lunedì 17 maggio 2010

il familismo italiano ( familismo amorale ?) ci aiuta a capire?

da  Venerdi' di Repubblica  di CARO SERRA, rubbrica domande/risposte
Domanda :i recenti scandali emersi a proposito della gestione clientelare della Protezione Civile hanno fatto emergere una realtà ben dura a morire: la connotazione familistica della società italiana. Da quando, negli anni Cinquanta del Novecento, Edward Banfield coniò per primo il termine «familismo amorale» per descrivere la realtà sociale meridionale, i comportamenti degli italiani sono cambiati ben poco. D'accordo con Paul Ginsborg, si può dire che «la famiglia è un grande attore politico rimasto troppo a lungo nascosto dalla storia». La sinistra italiana su ciò ha una responsabilità. Per decenni E familismo è stato sia negato a livello accademico che non assunto come un problema politico da affrontare e risolvere, fl risultato è stato che i comportamenti cliente-lari e familistici di molti dirigenti politici della sinistra sono stati troppo tollerati fino a rendere difficile distinguere la sinistra dalla destra. A mio parere è uno dei principali motivi della crisi della sinistra italiana.
Franco Palella Pagani

C ARO Palella, sono molto d'accordo. La società e l'individuo (cardini, rispettivamente, delle grandi culture politiche moderne, quella socialista e quella liberale) non godono di buona salute. Il mattone della società italiana è la famiglia, che nella migliore delle ipotesi è la prima cellula della socialità, nella peggiore ne è la parodia mafiosa. Ed è la seconda ipotesi, quella infausta, che mi pare largamente verificabile, specie nel Meridione. Mi sembra sia stato Fiatano (e chi, se no) a dire che l'Italia è il solo Paese moderno nel quale la parola «cognato» sia moneta corrente. L'Istat ci ha informato di quanto esorbitante sia,
nella condizione sociale e di censo degli italiani, O peso dell'appartenenza familiare.
Ma non direi che nel dibattito politico questo elemento di conservazione, e stagnazione, abbia rilievo: ed è proprio la sinistra che dovrebbe occuparsene, perché se i suoi obiettivi sono una maggiore uguaglianza delle possibilità individuali, e una minore inerzia delle posizioni di rendita, allora il familismo dovrebbe essere il primo dei suoi bersagli. Il fortissimo peso della Chiesa cattolica nel nostro Paese non aiuta. Famiglia, per ragioni politiche e non certo spirituali, è diventata quasi una parola sacra. Molte delle spinte e dei fermenti che tendono a liberare l'individuo dalle sue molteplici soggezioni, e a creare una società più dinamica cozzano contro questo totem. Non è mai inutile ricordare che l'attenuante del delitto d'onore è stata cancellata dal nostro codice pochissimi anni fe. Che ancora più recente è la ridefinizione dello stupro come reato contro la persona e non come reato contro la morale. Che siamo stati tra gli ultimi Paesi europei a legalizzare il divorzio. Il familismo non è solo un vizio della socialità. È anche un'incrostazione culturale resistente. E una sinistra che pensa di allearsi con Casini, inseguendo l'eterno sogno di «conquistare il centro» perdendo se stessa, non mi sembra che possa mettere fai agenda una rivoluzione socialista e liberale. Non sa quanto.

Edward C. Banfield – Le basi morali di una società arretrata – , Il mulino, Bologna 2008 (ristampa ed. 2006) , clicca

