domenica 6 settembre 2015

I migranti : ultimo anello di una catena di errori dal Sole24ore, del 27/08/2015


orso castano : articolo breve , veloce , ma anche se poco articolato (necessariamente rispetto all'obiettivo) esprime un angolo di visione pochissimo discusso ed approfondito, purtroppo. Ma potrebbe essere l'unica angolatura che consentirebbe , non di risolvere il problema migrazioni, che e' strutturale, ma almeno di iniziare a capire cosa  fare per governarlo.

La rotta balcanica è balzata in prima pagina solo di recente ma è da oltre un anno che questa tratta, come quella africana con il suo terminale in Libia, viene battuta in maniera importante.
Ma se è complicato risolvere le guerre in corso, l’aspetto più inquietante è l’assenza di un governo europeo. L’Europa non ha imparato dal passato recente - basti pensare alle guerre balcaniche - e neppure da quello remoto: alla fine della seconda guerra mondiale in Europa si aggiravano circa 40 milioni di profughi, molti dei quali non tornarono mai più alle loro case. Soltanto la Germania ne aveva 17 milioni. Forse non è casuale che Berlino, con un gesto senza precedenti, abbia aperto automaticamente le porte ai siriani.
La Siria è un caso emblematico. Il conflitto cominciato nel 2011 si è trasformato quasi subito in una guerra per procura tra gli Stati della regione. L’Occidente ha incoraggiato l’afflusso dei combattenti stranieri dalla frontiera turca condividendo l’obiettivo degli alleati arabi sunniti - Turchia, Arabia Saudita, Qatar - di abbattere Bashar Assad, per poi pentirsi tardivamente di fronte all’ascesa barbarica del Califfato. Quindi c’è poco da fare gli ipocriti se i jihadisti tornano a seminare il terrore in Europa: la destabilizzazione anti-Assad si è risolta in un boomerang, come già accadde con i mujaheddin lanciati contro l’Armata Rossa in Afghanistan. Aggiungiamo che in Iraq l’avanzata dell’Isis ha generato oltre 200mila profughi, cristiani e yezidi, soltanto nel Kurdistan iracheno. Non lamentiamoci se i cristiani spariscono dal Medio Oriente: dove mai dovrebbero tornare? Ora ci sono 2 milioni di rifugiati siriani in Turchia, un milione in Libano - che ha già i suoi problemi di stabilità - oltre 900mila in Giordania.
Anche la generosa accoglienza di Ankara - così generosa che la stessa Unhcr se ne chiedeva da tempo le ragioni - è stata funzionale all’abbattimento di Assad e dei suoi alleati. Ma con lo sdoganamento dell’Iran lo scenario è cambiato e la Turchia, soddisfatta l’esigenza di colpire i curdi del Pkk, si sta adattando a un possibile negoziato con Usa, Europa, Russia, Iran, Arabia Saudita, per la spartizione del Levante in sfere di influenza. I rifugiati non servono più, anzi sono diventati ingombranti e infatti è cominciato l’esodo siriano verso le coste greche e i Balcani.
E dopo tante manovre per sbalzare di sella Assad, costate 260mila morti e milioni di profughi, sembra che gli americani siano giunti alla conclusione che la via per stabilizzare la Siria, mettendo un freno all’espansione dei jihadisti, sarebbe lasciare il regime che ha governato il Paese per decenni: sconcertante.
Tra errori di valutazione, ambiguità , contraddizioni, cambiamenti repentini di linea, i governanti europei devono spiegare che affrontano un’emergenza di cui i migranti sono l’ultimo anello di una catena di clamorosi errori politici. 
(2015-) Streaming Serie TV 

"L’umanità sta soffrendo per il più grande esodo della sua storia. Milioni di persone hanno viaggiato indietro nel tempo, fuggendo da un disastro globale. Tutti coloro che sono tornati indietro per salvare se stessi, devono rispettare due regole fondamentali: non si può parlare del futuro, e non ci si può relazionare con le proprie famiglie. Uno dei viaggiatori del tempo ha una missione ben precisa: evitare il proprio omicidio."


Una carta di Laura Canali
Limes................Si arriva al paradosso che organizzazioni umanitarie di tutti i livelli, dalla più grande e internazionale alla più piccola e locale, devono infrangere le leggi per garantire, per quanto possibile, aiuto ai migranti. Alla struttura “tradizionale” della gestione delle emergenze e di più ampi aiuti umanitari – una struttura ormai stabilizzata nei suoi problemi e nelle sue soluzioni – si aggiunge questo nuovo aspetto che pone una sfida completamente nuova sia dal punto di vista della logistica, che richiede nuovi approcci e una certa creatività – che dal punto di vista etico. Se per avere informazioni è necessaria la costruzione di un network del tutto nuovo, immerso fin quasi alla gola nell’informale, per aiutare le persone in cammino ci vuole un mix fra abilità/scaltrezza operativa e creatività. Allo studio, ad esempio, c’è un numero telefonico unico e una app che permettano di trasmettere nel più breve tempo possibile le coordinate di chi è in viaggio. Ma la vera nuova tecnologia dell’aiuto umanitario non è digitale: è un “kit di transito” il più possibile leggero che contiene beni primari di vitale importanza e di sopravvivenza. È configurato in ordine a questo scopo, in base alle rotte che il migrante deve affrontare, e deve adattarsi di volta in volta alle esigenze del passaggio in un particolare ambiente, in un particolare momento dell’anno, in una particolare fase politica. È uno zainetto sempre più leggero, immaginato come “salvavita in cammino”. È anonimo, per eludere i controlli di chi, individuata l’organizzazione che lo fornisce, potrebbe impedire a questa di operare, espellerla dal paese, farle terra bruciata intorno, accusarla di “ingerenza umanitaria”. Contiene sempre prodotti per l’igiene personale con particolare attenzione agli inverni gelidi – i materiali liquidi si congelerebbero. Se per attraversare le foreste serbe d’inverno, dove la temperatura può scendere fino a meno 20 gradi, sono necessari un pasto caldo, un fuoco e una coperta isotermica, per affrontare l’estate greca, durante la quale i migranti transitano sulle isole prima di raggiungere i confini macedoni, i bisogni cambiano radicalmente: cibi e bevande energetiche, un sacco a pelo. Altra costante dello zainetto, essendo necessità primaria, è la presenza al suo interno di materiale informativo. Nei kit la geografia entra nella forma di una mappa, la politica nella forma di depliant informativi di tipo legale, medico, logistico (soprattutto relativo alle possibilità di trasporto). Uno zainetto pesa dai 500 grammi ai 2 chili. Individuare i tempi e i luoghi della sua distribuzione è uno dei rebus da sciogliere: “Se quell’uomo o quella donna o quel bambino non esistono, come fai a salvavargli la vita dandogli un kit di sopravvivenza?”. Qui ritorna l’importanza del network. Le distribuzioni possono avere logistiche e problematiche differenti in zone diverse di uno solo paese. Ai confini con la Fyrom, per esempio, per poter ricevere le distribuzioni i migranti devono uscire dalle foreste nelle quali si nascondono per sfuggire alla polizia greca. Le distribuzioni sono il più possibile “rapide, in assetto mobile, per non compromettere la sicurezza dei migranti”. Al contrario, nel contesto estivo del turistico Dodecanneso, “le autorità ti pregheranno di distribuire e fornire assistenza ai migranti per non generare un disordine che sarebbe evidente anche ai villeggianti”.Lo zainetto è uno strumento povero, come il migrante. Ma può poco o nulla per risolvere l’altro grande problema della persona in viaggio: la salute mentale. Durante il cammino il migrante può perdersi, perdere l’obiettivo che lo ha spinto a partire o a fuggire. Può passare settimane, mesi, anni in stato di estrema prostrazione, subire detenzioni e torture. La salute mentale viene indicata come priorità dalla mia fonte, ma è qualcosa che “in viaggio” è davvero difficile curare. All’arrivo deve essere valutata attentamente.I migranti non sono tutti uguali, anzi. Uno degli elementi che li differenzia è la “velocità di migrazione”. I percorsi migratori implicano in base al budget di ognuno e alle occasioni, alla fortuna, all’accesso alle informazioni, ai legami con altre persone che hanno fatto la stessa cosa o a familiari sparsi nel mondo, una “velocità” o “lentezza” che determina la loro vulnerabilità fisica e mentale. Ciò fa di loro degli “esperimenti”, delle “vite”, delle “persone” che non hanno identità classiche, come la nazionalità.Il 7 maggio 2015 è andata in onda in simultanea su quattro canali televisivi la prima puntata di una serie di fantascienza prodotta da BBC Worldwide e Altremedia dal titolo Refugiados. Il mondo si sveglia un giorno e si trova davanti la più grande emergenza della storia: dal nulla si materializzano 3 miliardi di rifugiati. La tensione narrativa dell’intera puntata è tutta giocata sul fattore “caos” generato dall’invasione. Nella storia, subito drammatica, i rifugiati invadono un mondo ricco e tranquillo; non parlano, hanno paura, destabilizzano l’equilibrio di comunità piccole e grandi.Le reazioni sono quelle che vediamo sempre più rappresentate nei media: c’è chi si mette ad aiutare, chi cerca di rimanere lontano dall’evento, chi pensa che si debba reagire con la forza e spazzare via il pericolo usando tutti i mezzi necessari. L’invasione avviene tutta d’un colpo, da un giorno all’altro, e i “normali cittadini” non possono che adeguarsi. Scopriamo la provenienza dei rifugiati alle prime battute. In una fattoria immersa nei boschi uno dei protagonisti – uno dei rifugiati – chiede aiuto a una famiglia composta da madre, padre e figlia. Alla domanda “chi sei?”, risponde: “Io non sono l’unico, siamo dovuti scappare per sopravvivere. Veniamo dal futuro”.In un certo senso i migranti che arrivano oggi in Europa vengono dal futuro. Sono persone sulle quali si concentrano tutte le contraddizioni di un mondo che viaggia a velocità diverse. Sono vera, tangibile avvisaglia di un mondo globalizzato che è cambiato molto più velocemente e molto più in profondità di quanto non siano cambiate le istituzioni nazionali e internazionali che dovrebbero governarlo. E che si manifesta, per questo, in forme disordinate e imprevedibili.

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