giovedì 29 gennaio 2009

NEUROFILOSOFIA : NON IMPOVERITE LA MENTE dì Michèle Di Francesco DA dOMENICA DEL 25/1/2009

A duecento anni dalla nascita di Darwin, il processo di naturalizzazione degli esseri umani sembra avvicinarsi alla conclusione. O almeno cosi pare a molti. Dopo che biologia e genetica hanno apertò la strada alla spiegazione della vita, sembra orai giunta l'ora di mente e società. Grazie allo sviluppo delle scienze del cervello, della psicologia' evoluzionistica e delle scienze sociali cognitive, non solo i fenomeni mentali appaiono sempre più comprensibili e riconducibili alla rete esplicativa delle scienze biologiche, ma lo stesso sembra valere per società e cultura, etica ed economia, estetica e politica. Un chiaro sintomo di questa tendenza è il proliferare del prefisso "neuro", associato ai più svariati campidi indagine, quali neuroetica, neuroeconomia, neuroestetica, neuropolitica, neuromarketing, e il conseguente profluvio di spiegazioni di questa o quella azione sulla base dell'attivazione del tale o tal'altro circuita cerebrale. Siamo quindi alla vigilia del superamento dell'annosa distinzione tra scienze naturali e scienze umane, operato attraverso l'assimilazione delle humanities alle scienze? Nel 1986 la filosofa statunitense Patricia Smith Churchland coniò il termine "neurofilosofia" per indicare un nuovo modo di concepire lo studio della mente, non più basato sull'analisi fìlosofica a-priori, ma sulle evidenze empiriche circa il funzionamento cerebrale. Si trattò di una mossa coraggiosa e profetica. Sottrarre il dominio del mentale alla filosofia per affidarlo alla scienza significava accettare una scommessa rischiosa, resa apparentemente vincente dal successivo tumultuoso sviluppo delle neuroscienze cognitive. L'emergere di nuovi settori di ricerca come la psicologia evoluzionistica, che pone lo studio del mentale in una cornice darwiniana e ne accentua ìl ruolo sociale, sembra avere aggiunto un ulteriore tassello al mosaico, aprendo la strada alla spiegazione neurale delle basi della nostra vita collettiva. Ciò che ci rende umani, la mente, il linguaggio, la società, la cultura, appare dunque (in questa sommaria ricostruzione) come fondato su proprietà cerebrali. Fino a che punto ciò è vero? Fino a che punto questo ruolo fondazionale delle scienze del cervello è giustificato dallo stato della ricerca reale e non da una sua lettura ideologica? La questione è complessa. Da un lato sottovalutare la rilevanza delle neuroscienze per la comprensione della natura umana sarebbe un grave errore. Per citare solo due punti tra i molti possibili, le scienze del cervello ci hanno insegnato che il pensiero è radicato nel corpo; il che significa che per capire la mente occorre capire il cervello e le sue funzioni. Il secondò punto è che se accettiamo il contributo dell'organizzazione cerebrale alla costruzione della realtà sociale, allora dobbiamo abbandonare quello che è stato definito «il modello standard delle scienze sociali», rinunciando all'idea dell'onnipotenza di linguaggio, educazione e cultura nel plasmare la mente umana. Al contrario, percezione, memòria, apprendimentò, facoltà linguistica si realizzano nel contesto di vincoli biologici. E analogamente è plausibile (ma la cosa è più controversa) che le stesse istituzioni sociali si formino sfruttando capacità biologiche selezionate dall'evoluzione per risolvere problemi specifici, quali la necessità di comprendere gli stati mentali che guidano l'agire altrui. Al di là dei dettagli, una forma temperata di naturalismo sembra in grado di correggere la mitologia culturalista, per produrre una visione degli esseri umani che dia il giusto peso alla biologia e all'evoluzione nella descrizione della natura umana. Ma qual è il giusto peso? Il riferimento alle scienze del cervello individua sempre la spiegazione privilegiata? Io credo che, come non dovremmo ridurre la biologia alla genetica, così occorre andar cauti nel ridurre lo studio della mente alla sola scienza del cervello. Quelli che sono possibili sono gradi diversi di integrazione. Prendiamo il caso della neuroeconomia, lo studio delle basi neurali delle decisioni economiche. Qui il quadro teorico è favorevole all'integrazione e alla co-evoluzione tra spiegazioni di livello differente; abbiamo infatti le teorie matematiche sviluppate dall'economia classica'e quelle psicologiche sviluppate nell'ambito dell'economia cognitiva e sperimentale che offrono una serie di ipotesi chiare e determinate da sottoporre al confronto con le neuroscienze. Ma persino in questo caso favorevole le ricerche di neuroeconomia non si riducono a un unico paradigma metodologico, e rivelano piuttosto una pluralità di approcci, strategie esplicative e livelli di descrizione. Ciò vale a maggior ragione quando il campo da ricondurre al dominio delle scienze del cervello ha a che fare con ambiti molto meno "formalizzati" e concettualmente definiti, quali l'etica e l'estetica. E questo è solo il principio. Se non vogliamo impoverire la nozione di mente considerando irreale ciò che non si può portare in laboratorio, dobbiamo riconoscere che esistono una molteplicità di aspetti del mentale per la cui comprensione lo studio del cervello potrebbe risultare necessario ma non sufficiente. Tra essi citiamo la spiegazione della coscienza e della soggettività; il ruolo di linguaggio e cultura nell'autocoscienza; quello dell'autocoscienza e delle relazioni interpersonali nella genesi dell'io; la possibilità di una spiegazione del contenuto mentale che possa parlare solo di stati interni al cervello senza coinvolgere il mondo su cui vertono. Naturalmente è legittimo sostenere che le spiegazioni neurobiologiche sono "più fondamentali" rispetto alle altre. Ma il punto cruciale è che questo assunto è una tesi filosofica e non scientifica. Non si basa su dati di fatto, ma su una loro interpretazione, che coinvolge complesse discussioni metafisiche ed epistemologhe (quali la validità del fisicalismo, la natura della spiegazione causale, l'idea di livelli di realtà). E evidente che questo tipo di discussioni non si decide enumerando quante volte la parola "neurone" compare, ma si gioca sulla cogenza delle premesse e dell'analisi concettuale implicata. Ben venga quindi la neurofilosofia come importante strumento di comprensione. Pretendere invece che sìa l'unico o anche solo quello privilegiato è un'affermazione non supportata dai fatti, e forse dannosa per la comprensione piena della natura umana.

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