domenica 20 gennaio 2013

A CURA DI LUIGI BOBBIO A più voci Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi

orso castano : in Italia c'e' chi continua ostinatamente a proporre il "decisionismo", cioe' la possibilita' per chi governa di poter prendere decisioni infischiandosene della dialettica parlamentare per non rallentare i tempi decisionale e gli effetti delle decisioni. Gia  Luigi Bobbio figlio di  Norberto,  aveva affrontato questo problema con ricerche ed osservazioni acute. Le riportiamo osservando che la dialettica democratica sara' piu' lenta ma e' a tuttoggi un sistema decisionale efficiente, forse il piu' efficiente . B. e chi sta con lui dovrebbe capirlo!! Al Fascismo non si torna!!

A PIU' VOCI......clicca x..link..Con quali esiti. Che cosa possiamo aspettarci e come possiamo valutare i risultati raggiunti1. Questa classificazione è in parte tratta da L.Susskind, J. Cruikshank,Breaking the Impasse .ConsensualApproaches toResolving Public Disputes,Basic Books, 1987, che
indicano quattro proprietà dei processi decisionali inclusivi: efficiency,fairness, stability e wisdom.
Decisioni migliori
Benché spesso si pensi che decidere in molti comporti decisioni peggiori (cattivi compromessi, perdita di tempo, paralisi decisionale,accordi spartitori, ecc.), in realtà esiste la possibilità (purtroppo non
la certezza) che le decisioni finali possano essere migliori con riferimento ad almeno cinque aspetti
. I processi inclusivi possono infattI produrre decisioni:
• più efficienti, in quanto permettono di raggiungere una soluzione
con tempi e costi contenuti;
• più eque, in quanto permettono che tutti gli interessi coinvolti
siano egualmente considerati;
• più sagge, in quanto favoriscono l’invenzione di soluzioni innovative che tengono conto di tutti i possibili punti di vista;
• più stabili, in quanto chi ha partecipato al processo non avrà
ragione di premere per un loro cambiamento;
• più facili da attuare, in quanto incontreranno minori opposizioni.
Decisioni più efficienti: il problema dei costi e dei tempi
Un processo decisionale può essere considerato efficiente se riesce a giungere al risultato finale con un impiego non eccessivo di tempo edi risorse. Un processo efficiente non dovrebbe durare all’infinito e non dovrebbe consumare troppe energie e troppo denaro. L’idea che i processi inclusivi possano essere più efficienti può sembrare paradossale. È infatti evidente che essi richiedono risorse aggiuntive rispetto
ai processi ordinari, sia in termini di costi vivi per le amministrazioniche li promuovono (per esempio per la comunicazione o per i servizi di facilitazione o di accompagnamento), sia in termini di costi indiretti (per esempio, le maggiori energie profuse dagli apparati amministrativi). E, inoltre consumano tempo: quando mettiamo intorno aun tavolo persone molto diverse dobbiamo dare loro la possibilità di
conoscersi e di prendere confidenza con il tema sul tappeto. Nei processi inclusivi ci vuole pazienza.
E allora come facciamo a dire che possono essere più efficienti? Innanzi tutto perché le risorse aggiuntive (che indubbiamente sono necessarie) possono essere ragionevolmente tenute sotto controllo. I processi inclusivi, lo abbiamo visto, non vengono lasciati allo stato brado, ma sono strutturati entro precise cornici. Possiamo prevedere, in linea di massima, quanto dureranno e quanto costeranno. Chi progetta un processo inclusivo è in grado, di solito, di formulareun preventivo. Alcune tecniche hanno una durata prefissata e molto
circoscritta. Un’esperienza di Open Space (vedi capitolo 6) non puòdurare più di una giornata (e richiede qualche settimana per esserepreparata). Le giurie di cittadini (vedi capitolo 7) durano di solito
uno o due week end e richiedono qualche mese di preparazione. Di per sé queste esperienze sono momenti di un processo più ampio e più lungo: ma nel complesso l’ammontare delle risorse da impiegare
è calcolabile.Ovviamente non è sempre possibile rispettare integralmente i costi e
i tempi preventivati (una certa elasticità, al contrario, è altamente auspicabile), ma non ci troviamo mai in una situazione del tutto fuori controllo. I costi vivi, del resto, non sono mai esorbitanti .In secondo luogo, se è vero che i processi tradizionali possono durare e costare di meno, per fare un confronto bisogna mettere nel
conto anche i costi e gli intoppi che sopravvengono dopo che la decisione (tradizionale) è stata presa. Tutti conosciamo casi di decisioni complesse che, una volta adottate formalmente (per esempio da una
delibera di giunta o di consiglio), incontrano difficoltà di ogni tipo in sede di attuazione e spesso devono essere modificate o addirittura abbandonate. Per esempio, la maggior parte di decisioni che riguardano la localizzazione di discariche o di inceneritori va incontro a quePiani di accompagnamento sociale
I costi per un piano di accompagnamento sociale in un quartiere pubblico tra i 300 ed 600 alloggi possono essere compresi tra i 110 e 130 mila euro all’anno (compresa la gestione di un Punto).
Eventi pubblici
Gli eventi sono molto difficili da quotare perché i budget variano con molti fattori. Un intervento di rilevanza
locale, tipo una festa di quartiere con animazioni, si aggira sui 10 mila euro. Un evento di rilevanza cittadina
(concerto, spettacolo, installazione, ecc.) costa invece da un minimo di 50 mila ad una media di 100 mila euro.
Open Space Technology
L’organizzazione di un Open Space, comprensiva di fase preparatoria e di report istantaneo, costa all’incirca 20 mila euro, a cui si devono aggiungere le forniture (postazioni computer, catering) e i mezzi di comunicazione (sia per lanciarlo che, eventualmente, per valorizzarlo) che variano con l’ampiezza del pubblico a cui è rivolto (quartiere, città, provincia, ecc.) Progettare la candidatura di un Contratto di Quartiere La varietà dei bandi usciti a scala nazionale è enorme, da 10 mila a 100 mila euro, per periodi da 1 a 6 mesi di lavoro, indipendentemente che la candidatura richiedesse fasi di progettazione partecipata o meno.Per un buon lavoro di redazione, comprensivo di progettazione partecipata (indagine più laboratori) si va da 30 a 40 mila euro comprese le indicazioni progettuali.
Giuria di cittadini
Una giuria di cittadini può costare, tutto compreso, dai 20.000 ai 40.000 euro.
Il progetto “Non rifiutarti di scegliere”Un progetto complesso come “Non rifiutarti di scegliere” varato dalla Provincia di Torino per la scelta condivisadi impianti per lo smaltimento dei rifiuti ha richiesto circa 150 mila euro per quasi due anni di lavoro.
Scheda 1.......... Ma anche altri tipi di decisioni, tendono ad essere contestate e messe in discussione, dopo che sono state ufficialmente prese.In questi casi i tempi (e i costi) si dilatano a dismisura e in modo incontrollabile. È infatti molto difficile riprendere il cammino dopo che una scelta, già adottata, si sia rivelata impraticabile. Al contrario nei processi inclusivi, le difficoltà vengono anticipate e i possibili oppositori vengono coinvolti. Essi si basano su questo precetto: “perdere tempo prima, per guadagnarne dopo”.Va anche aggiunto che nei processi ordinari di decisione è molto difficile tenere sotto controllo i tempi. Si tratta di processi che non vengono esplicitamente pensati e progettati, che non sono espressamente assistiti da registi, facilitatori o mediatori e pertanto possono facilmente incepparsi, soprattutto quando si manifesta qualche forma di conflitto politico. I tempi della mediazione politica tradizionale possono essere lentissimi (anche perché non si servono di alcun metodo): la questione da risolvere può attendere mesi o anche anni, prima che si determinino le condizioni adatte. Viceversa i processi inclusivi hanno il vantaggio di essere strutturati e accompagnati. Possono oltrepassare le scadenze previste, ma è difficile si protraggano in eterno.
