mercoledì 2 settembre 2015

intervista a wim wenders su "il sale della terra"




La mia "Road Movie Trilogy", composta da Alice nelle cittàFalso movimento e Nel corso del tempo, risale a una quarantina di anni fa, e all'epoca il film era l'unico mezzo per realizzarle. Non esisteva neppure lo strumento del video, né per girarli né per distribuirli. Ma oggi è cambiato tutto, completamente.

Le sfide sono altre.
L'intero processo produttivo si è modificato. Il panorama è diverso, anche dal punto di vista degli stimoli visivi e ambientali. Il numero dei film che escono è aumentato più che mai. I video musicali, la pubblicità e le piattaforme Internet hanno trasformato regole e linguaggi.

Oggi un film come Il cielo sopra Berlino passerebbe inosservato, restando sugli schermi solo qualche settimana per poi essere sostituito in fretta da altro. Sia chiaro che non mi sto lamentando, anzi. Per me è stato un grande privilegio aver potuto lavorare come regista in un periodo tanto dinamico per l'arte, il linguaggio e l'organizzazione produttiva.
E' così entusiasmante quel che faccio! Durante la mia carriera ho potuto lavorare con attori e tecnici che avevano cominciato a essere operativi nell'era del cinema muto, e ora mi capita di lavorare con ragazzi che non hanno mai toccato una pellicola. Le possibilità si ampliano e gli strumenti progrediscono sempre più velocemente, sia nell'ambito della fiction sia in quello del documentario.

Buena Vista Social Club è stato il primo documentario musicale mai realizzato in digitale, e Pina è stato il primo documentario girato in 3D. Fino alla fine del mondo fu il primo film a usare il digitale-Hd, cioè una tecnologia che in pratica all'epoca non esisteva affatto, tanto che per realizzare le sequenze del sogno dovemmo trasferirci per tre mesi negli studi NHK di Tokyo, dove si trovava l'unico prototipo esistente al mondo capace di ottenere l'editing in alta definizione.

Oggi qualsiasi ragazzino di talento, munito di computer, potrebbe arrivare al medesimo risultato. Ma fummo noi, per primi, a intravedere lo sviluppo digitale delle immagini, e in fondo era proprio questo il tema del film: provare a indicare l'orientamento della nostra cultura visiva, tentare di capire dove ci stava portando.

Ecco perché mi emoziona molto sapere che La Repubblica ha scelto proprio Il sale della terra per inaugurare la sua "sala virtuale". C'è forse qualcosa di più interessante del mischiare il nuovo e il classico? E Sebastião Salgado, non è forse già diventato un classico? Salgado è il fotografo più perfezionista che io abbia mai conosciuto. Pochi, oggi, lavorano come lui. Tanti fotografi arrivano in un posto, scattano qualche foto e se ne vanno. Invece Sebastião s'immerge totalmente nelle situazioni che ritrae. Vi passa il suo tempo, vive insieme alle persone, stabilisce rapporti di amicizia, condivide le loro vite quanto più gli è possibile e in modo assolutamente empatico. Dedica il suo lavoro a queste persone e dà loro una voce.

Io credo che Sebastião, a tutti gli esseri umani che sono stati davanti alla sua macchina fotografica, abbia saputo restituire la dignità che spesso erano stati costretti a perdere a causa delle guerre, delle carestie e di tutte le atrocità di cui lo stesso Salgado è stato testimone. Mi tolgo il cappello di fronte a quest'uomo. Anzi, meglio: è il mio film a farlo.
(testo raccolto da Leonetta Bentivoglio)

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