lunedì 8 giugno 2015

la democrazia rappresentativa oggi in Europa

orso castasno: i frutti peggiori della globalizzazione sono dati anche da concezioni errate e mal definite di voboli politici che inducono in errore. Uno di questi e' "il populismo". L'articolo nel merito e' molto interessante.E' un'intervista a Muller.
Limes
MÜLLER. A mio avviso, dobbiamo stare molto attenti quando usiamo il concetto di populismo. Il populismo, l’euroscetticismo e le critiche delle politiche adottate per salvare l’euro sono tre cose differenti, anche se nella pratica possono sovrapporsi. Restringerei il concetto di populismo ad attori che rivendicano di essere gli unici rappresentanti del popolo autentico. In altre parole, i populisti non sono solo anti-elitisti, sono anche necessariamente anti-pluralisti. Altrimenti, ogni critica delle élite esistenti sarebbe populista (e le élite europee hanno senz’altro una tendenza a definire “populista” ogni critica delle attuali politiche).
Per fare un esempio concreto: quando Grillo critica “la casta” o le attuali politiche dell’Unione europea, non è necessariamente un populista. Invece, quando dice che il Movimento 5 Stelle deve prendere il 100% dei voti, è un populista, perché non considera legittimo nessun altro avversario politico.
Secondo quest’analisi, Syriza e Podemos non sono automaticamente populisti solo perché stigmatizzano partiti più vecchi di loro: penso che ci siano molte ragioni legittime per condannare quei partiti in Grecia e in Spagna. Nemmeno la critica della Troika rende questi attori politici dei “populisti”. Invece, c’è un problema per la democrazia se negano la legittimità degli altri partiti, perché in democrazia nessuno deve avere l’esclusiva della rappresentanza del popolo autentico. In questa prospettiva, la coalizione tra Syriza e Anel è preoccupante: Anel è realmente un partito populista e i suoi leader hanno fatto molte dichiarazioni xenofobe, suggerendo che alcuni greci non fanno parte del popolo greco; c’è il rischio che Syriza possa essere portata a dire che, con Anel, la coalizione ha la rappresentanza esclusiva del popolo greco. Attualmente, uno scenario simile nel caso di Podemos mi sembra più lontano.
LIMES. Come valuta la risposta che le famiglie politiche europee tradizionali (i socialisti e i popolari) hanno fornito alla crisi e alla volatilità politica del panorama europeo?
MÜLLER. Molti indicatori confermano l’idea del declino dei partiti tradizionali, e soprattutto i socialdemocratici. Dire che la democrazia rappresentativa sia in crisi è diverso. È un’idea ormai diventata popolare, ma spesso viene presentata in modo che sia impossibile falsificarla: Syriza vince in Grecia – ecco il segno della crisi della democrazia rappresentativa; i vecchi partiti continuano a vincere le elezioni – ecco un altro segno della crisi, perché mostra il trionfo della “post-democrazia” (Colin Crouch). Quindi la diagnosi della crisi vince in ogni caso.
Nonostante quello che alcuni studiosi dicono sull’emergere di una “democrazia post-rappresentativa”, non penso che il principio di rappresentanza in sé sia in crisi. Abbiamo una crisi dei partiti basati sulle divisioni tradizionali, che colpisce soprattutto i socialdemocratici e i democristiani. Abbiamo una crisi di governance, descritta bene da Dani Rodrik: possiamo avere allo stesso tempo democrazia, sovranità e globalizzazione economica? No, ma non vogliamo rinunciare a nessuna delle tre. E abbiamo una crisi specifica legata a un’unione valutaria disfunzionale. Sono tutte crisi serie, ma non penso che dovrebbero portarci a rinunciare alla democrazia dei partiti.
LIMES. Dopo le elezioni europee, i movimenti cosiddetti “populisti” non sono riusciti a esprimere una posizione politica comune. Per esempio, Le Pen, Farage e Grillo non hanno formato un gruppo euroscettico comune e così hanno sottolineato le loro differenze e la loro inefficacia parlamentare. L’etichetta “populista” è spesso attribuita a movimenti diversi. In questo scenario, qual è il ruolo di Syriza e Podemos? Possono offrire una narrazione comune?
MÜLLER. A mio avviso, dobbiamo stare molto attenti quando usiamo il concetto di populismo. Il populismo, l’euroscetticismo e le critiche delle politiche adottate per salvare l’euro sono tre cose differenti, anche se nella pratica possono sovrapporsi. Restringerei il concetto di populismo ad attori che rivendicano di essere gli unici rappresentanti del popolo autentico. In altre parole, i populisti non sono solo anti-elitisti, sono anche necessariamente anti-pluralisti. Altrimenti, ogni critica delle élite esistenti sarebbe populista (e le élite europee hanno senz’altro una tendenza a definire “populista” ogni critica delle attuali politiche).
Per fare un esempio concreto: quando Grillo critica “la casta” o le attuali politiche dell’Unione europea, non è necessariamente un populista. Invece, quando dice che il Movimento 5 Stelle deve prendere il 100% dei voti, è un populista, perché non considera legittimo nessun altro avversario politico.
Secondo quest’analisi, Syriza e Podemos non sono automaticamente populisti solo perché stigmatizzano partiti più vecchi di loro: penso che ci siano molte ragioni legittime per condannare quei partiti in Grecia e in Spagna. Nemmeno la critica della Troika rende questi attori politici dei “populisti”. Invece, c’è un problema per la democrazia se negano la legittimità degli altri partiti, perché in democrazia nessuno deve avere l’esclusiva della rappresentanza del popolo autentico. In questa prospettiva, la coalizione tra Syriza e Anel è preoccupante: Anel è realmente un partito populista e i suoi leader hanno fatto molte dichiarazioni xenofobe, suggerendo che alcuni greci non fanno parte del popolo greco; c’è il rischio che Syriza possa essere portata a dire che, con Anel, la coalizione ha la rappresentanza esclusiva del popolo greco. Attualmente, uno scenario simile nel caso di Podemos mi sembra più lontano.
LIMES. Come valuta la risposta che le famiglie politiche europee tradizionali (i socialisti e i popolari) hanno fornito alla crisi e alla volatilità politica del panorama europeo?
MÜLLER. Molti indicatori confermano l’idea del declino dei partiti tradizionali, e soprattutto i socialdemocratici. Dire che la democrazia rappresentativa sia in crisi è diverso. È un’idea ormai diventata popolare, ma spesso viene presentata in modo che sia impossibile falsificarla: Syriza vince in Grecia – ecco il segno della crisi della democrazia rappresentativa; i vecchi partiti continuano a vincere le elezioni – ecco un altro segno della crisi, perché mostra il trionfo della “post-democrazia” (Colin Crouch). Quindi la diagnosi della crisi vince in ogni caso.
Nonostante quello che alcuni studiosi dicono sull’emergere di una “democrazia post-rappresentativa”, non penso che il principio di rappresentanza in sé sia in crisi. Abbiamo una crisi dei partiti basati sulle divisioni tradizionali, che colpisce soprattutto i socialdemocratici e i democristiani. Abbiamo una crisi di governance, descritta bene da Dani Rodrik: possiamo avere allo stesso tempo democrazia, sovranità e globalizzazione economica? No, ma non vogliamo rinunciare a nessuna delle tre. E abbiamo una crisi specifica legata a un’unione valutaria disfunzionale. Sono tutte crisi serie, ma non penso che dovrebbero portarci a rinunciare alla democrazia dei partiti.
LIMES. Anche se la deflazione ha raggiunto perfino la Germania, andando contro tutte le affermazioni di Jens Weidmann nel 2014, la Bundesbank ha mantenuto la sua opposizione alle nuove azioni della Bce annunciate da Mario Draghi a gennaio. Ritiene che Angela Merkel supporti Draghi, anche perché sta già pensando alla sua eredità storica?
MÜLLER. La risposta più plausibile è sì. Ma ci sono due questioni. La prima: la strategia della Bce può davvero funzionare? La seconda: l’Ue ha creato un’architettura che previene le crisi future, attraverso l’adozione di misure costituzionali per fermare il debito e altro? La risposta a quest’ultima domanda, secondo l’esperienza storica, è negativa. Né le corti di giustizia interne né la Commissione europea saranno in grado di esercitare l’enforcement della disciplina di bilancio. Quindi non penso che ci sia un quadro realmente stabile nell’eurozona, e in questo senso l’eredità di Angela Merkel non è al sicuro.
LIMES. Durante la crisi ucraina, il presidente russo Vladimir Putin è parso essere attivo sul fronte politico europeo, dal Front National agli incontri con Tsipras. Come dobbiamo considerare questo processo in riferimento alla strategia europea verso Mosca?