Ritorna in libreria, con una nuova prefazione di Arnaldo Bagnasco, dopo oltre un trentennio dalla sua seconda edizione italiana del 1976, il libro di Edward C. Banfield.
Nella metà degli anni '50 del secolo scorso, il sociologo americano Edward C. Banfield raggiunse un paese del nostro Mezzogiorno e vi si installò con la moglie e la prole per un periodo di nove mesi. Il paese era Chiaromonte (PZ) e divenne Montegrano nella 'finzione sociologica'. Banfield fece molte domande in giro, somministrò questionari, redasse la sua ricerca… insomma ci studiò come se fossimo una tribù di irochesi!
Bardato degli strumenti tipici delle indagini “sul campo” della sociologia (questionari, test, tabelle ecc) ma in effetti con la mente presa dalle idee "chiare e distinte" del Tocqueville della Democrazia in America, Banfield compara inizialmente Montegrano a St. George (Utah, USA). Nota che a St. George c'è tutto un pullulare di attività associazionistiche che perseguono scopi che vanno al di là dell'interesse materiale ed immediato del proprio nucleo familiare: nuove adesioni per la Croce Rossa, raccolta di fondi curata da un'associazione tra professionisti e dirigenti per costruire una nuova camerata della locale scuola media, raccolta di iscrizioni per la difesa antiarea in caso di attacco straniero... Un'industria locale regala i volumi di un'enciclopedia alla scuola, la camera di commercio promuove un pubblico dibattito per collegare con una strada i paesi circonvicini, l'Associazione Genitori ed Insegnanti si rivolge alla cittadinanza con un manifesto egoriferito che dice: «Come cittadino responsabile della nostra comunità, tu appartieni all'Associazione!», che ricorda un po' i manifesti di reclutamento dei soldati americani, dove appariva uno zio Sam che con l'indice proteso si rivolgeva al cittadino medio chiedendogli cosa intendesse fare lui per l'America. Insomma i comportamenti degli individui e delle associazioni a St. George sono per lo più community oriented.
E a "Montegrano"? Niente di tutto ciò. L'orfanotrofio e il convento sono cadenti, i contadini non sono disposti a cedere nemmeno una giornata lavorativa per ripararli, tutto ciò che è pubblico è alla malora e nessuno è disposto a sacrificare una briciola del proprio tempo e delle proprie risorse se non ha in vista un ritorno personale. Insomma a Montegrano tutti i comportamenti degli individui sono family oriented.
Perché, si chiede Banfield? Per delle ragioni mentali-culturali, è la risposta, a Montegrano si riscontra un'assenza di quella particolare forma di socialità detta civcness, "senso civico", che è il nerbo della democrazia. Tale senso civico altro non è che lo spirito associativo (da Tocqueville considerato alla base della democrazia in America) di chi mette a disposizione il proprio tempo, le proprie specifiche attitudini e talvolta il proprio denaro in una organizzazione che persegue finalità che non ricadono nell'interesse immediato e diretto del singolo ma della collettività. Orbene, non sono i fattori strutturali, quali la miseria, l'ignoranza o la patologica diffidenza verso lo Stato che possono spiegare il comportamento dei montegranesi. «Ognuna di queste teorie contiene elementi di verità, ma nessuna basta da sola a spiegare i fatti che debbono venir presi in esame».I Montegranesi agiscono così perché la loro base morale è il contrario del senso civico, essa si fonda cioè sul "familismo amorale", ovvero la regola: «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo».Questa incapacità di associarsi (di uscire dal guscio del proprio nucleo familiare o della propria consorteria) è fattore di arretratezza economica e ostacolo al progresso politico. Per Banfield : «Non si può attuare un sistema economico moderno se non si sa curare e mantenere in vita un’organizzazione professionale; in altri termini, più elevato è il livello di vita che ci si propone di raggiungere, tanto più risulterà indispensabile l’organizzazione. L’incapacità di organizzarsi costituisce ugualmente un ostacolo al progresso politico: infatti proprio dalla possibilità di coordinare, in relazione ai problemi di interesse pubblico, le linee di condotta di un gran numero di persone dipende, tra l’altro, l’attuazione di forme di autogoverno. In breve, i medesimi elementi che concorrono alla formazione di un’associazione ai fini economici, concorrono altresì alla formazione di associazioni di carattere politico».Questa incapacità di fondo di sapersi associare ed evolvere verso forme più alte di economia e democrazia deriva per Banfield da un ethos, quello del familismo amorale appunto – e qui si colloca il nucleo segreto della sua ipotesi di tipo culturalista, ossia sovrastrutturale, mentale/culturale–, ethos che egli definisce con William Graham Sumner (Folkways. A study of mores, manners, customs and morals) come «l’insieme delle usanze, delle idee, dei termini di giudizio e di comportamento comuni che individuano e differenziano un gruppo da altri gruppi». È noto che il dibattito che ne seguì si incentrò proprio sulla contrapposizione dell’elemento culturale/sovrastrutturale versus quello economico/strutturale (insomma Weber versus Marx) e soprattutto nell’accento posto dai critici di Banfiled sulla convinzione che bastasse far avanzare la struttura economica per rendere inoffensivo il familismo amorale. A questa ipotesi Banfield contrappose il suo pessimismo già nel proprio libro. Anche qualora cambiassero le condizioni economiche è ben difficile che cambi qualcosa a Montegrano. Occorre innanzi tutto un mutamento di mentalità (el repulimiento de las cabezas direbbe Ortega y Gasset) e tutto ciò potrebbe giungere come prodotto sussidiario di una missione protestante! Banfield segnala, con una punta di perfidia, successi in tal senso in Brasile. Insomma la sua tesi è totalmente inscritta nell’esperienza economico-culturale dell’angloprotestantesimo. Non possiamo addentrarci nelle spire di tale dibattito. Possiamo solo ricordare che in Italia le idee di fondo di Banfield sono state riprese in qualche modo dall’antropologo Carlo Tullio-Altan, e avranno una singolare incidenza nello studio di Robert Putnam Making democracy work (La tradizione civica nelle regioni italiane) dove il rendimento delle istituzioni democratiche (in questo caso le nostre Regioni) è sottoposto alla capacità “culturale” pregressa (risalente addirittura all’esperienza dei Comuni) di sapersi associare. Da ciò il maggior rendimento delle Regioni del Nord rispetto a quelle del Sud.
Alfio Squillaci
La tradizione civica nelle regioni italiane, Robert D. Putnam Ordina da iBS Italia

Il titolo originale del libro di R.Putnam è Making Democracy Work e, nel suo nucleo più profondo, è uno studio sul "rendimento delle istituzioni", ovvero su quelle basi "strutturali" nonostante la loro essenza immateriale, le Istituzioni appunto (in questo caso le Regioni italiane), in cui si invera una democrazia. Nel discorso di Putnam le Istituzioni funzionano, "rendono", se si radicano su un humus "culturale" fecondo - e qui si rintraccia il raccordo sotterraneo con le tesi di Banfield - , su una moral basis consentantea e favorevole a quelle istituzioni medesime. Da qui il maggior rendimento dell'Istituzione-Regione al Nord Italia - dove gli orientamenti collettivi alla cosa pubblica, fin dal lontano Medio Evo, sono di tipo orizzontale-collettivo-cooperativo-inclusivo, rispetto al Sud dove le mentalità determinano invece comportamenti di tipo verticale-individuale-concorrenziale-esclusivo. In altre parole al Nord, secondo Putnam, il comportamento dei cittadini è community oriented e favorisce il funzionamento delle Istituzioni in quanto - e qui sia Putnam che Banfield seguono le indicazioni di Tocqueville - favoriscono l'associazionismo, ossia la molecola originaria di ogni democrazia, il luogo "mentale" prima che istituzionale in cui i cittadini, spontaneamente sviluppano il massimo dei comportamenti community oriented. Più associazioni ci sono in un territorio, più i cittadini sono disposti a "perdere" il loro tempo per scopi collettivi, più funzionano, "rendono" le Istituzioni - che sono le associazioni pubbliche per antonomasia - più in ultima istanza funziona la democrazia. Il contrario vale per le società rette dal familismo amorale, e per questo definibili "arretrate", perché si basano su fondamenti culturali che sviluppano comportamenti incapaci di sorreggere e far funzionare istituti democratici, più evoluti rispetto a quelli di una comunità che non riesce a farsi società...........

orso castano : i due testi , ormai considerati classici forse ci possono aiutare a capire quanto sta accadendo nel nostro paese. Se a queste spinte familistiche aggiungiamo una sedmpre piu' diffusa depolicitizzazione (come deacculturazione ed incapacita' di formulare una critica  "politico/idealistico )  ed una tendenza ad una sorta di narcisimo diffuso e consumistico (ce ne occuperemo) essendosi esteso ormai il pregiudizio che le "ideologie"  e le "utopie" sono come la peste e vanno fuggite.

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