Decisioni più eque .Questo aspetto, a differenza del precedente, è intuitivo e non ha bisogno di particolari spiegazioni. Se tutti i possibili stakeholder hanno accesso al processo in condizioni di parità ed hanno la concreta facoltà di far valere i propri punti di vista e le proprie ragioni senza alcuna restrizione, è probabile che i risultati raggiunti saranno percepiti come equi da tutti i partecipanti.
PROVINCIA DI TORINO. PROGETTO “NON RIFIUTARTI DI SCEGLIERE”
Il processo inclusivo per l’individuazione di due siti in cui localizzare una discarica e un inceneritore, con la partecipazione di tutte le comunità interessate, doveva durare 11 mesi: da marzo 2000 a gennaio 2001. Si è invece protratto fino a dicembre 2001, con una durata complessiva di 21 mesi. Al termine del processo sono state fornite due graduatorie (condivise!) dei siti per la discarica e per l’inceneritore.
Per diversi motivi (che riprenderemo nella scheda 2 del prossimo capitolo), il mondo politico torinese non
accettò la graduatoria per l’inceneritore e scelse di riaprire la ricerca che si concluse ufficialmente solo nel dicembre 2003, con l’individuazione di un sito (su cui però, mentre scriviamo – giugno 2004) esistono ancora numerose contestazioni.
In sintesi:
Processo inclusivo e strutturato: 21 mesi (marzo 2000 – dicembre 2001)
Intermezzo: 4 mesi (gennaio 2001 – aprile 2001)
Processo politico tradizionale non strutturato: 32 mesi (maggio 2001 – dicembre 2003).
Testimonianza di Luigi Bobbio
Scheda 2 
Tempi a confronto. Un esempio
CON QUALI ESITI
Se il processo è aperto e condotto in modo imparziale, i risultati si presenteranno come equi. Si tratta ovviamente di un aspetto fondamentale: accade spesso che le decisioni pubbliche tradizionali vengano accusate di essere inique nei confronti di qualche gruppo sociale o di qualche individuo, per il solo
fatto che quel gruppo o quell’individuo non è stato coinvolto per tempo nel processo di decisione.
Decisioni più sagge: attenzione alla deriva distributiva Il processi inclusivi possono produrre decisioni più sagge. Questa è la vera scommessa. Ossia la capacità di risolvere i problemi attraverso
soluzioni ricche o complete, grazie al fatto che sono in grado di integrare, in modo creativo, tutti i possibili punti di vista e tutti i possibili interessi. Per fare un esempio, noi possiamo considerare saggio
un progetto di riqualificazione di una piazza che tenga conto, contemporaneamente, delle esigenze dei residenti, dei commercianti, degli automobilisti, dei ciclisti, dei genitori che hanno bambini piccoli, dei proprietari di cani, degli anziani, dei giovanissimi e degli investitori privati. Mentre considereremmo meno saggio un progetto che affrontasse lo stesso problema considerando soltanto alcune di quelle esigenze, sacrificandone altre. È possibile integrare tra di loro quelle diverse esigenze, che in prima battuta possono anche presentarsi come contrastanti? I ragionamenti che abbiamo svolto nei capitoli 5, 6 e 7 ci dicono che non è affatto impossibile. È una scommessa che può essere vinta. Dobbiamo però anche dire che il successo non è affatto assicurato. I processi inclusivi possono anche generare soluzioni eque, ma poco
sagge. Il loro principale inconveniente consiste infatti nella possibilità di dare luogo a cattivi compromessi (o compromessi al ribasso) e a soluzioni di tipo opportunistico e distributivo (del tipo: se ci sono in
palio tot milioni di investimento pubblico, dividiamoli equamente tra i partecipanti in modo che ciascuno abbia la sua fetta della torta): si tratta di risultati che soddisfano tutti, ma non producono un vero
bene comune. Un conto, per esempio, è utilizzare una somma data per costruire un grande ponte allo scopo di collegare diversi comuni che si trovano sulle due rive di un fiume. Un altro conto è ripartire quella
somma tra i diversi comuni per costruire quattro piccoli ponti. Nel secondo caso la soluzione è equa, ma probabilmente è poco saggia. Nei processi inclusivi, la deriva distributiva è sempre in agguato.