MÜLLER. In generale, l’Unione europea è rimasta notevolmente unita, per ora, nelle sanzioni alla Russia. In questo momento, non mi pare che il “modello russo” stia esercitando un’attrazione reale in Europa e, anche se l’influenza della Russia sull’estrema destra è preoccupante, non credo che nessuno di quei partiti possa andare al governo o, ancor più importante, possa portare altri partiti su una diversa linea nei rapporti con la Russia – come accade per esempio, sull’immigrazione, dove l’estrema destra esercita chiaramente un’influenza sugli altri partiti. Mi preoccuperei di più di un altro tipo di influenza di Mosca sui governi: pensate all’Ungheria e alla “democrazia illiberale” di Orbán, pensate agli accordi di Cipro con la Russia sulle basi navali. Questa è una nuova situazione per l’Unione Europea. Alcuni paesi già oggi preoccupano per il loro atteggiamento verso i valori fondamentali dell’Ue codificati nel Trattato di Lisbona – penso al governo ungherese, che attualmente dibatte sulla reintroduzione della pena di morte. Ma potremmo anche avere un problema con governi che sono almeno in parte controllati da una potenza estera (per esempio la Russia) attraverso denaro, petrolio eccetera. L’Unione Europea non è adeguatamente equipaggiata per affrontare queste sfide.
LIMES. L’italiana Federica Mogherini è stata criticata, prima e dopo la sua nomina ad Alto Rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, per la sua posizione sulla Russia. Lei ha scritto che gli intellettuali europei hanno un compito di traduzione e di mediazione delle diverse esperienze nazionali. In questa prospettiva, come possiamo considerare le due crisi dei confini europei (il confine orientale e quello mediterraneo)?
MÜLLER. Capire meglio e con empatia le diverse storie nazionali aiuta anche a non farsi ingannare dalle narrazioni storiche problematiche e strumentali che, per esempio, sta proponendo il governo russo. È fondamentale saper distinguere e non è vero che tout comprendre c’est tout pardonner (comprendere tutto è perdonare tutto). Per fare un esempio concreto: si può capire e provare empatia per il significato della seconda guerra mondiale nella storia russa, senza allo stesso tempo accettare la strumentalizzazione che ne fa Putin. Quindi rifiuto l’idea che maggiori sforzi per capire la storia e la cultura ci possano rendere dei “Putin-Versteher”, accomodanti con il leader non democratico della Russia.
LIMES. Di recente Lei ha scritto che, per gli storici del futuro, la crisi dell’euro potrebbe essere una nota a piè di pagina, se raffrontata all’impatto delle cosiddette “primavere arabe” e dei loro fallimenti. Crede che la lotta contro lo Stato Islamico e il rinnovato rischio di terrorismo in Europa, anche per via dei foreign fighters, possano rendere tutti gli europei più sensibili alla sponda Sud del Mediterraneo?
MÜLLER. Si spera in una maggiore sensibilità degli europei. E in una maggiore responsabilità. Si pensi alla Libia: certo, il collasso dello Stato non si deve solo alle azioni dell’Occidente, ma l’assenza di qualunque strategia per una Libia dopo Gheddafi è scioccante, così come l’assenza generale di strategia per il mondo arabo dopo le “primavere”. Così, ora l’Occidente appoggia tacitamente una dittatura come quella egiziana, che è molto più repressiva del Mubarak degli ultimi anni.
LIMES. Nel 2004, Habermas e Derrida scrissero un dimenticato manifesto sul “15 febbraio: ciò che unisce gli europei”. Sostenevano che le manifestazioni contro la guerra in Iraq avrebbero comportato la nascita della sfera pubblica europea. Non è accaduto. Nella “marcia repubblicana” dell’11 gennaio 2015 a Parigi, i leader e i cittadini hanno manifestato e twittato #JesuisCharlie e #JesuisAhmed. Cosa comporterà per la sfera pubblica europea?
MÜLLER. Credo che la manifestazione di solidarietà europea (e globale) a Parigi sia stata importante, ma meno importante del discorso con cui Manuel Valls ha rotto l’ortodossia repubblicana francese, secondo la quale non ci sono gruppi, discriminazioni, comunità in una Francia che è composta da cittadini perfettamente uguali e politicamente omogenei. È stato importante che Valls abbia detto che una Francia senza ebrei non è la Francia. Mostra che la Francia sta iniziando a fare i conti con le particolarità.
Tuttavia, non vedo un più ampio significato per una sfera pubblica europea. Gli europei non hanno le stesse idee sulla libera espressione, e il contrasto con gli Stati Uniti – la terra della libertà e della libera espressione senza restrizioni, secondo il cliché – non ci aiuta più di tanto. Il concetto di libertà di espressione americano, che porta ogni costituzionalista americano di sinistra a sostenere la pubblicazione di qualunque vignetta senza esitazione, è un fenomeno relativamente recente, figlio di sviluppi storici alla metà del secolo scorso, non derivante da una supposta identità libertaria degli Usa. Ciò detto, sarebbe utile che gli europei discutessero apertamente delle loro differenze sul concetto di libera espressione: anche questo si lega al bisogno di chiarimento e comprensione reciproca, che è il punto su cui gli intellettuali dovrebbero dare un contributo.Limes

Nessun commento: