venerdì 28 febbraio 2014

le banche : idrovore........fino a produrre "la grande bellezza" , di Paolo Sorrentino

La grande bellezza
di Francesca d'Ettorre
............Jep Gambardella (Toni Servillo) fuma più sigarette di Humphrey Bogart ed è uno scrittore; 40 anni prima ha vinto il premio "Bancarella" col suo romanzo "L'apparato umano", poi il vuoto, annacquato di feste esclusive e trenini che non portano da nessuna parte. Lo seguiamo, siamo parte del rumore e del silenzio, della bellezza della città eterna e della bruttura delle bestie che la popolano, del coacervo babelico di culture che si incrociano e si schivano, di Roma santa e Roma grande meretrice.

Roma. Dopo Cristo, dopo Fellini, attraverso Sorrentino.

È stato detto da tutti, da chi ha visto il film e prima ancora di vederlo. Non si parla de "La grande bellezza" senza pronunciare, convinti, il nome del Maestro, Federico Fellini. Il regista l'ha negato, con un moto di (ir)riverenza. È impossibile, però, non pensarci. È come se quell'umanità che il cineasta di Rimini aveva messo in scena, lieve e annichilita al contempo, stordita dal boom che aveva amplificato lo spettro del possibile e del meschino, si guardasse allo specchio, 53 anni più tardi. Alla fine di ogni speranza. L'essere e il nulla.
Roma. Aristocratica e stracciona.
Un carnevale di annoiati, vitelloni, peracottari ripuliti, snob e radical chic. Nobili a noleggio e celebritiesal viale del tramonto. Corpi plastificati di vanità botuliniche. Feste per il divorzio e funerali che sono una recita. Pettegolezzo e chiacchiericcio. Virtù civili al soldo di menti incartapecorite che si reinventano sui salotti di terrazze scoliane. E poi le feste; kitsch come quelle lurhmanniane e girate con la bravura che si confà a Sorrentino, sono un respiro di sublime: la carrellata all'indietro su mueve la colita è il raccordo di bello e terribile. Carlo Verdone è Romano, interprete di un ruolo in cui non siamo abituati a vederlo, ma al quale conferisce dignitosa umiltà; Sabrina Ferilli è Ramona, una spogliarellista oltre tempo massimo, coatta e fragile. "Far l'amore", remix del successo di Raffaella Carrà firmato Bob Sinclair, si giustappone all'aura solenne e mistica del "Dies Irae" di Preisner a incorniciare la sacralità di Roma e dei suoi palazzi, degli istituti religiosidella Grazia (anche Sorrentino ha la sua Valeria Ciangottini), dell'arte magnificente, che incrocia i suoi untori; quella fauna fatta di attori che recita la vita perché Cinecittà è ormai un retaggio del passato, la Roma cafona e putrida, quella che dà la gloria e ammassa nel dimenticatoio corpi di soubrette in disfacimento senile che abdicano la felicità per un bisturi, quella che vive di notte e di giorno dorme per non confondersi con la realtà................

Nessun commento: