giovedì 17 marzo 2016

Sembra che dietro i recenti fervori antiproibizionisti si celino le pressioni economiche della Monsanto. Anche la marijuana potrebbe diventare ogm?

l.m.: siamo contro gli OGM che non controlliamo (colossi come la Monsanto non lo permetterebero), nmon sappiamo quali effetti sul DNA produrrebbero cibi di qualsiasi specie  o piante di qualsiasi specie sempre sul  sul DNA . Le malattie epigenetiche ed autoimmuni stanno aumentando notevolmente ed ancora non sono stati messi apunto farmaci efficaci per le malattie epigenetiche. Quindi qualsiasi manipolazione del DNA con l'inserimento di geni che potrebbero rendere le piante a fattori ambientali possono contemporaneamente disturbare seriamente la riproduzione delle proteine codificate nel DNA entrando in interazione con gli mRMA o altri meccanismi di trasduzione genetica. La monsanto sembra voler mettere le mani anche sulla cannabis dal momento che sta per essere riconosciuta come farmaco. La vendita delle sementi ai produttori diventa ALLORA UN FATTORE DI RISCHIO DA CONTROLLARE E MONITORARE CON GLI OCCHI BENE BENE BENE APERTI!!Risultati immagini per ogm MORTALI
Sembra che dietro i recenti fervori antiproibizionisti si celino le pressioni economiche della Monsanto. Anche la marijuana potrebbe diventare ogm?
LEGALIZE IT – Il proibizionismo ha perso il suo fascino o almeno questo è ciò traspare dalle recenti politiche adottate da Uruguay e alcuni stati federali degli Usa. Dopo 100 anni di regali al narcotraffico mondiale a discapito dei comuni cittadini e dei malati che dalla cannabis avrebbero potuto trarre benefici, finalmente si è innescato un fenomeno inverso che vede nella legalizzazione della cannabis un’opportunità sul fronte sociale, medico e soprattutto economico. Grande merito si deve alle battaglie di José Alberto “Pepe” Mujica, presidente uruguaiano e persona illuminata, che nella marijuana ha intravisto una potenziale fonte di ricchezza per un Paese con scarsi livelli di welfare e quotidianamente flagellato dalle pressioni sociali del narcotraffico. Da allora molti altri Paesi hanno cominciato a chiedersi se fosse utile e profittevole legalizzare, e alcuni stati federali statunitensi hanno fatto da apripista per un tema oramai dibattuto globalmente.
L’entusiasmo generalizzato non basta però a giustificato questo improvviso e quantomaiinaspettato fervore antiproibizionista da parte di alcuni Paesi notoriamente contrari ad una sostanza che viene associata all’idea di “droga”. Alcuni elementi ci inducono a pensare che l’apertura mentale non solo sia dovuta ad opportunità di business, e questo è ovvio, ma che qualcuno si stia dando da fare per sfruttare la marijuana come fattore critico di successo nella propria area d’affari. Insomma, se “pensar male spesso ci si azzecca” non sembra così strano che dietro lo slogan “Legalize it” si celi la “mano invisibile” della Monsanto.
LA “MANO INVISIBILE” – Il vero business della marijuana non è, come molti ritengono, legato alla vendita dell’erba da fumare, ma alle possibili applicazioni farmaceutiche e allo sviluppo delle sementi. Entrambe le strade portano a St. Louis, città natale della Public Company più nota d’America. La Monsanto, a causa delle criticità che porta con sè essendo la principale produttrice mondiale di sementi transgeniche, non ha mai avuto vita facile nell’entrare in quei mercati emergenti di cui fa parte lo stesso Uruguay. La possibilità di nuovi sbocchi commerciali però gli è stata suggerita proprio dagli ostili sudamericani, che hanno commissionato ad alcune imprese locali la produzione di semi di cannabis e la successiva distribuzione nazionale. Occasione ghiotta per il gigante americano, se non fosse per la sua presenza sgradita.
Eppure si sa, ai giganti è permesso smuovere gli oceani e persino scardinare dogmi culturali di uno dei Paesi più bigotti e moralisti del pianeta, tanto più se tra i propri alleati, ma forse dovremmo dire shareholder, si annovera il famoso filantropo George Soros, ideatore di Open Society, una fondazione che si occupa tra le altre cose di contrastare il narcotraffico. «Lui ha influenza in alcune Ong importanti, ha collaborato e lo continuerà a fare in questo senso» disse Mujica in un’intervista alla BBC, confermando la partecipazione del filantropo nel progetto di legalizzazione intrapreso in Uruguay. Una coincidenza che non può certo intaccare l’inossidabile immagine del rispettabile Soros, ma che certamente, in tempi più maturi, potrebbe tornare utile per ripercorrere la scalata di Monsanto. Non sorprenderebbe che la multinazionale americana abbia esercitato, direttamente o indirettamente, graduali ma determinanti pressioni sui governi degli stati Usa.



MONSANTO WEED – Come affermato in precedenza, sarebbe un errore grossolano ricondurre il mercato della marijuana alla mera vendita di erba al dettaglio per il piacere dei fumatori. L’esperienza olandese in tal senso ci ha insegnato a comprendere come core business del segmento la tanto la produzione quanto la vendita dei semi. In aggiunta a questo, gli Usa offrono anche la possibilità di diversificare l’attività concentrandosi sulla ricerca medica. In Agosto l’Illinois è diventato il ventesimo stato federale a legalizzare la marijuana per uso medico, confermando un trend ormai decennale. Insomma, per quanto riduttivo, possiamo ricondurre la profittabilità del business della cannabis ai settori delle sementi e della ricerca genetica e biotecnologica. Niente di meglio per Monsanto, che sembra destinata a ricoprire il ruolo di società pioniera nello sviluppo di nuovi ceppi genetici per i test e la ricerca alla luce di quella che sarà una domanda sicuramente crescente negli anni a venire.
Inoltre, l’azienda di St. Louis può vantare uno sviluppo avanzato nella tecnologia denominata RNAi. Questo tipo di processo genetico permette di modificare lo sviluppo della pianta, dal colore al grado di thc in essa contenuto, fino a renderla indigesta per gli insetti che solitamente danneggiano i campi coltivati. Insomma, tutti i fattori critici che hanno decretato il successo di Monsanto nel settore agroalimentare possono applicarsi nella produzione della marijuana, medicinale o ricreativa che sia. Soltanto negli Usa si stima che i volumi di affari possano superare il miliardo e mezzo di dollari annuali: un’occasione irrinunciabile per qualsiasi impresa operi nel menzionato settore. Per ora Monsanto non ha esplicitamente dichiarato di voler entrare nel business, ma in molti, noi compresi, credono che la marijuana ogm abbia tutte le credenziali economiche per sbarcare il lunario nel mercato americano. Chissà cosa ne penseranno i fumatori, illusi dalla legalizzazioni, per veder passare il monopolio dal narcotraffico ad una multinazionale dei prodotti transgenici. Non tutti i fenomeni che appaiono spontanei lo sono davvero…

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