Molti studiosi hanno criticato proprio per questo le esperienze dei patti territoriali, in quanto spesso si sarebbero risolti, secondo loro, in accordi di tipo spartitorio (in palio c’erano i 100 miliardi di vecchie
lire, stanziati dal governo) che non hanno creato alcun vera risorsa aggiuntiva a favore della collettività
Si può contrastare la tendenza ad accontentare tutti senza creare nessun valore aggiunto per la collettività? I metodi e le tecniche che abbiamo proposto nei capitoli precedenti hanno proprio questo scopo. Aiutano le persone a non fermarsi sui loro interessi più immediati e le incoraggiano a guardare lontano (vedi capitolo 6). Cercano di evitare il confronto posizionale e inducono i partecipanti a indagare sui loro veri interessi (vedi capitolo . Riuscirci non è facile. Ma si tratta sicuramente della scommessa più importante (e affascinante).
Decisioni più stabili e più facili da attuare Se tutti gli stakeholder sono stati effettivamente coinvolti e sono arrivati a un risultato condiviso, nessuno di loro avrà interesse a mettere in discussione la soluzione raggiunta. La decisione sarà quindi stabile e non correrà il rischio di essere ribaltata. Per lo stesso motivo, non
dovrebbero sorgere particolari intoppi nel processo di attuazione. Chi ha sottoscritto un accordo o si è riconosciuto nel risultato comune, sarà indotto a una maggiore responsabilità. Questa è, del resto, la principale ragione, di carattere pratico, che spinge le amministrazione a coinvolgere gli stakeholder. Molto spesso, infatti, le amministrazioni non sono mosse dall’ambizione di raggiungere soluzioni migliori (o
più sagge), ma semplicemente dall’esigenza di prevenire possibili opposizioni e di arrivare a un punto fermo, qualsiasi esso sia. Può naturalmente succedere che una scelta condivisa sia messa successivamente in discussione. Ci possono essere gruppi che si sono rifiutati di partecipare proprio per tenersi le mani libere. Può accadere che alcuni dei partecipanti siano indotti a cambiare idea dalle pressioni della loro base o da qualche evento inatteso. In generale, però, come rileva il sindaco di Bruino “quelli che non hanno partecipato – per loro scelta – o che si sono trovati in minoranza non hanno poi potuto essere particolarmente aggressivi contro l’amministrazione, quando si sono operate scelte che scaturivano da indicazioni collettive. Anche quando vi sono state reazioni piuttosto accese da parte di qualcuno, per noi amministratori è stato molto più facile controbattere e giungere a soluzioni concordate”
..........................................
Empowerment: ovvero imparare a camminare con le proprie gambe Uno degli obiettivi (indiretti, ma fondamentali) dei processi inclusivi è proprio l’empowerment: una parola difficile da rendere in italiano,
perché non significa soltanto “attribuire o delegare potere” (in senso formale), ma anche “mettere le persone in condizioni di esercitarlo”. Potremmo tradurlo con l’espressione: “imparare a camminare con le
proprie gambe”. Esistono svariati casi di processi inclusivi che hanno generato
effetti di questo genere. Ci sono stati per esempio contratti di quartiere, nati per migliorare la situazione edilizia e sociale, in cui, una volta concluse le azioni previste, gli abitanti hanno dato vita a un’agenzia
permanente per lo sviluppo del loro quartiere o per la gestione degli spazi verdi. In alcuni Progetti di Riqualificazione Urbana (Pru) gli inquilini delle case popolari si sono organizzati per gestire in proprio
la manutenzione degli spazi comuni, ricevendo una specifica delega dall’Ente preposto. Anche molti patti territoriali si sono conclusi con la costituzione di Agenzie per lo sviluppo che hanno proseguito la
loro opera anche dopo che i finanziamenti del patto erano stati erogati. In tutti questi casi è soprattutto importante quello che rimane quando l’esperienza di partecipazione si è conclusa (vedi scheda 4),
quello che succede dopo. Uno dei precetti della nuova amministrazione post-burocratica, secondo Osborne e Gaebler..................

Nessun commento: