martedì 30 giugno 2015

occidente e mussulmani : due culture. Coesisteranno?

15/01/2015
di Anna Maria Cossiga
Dolore straziante, dopo i fatti di Parigi. Orrore, paura, rabbia, frustrazione, ma anche strumentalizzazioni, retorica, ipocrisia e, soprattutto, totale confusione.Poi la marcia, milioni di persone nelle piazze e per le strade, rappresentanti di 50 paesi al fianco di François Hollande; avversari, come Netanyahu e Abu Mazen, uno a destra, uno a sinistra del presidente francese. Vicini, ma non troppo. Una dimostrazione di solidarietà e di unità in nome di un nemico comune. Anche se, come fa notare l’organizzazione non governativa Reporter Senza Frontiere, tra i paesi rappresentati c’erano anche la Turchia, gli Emirati Arabi, l’Egitto, la Russia e l’Algeria, non certo famosi per libertà di stampa e di espressione. L’integralismo islamista è un nemico anche per loro e i nemici dei miei nemici, si sa, sono miei amici.È comprensibile che subito dopo l’orrore la reazione sia emotiva e speriamo che l’unità globale continui, anche se sembra difficile. Adesso, però, è il momento di riflettere e di usare quella Ragione del cui utilizzo l’Occidente si gloria e che farebbe difetto a quelli che, con allarmante superficialità, chiamiamo “i musulmani”. Adesso, sembra proprio necessario spogliarsi davvero dei propri pregiudizi culturali per cogliere “il punto di vista dell’altro”, come invitava a fare l’antropologo Bronislaw Malinovsky.Per parafrasare un altro antropologo, l’italiano Ernesto De Martino, è ora di sottoporre a critica costruttiva la nostra cultura per capire meglio noi stessi e gli altri. Dobbiamo riflettere su questo doppio binario e deve farlo anche il mondo musulmano moderato, quel mondo che il filosofo franco-musulmano Abdennour Bidar – che si autodefinisce “istmo tra i due mari dell’Oriente e dell’Occidente” – vede “mettere al mondo un mostro” e limitarsi a dire “Non è l’islam! Smettete, voi occidentali, […] di associarci a quel mostro! Il terrorismo non è […] il buon islam che non vuol dire guerra, ma pace!”. Ma, continua Bidar, “la grande domanda è: perché quel mostro ignobile ha rubato il tuo volto? Perché le radici di quel male sono dentro di te. È giunto il momento che tu lo ammetta e che, finalmente, attacchi le radici di questo male”. Ha ragione: la distinzione fra islam moderato e integralismo non è sufficiente né da parte dei musulmani, né da parte di quella che, con molta approssimazione, chiameremo la “sinistra”. Non basta distinguere, non basta costruire moschee, non basta accogliere gli immigrati. Ci vuole vera conoscenza e vero rispetto. Sino a un certo punto della storia del pensiero, si consideravano le culture come universi in sé compiuti e immutabili, quasi che lo svolgimento storico non li toccasse e i contatti con altri popoli e idee non potessero influenzarli. Non è così, naturalmente, ma lo è per quelli che con più o meno precisione chiamiamo fondamentalisti. Per loro tutto rimane immutato o, se muta, va riportato alla forma iniziale, quella “giusta”. Lo dicono gli integralisti islamici, ma anche quelli cristiani ed ebrei. Lo dicevano i creazionisti e i degenerazionisti del passato (ma anche del presente), secondo cui Dio ha creato il mondo e la vita così come li vediamo e, se qualche cambiamento c’è stato, è dovuto solo alla degenerazione del peccato originale – o dell’allontanamento dalla via indicata da Allah attraverso il suo profeta Maometto, se preferite.Tali concezioni dovrebbero essere superate, ma evidentemente non lo sono. Né per gli integralisti islamici né per chi tra noi occidentali ancora grida a gran voce che ci troviamo di fronte a uno “scontro di civiltà“. Come se la civiltà occidentale e quella islamica fossero rimaste immutate nei secoli. Come se l’Occidente che adesso chiamiamo giudeo-cristiano non avesse perseguitato i giudei per gran parte della storia.Spesso ciò che conta non è la realtà oggettiva ma le varie narrazioni create da ciascuna cultura. Attraverso di esse ogni gruppo umano esprime la propria visione del mondo, fonda i propri valori e così ordina, o cerca di ordinare, il vivere sociale. La narrazione è di solito creata e divulgata da élites che la tramandano alle masse. Nel mondo delle società complesse la narrazione non è mai una sola. Non lo è per l’Occidente democratico, multipartitico e pluralista, ma non lo è nemmeno, e non lo è mai stato, per l’islam. È su alcune di queste narrazioni occidentali che vorremmo riflettere. Su quelle islamiche, lasciamo la parola ai musulmani. Iniziamo dalla narrazione di quella che, con approssimazione, chiameremo “la destra”. Ne fanno parte persone molto diverse, che hanno in comune una visione che spesso guarda