lunedì 5 dicembre 2011

La prevenzione del suicidio: una sfida per la medicina dei nostri giorni


I dati forniti dall'Istituto Superiore di Sanità indicano che su circa 4000 persone morte per suicidio in Italia nel 2002, ben 3000 erano uomini. Analizzando le tre macroaree del nostro Paese (nord, centro e sud-isole) si evidenzia chiaramente un gradiente nord-sud, tanto per gli uomini quanto per le donne, con livelli di mortalità per suicidio più alti al nord. Livelli particolarmente elevati di mortalità per suicidio si osservano nelle province del nord-est e quelle dell'arco alpino. Nel centro Italia, tutte le province del Lazio e l'Aquila hanno tassi di suicidio significativamente più bassi della media nazionale. La Sardegna con tutte le sue province rappresenta una nota dissonante nel contesto dell'area sud-insulare: in particolare, i suicidi fra gli uomini superano di oltre il 75% i livelli della media nazionale e sono fra i più alti in Italia, superando anche quelli che si registrano in molte province del nord-est. Le ragioni del gradiente nord-sud potrebbero trovare una spiegazione nelle differenze sociali e culturali del nostro Paese.
Allo stato attuale, il suicidio è un problema grave nell'ambito della salute pubblica. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima un peggioramento del fenomeno suicidario, che dall'attuale milione di morti potrebbe raggiungere 1,5 milioni nel 2020. È la tragedia umana che ogni anno si consuma superando le morti per attentati terroristici, conflitti e calamità naturali messe insieme.
Il suicidio è il risultato di una complessa interazione di fattori psicologici, biologici e sociali. Il suicidio non emerge mai dal piacere (sebbene vi siano eccezioni del tutto particolari), è sempre legato a dispiaceri, vergogna, umiliazione, paura, terrore, sconfitte e ansia: sono questi gli elementi del dolore mentale che conducono a uno "stato perturbato". Si tratta di uno stato della mente in cui il soggetto perde gli abituali punti di riferimento, si sente angosciato, frustrato, senza aspettative per il futuro e inaiutabile. Questa miscela di emozioni diviene "esplosiva" quando l'individuo si rende conto che, per risolvere tale sofferenza estrema, il suicidio è la migliore soluzione. Nella trattazione del suicidio la parola chiave non è "morte", ma "vita" dal momento che questi individui sono fortemente ambivalenti circa la loro scelta: vogliono vivere, ma senza il loro dolore mentaleinsopportabile. Sebbene i contributi alla ricerca sul suicidio siano sempre più numerosi, solo una minoranza apporta indicazioni pratiche e facilmente assimilabili.
La suicidiologia è la scienza dedicata alla prevenzione e allo studio scientifico del suicidio. Il termine è attualmente impiegato per riferirsi allo studio del fenomeno suicidario, ma andrebbe riservato agli interventi volti a salvare la vita degli individui a rischio. Tale disciplina è nata e si è sviluppata a Los Angeles grazie all'opera pionieristica di Edwin Shneidman.
Il suicidio è uno dei tabù più radicati nella nostra società. Parlare dell'argomento suscita riluttanza ed evitamento e persino dagli operatori della salute il tema è in gran parte misconosciuto. I dati della letteratura riportano che frequentemente i soggetti che hanno commesso suicidio nei mesi e settimane precedenti la morte si sono recati da un operatore della salute, in primo luogo un medico di base. Secondo recenti studi, il 45% delle persone decedute per suicidio aveva avuto un contatto con la medicina di base nel mese precedente l'atto. Altri studi indicano che il 25-75%, dei pazienti che commettono suicidio hanno un contatto con la medicina di base nel lasso di tempo da 30 a 90 giorni. Puntualmente, però, sia i medici di base sia gli altri operatori della salute falliscono nel riconoscere ilrischio di suicidio omettendo di chiedere al soggetto se vi abbia mai pensato.
Spesso il comportamento suicidario si associa a una crisi, soprattutto in situazioni di stress straordinario di durata limitata. In questo contesto, gli individui considerano il suicidio con grande ambivalenza psicologica: infatti, il desiderio di morire e quello di essere salvati sussistono allo stesso livello. Persino nella crisi gli individui conservano il bisogno di esprimersi e di comunicare con gli altri, smentendo la nozione che il suicidio avviene improvvisamente, inevitabilmente e senza alcun avviso come dimostrato dalla letteratura. Se si osservano retrospettivamente i dati dei soggetti suicidi si osserva che la sofferenza mentale prolungata, l'ambivalenza nei confronti del suicidio e le fantasie di vendetta, di essere salvati e di rinascita sono state presenti per un lungo periodo di tempo. Il tentativo di porre fine alla sofferenza è caratterizzato da manovre maladattative fallimentari che poi riconducono il soggetto all'idea del suicidio. Il soggetto emette segnali inerenti la sua preoccupazione coinvolgendo le persone che lo circondano attraverso parole e azioni, concentrando nelle sue comunicazioni il Cry for Help, ossia la richiesta di aiuto.
Nel corso di una vita trascorsa a studiare il suicidio, Shneidman ha concluso che l'ingrediente base del suicidio è il dolore mentale; egli chiama questo dolore insopportabile psychache, ossia "tormento nella psiche". Shneidman suggerisce che le domande chiave che possono essere rivolte a una persona che vuol commettere suicidio sono: "Dove senti dolore?" e "Come posso aiutarti?" Se il ruolo delsuicidio è porre fine a un insopportabile dolore mentale, allora lo scopo è alleviare questo dolore. Se infatti si ha successo in questo compito, l'individuo che voleva morire sceglierà di vivere. Shneidman, inoltre, considera che le fonti principali di dolore psicologico(vergogna, colpa, rabbia, solitudine, disperazione) hanno origine nei bisogni psicologici frustrati e negati. Nell'individuo suicida sono la frustrazione di questi bisogni e il dolore che da essa deriva a essere considerati una condizione insopportabile per la quale il suicidio sembra il rimedio più adeguato. Ci sono bisogni psicologici con i quali l'individuo vive e che definiscono la sua personalità e bisogni psicologici che, se frustrati, inducono l'individuo a scegliere di morire. Potremmo dire che si tratta della frustrazione di bisogni vitali; questi bisogni psicologici includono il bisogno di raggiungere qualche obiettivo (come affiliarsi a un amico o a un gruppo di persone), essere autonomi, opporsi a qualcosa, imporsi, il bisogno di essere accettati e compresi e il conforto. Shneidman ha proposto la seguente definizione del suicidio:"Attualmente, nel mondo occidentale il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso che, alle prese con un problema, considera il suicidio come la migliore soluzione". Shneidman ha inoltre suggerito che il suicidio è meglio comprensibile se considerato non come un movimento verso la morte, ma come un movimento di allontanamento da qualcosa che è sempre lo stesso: emozioni intollerabili, dolore insopportabile o angoscia inaccettabile, in una parola psychache. Se dunque si riesce a ridurre, a intaccare e a rendere più accettabile il dolore psicologico quel soggetto sceglierà di vivere.
Nella concettualizzazione di Shneidman, il suicidio è il risultato di un dialogo interiore; la mente passa in rassegna tutte le opzioni. Quando emerge l'idea del suicidio la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni. Trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo; alla fine, la mente lo accetta come soluzione, lo pianifica e lo identifica come l'unica risposta, l'unica opzione disponibile.

L'individuo sperimenta uno stato di costrizione psicologica, una visione tunnel, un restringimento delle opzioni normalmente disponibili. Emerge il pensiero dicotomico, ossia il restringimento del range delle opzioni a due sole (veramente poche per un range): avere una soluzione specifica o totale (quasi magica) oppure la fine (suicidio). Il suicidio è meglio comprensibile non come desiderio di morte, ma come cessazione del flusso di idee, ovvero la completa cessazione del proprio stato di coscienza e dunque la risoluzione del dolore psicologico insopportabile. Noi ci proponiamo di rendere più tollerabile tale dolore mentale.
Il medico o colui che deve confrontarsi con un soggetto a rischio ha la naturale paura di favorire idee di suicidio durante l'indagine sul tema. Tuttavia, non esiste alcuna prova che sostenga tale timore: il suicidioè un atto serio e cosciente che necessita molto di più di un singolo colloquio per essere agito. Parlarne con onestà e franchezza, senza timori aiuta notevolmente coloro che lo hanno meditato. Per prevenire efficacemente il suicidio è necessario che l'operatore conosca bene il proprio impatto con il tema, interrogandosi con domande come:
  • Ritengo che il suicidio sia un segno di debolezza di cui la gente dovrebbe vergognarsi?
  • Ritengo il suicidio immorale o peccaminoso?
  • Penso che il tema de suicidio sia un tabù?
  • Penso che il suicidio sia il risultato della follia?
  • Reagisco eccessivamente con ricoveri e precauzioni di ogni genere in presenza di un'ideazione suicidaria?
Il paziente può cogliere il giudizio del terapeuta dal tono della voce o dal linguaggio corporeo. Se il terapeuta assume atteggiamenti di condanna nei confronti del suicidio, sostenendo i miti e non i fatti sul suicidio, probabilmente fallirà nel suo compito. Il medico deve poter comunicare al paziente che si può parlare di suicidio e che la trattazione del tema avviene su un terreno sicuro. Se, al contrario, il medico evita di chiedere e si affretta a chiedere con modalità non appropriate otterrà dal paziente solo la chiusura. Spesso, indagare ilrischio di suicidio implica il dover passare maggiore tempo con il paziente; confrontarsi con lui e i familiari per provvedimenti coatti; rischiare possibili confronti medico-legali. In altre parole, maggiore impegno, maggiori problemi, maggiori preoccupazioni; questi sono solo alcuni motivi per i quali l'indagine sul rischio di suicidio è evitata nella pratica clinica.
Ci sono semplici regole che è importante seguire nel comunicare con gli individui a rischio di suicidio.

»

»

»

»

»

»

Raccomandazioni finali
  • Identificare i vari fattori che contribuiscono alla crisi suicidaria
  • Condurre una valutazione "psichiatrica" completa, identificando fattori di rischio e fattori di protezione distinguendo quelli modificabili da quelli non modificabili
  • Chiedere direttamente sul suicidio
  • Determinare il livello di rischio (basso, medio, alto)
  • Determinare il luogo e il piano terapeutico
  • Indagare l'ideazione suicidaria presente e passata, nonché intenti, gesti o comportamenti suicidari; indagare sui metodi usati; determinare il livello di hopelessness, anedonia, sintomi ansiosi, motivi per vivere, abuso di sostanze, ideazione omicida.
Presso l'UOC di Psichiatria dell'Ospedale Sant'Andrea in Roma diretta dal Prof. Tatarelli si sta costituendo un ambulatorio dedicato ai soggetti a rischio di suicidio. Intorno a questa iniziativa ruota un folto gruppo di collaboratori che si occupa di diffondere i fondamenti dellaprevenzione del suicidio nell'ambito della comunità. In particolare, si è pensato di offrire un programma di psicoeducazione rivolto ai soggetti a rischio di suicidio. Il programma prevede una prima visita con uno psichiatra preparato al riconoscimento del rischio di suicidio. Durante la prima visita viene accertato se il paziente è idoneo a essere inserito nel programma di otto incontri che si propone di sostenere gli individui a rischio di suicidio non modificando le loro attuali terapie, ma integrandosi al loro piano terapeutico.
Gli incontri sono composti da sessioni singole studiate ad hoc, che durano 60 minuti con frequenza settimanale per un periodo minimo di otto incontri consecutivi. Alla fine del ciclo, i pazienti possono accedere a un programma di mantenimento nel quale si approfondiscono i temi trattati e si enfatizzano ulteriormente gli obiettivi del programma. Durante gli incontri, i pazienti ascoltano come si struttura il rischio di suicidio e imparano a conoscere le modalità per chiedere aiuto. Lasofferenza psichica è allo stesso tempo vissuta a livello somatico con blocchi della respirazione, peso al torace o, ad esempio, con un nodo in gola: per tale motivo, sono parte di questo programma esercizi rivolti alla consapevolezza corporea. Uno spazio importante è riservato all'interazione tra i partecipanti, che possono parlare della loro sofferenza e confrontarsi con altri partecipanti e rendersi conto in questo modo che quel dolore che ritenevano unico è invece presente in altre persone.
ConclusioniLa prevenzione del suicidio è un compito che riguarda tutti. I medici, ancor più delle altre figure coinvolte nella salute pubblica, hanno un ruolo cruciale. Chiedere se il paziente abbia mai pensato al suicidio non è mai rischioso, anzi rappresenta la principale arma di prevenzione. Particolare enfasi dovrebbe essere posta sullaformazione, specialmente duranti gli anni che conducono al conseguimento della laurea. Avere professionisti capaci di trattare ilrischio di suicidio con serenità e destrezza rappresenta uno dei grandi traguardi della medicina.

vedi anche

Giornata Mondiale per la Prevenzione al Suicidio 2010

“Molti volti, molti luoghi: la prevenzione del suicidio nel mondo” 10 settembre 2010; a Roma c’è un importante simposio.
La drammaticità della situazione sul fronte dei suicidi ha fatto sì che venisse dedicato a questo drammatico argomento un’intera giornata di riflessione. Quest’anno le giornate sono però diventate due per iniziativa della International Association for Suicide Prevention (IASP), si tiene a Roma oggi e domani (9 e 10 Settembre 2010) un importante simposio di carattere internazionale realizzato grazie al fondamentale apporto dell’Università La Sapienza di Roma – II Facoltà di Medicina e Chirurgia – Dipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso.(NESMOS) – UOC di Psichiatria – Aula Urbani – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea – Via di Grottarossa, 1035. Il programma dell’iniziativa è il seguente:
Giovedì 9 settembre:
Il problema e gli approcci preventivi (interventi pre-conferenza) – Tavola Rotonda
Ore 10.30 Centro per la Prevenzione del Suicidio presso l’Ospedale Sant’Andrea, Sapienza Universita’ di Roma
Ore 11.00 L’esperienza dei Samaritans
Ore 11.15 La Caritas Italiana
Ore 11.30 Il telefono Amico
Ore 11.45 Il telefono Amico Cevita
Ore 12.00 Il telefono Rosa
Ore 12.15 Fondazione Internazionale per il Sostegno della Ricerca in Psichiatria
Ore 12.30 Montagna in Salute Davide Lacangellera
Ore 13.00 Break
Ore 14.30 Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio
Saluto delle Autorità
Chairmen: Roberto Tatarelli (Roma), Paolo Girardi (Roma), Diego De Leo (Brisbane)
Ore 15.00 Introduzione – La sfida della prevenzione del suicidio RobertoTatarelli (Roma)
Ore 15.30 Due secoli di prevenzione del suicidio in Italia: dove stiamo andando? Maurizio Pompili (Roma)
Ore 16.30 Il ruolo delle helplines nella prevenzione del suicidio Diana Rucli (Padova)
Ore 17.00 La Vita in bilico. La prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo in età evolutivaViviana Cutaia (Palermo)
Ore 17.15 L’assistenza ai Survivors Paolo Scocco (Padova)
Ore 17.30 Il ruolo della psicoterapia nella prevenzione del suicidio Maurizio Pompili (Roma)
Ore 17.45 Fattori etnici e alcolismo nell’autopsia psicologica Giancarlo Giupponi (Bolzano)
Ore 18.15 Fattori macroeconomici, sociali e culturali nel rischio di suicidio Marco Innamorati (Roma)
Ore 18.45 Il Ruolo della Neuroimagini nella prevenzione del suicidio Gianluca Serafini (Roma)
Ore 19.15 Discussant: Mario Amore (Parna)
Venerdì 10 settembre
Chairmen: Roberto Tatarelli (Roma), Alberto Siracusano (Roma), Paolo Girardi (Roma)
Ore 09.00 Interazione geni-ambiente nel rischio di suicidio Marco Sarchiapone (Campobasso)
Ore 09.30 Il rischio di suicidio nello studio SOHO Roberto Brugnoli (Roma)
Ore 10.00 Il suicidio dall’evidence-based alle parole dei pazienti Maurizio Pompili (Roma)
Ore 10.30 Molti volte, molti luoghi: la prevenzione del suicidio nel mondo Diego De Leo (Brisbane)
Discussione
Ore 11.00 Coffee Break
Seconda sessione
Chairmen: Massimo Biondi (Roma), Mario Amore (Parma), Luigi Janiri (Roma)
Ore 11.15 Suicide prevention across Europe: pitfalls and future perspectives Zoltan Rihmer (Budapest)
Ore 11.45 Assistenza medica e psichiatrica: quanto conta per prevenire il suicidio? Leonardo Tondo (Roma)
Ore 12.15 Rischio di suicidio nella patologia puerperale Mario Amore (Parma)
Ore 13.00 Lunch
Chairmen: Stefano Ferracuti (Roma), Athanasios Koukopoulos (Roma), Maurizio Pompili (Roma)
Simulazione di un processo per problematiche medico-legali inerenti il suicidio
Ore 14.00 Omicidio e suicidio: cosa succede in Italia? Monica Vichi (Roma), Maria Masocco (Roma), Nicola Vanacore (Roma)
Ore 14.30 Valutazione del rischio di suicidio durante la visita psichiatrica Michele Raja (Roma)
Ore 15.00 Simulazione a cura di Stefano Ferracuti (Roma). Roberto Brugnoli (Roma), Gabriele Sani (Roma), Serafino De Giorgi (Lecce)
Ore 17.00 Discussant: Maurizio Pompili (Roma)
Ore 18.00 Questionario di valutazione ECM
Ore 18.15 Conclusioni e chiusura dei lavori
CLICCA QUI per stampare la locandina con il programma
Segreteria Scientifica: Professor Maurizio Pompili – Referente italiano IASP – e-mail:maurizio.pompili@uniroma1.it – Tel. +39 06 – 33775675 +39 06 - 33775675    Sito web:www.iasp.info – www.prevenireilsuicidio.it


Nessun commento: