martedì 17 settembre 2013

reading key : mc luhan : medium = nostra visione del mondo : oggi globalizzazione


In una cultura come la nostra, abituata a frazionare ogni cosa al fine di controllarla, è talvolta un po' urtante sentirsi ricordare che, dal punto di vista operativo e pratico, il medium è il messaggio. Questo significa, semplicemente, che le conseguenze individuali e sociali di ogni medium cioè di ogni estensione di noi stessi derivano dalle nuove proporzioni introdotte nella nostra situazione personale da ognuna di tali estensioni o da ogni nuova tecnologia.

Il messaggio di un medium o di una tecnologia - sostiene McLuhan - è il mutamento di proporzioni, di ritmi e di schemi che introduce nei rapporti umani, mentre i suoi contenuti o utilizzazioni possono essere diversi, ma non hanno influenza sulle forme di associazione umana.

Chi pensa che gli strumenti in sé non sono né buoni né cattivi, e che la loro bontà dipende dall'uso che se ne fa, non tiene conto della natura del medium, e sembra davvero esprimere il narcisismo di chi è ipnotizzato dal suo proprio essere, amputato ed estensivamente assunto in una nuova forma tecnica.
 

La "tecnica" è il nostro rapporto col mondo

Dal momento che il nostro mondo è formato dalle tecniche, gli inconsapevoli, che le considerano come meri strumenti, sono dominati da queste, nella loro percezione del mondo: ogni medium ha il potere di imporre agli incauti i propri presupposti.
Solo un artista autentico - dice McLuhan - può essere in grado di fronteggiare impunemente la tecnologia, proprio perché è un esperto consapevole dei mutamenti che intervengono nella percezione sensoriale. 


Le nuove idee di McLuhan sono simili alle vecchie idee di Platone

Anche Platone sa di vivere una rivoluzione mediatica e riflette sulla techne, intendendola in senso ampio, come consapevole rapporto col mondo. Anch'egli si rende conto del carattere artificioso di una visione settoriale della "tecnica" e si interroga - da filosofo, da artista, da tecnico - sul senso complessivo di ciò che siamo e di ciò che facciamo di noi, con le nostre parole e con le nostre arti. Quando Socrate critica la poesia, nel II libro della Repubblica, compie questa interessante precisazione: 

...invece le favole di Hera messa in catene dal figlio, di Efesto fatto precipitare dal padre mentre accorreva a difendere la madre percossa, e di tutte le battaglie divine riportate da Omero, non si devono ammettere nella città, abbiano o no queste invenzioni un significato nascosto. [378d]

L'interpretazione dei poeti in base al criterio del significato più profondo e nascosto, o hyponoia, era stata inaugurata da Teagene di Reggio(VI secolo), e comportava una distinzione fra forma e contenuto, fra significato ed effetto di una espressione, fra messaggio e mezzo. Omero non va preso alla lettera, ma va interpretato allegoricamente: le lotte fra gli dei rappresentano semplicemente le "lotte" fra gli elementi naturali.
Di contro, il Socrate della Repubblica, come notano anche F. de Luise e G. Farinetti (Hyponoia. L'ombra di Antistene, in Platone, La Repubblica, Napoli, Bibliopolis, 1998, vol II, pp. 393-402) considera la poesia nei suoi effetti comunicativi e per questo ritiene inaccettabile ogni tentativo di restauro ermeneutico. L'interpretazione allegorica presuppone un distacco erudito dal canto poetico e non considera il suo  carattere "mediatico" di performance basata sulla passività e sull'ìmmedesimazione degli ascoltatori. Le modalità di comunicazione tipiche del medium rendono il messaggio intrinsecamente sospetto.
 

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