domenica 25 dicembre 2011

Le migrazioni nei processi di globalizzazione Una conversazione con Saskia Sassen

Jura Gentium
Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale
a cura di Federico Oliveri , l'articolo va letto per intero , questo e' solo uno stralcio. L'argomentgo e' di attualita' , ma anche strutturale  a causa della globalizzazione
Quando nel 1996 Saskia Sassen pubblica Migranti, coloni, rifugiati, il suo primo studio interamente dedicato alle migrazioni in Europa, l'opinione pubblica era in preda a un vero panico da invasione: da alcuni anni profughi e immigrati provenienti dall'ex blocco socialista, dall'Africa e più in generale dal Sud del mondo, stavano raggiungendo in massa le società del benessere e della "libertà". Già in quel volume, ripercorrendo la storia delle migrazioni intra-europee dal 1800 in avanti, l'autrice avanzava un'opzione politica realista: essendo, al pari dei precedenti, i flussi in corso radicati nella geopolitica e nelle trasformazioni socio-economiche dei paesi di arrivo, l'ipotesi di gestirli rafforzando i controlli era insostenibile. A distanza di undici anni, è ancora per un analogo deficit di realismo che le politiche migratorie europee non funzionano, come Sassen spiega nelle pagine seguenti; e questo nonostante gli alti costi sostenuti dai contribuenti e la denuncia degli effetti negativi indotti dal proibizionismo degli ingressi. In più, rispetto agli anni 90, alla mancanza di visione si associano oggi interessi economici diffusi, legati al mercato della sicurezza e alla domanda di manodopera a basso costo, nonché una scarsa volontà di cambiamento trasversale a tutti gli schieramenti politici. La militarizzazione della frontiera messicana da parte degli Stati Uniti offre un caso emblematico di questi sviluppi.
Da anni i dibattiti sull'immigrazione continuano a fervere in tutta Europa, ma non per questo le condizioni di vita degli immigrati e dei loro discendenti migliorano. L'ostilità nei confronti degli "stranieri" è oggetto di manipolazioni mediatiche e occasione di facile profitto politico; l'apparato in materia di controlli e di norme per l'integrazione è notevolmente aumentato, di solito in senso restrittivo; la regolazione selettiva delle frontiere a scopo economico si impone come pensiero unico; le differenze culturali e religiose sono enfatizzate ad arte, anche per nascondere le crepe della solidarietà nazionale messa alla prova dalla competizione globale e dalla resistenza delle seconde generazioni, specie musulmane, all'assimilazione. Eppure, secondo Sassen, governare in modo lungimirante le migrazioni è possibile, e dipende in primo luogo dalla capacità di inquadrarle correttamente nei processi di globalizzazione. Si tratta innanzitutto di riconoscere quanto diversi e numerosi siano gli attori che, oltre lo stato, influenzano il policy-making in materia e che, prima ancora, creano le condizioni affinché nei paesi meno sviluppati maturi la scelta di emigrare; di comprendere quanto siano mobili, altamente tecnologici e in parte invisibili i confini di oggi; di individuare nella creazione di posti a basso costo e con scarse prospettive uno dei più potenti fattori di attrazione per i lavoratori dei paesi più poveri; di considerare la migrazione ben governata come una risposta possibile, insieme ad altre, al declino demografico europeo.
Saskia Sassen non è certo tra coloro che annunciano la "fine dello Stato", impotente a fronte di mercati e di fonti di "diritto globale" che ne trascendono il potere d'azione. La sua lettura del presente è molto più aperta e conflittuale: l'allargamento dell'arena politica ad attori non nazionali e/o non statali, tipico degli scenari di governance, non dà nessun vantaggio definitivo ai portatori di interessi economici a danno della cittadinanza, dei suoi diritti e dei suoi spazi di trasformazione sociale. Da qui l'attenzione per l'emergente "regime internazionale dei diritti umani", che le corti nazionali iniziano ad applicare e che potrebbe favorire l'inclusione degli immigrati, anche per la pressione congiunta della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell'uomo. Da qui anche la prospettiva di alleanze sociali trasversali alle "appartenenze nazionali", capaci di affrontare la questione delle ineguaglianze sociali crescenti e della precarietà occupazionale in Europa. Riqualificare e dare prospettive al lavoro ridurrebbe, infatti, il potere d'attrazione dei mercati deregolati sulle popolazioni dei paesi più poveri, e garantirebbe al tempo stesso ai lavoratori, nazionali e non, più risorse e più garanzie per realizzare la loro comune cittadinanza. Affrontando questo punto cruciale, anche con una lotta vera all'economia sommersa, diventerà più plausibile un governo dei flussi fondato non sul controllo, sulla selezione e sull'insicurezza collettiva, ma sulle migrazioni circolari e sulla "trasportabilità dei diritti".
Certo, poche politiche sembrano oggi tanto prigioniere di stereotipi teorici e perversioni pratiche, come quelle che hanno per "oggetto" i migranti. Le analisi e le ricostruzioni storiche proposte da Saskia Sassen offrono comunque non pochi spunti a chi, portando la responsabilità di decisioni in materia, trovandosi ad applicare o a subire gli effetti delle norme vigenti, o semplicemente avvertendo le contraddizioni dell'attuale sistema, voglia impegnarsi a costruire delle alternative praticabili..............Questi sviluppi sono assai evidenti nel caso dell'Unione Europea. In effetti, è stata proprio la creazione di un mercato unico a sottolineare l'importanza cruciale della mobilità delle persone nei suoi vari aspetti. Vale la pena di notare che, nelle prime fasi della sua esistenza, la Commissione Europea era sprovvista di competenze legali in materia di circolazione transfrontaliera delle persone, ma ha dovuto progressivamente dotarsene. Cosi, gradualmente, le istituzioni comunitarie si sono interessate a fondo delle politiche dei visti, del controllo anche militare delle frontiere, dei ricongiungimenti familiari, della regolazione delle migrazioni economiche ed anche di politiche di "integrazione", tutti campi prima di competenza esclusiva dei singoli stati nazionali. Che si svolgano a livello europeo, come evidente nella dialettica tra Commissione, Consiglio e Parlamento, o a livello nazionale, le politiche migratorie seguono vie spesso divergenti. Tensioni esistono anche tra livelli digovernance, istituzioni e regimi giuridici diversi animati da visioni divergenti dei fenomeni migratori, ma l'esito non è necessariamente negativo, anzi: si aprono spazi per politiche alternative, guidate dal rispetto dei diritti umani invece che dalle sole regole del mercato.
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........In conclusione, se il passato deve valere da chiave per il presente, è soprattutto su questo punto: che i processi creativi, di reinvenzione istituzionale e democratica, cui siamo sollecitati non andranno a beneficio dei soli immigrati e dei loro discendenti, ma contribuiranno al rafforzamento della cittadinanza in generale.......

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