martedì 24 dicembre 2013

read key : sistema immunitario e cancro






“Nella massa tumorale convivono cellule neoplastiche e vari tipi di leucociti. Tra questi ultimi, i macrofagi rappresentano la popolazione spesso predominante. Da anni studiamo il microambiente del tumore e abbiamo capito che tra leucociti e cellule tumorali si instaura un dialogo continuo. È mediante questo dialogo che il tumore corrompe le funzioni dei macrofagi a proprio vantaggio, sfruttando le caratteristiche uniche di questa popolazione di cellule. È come se, in risposta l segnale della cellula tumorale, i macrofagi attuassero continui tentativi di riparo del tessuto neoplastico, esprimendo proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive, promuovendo l’angiogenesi e il rimodellamento del tessuto. Tutto ciò, paradossalmente, fornisce un ambiente adatto alla crescita e alla progressione della malattia”.Come avviene tutto questo?“Stiamo cercando di capirlo meglio. Di certo ad incidere sul cambiamento funzionale dei macrofagi (da cellule potenzialmente anti-tumorali a cellule che ne promuovono la crescita) sono le caratteristiche del microambiente tumorale. Ad esempio la scarsità di ossigeno che spesso caratterizza il microambiente dei tumori solidi sembra favorire l’accumulo dei macrofagi e la loro riprogrammazione verso funzioni pro-tumorali. Infatti, una caratteristica comune a molti tumori è la loro scarsa vascolarizzazione: soprattutto nelle aree più interne e necrotiche, dove non arriva sangue - e quindi ossigeno - a sufficienza. Proprio in queste zone vanno a posizionarsi preferenzialmente i macrofagi, richiamati dal circolo sanguigno mediante meccanismi di ‘reclutamento’ specializzati. Una volta giunti in queste aree, i macrofagi vanno appunto incontro a una riprogrammazione funzionale, grazie alla quale favoriscno la produzione di nuovi vasi (angiogenesi) e quindi un apporto maggiore di nutrienti e ossigeno alle cellule tumorali. Inoltre, promuovono il rimodellamento del tessuto neoplastico, permettendo alle cellule cancerose di crescere e muoversi più liberamente, favorendo quindi il processo di metastatizzazione.Quali altri fattori esattamente inducono la riprogrammazione? E in che modo il tumore riesce ad attrarre i macrofagi richiamandoli dal sangue dove circolano?“Questi argomenti sono attualmente oggetto di studio. Quel che si sa, per ora, è che un ruolo di primo piano è svolto da alcune molecole secrete dal tumore, in grado di agire direttamente sui recettori espressi dai macrofagi. Fra queste sostanze, alcune appartengono alla grande famiglia delle citochine, che rappresentano le vere ‘parole del sistema immunitario’, in grado di inviare messaggi da una cellula ad un’altra e di coordinare la risposta immunitaria. Un’importante famiglia di citochine a basso peso molecolare, le chemochine, sembra invece inviare segnali specifici di reclutamento dei macrofagi (leucociti). I tumori esprimono alti livelli di citochine e chemochine, che contribuiscono ad alterare la normale risposta immunitaria, facilitando così la loro crescita. Il microambiente tumorale diventa quindi una trappola, dove le cellule del sistema immunitario (ad esempio i macrofagi) vengono attratte e incontrano segnali che ne alterano il loro assetto molecolare. Il risultato è l’incapacità di attivare risposte antitumorali efficaci e l’attivazione di funzioni pro-tumorali. E’ proprio su questi meccanismi che si sta concentrando la ricerca, con l’obiettivo di privare il tumore di questo suo prezioso alleato”.Quale sfide e le prospettive future?“Sono già stati realizzati studi che dimostrano che ‘bersagliando’ alcune molecole chiave per le funzioni dei macrofagi del tumore è possibile riprogrammare tali cellule, restituendo loro il loro potenziale anti-tumorale. La difficoltà di questa nuova sfida sta nella migliore comprensione della biologia dei macrofagi associati a tumore, e nell’identificazione di nuovi bersagli molecolari. A tal proposito, sappiamo che la natura della risposta infiammatoria associata a tumore cambia durante le diverse fasi della malattia e, quindi, che potenziali bersagli terapeutici potrebbero variare durante le diverse fasi della progressione della malattia. Appare quindi sempre più chiaro che non tutti i pazienti dovrebbero essere trattati allo stesso modo, e che le nuove terapie dovranno basarsi anche sul profilo infiammatorio espresso nel microambiente tumorale, che può differire da paziente a paziente. Ma la strada imboccata sembra quella giusta, e l’associazione di strategie per la modulazione dei processi infiammatori associati a cancro, abbinata alle tradizionali terapie oncologiche, potrebbe essere decisiva, almeno per trasformare il cancro in malattia cronica con cui convivere”.

Nessun commento: