lunedì 21 gennaio 2013

Mafia-Stato la trattativa continua ora


- di Antonio Mazzeo -

Trattative per evitare attentati, trattative per difendere il potere politico, trattative per instaurarne uno nuovo. Difficile, in tutti questi anni, distinguere fra chi – fra gli uomini dello Stato – trattò “a fin di bene” e chi per fini eversivi. Comunque le trattative ci furono – e questo ormai non lo nega più nessuno – e uno dei principali “ambasciatori” fu il boss dei boss messinese, Rosario Cattafi. Che adesso sta continuando a “trattare”, riempiendo cartelle su cartelle… 
Un immenso cratere in autostrada, allo svincolo per Capaci. Il gran botto in via d’Amelio, carcasse d’auto e corpi straziati. Poi le bombe e le stragi a Roma, Firenze, Milano. L’offensiva mafiosa, la sapiente direzione strategica delle centrali del terrore. E la trattativa degli apparati infedeli dello Stato. Sino alla capitolazione: la seconda repubblica di matrice neoliberista, i nuovi interlocutori politici all’ombra del biscione, il colpo di spugna sul carcere duro per boss e gregari. Vent’anni di segreti e veleni, una tragedia infinita su cui indagano senza sosta tre Procure. Per inchiodare i mandanti dal volto coperto, esecutori e protettori, spie e doppiogiochisti. Nonostante i non ricordo di ex ministri e presidenti. Sui presunti registi e intermediari della trattativa tra Stato e Antistato girano nomi eccellenti.
Alcuni sono deceduti e non potranno fornire chiarimenti né difendersi. I Pm di Palermo nutrono forti sospetti sull’allora capo della polizia Vincenzo Parisi. E sull’alto dirigente del Sisde, il servizio segreto civile, Bruno Contrada. Nella black list c’è pure l’ex capo dei Ros dei Carabinieri e direttore del Sisde,Mario Mori. O l’ex ministro Calogero Mannino che, secondo gli inquirenti, avrebbe esercitato “indebite pressioni finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione del 41bis”. E nel novembre ’93, fu deciso di non rinnovare il carcere duro a 326 mafiosi, 45 dei quali ai vertici di Cosa nostra, ‘ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita.
Gli inquirenti ipotizzano che tra i consiglieri dell’ammorbidimento del regime detentivo nei confronti della criminalità organizzata c’era l’allora vicecapo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Francesco Di Maggio, il magistrato tutto d’un pezzo scomparso prematuramente nel 1996, noto per l’inchiesta sulla scalata criminale di Angelo Epaminonda “il Tebano”, il re delle bische e della droga di Milano, convertito in collaboratore di giustizia. Dopo un breve e travagliato periodo all’Alto commissariato antimafia, Di Maggio aveva preferito trasferirsi a Vienna per fare da consulente giuridico dell’agenzia antidroga delle Nazioni Unite. Poi, nel ’93, inaspettatamente, veniva chiamato a Roma per assumere l’incarico di supervisore delle carceri italiane. Ciò ha insospettito i Pm palermitani: senza alcuna competenza specifica per quel ruolo, Di Maggio non era magistrato di corte d’appello, titolo richiesto dalla legge. Per aggirare l’ostacolo fu nominato consigliere di Stato. Chi e perché lo volle alla guida del Dap? “L’ho scelto io”, ha spiegato Conso. “Era una persona che andava un po’ in televisione, quindi era combattivo, attivo, era un esternatore e mi era parso molto efficace”. Di diverso parere l’allora capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Adalberto Capriotti. “Ebbi l’impressione che a Conso, a sua volta, Di Maggio gli fu imposto”, ha raccontato. E i rapporti tra il guardasigilli e il magistrato erano tutt’altro che idilliaci..................................


Tratto da: Mafia-Stato la trattativa continua ora | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/01/21/mafia-stato-la-trattativa-continua-ora/#ixzz2IdL1gVyp
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

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