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..................................Da questo luogo di connessione delle lotte emerge con chiarezza la centralità del sapere. L’insieme dei contributi prende definitivamente congedo dal culto, storicamente radicato a sinistra, del sapere come feticcio sacro e intangibile. Non solo il sapere è una merce peculiare, ma è anche strumento di gerarchizzazione e segmentazione. E tuttavia, nel momento in cui diventa risorsa e strumento produttivo centrale nel capitalismo contemporaneo, il sapere eccede strutturalmente le unità di misura dell’economia politica classica. Sarà meglio chiarire, a scanso di equivoci: l’eccedenza del sapere vivo non coincide deterministicamente con la sua lineare liberazione. Si prenda il caso della rete e delle utopie che l’hanno attraversata fin dalla sua nascita. Le loro parole d’ordine – condivisione, presunta orizzontalità, centralità delle strategie non proprietarie, open source, eccedenza della cooperazione rispetto al mercato – sono diventate pane quotidiano del realismo dei consiglieri del principe: a partire da queste caratteristiche, che descrivono forme di vita e di lavoro nel web 2.0, il giurista liberale Yochai Benkler formula la sua ipotesi della «produzione orizzontale basata sui beni comuni». Si tratta di una sorta di capitalismo senza proprietà, laddove la proprietà intellettuale non è più solo imposizione coatta di una misura artificiale nella produzione –fuori misura – di sapere, ma rischia di bloccare gli stessi processi di innovazione. Per inseguire e catturare i movimenti del sapere vivo, dunque, il capitale è costretto continuamente a modificare le forme di valorizzazione e accumulazione, forse fino addirittura a mettere in discussione quel pilastro della sua storia moderna che è stata la proprietà. Per dirla in breve: lungi dall’appartenere a uno stadio progressivo dell’evoluzione capitalistica, la produzione di sapere è un campo di battaglia. E non vi è liberazione senza rottura. Le pratiche di 4 Si veda Alquati, R. (1976), L’università e la formazione: l’incorporamento del sapere sociale nel lavoro vivo, in AutAut, Firenze, n. 154. Benkler, Y (2007), La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libertà, Università Bocconi Editore, Milano. sottrazione e autonomia da una parte, i processi di cattura e sussunzione dall’altra, costituiscono il piano di tensione immanente alla cooperazione sociale. È a partire da qui, dal tentativo di definire in termini positivi l’analisi del processo di transizione che tra gli anni Ottanta e Novanta è stato identificato come passaggio dal “fordismo” al “postfordismo”, che Carlo Vercellone propone la categoria di capitalismo cognitivo, di cui Silvia Federici e George Caffentzis discutono gli aspetti ritenuti problematici. Il primo termine indica la permanenza del sistema capitalistico, pur nella sua profonda mutazione, mentre l’attributo cognitivo identifica la nuova natura del lavoro, delle fonti di valorizzazione e della struttura della proprietà. Senza approfondire una discussione che trova svolgimento in vari contributi, oltre che nell’attualità del dibattito politico, ci sia permessa una curiosa annotazione. Le critiche più dure mosse nella lista alle analisi sul capitalismo cognitivo, accusate di eurocentrismo nell’interpretazione delle trasformazioni produttive e del lavoro, vengono dall’Europa e dal Nord America. Dai luoghi nel cui nome tali critiche sono state formulate, ad esempio da India, Cina, Taiwan o Argentina, si è al contrario sviluppato un dialogo particolarmente fecondo e aperto, basato sulla condivisione di vari presupposti analitici e sull’approfondimento di punti specifici. Al di là di ogni polemica rispetto al rischio di parlare in vece di, ovvero arrongandosi la funzione della rappresentanza, su cui la critica postcoloniale ha espresso parole che assumiamo come definitive, ci interessa piuttosto sottolineare il frantumarsi della classica immagine della divisione internazionale del lavoro, illustrata dal contributo di Sandro Mezzadra e Brett Neilson, che propongono il concetto di moltiplicazione del lavoro come nuova pista di ricerca teorica. È altresì importante sottolineare come Vercellone metta a verifica il concetto di capitalismo cognitivo nell’analisi delle lotte degli studenti – radicali, straordinarie e vincenti – contro il CPE in Francia nella primavera del 2006. Come nelle altre esperienze di conflitto che in edu-factory si sono confrontate, ad esempio nelle formidabili mobilitazioni in Grecia, anche nella rivolta francese le forme di déclassement sono state uno degli obiettivi centrali. Al di fuori di ogni lineare immagine dell’intellettualizzazione del lavoro, queste lotte ci permettono allora di leggere la materialità dei processi di produzione del sapere all’interno dei rapporti sociali, laddove cognitivizzazione del lavoro significa anche cognitivizzazione della misura e dello sfruttamento, cognitivizzazione della gerarchia di classe, della regolazione salariale e della divisione del lavoro, oltre l’ormai superata dialettica tra centro e periferia, tra primo e terzo mondo. Ci permettono, in altri termini, di situare il nuovo campo del conflitto su un terreno in cui i processi di cattura e valorizzazione capitalistica, lungi dallo sparire, sono tuttavia costretti a ricomporre a valle le forme del comando sull’autonomia del sapere vivo, dopo aver dovuto definitivamente rinunciare a organizzarle a monte...............
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