego. Tuttavia, solo il 2,4% ha beneficiato di servizi di consulenza/orientamento, solo lo 0,4% di un’opportunità di formazione e uno solo lo 0,8% ha ricevuto un’offerta di lavoro».
5. Lavori faticosi e poco qualificati
Nel 2012 ormai un occupato su dieci ha la cittadinanza straniera, ma le differenze tra le regioni, settori e livelli di qualificazione professionali sono enormi. Nel 2012 nel Centro Nord gli immigrati hanno raggiunto il 12-13% degli occupati, mentre nel Mezzogiorno superano di poco il 5 per cento. Quanto ai settori, la presenza di lavoratori stranieri è maggiore nei servizi alle famiglie (oltre il 76%), le costruzioni (19%), gli alberghi e la ristorazione (circa il 16%), l’industria manifatturiera (quasi il 10%) e i trasporti (oltre il 9%). Caso a parte è l’agricoltura, dove la presenza di lavoratori immigrati è molto sottostimata dalla rilevazione sulle forze di lavoro, che ignora gli immigrati stagionali e gli irregolari privi di permesso di soggiorno. Molto squilibrata, ovviamente, è la presenza degli stranieri per livello di qualificazione: gli immigrati sono il 33% dei lavoratori addetti a compiti elementari e il 14% degli operai specializzati e qualificati fino a meno del 2% per le professioni più qualificate.Tutti i lavoratori stranieri, anche quelli con elevati livelli di istruzione, occupano ancora i gradini più bassi della gerarchia occupazionale. E questo si ripercuote sugli stipendi: la retribuzione netta mensile, per gli stranieri, è, in media, più bassa: nel 2012, si attesta a 968 euro contro i 1.304 euro dei lavoratori italiani (-336 euro). Si può stimare che oltre un terzo dei maschi e quasi la metà delle femmine svolgano un lavoro che richiede un titolo di studio inferiore a quello conseguito. Dal 2008 al 20012 la percentuale di occupati in attività elementari, prive di ogni contenuto professionale, è cresciuta dal 22 al 28% per i maschi e dal 40 al 43% delle femmine, mentre quella degli occupati in professioni intellettuali, tecniche e impiegatizie è diminuita dal 9 al 7% per i maschi e dal 14 al 10% per le femmine. Anche la percentuale di lavoratori manuali specializzati è diminuita per entrambi i generi, mentre è cresciuta soprattutto per le donne quella degli addetti ad attività commerciali e di servizi alla persona, che comprendono commesse, cameriere e badanti.Nel 2012 nell’industria manifatturiera del Nord Italia quasi la metà degli occupati è composta da operai maschi, e di questi il 20% è immigrato. Gli immigrati sono soprattutto operai non qualificati (28%), ma anche operai specializzati (16%). Nelle costruzioni, gli stranieri sono il 26% di tutti gli operai, con una punta del 41% tra quelli non qualificati. Presenza ancora maggiore tra gli operai più giovani fino a 34 anni: oltre il 37% degli specializzati e addirittura oltre il 58% dei manovali comuni.

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