sabato 27 febbraio 2010

Michel Rogers ed i Millenials , cioe' gli onnivori opportunisti acritici insaziabili di internet


il futurologo , assunto dal New York Times definisce i Millenials (intervista pubblicata su Donna di La Repubblica di un anno fa')
......:molti "colleghi" amano parlare di cosa succederà nel 2050. Per me quella è pura fantascienza. Qui al Times lavoro su tendenze che potrebbero diventare reali tra 18 mesi e 5 anni. Nelle nostre riunioni, avere un "futurista" nella stanza aiuta a usare l'immaginazione in modo più libero, senza la pressione dì dover fare soldi la prossima settimana». In che cosa consiste il suo lavoro nel dipartimento Ricerca e Sviluppo del New York TJmes? «A differenza del dipartimento Ricerca e Sviluppo di aziende informatiche o farmaceutiche, le nostre indagini hanno una ricaduta pratica più immediata. Il team è composto da una decina di ingegneri elettronici, cosa inusuale in un società di comunicazione. Vengono dal Mit e da Walt Disney e uniscono immaginazione e competenze tecnologiche, lo scrivo proposte e relazioni sulle tendenze del mercato e insieme creiamo prototipi di come il New York Times potrebbe essere da qui a poco. L'unità commerciale decide se i progetti faranno soldi o no». Come sarà il Timemes tra 5 anni? «L'accesso alle notizie sarà molto più interattivo e basato sul video. Uno dei progetti a cui lavoriamo è l'utilizzo dei codici a barre, una tecnologia piuttosto comune in Giappone che il quotidiano tedesco Die Welt sta sperimentando con Welt Kompakt, il tabloid dedicato ai giovanissimi. Accanto agli articoli c'è un codice, il cellulare lo legge e si connette a pagine web con più informazioni online sullo stesso tema. Un'altra ricerca riguarda lo schermo gigante che fra tre o quattro anni occuperà il salotto degli americani. Sullo schermo ci saranno finestre, basterà clìccarci sopra col telecomando per accedere a un'intervista o a uno slide show del Times. Potrò cominciare a leggere un articolo sul grande schermo la mattina, uscire e continuare l'esperienza in auto grazie a un sintetizzatore vocale che legge la stessa notizia arrivata sul cellulare. Abbiamo lanciato ShifD, un'applicazione che permette di salvare i contenuti del giornale e condividerli su pc e cellulari. Immaginiamo media che seguono gli utenti ovunque, sanno dove sono e che cosa vogliono. Molta gente continuerà a guardare la tv in modo passivo, ma la generazione giovane, i cosiddetti Millennials. sarà pronta a una fruizione diversa». Chi sono i Millennials? «Sono consumatori di informazioni onnivori e opportunisti. Usano tutti i media e spesso più d'uno insieme. I baby boo-mers ascoltavano le notizie sorseggiando il caffè la mattina o un cocktail la sera. I Mìllennials non hanno comportamenti di consumo consolidati e vivono in uno stato di attenzione parziale continuata. Sono la generazione cablata, quelli perennemente connessi a Facebook e MySpace, ma consumano le news solo quando invadono il loro mondo. Dieci giorni dopo il massacro di Virginia Tech, un evento dall'impatto enorme sui giovani americani, abbiamo fatto una ricerca sul come avevano appreso e seguito la notizia. Mi ha sorpreso scoprire che l'hanno saputo dopo i genitori, che tengono le notizie sotto occhio. Al contrario di quanto suggerito da molti, i social network non sono stati una fonte primaria di aggiornamento. «Questo dimostra che la nostra strategia è corretta: per avere l'attenzione dei Millennials i titoli del Times devono apparire ovunque, sul cellulare, su Facebook e sullo schermo a casa». Questo scenario ha dei risvolti inquietanti. Saremo tutti sotto controllo come Tom Cruise in Minority Report?«Oggi i Millennials che si mettono a nudo sui social network sono meno preoccupati di difendere la propria privacy. Ne fanno a meno perché hanno qualcosa in cambio. Un giorno non lontano gli utenti del New York Times dotati di Gps potranno camminare per la città e richiedere al nostro sistema informazioni sugli edifìci più interessanti tratte da centinaia di articoli scritti da un giornalista specializzato nella storia e nell'architettura newyorchese. Ovviamente prima dovranno darci il permesso di localizzarli».Con l'esplosione della blogosfera è fiorito il fenomeno del citì-zen journalism. In che modo influenzerà i giornali? «La partecipazione del pubblico sarà più rilevante. Al momento però è molto costoso avere giornalisti che leggono i contributi dei lettori. Per questo stiamo cercando modi di automatizzare la relazione con l'audience. Oggi esìstono software che cestinano commentì volgari, noi siamo interessati al prossimo livello: un programma che scansioni mille messaggi, ne selezioni 40 interessanti e li passi al giornalista che decide quali mettere in pagina». Secondo lo studioso Philip Meyer negli Stati Uniti l'ultimo quotidiano cartaceo sarà stampato nel 2043. È d'accordo? «Dopo 20 anni spesi a capire come rimpiazzare la carta, ho imparato ad averne grande rispetto. Il giornale tradizionale è trasportabile, non ha bisogno di elettricità e permette di riprodurre immagini di qualità straordinaria. Un filone di ricerca interessante riguarda l'E-Ink, la carta elettronica, cioè schermì sottìlissimì e arrotolabìli. Ma oggi questa tecnologia è in bianco e nero e non supporta i video. Forse tra dieci anni soddisferà il bisogno di colori del pubblico e degli inserzionisti. Non c'è dubbio che magazìne e quotidiani, TJmes compreso, dovranno cambiare. Il sito diventerà il prodotto centrale, il giornale su carta sarà uno spin-off. Ma è importante ricordare che mentre in Europa e negli Usa la stampa è in declino, nel resto del mondo è un business che genera profitti considerevoli». A proposito di business: si parla molto di "freeconomics", l'economia della gratuità. Anche il Times è diventato completamente accessibile senza abbonamento. Che cosa riserva il futuro per l'industria editoriale? «Jeff Zacker, influente dirigente della Nbc, ha detto che nell'era digitale il mercato tv sta scambiando dollari per centesimi. Lo stesso vale per i giornali. Abbiamo un nuovo pubblico ma non paga come prima. Il profitto è la grande sfida. Nessuno ha rinunciato a vendere, ora ciò che conta è sviluppare nuovi prodotti elettronici. In America la tv era gratuita, poi negli anni Ottanta Hbo la lanciato il modello pay-per-view. Sembrava ridicolo, ora è un giro d'affari miliardario. L'altra sfida è superare il di-gital-divide. Nel 1946, l'anno del debutto della tv negli Usa, i sociologi parlavano di medium elìtario. Due anni dopo nelle case degli americani c'erano più televisori che bagni funzionanti. I guai della Silicon Valley chiamano i poveri "il secondo miliardo", sono un nuovo mercato. Per raggiungerli servono tecnologie a basso costo».

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