mercoledì 9 gennaio 2013

Creare il lavoro non vuol dire psicologizzare il soggetto ma liberarne la creativita'


orso castano : interessante questa veloce intervista all'assessore al  welfare , che si augura strumenti diffusi ed agili per monitorizzare l'emarginazione sociale ed inventare forme flessibili di assistenza che si adattino alle singole esigenze . Un servizio sociale presente nelle biblioteche dove si recano a prendere libri una massa di giovani studenti , che, se non cambiano le dinamiche economiche, andranno ad arricchire la folta schiera dei disoccupati "colti" frustrati e demotivati, pronti a diventare i nuovi neet. Lasciano perplessi alcune affermazione : questo decentramento dell'ascolto rischia di diventare un contenitore vuoto di opportunita'. Perche' allora non dare agli stessi giovani un sostegno per "inventare il lavoro", cioe' cosi' come si fa nelle Universita' piu' accorte , perche' non offrire a questi giovani la possibilita' di inventarsi start up e spin off supportati dal comune e dalle piccole aziende con agevolazioni comunali? perche' la risorsa deglio start up deve essere appannaggio solo delle Universita' . Dipende dain livelli di acculturazione ma mille lavori che magari sono lontani dalla ricerca pura di alto livello , ma che sono ugualmente interessanti e magari anche ricchi di innovazioni piccole, ma non meno importanti, Il discorso dell'Assessore non esce dalla cultura assistenziale, pur meritoriamente sforzandosi di farlo. Liberare la creativita' fin da dentro le biblioteche pubbliche in eta' "acerba" potrebbe essere un ottimo viatico per "imparare ad imparare" 

«Ascolto itinerante e formazione,così prepariamo il nuovo welfare», link

L'assessore al Welfare, Amelia Frascaroli: «Un corso per tutti, dagli operatori del Cup ai bibliotecari, per fronteggiare il disagio sociale»

BOLOGNA - Sa così bene che le biblioteche di Quartiere, come è emerso ieri nell’ inchiesta del Corriere di Bologna, oltre a fare cultura ormai fanno anche (molto) welfare, che sta già pensando, insieme all’assessore alla Cultura Alberto Ronchi, come integrare le due funzioni senza snaturarle. Almeno per iniziare, nonostante la crisi. L’assessore al Welfare Amelia Frascaroli, nel giorno dell’anniversario del piccolo Devid, morto per il freddo il 5 gennaio di due anni fa proprio davanti alla biblioteca di Sala Borsa, spiega come sta ripensando ai servizi sociali, tentando di lasciarsi alle spalle il modello dei «compartimenti stagni» dei vari settori. Le biblioteche di Quartiere sono «solo» un esempio di quello che si potrebbe cambiare per fare un balzo in avanti nel welfare.
Frascaroli, partiamo proprio dalle biblioteche. Soprattutto negli ultimi anni, con l’acutizzarsi della crisi, sono diventate un «rifugio» sociale. Come si affronta un cambiamento di questo tipo, senza privarle del loro ruolo culturale?
«Mi sono confrontata molto con l’assessore Ronchi ultimamente e pur non avendo grandi mezzi a disposizione si può fare in modo che le biblioteche, ormai grandi spazi di relazione, accolgano anche la parte di fragilità sociale. A breve, per esempio, faremo in modo che l’unico sportello per il lavoro rimasto in città diventi anche itinerante: vista la grande richiesta nelle biblioteche di Quartiere di un aiuto per la ricerca di lavoro o per la stesura di un curriculum, il "tour" dello sportello del lavoro potrebbe essere pensato proprio in quelle strutture. Non ci serve personale aggiuntivo in questo caso, c’è già quello dello sportello». 
Poi, però, i bibliotecari restano comunque le persone che ogni giorno si trovano ad affrontare casi sociali senza avere la formazione adeguata nella maggior parte dei casi. Una mancanza sottolineata da molti operatori. E sentita anche da chi, in altri settori del pubblico, ha a che fare quotidianamente con i cittadini. Come pensa di affrontarla?
«La affronteremo prestissimo: a febbraio partirà un corso di formazione per tutti gli operatori che, in vari campi, hanno il contatto con il pubblico e per primi intercettano il disagio sociale. Sarà aperto a tutti coloro che, nelle biblioteche, nelle Ausl, nei Cup, negli uffici pubblici hanno bisogno degli strumenti per fare il primo ascolto dei cittadini e per dare le indicazioni giuste alle persone in difficoltà. Poi si possono anche creare punti di ascolto, di aggregazione giovanile o di sostegno famigliare all’interno di luoghi come le biblioteche, ma più che altro bisogna sempre più dare agli operatori gli strumenti per muoversi al meglio nelle diverse comunità».
Quando, due anni fa, morì il piccolo Devid, figlio di una famiglia seguita dai servizi sociali che usava tutti i giorni Sala Borsa come un rifugio, lei per prima, arrivata da pochi mesi a Palazzo d’Accursio, criticò il decentramento esasperato dei servizi sociali e auspicò la riunificazione. Come ha lavorato per quell’obiettivo?
«Oggi ci sono punti di maggior coordinamento per affrontare le grandi fragilità sociali. A maggio è nato il servizio "Strambo" che raccoglie tutti i bisogni urgenti per residenti e non residenti e che ha permesso di sgravare i Quartieri, non più costretti a dare ai casi più difficili una risposta immediata alle necessità. Questo è stato il primo strumento per riaccentrare, insieme al Pris, il Pronto soccorso sociale, attivo 24 ore su 24 a livello metropolitano: raccoglie subito la domanda e poi passa i casi al servizio delle fragilità sociali. È vero che i Quartieri non avevano la possibilità di prendersi in carico casi come questi, era tutto estremanente parcellizzato».
E poi c’è il solito nodo delle mancanza delle risorse, di fronte a cui quasi tutti si fermano. Proprio l’altro giorno all’appello dell’Ant, che ha visto un calo preoccupante delle donazioni e ha proposto un modello alternativo di assistenza, la Regione ha risposto alzando le mani: «Non abbiamo le risorse». O non c’è il coraggio di cambiare, Frascaroli? 
«Bisogna fare uno scatto culturale e politico: una smart city è quella che include tutti partendo dalle persone fragili, non quella che le esclude e poi dice che mancano le risorse. Bisogna ripartire dal lavoro coinvolgendo le imprese, ma bisogna anche collaborare con soggetti come l’Ant, solo per fare un esempio. La domiciliarità dell’assistenza consente di ridurre gli sprechi che si facevano una volta, ma crea anche un sistema di coesione sociale nuovo. Perché non immaginare, per esempio, degli assistenti domiciliari condivisi dai condomini? Dalla sanità si passa al welfare, semplicemente collaborando con chi è sul territorio tutti i giorni».
Un’autocritica, Frascaroli. Cosa non ha fatto in questo anno e mezzo che doveva fare?
«Il nuovo regolamento sulle clausole sociali che consentirebbe, ad ogni nuovo appalto comunale, di dare lavoro a chi l’ha perso. Pensavo di farlo in tre mesi, ma la macchina è lenta e l’organizzazione complessa. Sono in ritardo, ma quello è senz’altro lo strumento che potrebbe ridare dignità alle persone senza lavoro e non far esplodere i servizi sociali».

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