giovedì 24 aprile 2014

read key : complessita': “Una danza di parti interagenti” Gregory Bateson,

orso castano : la "mente  cibernetica " spiega , attraverso una visione sistemica complessiva , le caratteristiche generali del sistema ma non spiega le intenzionalita' delle parti del sistema (sopratutto di quelli umani) , non spiega , attraverso la ricomposizione delle intenzionalita' delle parti, l'autopoiesi , il senso e la direzione della crescita autopoietica del sistema. Focalizzare l'attenzione su ciascuna delle componenti del sistema non significa comnque negare l'importanza dell'ottica sistemica, ma significa solo descriverne la sua complessita' per meglio comprendere il senso e la direzione della sua crescita e del suo movimento.

Dipartimento di Scienze dell'Educazione 
Alma Mater Studiorum Università di Bologna 
di Silvia Demozzi 
Per comprendere l'accezione di “sistema vivente” in Gregory Bateson, è necessario
scavare fino alle radici epistemologiche che sostengono l'intero suo apparato di
pensiero, ovvero fino alla biologia. Per Bateson, infatti, la lettura attraverso le lenti della
biologia sarebbe l'unica in grado di parlare con e del mondo vivente: la scienza naturale
diviene una sorta di meta-scienza con cui è possibile non solo studiare gli organismi in
sé, bensì anche le loro “aggregazioni” capaci di conoscere, pensare e decidere. Queste
“aggregazioni” in grado di apprendere nella relazione con l'ambiente sono – assieme
all'ambiente stesso – ciò che per Bateson può essere considerato un sistema vivente: il
mondo dell'evoluzione, il pensiero, l'adattamento...
Ma facciamo qualche passo indietro. Alla fine del '700, Jean-Baptiste Lamarck (1809) ......
invece, era convinto che tutti gli esseri viventi potessero subire dei cambiamenti a seguito della
pressione dell'ambiente circostante (e tale cambiamento, di conseguenza, era la prova di
un processo di evoluzione). Ma come era possibile, secondo questa nuova ottica,
intendere la “mente” che fino ad allora era regina incontrastata del suo operare?
Lamarck per questo venne irrimediabilmente contrastato e, negli anni successivi, nuove
e più fortunate teorie evoluzionistiche si affermarono (Darwin, 1859), le quali, ancora
una volta, escludevano al loro interno qualsiasi analisi dei principi esplicativi della
“mente”. Si dovettero aspettare gli anni di Bateson (metà '900) e, in particolare, la
diffusione di teorie quali quelle sistemiche, dell'informazione e della cibernetica (N.
Wiener, 1948), per tornare a porre al centro della riflessione una domanda ben precisa:
“Cos'è una mente?”. Per i cibernetici, infatti, “l'errore” di Darwin era stato quello di
identificare – nel contesto della selezione naturale - “l'unità di sopravvivenza” nel
singolo individuo riproduttore, nella singola famiglia, nella sottospecie o, al più,
nell'insieme omogeneo di individui di una stessa specie. Tuttavia, se un insieme di
individui/organismi agisce “avendo di mira” solamente la propria sopravvivenza, il suo
“progresso” finisce inevitabilmente per distruggere anche il suo ambiente (Bateson,
1972, tr. it. 1977, pag. 491). L'unità minima di sopravvivenza non può essere
individuata, quindi, nel singolo individuo riproduttore o nella singola famiglia: questo
perché ciascuna unità evolutiva non è geneticamente omogenea e si caratterizza,
piuttosto, di una struttura alquanto flessibile, pronta a rispondere al cambiamento
esterno. Così come flessibile, di fatto, è l'ambiente che la circonda.
Nei termini batesoniani, esso si sarebbe dovuto configurare come
(Bateson, 1972, tr. it. 1977, pag. 491):
organismo flessibile + ambiente flessibile
=
“complesso flessibile organismo-nel-suo-ambiente”.........
Questa “flessibilità” che costituisce, di fatto, il dialogo
incessante che avviene all'interno di questo “complesso” - un dialogo che si configura
per Bateson come una “danza creatrice”............ ”. Scrive Bateson che “l'ecologia della mente è
questa nuova forma di definizione in cui ogni organismo produce se stesso in un
riconoscimento auto-riflessivo; tale riconoscimento si intreccia con il contesto di vita
dell'organismo in una continua spirale costruttiva, una “danza di parti interagenti”
(1972, tr. it. 1997, pag.89). Da qui, necessariamente, nasce e prende avvio l'assunto per
cui ogni sistema vivente è un sistema mentale (e viceversa). Per Gregory Bateson,
infatti, è impensabile perdurare nel dualismo culturalmente consolidato per cui il
“mondo fisico” - esterno – è un qualcosa di separato dal “mondo mentale” - interno. Le
due entità, per il nostro pensatore, sono interconnesse, ciò che differisce, piuttosto,
è il modo in cui vengono trasmesse le informazioni al loro interno. Il mondo fisico è il
territorio (e per questo descrivibile con un linguaggio “cosale”), mentre il mondo
mentale sono le mappe, descrivibili solo e soltanto con il linguaggio dell'interpretazione.
In altre parole, quindi, non si tratta di mondi diversi, bensì di diversi linguaggi per
descrivere uno stesso mondo (da qui, l'elogio batesoniano della “doppia descrizione”).
Purtroppo, ci dice Bateson, il linguaggio della descrizione resta comunque sempre
gerarchico e non permette di “trasferire” quelle flessibilità ed eterogeneità che
effettivamente esistono nell'unità “organismo-nel-suo-ambiente”......una
mente (o un “sistema mentale”) è costituita da diversi “canali di informazione”, molti
dei quali, di fatto, si trovano ben al di fuori dei limiti demarcati dall'epidermide di un
individuo.Ma in che senso per Bateson un sistema mentale è anche “fuori” da noi?
La risposta, forse, si può trovare in uno degli esempi batesoniani più famosi 
(Bateson, 1972, tr. it.1977, pag. 499): si consideri un uomo che sta tagliando un albero; 
l'ascia che l'uomo maneggia fende dapprima l'aria e, una volta raggiunto il tronco, produce 
certi tipi ditacche in un preesistente taglio nel fianco dell'albero. Se vogliamo spiegare questo
fenomeno, per Bateson, non possiamo limitarci a dire “che un uomo sta tagliando un
albero”, bensì dobbiamo prendere in considerazione una serie di differenze: nel fianco
intaccato dell'albero, nella retina dell'uomo, nel comportamento dei suoi muscoli, ecc.
Dobbiamo, in altre parole, prendere in considerazione un “circuito” che Gregory
Bateson definisce “l'unità mentale più semplice” e, nello specifico dell'esempio, un
“sistema mentale uomo-ascia-albero”. Tale definizione è ripresa direttamente dal
linguaggio cibernetico e fa riferimento ai messaggi (le differenze) che viaggiano nel
circuito (uomo-ascia-albero): l'unità minima che costituisce il circuito mentale è
rappresentata dall'organismo-nel-suo-ambiente. La mente individuale è, quindi,
immanente alla struttura evolutiva totale (corpo delimitato dall'epidermide e ambiente
esterno). “La spiegazione dei fenomeni mentali deve sempre trovarsi nell'organizzazione
e nell'interazione di parti multiple” (Bateson, 1979, tr. it 1984, pag. 126): Bateson non
ci dice, quindi, cosa sia una mente, ma piuttosto cerca di spiegarci come essa funzioni.
La significativa differenza tra il cosa e il come attraversa l'intera epistemologia di Beatson......
.i sistemi viventi - sono un sistema cibernetico,ovvero un sistema che elabora l'informa
zione e completa il procedimento per “tentativi ed errori” (uomo che taglia un albero con
un'ascia e cieco che cammina col suo bastone). É solamente all'interno di questo sistema
globale e complesso – incerto ed imprevedibile – che, per Bateson, possiamo identificare
una gerarchia di sotto-sistemi cui dare il nome di “menti individuali”............Ogni gradino
della gerarchia – che sia il DNA nella cellula o la cellula nel corpo o il corpo nell'ambiente –
deve essere pensato come un sistema e non come una parte espunta dal tutto e in
opposizione alle altre parti. Ponendo in parallelo i due processi che costituiscono il
pensiero e l'evoluzione biologica e sottolineandone le omologie, Gregory Bateson
stabilisce quella “sacra unità” (sacra perché necessaria) tra mente e natura, in cui non
esiste una mente separata dal corpo, né un dio separato dalla sua creazione. …......Riuscire a collocare, infatti, ciò che chiamiamo “mente” all'interno dell'ecosistema, significa considerare
che questa stessa mente è immanente all struttura evolutiva totale. Significa, per esempio,
cominciare a parlare di sistemi e di circuiti che vanno oltre a quanto contenuto nell'epidermide
di un singolo individuo: ciò che è contenuto nell'epidermide, infatti, prima o poi muore. E
cosa resta allora? Per esempio, ci dice Bateson, restano le idee; sotto forma di libri o di
opere d'arte. Non si tratta più, quindi, di considerare una mente implosa verso l'interno
(tanto cara a Freud e alla psicoanalisi), bensì un concetto che si dilata verso l'esterno,
riducendo l'ambito dell'“io conscio” e, con esso, la sua onnipotenza..........l'arte È in grado,
infine, di creare insieme alle creature: non fuori di esse, non per mezzo di esse, bensì
con esse. Proprio come insieme co-creano organismo e ambiente, mente e natura, forma
e sostanza.
Ciò che manca alla società odierna, secondo Bateson, è il senso profondo –
quasi religioso - della connessione, del legame con il mondo naturale e gli altri esseri
viventi. Bateson ci suggerisce di portare il “nostro ritmo” a quello del sistema vivente
più complesso in cui siamo inseriti e di considerare sempre “il tutto”, “la struttura che
connette” dove unità e bellezza coincidono.........Bateson discute con la figlia di un
sapere che esiste solo come un tutto intrecciato insieme, come una combinazione di
pensieri (1972, tr. it. 1977, pag.52). Scrive Bateson: “una volta conoscevo un ragazzino
in Inghilterra che chiese a suo padre: ''I padri sanno sempre più cose dei figli?'' e il
padre rispose: ''Sì''. Poi il ragazzino chiese: ''Papà chi ha inventato la macchina a
vapore?'' e il padre: ''James Watt''. E allora il figlio gli ribatté: ''Ma perché non l’ha
inventata il padre di James Watt?''”. Con questo dialogo inventato Bateson ribadisce
l'intreccio indissolubile tra parti di un sapere che, spesso (come nel caso delle scoperte,
delle invenzioni, delle innovazioni...), non appartiene ad un singolo né le sue parti
possono sussistere di esistenza propria, scollegata da quella delle altre parti, poiché è
proprio questa stessa interdipendenza (cui ci si può alfabetizzare, ad esempio, attraverso
l'approccio sistemico) che conferisce a ciascuna una significatività. “Ogni conoscenza
istituisce uno spazio peculiare, con regole e possibilità; ogni conoscenza configura un
campo d'azione, ricostruendo lo sfondo e le condizioni che l'hanno prodotta, resa
possibile e visibile. Ogni conoscenza, pertanto, è prodotta e produce una dinamica
ecologica fra se stessa e il “mondo” che configura” (D'Agnese, 2007, pag.15).
Un ulteriore suggerimento che possiamo trarre dalla concezione batesoniana sui sistemi
viventi riguarda, sempre restando nel campo della conoscenza, l'invito a spogliarsi dello
“sguardo unico”, della prospettiva iper-specialistica, per appropriarsi, invece, di più
linguaggi possibili, della “doppia descrizione”, dell'esercizio del sospetto: all'insegna
delle connessioni e, in termini più specifici, dell'interdisciplinarità. Nel metalogo “Dei
giochi e della serietà: i giochi e i pasticci servono”, ad esempio, Bateson insegna alla
figlia che per pensare idee nuove si debbono disfare quelle pronte o, comunque, già
possedute e poi mescolarne i pezzi (1972, tr. it. 1977, pag.45): “Credo che si riesca a
sistemare qualche idea e credo che i pasticci servano. Cioè… se tutti e due parlassimo
sempre in modo coerente, non faremmo mai alcun progresso; non faremmo che ripetere
come pappagalli i vecchi cliché che tutti hanno ripetuto per secoli” (ivi, pag147)........
L'idea batesoniana di “pasticcio” allude, piuttosto, a un percorso non lineare, non definito in
partenza, di cui non si conoscono le tappe con precisione; si tratta di una processualità
che, per utilizzare una categoria d'appartenenza del problematicismo pedagogico, si
muove sotto la spinta di una ragione trasformatrice, che lavora nell'ottica dell'apertura,
cercando percorsi alternativi, ora creando, ora semplicemente divergendo. È una ragione
che sceglie di abbandonare i determinismi e conservare (nell'accezione di
“superamento” hegeliana che invitava a superare i Lumi, conservandone la luce) ciò che
di buono, di possibile, di positivo già c'è. La ragione interviene, quindi, in primo luogo
come fondatrice di un’ermeneutica del disordine, successivamente come creatrice di
percorsi di superamento esistenziale, sia per il singolo che per la comunità. “Potremmo
asserire che la ragione è forte se fa del momento di problematicità che le è costitutivo il
principio del proprio sviluppo e del proprio arricchimento creativo […]; debole se si
lascia sommergere e confondere da esso in funzione dell’aggravamento del ''disordine
esistenziale'' (il che è certamente possibile, anzi attuale)” (Bertin, in Bertin G. M. e
Contini M., 2004, pag. 53).......Tali considerazioni si allineano anche con alcune affermazioni di Edgar Morin a proposito della possibilità di metamorfosi quale fonte di speranza nei momenti di
disperazione. Il sociologo francese fa l'esempio del bruco che entra in una crisalide e 
comincia ad auto-distruggersi (pur mantenendo il suo sistema nervoso): “questo
processo di auto-distruzione è al tempo stesso auto-produzione e auto-creazione di un
essere nuovo che tuttavia è lo stesso; ha la stessa identità, ma è del tutto differente nelle
sue qualità e nelle sue attitudini” (Morin, 2007, pag. 124). Per Morin, ogni sistema che
non riesce più ad affrontare i propri problemi vitali (e anche la conoscenza rientra tra
questi) ha due possibilità: o si disintegra oppure arriva ad effettuare una metamorfosi,
trasformandosi in un sistema più ricco, più complesso, con nuove capacità. Ma è
evidente, conclude Morin, che prima che ci sia una trasformazione (prima della
comparsa di un nuovo sistema), essa non la si può né concepire, né, tanto meno,
definire............... Il soggetto che realizza la propria personalità deve assumere insieme i momenti dell'io e dell'altro e questi due momenti si integrano nella concretezza della loro relazione:
questo soprattutto perché, ancora prima di pensar-li, essi sono in relazione. Essere
attraverso l’altro, e realizzarsi realizzando l'altro, non è mai - quindi - essere attraverso
un solo altro per volta, ma una pluralità; si tratta, come afferma Sergio Manghi, di un
processo che si nutre di “triangolazioni di triangolazioni” (2005, pag.15). ….....
all'educazione, a partire da tali considerazioni può servire, è sapere che riconoscendo il
primato di questo tipo di relazione si destituisce la prospettiva individuale da cui il
soggetto parte e si assume il piano doppio della descrizione relazionale. Anche le
concezione più tradizionali di apprendimento, di conseguenza, subiscono l’influenza di
questo diverso approccio relazionale, tutt'altro che semplice. Se per Bateson, infatti,
resta ferma la centralità che assume, soprattutto nei processi di conoscenza, questa
dimensione relazionale, rimane il fatto che, spesso, egli stesso ne rilevi gli elementi di
complessità (si pensi al “doppio vincolo”). E ciò non si riferisce solamente a insolubilità
di tipo logico (o a situazioni di palese devianza delle relazioni), ma soprattutto a quegli
elementi dell'esperienza che rimangono opachi e a quell’imprevedibilità che caratterizza
tutti i processi di integrazione............. Il soggetto che realizza la propria personalità deve assumere insieme i momenti dell'io e dell'altro e questi due momenti si integrano nella concretezza della loro relazione: questo soprattutto perché, ancora prima di pensar-li, essi sono in relazione. Essere
attraverso l’altro, e realizzarsi realizzando l'altro, non è mai - quindi - essere attraverso
un solo altro per volta, ma una pluralità; si tratta, come afferma Sergio Manghi, di un
processo che si nutre di “triangolazioni di triangolazioni” (2005, pag.15)......all'educazione,
a partire da tali considerazioni può servire, è sapere che riconoscendo il
primato di questo tipo di relazione si destituisce la prospettiva individuale da cui il
soggetto parte e si assume il piano doppio della descrizione relazionale. Anche le
concezione più tradizionali di apprendimento, di conseguenza, subiscono l’influenza di
questo diverso approccio relazionale, tutt'altro che semplice. Se per Bateson, infatti,
resta ferma la centralità che assume, soprattutto nei processi di conoscenza, questa
dimensione relazionale, rimane il fatto che, spesso, egli stesso ne rilevi gli elementi di
complessità (si pensi al “doppio vincolo”). E ciò non si riferisce solamente a insolubilità
di tipo logico (o a situazioni di palese devianza delle relazioni), ma soprattutto a quegli
elementi dell'esperienza che rimangono opachi e a quell’imprevedibilità che caratterizza
tutti i processi di integrazione.............. Il che significa considerare insieme i propri desideri, le proprie tensioni, i propri interessi, i propri limiti, le strategie per superarli, i percorsi per aggirarli; ma significa anche, cercare la comprensione di tutte queste istanze anche nelle persone con cui ci
relazioniamo siano esse amici, nemici, allievi, bambini, adulti, conoscenti, estranei o
sconosciuti….... il soggetto, nel momento stesso in cui considera i propri problemi di organizzazione, direzione e costruzione esistenziale deve tener conto del fatto che anche l'altro vive la stessa condizione e, come tale, la sua soggettività va rispettata, valorizzata e potenziata. Ma
essere disponibile verso l'altro significa imparare a mettersi in gioco e “rischiare la
prova della solidarietà” in tutte le direzioni .

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