sabato 23 maggio 2009
I minori stranieri crescono in fretta
Minorigiustizia, n. 3/1999.
Edìtoriale
Che cosa è cambiato per i bambini stranieri
di Lorenzo Miazzi, Giudice del Tribunale di Rovigo. e Paolo Morozzo della Rocca, Professore ordinario di Diritto privato presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università "Carlo Bo" di Urbino
1. Come sarà l'Italia di domani con gli stranieri
Sono passati nove anni da quando Minorigiustizia dedicava per la prima volta un fascicolo intero ai bambini stranieri1, intitolandolo "I bambini stranieri dal rifiuto e dalla separatezza all'accoglienza e all'integrazione". Scorrendone l'indice e confrontandolo con quello di questo nuovo fascicolo dedicato al tema si avverte la continuità in alcuni problemi ma anche una grande differenza nel modo di vedere le cose. Predominavano allora le preoccupazioni destate dall'arrivo dei ragazzi e dalle difficoltà di accoglierli, si scoprivano con sorpresa le dimensioni quantitative della loro presenza temendo l'impatto del fenomeno sull'attività ordinaria dei tribunali, si facevano i conti con un quadro legislativo insufficiente e frammentato che giustamente veniva sottoposto a severa critica.
Quei problemi purtroppo non sono venuti meno, ma si avverte che le questioni centrali - che si pongono con dimensioni prepotenti - oggi sono quelle legate alla permanenza o, meglio, alla prosecuzione della permanenza delle famiglie straniere e ai problemi dei minori di seconda generazione.
E venuto infatti a comporsi un quadro nel quale i minori stranieri non sono più una domanda importante e tuttavia limitata, rivolta a quel servizio o a quell'altra istituzione, ma costituiscono il principale interrogativo su come sarà il Paese di domani, visti i numeri attuali e le proiezioni per il futuro.
Al gennaio 2007 i residenti stranieri erano, infatti, 2.938.922 e di questi 666.293 i minori d'età, pari al 22,7 per cento della popolazione straniera edal 6,6 per cento della popolazione residente complessiva della corrispondente classe di età (ma gli "stranieri" arrivano oltre il 10% dei residenti sulla fascia di età da O a 1 anno).
Molti di loro, dunque, sono nati in Italia, o vi sono giunti in tenerissima età. Stranieri più per il passaporto che per il contesto in cui vivono e le speranze e le aspirazioni che li muovono.
Purtroppo oggi non esiste alcun percorso legale di acquisto della cittadinanza durante la minore età (tranne i pochi casi dei figli di cittadini naturalizzati, che acquisiscono lo status civitatis solo se non ancora divenuti maggiorenni).
Ma la cosa più grave è che la maggior parte di questi bambini e ragazzi rimarrà straniera anche da maggiorenne, pur non conoscendo altro paese che l'Italia, poiché per l'attuale legge sulla cittadinanza l'unica ipotesi di attribuzione iure soli è prevista per quei ragazzi che, nati in Italia da genitori regolarmente residenti, dimostrino al compimento del diciottesimo anno di età di essere essi pure regolarmente residenti sin dalla nascita, senza interruzioni: ed optino entro il diciannovesimo compleanno per la cittadinanza italiana.
Tuttavia, dei nati in Italia molti non avevano ancora i genitori regolarmente residenti entro l'anno dalla nascita, mentre una parte subirà comunque l'interruzione anagrafica dei genitori e quindi non acquisterà la cittadinanza neanche alla maggiore età.
Va poi considerato l'alto numero degli esclusi in partenza: 270.000 unità, pari a circa il 40% dei minori a tutt'oggi residenti, non è nato in Italia anche se ci vive sin da piccolo.
È difficile pensare che questa condizione di discriminazione legale di tante migliaia di giovani, cittadini de facto, non abbia o non avrà ripercussioni gravi sul piano esistenziale e sociale. Per questi ragazzi, infatti, la divaricazione tra lo status giuridico di straniero e l'identità effettiva di italiano, assorbita "in età evolutiva" e costruita nell'acquisizione del patrimonio linguistico e culturale, nonché nei legami amicali e sociali della generazione di appartenenza, rischia di determinare l'assunzione di identità di ripiego, di certo non tranquille; e di innescare (combinandosi con i diversi ed altri fattori dello svantaggio sociale) un disastroso processo di anemia e di conflitto sociale di cui già oggi non mancano segni premonitori.
2. Dei dati emblematici: i minori stranieri a scuola
Intanto il numero dei minori stranieri in età scolare cresce a ritmi sostenuti. Sono stati, infatti, circa 600.000 nell'anno scolastico 2007-2008, ma diverranno tra i 720.000 ed i 750.000 nel 2011.
I dati mostrano però l'esistenza di importanti sofferenze riguardanti la regolarità anagrafica ed i rendimenti scolastici degli alunni stranieri rispetto ai loro coetanei italiani: 3% di bocciati in più nella scuola primaria; 7,5% in più nelle scuole medie inferiori; e 12,4% respinti in più nelle superiori.Preoccupante pare anche la scarsissima incidenza della presenza straniera nei licei classici (pari al 1,2%, per 3.600 studenti stranieri) a fronte della ben maggiore presenza negli istituti professionali (pari al 7,5 per cento degli iscritti) ed in quelli tecnici (pari al 4,1%).
La scuola italiana è dunque in procinto di confermare e perpetuare la collocazione marginale delle famiglie immigrate anche riguardo alle seconde e terze generazioni.
Può essere diversamente? Crediamo che la risposta debba essere, il più possibile, affermativa, sapendo che questo dipenderà da serie politiche di interazione scuola-famiglie-società.
Nelle statistiche sulla frequenza scolastica non compaiono, se non in parte, due componenti problematiche della popolazione straniera minore d'età: quella costituita dai "grandi minori" venuti in Italia a seguito di ricongiungimenti dell'ultima ora e quella dei cosiddetti "minori non accompagnati", essa pure composta essenzialmente da "grandi minori".
Se le ragioni di un sollecito intervento di protezione giuridica e sociale sono evidenti per quest'ultima categoria, pure è chiaro il maggior svantaggio subito anche dai cosiddetti accompagnati nell'arrivare in Italia già adolescenti o prossimi alla maggiore età (talvolta già divenuti maggiorenni, all'esito di una procedura di ricongiungimento iniziata all'età di sedici o diciassette anni).
Molti di questi ricongiungimenti potrebbero essere meno tardivi se la legislazione sugli stranieri perdesse quel suo carattere di "boicottaggio amministrativo della regolarità" con cui le famiglie straniere e gli stessi operatori di polizia devono fare i conti.
3. I minori zingari: un problema che va affrontato e che si può risolvere
Significativamente, questo numero di Minorigiutizia torna ad occuparsi anche dei minori zingari. Il termine zingaro è qui preferito all'elencazione, inevitabilmente distanziante ed anestetizzante, delle diverse e particolari identità nelle quali può essere suddivisa questa popolazione. Non è il vocabolo - ormai plurisecolare - che a nostro giudizio va eliminato, ma il disprezzo per le persone che lo incarnano.
Un disprezzo che quest'ultimo maggio 2008 ha armato di molotov e bastoni le mani di alcuni cittadini sempre più poveri (culturalmente), dopo che i media avevano subito spacciato per vera l'ennesima diceria sul presunto tentativo di rapimento di un bambino italiano da parte di una giovane zingara.
Per certi versi parlare di zingari insieme con gli stranieri potrebbe sembrare improprio, non fosse altro perché circa la metà di loro sono italiani. Essi sono tuttavia percepiti come stranieri dalle stesse amministrazioni che dovrebbero occuparsene e compaiono come stranieri da mandare via nei propositi elettorali espressi dai politici delle due sponde. Non è un caso che l'Italiaabbia subito, negli ultimi anni, ripetuti richiami dal Consiglio d'Europa e dalle Nazioni Unite proprio in relazione al trattamento e alla condizione giuridica riservata agli zingari.
Facciamo però attenzione a non ripetere ritualmente analisi sociologiche depotenziate. La domanda che oggi i minori zingari pongono alla giustizia minorile, tanto civile che penale, è infatti quella di liberarsi da un senso diffuso di impotenza deresponsabilizzante che mal connette, spesso, giudici, amministrazioni comunali, servizi sociali e istituzioni scolastiche, con una sottolineatura irrinunciabile del diritto all'istruzione, che dovrebbe costituire l'architrave dell'intera strategia di inclusione sociale.
Ad esempio: non si dovrebbe sgomberare un campo zingari durante l'anno scolastico. Né togliere alla madre il bambino perché mendica con lei, se va a scuola dal lunedì al sabato e non è maltrattato. Non si dovrebbero omettere richiami severi e ripetuti, anche utilizzando le diffide di pubblica sicurezza, verso i genitori che non vigilano sull'adempimento dell'obbligo scolastico dei figli, evitando che dopo anni di assenza istituzionale arrivi - all'improvviso ed inutile - l'apertura del fascicolo penale. Non andrebbe atteso l'accumularsi di recidive di fatto per valutare l'inidoneità dei genitori biologici ad allevare il minore colto più volte a rubare.
Non è certo con intenti autoaccusatori che il Ministero della giustizia ha reso noto, nel 2006, che tra i minori zingari solo il 37% dei segnalati risultava preso in carico dal servizio sociale di giustizia minorile, cui spetterebbe di elaborare il progetto di rieducazione e reinserimento sociale del ragazzo, contro il 54% degli stranieri ed il 74% dei segnalati italiani2.
Se è vero che in assenza di progetti di servizio sociale l'ulteriore recidiva sarà inevitabile, è pure vero che ben prima dell'imputabilità penale, cui si giunge talvolta in una condizione di plurirecidiva di fatto, sarebbe necessario fare qualcosa che non sia lo sgombero da una strada all'altra della città (o, peggio, in più remota località agreste della provincia).
E significativo, dunque, che se un orientamento unitario traspare dai diversi saggi contenuti nella sezione dedicata agli zingari questo sia proprio nel senso di interrompere la spirale del disprezzo e della rassegnazione, accettando le sfide operazionali che competono a ciascuna professionalità per ricollocare il "caso zingari" in una prospettiva di inclusione sociale.
4. A che punto siamo e cosa occorre fare
È questa, d'altra parte, pure la prospettiva che collega anche gli altri contributi di questo intero fascicolo, dalla cui lettura possono forse trarsi alcune conclusioni su quanto è avvenuto in questi ultimi anni.Considerazioni di fondo si possono fare, in primo luogo, in relazione all'inquadramento giuridico della condizione del minore straniero: il conflitto fra le due legislazioni speciali - quella improntata alla difesa della pubblica sicurezza che caratterizza la disciplina degli stranieri e quella improntata alla protezione e al sostegno della persona che caratterizza le leggi sui minori in Italia - ha segnato la giurisprudenza di questo decennio, ma si può dire che l'esito sia stato quello di veder prevalere, talvolta con l'importante apporto della Corte costituzionale, le interpretazioni che permettono una adeguata tutela del minore straniero e non consentono invece il trattamento discriminatorio nei suoi confronti.
Può considerarsi un risultato acquisito, ad esempio, il principio che nella valutazione della situazione e dell'interesse del minore straniero è necessario sganciare la sua condizione giuridica da quella dell'adulto: prendere atto che quello del minore straniero è uno statuto derogatorio e che quindi le norme di favore che lo riguardano non sono eccezionali, soggette ad interpretazione restrittiva, ma fondatrici di uno statuto diverso con propri principi e proprie coerenze normative.
Questo statuto si basa sulla equiparazione del minore straniero al minore italiano secondo l'insegnamento confermato dalla Corte costituzionale in diverse pronunce fra il 2003 e il 20053 e che possono riassumersi in questa semplice affermazione: al minore straniero (non importa se irregolare) si applicano le norme di protezione previste dalla legge italiana per i minori italiani.
La tutela dei confini dello Stato, che molti indicavano come limite al riconoscimento dei diritti dei minori stranieri, è un valore che esiste: ma, quando entra in bilanciamento con la protezione del minore come valore costituzionale, quest'ultima prevale. Come ha detto la Cassazione4 anche recentemente, nell'alternativa fra una lettura formale e una sostanziale della norma, quest'ultima è l'unica costituzionalmente corretta, qualora il rispetto formale
della disciplina sull'immigrazione comporti una discriminazione nei confronti dei minori stranieri.
Solo un comportamento ispirato a tale principio può evitare la continua frizione fra l'attività della pubblica amministrazione e il rispetto dei diritti della persona: e lo dimostra anche l'esperienza di circolari e ordinanze ministeriali più volte dichiarate illegittime o disapplicate.
Una seconda conclusione che si può trarre è che la protezione dei minori passa inevitabilmente per la protezione delle loro famiglie. La Corte costituzionale ha detto mirabilmente che "il diritto all'unità familiare e la tutela dei minori costituiscono una endiadi"5; e gli operatori sociali e giuridici che si occupano di questa materia sempre più si convincono e i fatti dimostrano che non c'è tutela reale dei diritti dei bambini se non si tutelano anche i diritti di quei soggetti deboli del tessuto sociale che sono le loro famiglie. Se ciò non avviene, le dichiarazioni di protezione del minore, anche se contenute sempre più assiduamente in atti e protocolli, rimangono allo stato di pronunce formali, senza un contenuto sostanziale.
Purtroppo, l'augurio che avremmo voluto esprimere al Parlamento della XVI legislatura e alla maggioranza di governo - di poter elaborare soluzioni intelligenti a delineare una politica di lungo respiro nei riguardi dei minori stranieri e delle loro famiglie - non sembra adattarsi al tono e al contenuto dei provvedimenti in materia di immigrazione emanati col "pacchetto sicurezza".
Ma anche in mancanza di un buon inizio, chiederemo ugualmente norme più sagge, perché la vera "sicurezza" si ottiene dando futuro ai minori di oggi e perche il buon senso e la visione dei futuro, in politica, è trasversale almeno quanto la miopia ed il fracasso dei media.
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1 commento:
C'e' un'accelerazione tremenda , che chi governa (ma forse anche chi si propone in alternativa) non sembra avvertire. E' vero i ragazzi stranieri crescono in fretta come le trasformazioni sociali e quelle strutturali delle modalita' di produrre e di vendere in maniera globalizzata le merci. C'e' il concreto rischio che questi processi sfuggano di mano. Si avverte una specie di "Caos Calmo " (neppure tanto calmo) che puo' precedere un brutto temporale.
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