più al passato e alla “tradizione”, che al futuro. O meglio: considera il futuro impossibile se non ancorato fermamente alla tradizione. A quella narrazione aderiscono i partiti che chiamiamo di estrema destra, ultranazionalisti e xenofobi. Tali partiti esaltano popoli autoctoni spesso completamente inventati, vogliono rendere il suolo patrio disponibile soltanto al proprio popolo-nazione, con forti restrizioni all’ingresso e al culto degli altri. Vi aderiscono anche, anzi ne sono i paladini e i profeti, gli strenui difensori della civiltà giudeo-cristiana, parte aggredita della guerra santa in corso. Per rimanere a casa nostra, Giuliano Ferrara definisce l’attacco una “crociata all’assalto della croce”, per poi cadere in una sorta di estasi e gridare “Questo non è terrorismo è una guerra santa contro l’Occidente cristiano e giudaico. Quando ca… lo capirete?”. Maurizio Belpietro ricorda invece quanto Oriana Fallaci scriveva una decina di anni fa, e cioè che l’islam “è un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza”. La scrittrice “sosteneva che il mondo occidentale era in guerra, attaccava il multiculturalismo, la teoria dell’accoglienza indiscriminata, la dottrina cattolica che insegna ad amare il nemico tuo come te stesso. […] fu considerata pazza dall’intellighenzia progressista […]. È morta da anni, ma le sue nere profezie si stanno realizzando puntuali come erano state previste”. Nemmeno noi, come i troiani, avremmo dato ascolto alla nostra Cassandra, come la Fallaci stessa si definì. Brandelli di cultura greca tra quella giudaica e cristiana.Oltreoceano, George W. Bush e i suoi propagandavano la medesima narrazione, come lo fanno i fondamentalisti cristiani, quelli che vogliono aiutare tutti gli ebrei a far ritorno in Israele, così, con il ritorno di Gesù, saranno tutti convertiti al cristianesimo. I giudei del binomio giudeo-cristiano ne saranno felici. Nella narrazione della “destra”, però, sembra esserci qualche contraddizione: difendere la Croce o lottare contro il buonismo di papa Francesco e del cattolicesimo? O davvero, sempre Ferrara docet, anziché pregare e digiunare per la pace nel mondo si deve andare in Siria e impiccare Assad, come Bush ha fatto con Saddam Hussein? Ma i profeti, si sa, possono essere violenti e sono mossi da certezze mistiche che vanno al di là della ragione. I partiti più estremisti, anche se velatamente, non hanno in gran simpatia la prima parte del suddetto binomio. Insomma, questa “destra” è per il cristianesimo, ma è contraria alla linea del pontefice; difende una civiltà che come ampiamente dimostra, tra gli altri, Sergio Quinzio nel suo Radici ebraiche del moderno, deve molto all’ebraismo ma è in parte anti-ebraica (sebbene ammetterlo ad alta voce non sarebbe politically correct). Tutte le narrazioni, comunque, hanno dicotomie: quella coranica, quella biblica e persino quella evangelica. Gesù predica l’amore e la fratellanza, ma dice anche di essere venuto non a portare la pace, ma la spada (Mt.10,34). Quella della destra è una narrazione forte, che può essere particolarmente convincente per “masse” terrorizzate dalla violenza islamista e che hanno pochissima o nessuna conoscenza dell’islam: la violenza contro la violenza è l’unica soluzione possibile, anche se si è dimostrata in passato del tutto inadeguata e controproducente. Saremo criticati aspramente e forse insultati per ciò che segue, ma lo diciamo comunque: la narrazione di destra è portatrice di una forma di integralismo, non religioso, ma culturale, e fa il gioco del nemico che si vuole vincere. Anche se sappiamo bene che i fautori dell’intervento armato o del ripristino della pena di morte non ricorrerebbero mai alla violenza assassina contro altri esseri umani inermi che esprimono opinioni diverse dalle loro o hanno la sola colpa di essere ebrei. Tuttavia dovremmo tutti riflettere sul fatto che alcuni fondamentalisti americani non hanno esitato, in anni passati, a uccidere medici o ad attaccare cliniche che praticavano l’aborto.La narrazione della “sinistra progressista” sembra invece tanto debole da sembrare inesistente. Pur proponendo principi altamente condivisibili e di matrice occidentale e illuminista – i diritti umani, il diritto alla diversità, l’accoglienza dell’altro, il dialogo tra culture e religioni e la piena libertà di culto – non sembra offrire alternative convincenti alla reazione militare propugnata dalla destra; anzi, la propone essa stessa. Se non troverà una narrativa più incisiva e una soluzione più ragionevole, si meriterà tutte le accuse che le vengono mosse: “buonismo”, “amicizia con il terrorismo islamico” ,”complicità con l’immigrazione di massa” “miopia”, quando non cecità.

C’è poi la narrazione cattolica, quella del pontefice, che la destra sposa e allo stesso tempo critica e che molto ha in comune con quella della sinistra. Cos’altro può fare un papa se non pregare e richiamarsi alla tradizione? Anche se questo papa ha avuto il coraggio e la determinazione di dire e fare cose che raramente i suoi predecessori hanno fatto.I musulmani, cui lasciamo il compito di riflettere sulle proprie narrazioni, sembrano alle prese con un dilemma simile al nostro: una destra integralista e violenta e una sinistra moderata ma fino a oggi del tutto impotente. Tale dilemma deriva, forse, dal contatto culturale che – spesso con la forza – l’islam ha avuto con l’Occidente, ma crediamo che sia anche il frutto di un cambiamento interno, di una riflessione che li ha portati a riconoscere nell’islamismo il “mostro” di cui parla Bidar. La condanna dei fatti di Parigi da parte di Hamas, di Hezbollah e dell’Iran, mai avvenuta prima in occasioni simili, ci sembra addirittura rivoluzionaria. Nasrallah ha addirittura affermato che l’estremismo nuoce all’islam più delle vignette. Ipocrisia strumentale? Può darsi.
Un’ultima riflessione sulle colpe dell’Occidente. Non sono “piagnistei del noi siamo colpevoli di tutto”, né “abbondanza di misericordia e di accoglienza che è diventata una pappa senza intimo rigore logico […] e senza verità che non sia sentimentale”, per citare Tzvetan Todorov. Si tratta semplicemente di una realtà che non possiamo negare. Il colonialismo del passato e quello attuale sono tra le cause dell’odierna violenza islamista ed è necessario ribadirlo. Ugualmente lo sono i regimi dispotici di alcuni paesi musulmani, appoggiati dall’Occidente e dai nostri alleati e le condizioni di degrado e umiliazione in cui, accoglienza o no, vivono i milioni di musulmani nei paesi europei. Per essere credibilel’Occidente deve essere più coerente con se stesso e con i propri valori. Quei valori che spesso, purtroppo, sembrano valere solo per “noi” e non per gli “altri”. Ancora Todorov scrive che “la paura dei barbari può renderci barbari” e ci ricorda che “la guerra contro il terrorismo è responsabile, tra l’altro, di detenzioni illegali e di atti di tortura, dei quali sono oggi simbolo i nomi di Guantanamo, Abu Ghraib, Bagram”. Uno dei fratelli Kouachi ha affermato di essersi avvicinato all’islam integralista proprio dopo aver visto le immagini del carcere iracheno. Il mondo è cambiato e anche le sue narrazioni devono cambiare. Le “tradizioni” che si rifanno al cristianesimo, all’islam, al conservatorismo o all’illuminismo non sembrano più adatte a descrivere in modo esauriente le visioni di questo nuovo mondo. Recentemente, il sottosegretario agli Affari Esteri Mario Giro consigliava di proporre al mondo sunnita una narrazione alternativa e più convincente di quella del califfo al Baghdadi. Siamo d’accordo, e lo stesso proponiamo di fare al mondo occidentale.L’idea di ricostruire il califfato al di là dei confini imposti dall’Occidente richiamandosi all’età d’oro dell’islam conquistatore sembra trovare un riscontro nel reclutamento di giovani europei musulmani, oltre qualsiasi frontiera. Quei giovani non rappresentano ancora una percentuale rilevante, ma potrebbero diventarlo. Offriamo loro un’altra scelta. Nonostante le nostre “colpe”, qualcosa di buono deve esserci anche in Occidente se Ahmed Merabet, il poliziotto di origine algerina rimasto ucciso nell’attacco al settimanale Charlie Hebdo, quella scelta diversa l’aveva compiuta. Gli integralisti uccidono anche i musulmani che sbagliano.
Quanto alle soluzioni, non è facile proporne, ma quella militare si è dimostrata inutile e controproducente. Forse, l’unica risposta è servirsi delle nuove tecnologie, come hanno imparato a fare magistralmente i jihadisti. Anch’essi si contraddicono nella loro narrativa, perché le armi e la tecnologia di quell’Occidente che odiano e disprezzano sono diventate la loro tecnologia e le loro armi. La soluzione potrebbe, dunque, essere quella suggerita da Anonymous e già messa in atto: entrare nei siti jihadisti per ottenere informazioni utili e oscurarne quanti più possibile, evitando di hackerare i siti legati all’islam ma non all’islamismo radicale.
Vincere questa battaglia potrebbe farci vincere la guerra, senza eserciti, senza armi e senza spargimento di sangue. Anche questa sarebbe una vera rivoluzione.

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