mercoledì 10 giugno 2009

Interventi all'esordio del disturbo psichiatrico

da "L'Altro" rivista della SIFIP (Soc. Ital. Formaz. in Psich.) , genn. apr. 2009, di Rocco Pollice, Carla  Bernardini, Stefania di Mauro, Donatella Ussorio, Ilaria Santini, Rita Roncone ,Clìnìca Psichiatrica, Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Università dell'Aquila

................................Il primo contatto con i servizi di salute mentale di solito avviene quando si rendono palesi le manifestazioni ca­ratteristiche della fase acuta del disturbo pienamente sviluppato, sebbene quest'ultime siano precedute da se­gni e sintomi precoci. C'è un generale consenso, ormai prevalente, sul fatto che non esista alcun disturbo men­tale nella vita adulta che non abbia degli antecedenti nell'infanzia e nell'adolescenza. Questa semplice verità giustifica gli sforzi di spostare il baricentro degli inter­venti dalla vita adulta alle fasi evolutive del ciclo vitale. I Disturbi Psichici, esordendo più di frequente in età tar­do adolescenziale e giovanile, inoltre, impediscono di fatto un completo sviluppo ed un compiuto raggiungi­mento delle "tappe" relative alle competenze sociali e cognitive, rendendo l'individuo precocemente disabile, e ciò spesso prima ancora di avere maturato un "ruolo" nella società (Hafner et al., 1999; McGorry et al., 2002). Le conseguenze maggiormente gravose dei disturbi mentali sono rappresentate da costi economici diretti e indiretti, perdita (o riduzione) di produttività degli altri familiari, con aumento del carico psicologico con possi­bilità per quest'ultimi di sviluppare disturbi mentali mi­nori, stigma, riduzione della qualità di vita, deriva co­gnitiva, psicologica, funzionale, relazionale e sociale del paziente stesso (Falloon, 1992). La diffusione dei disturbi mentali nella popolazione è tale che una significativa riduzione dei costi sociali ed economici associati a tali disturbi non può ottenersi solo con interventi destinati al trattamento, ma, all'interno dello spettro degli interventi possibili, soprattutto con lo sviluppo di interventi "preventivi". La prevenzione comprende un range di azioni sequenziali, finalizzate a migliorare la salute mentale della po­polazione. Deve essere considerato come un continuum, e non come momenti separati e parcellari, che compren­de interventi per la prevenzione, interventi per il tratta­mento ed interventi per il mantenimento. Gli interventi preventivi posso essere distinti in universali, ovvero strategie di promozione della salute mentale, selettivi, per i soggetti ad alto rischio, ma senza segni oggettivi di disagio o di disturbo ed infine indicati o specifici, per i soggetti ad alto rischio con segni e sintomi soggettivi e oggettivi di disagio. Gli interventi precoci, pertanto, devono essere conside­rati come l'insieme di più strategie messe in atto al fine di promuovere la salute del soggetto ed il cui fine è co­stituito dalla promozione del benessere mentale ed edu­cazione alla salute psicologica, dalla prevenzione e da interventi multimodali all'esordio. Negli ultimi anni maggiore attenzione è stata dedicata al riconoscimento precoce di segni e sintomi psicologici e comportamentali, per consentire la precoce identifica­zione del maggior numero di soggetti a rischio e di indi­rizzarli nel più breve tempo verso un adeguato tratta­mento.............................Esordio ed intervento precoce.................................... L'esordio dei disturbi psichiatrici può avvenire in qualsiasi momento nel corso della vita di un individuo, ma la sintomatologia clinica di solito si manifesta nel corso della prima età adulta. L'esordio può esser distinto in: esordio della malattia, inteso come il primo segno (non specifico) di disagio/disturbo mentale, ed esordio del­l'episodio, inteso come primo sintomo di primo ordine (segno specifico) o primo momento in cui vengono sod­disfatti i criteri operazionali di un sistema diagnostico. Il quadro clinico dei disturbi "psicotici", nel suo decor­so temporale, può avere configurazioni molto diverse ma può essere descritto, generalmente, sulla base di tre periodi o fasi successive. La prima fase viene definita come periodo prodromico (o "a rischio"), in quanto la maggior parte dei pazienti presenta dei segnali di avver­timento di disagio psicologico. I segnali di avvertimen­to includono sintomi affettivi, negativi, positivi (in for­ma attenuata) ed alterazioni comportamentali Tale pe­riodo ha una durata variabile da 3 a 5 anni prima del­l'esordio psicotico ed è rappresentato dal tempo che in­tercorre tra la comparsa di questi segnali di disagio psicologico e l'esordio del disturbo psicotico ed è collega­to al concetto di durata di malattia non trattata (DUI) (Me Gorry et al., 2001). A questa fase segue il primo episodio psicotico, durante il quale, per la prima volta, si rende evidente la presenza di sintomi psicotici fran­chi, come allucinazioni, deliri, comportamento disorga­nizzato. L'ultima fase, infine, viene definita periodo "critico", ed è rappresentata dai primi anni successivi all'esordio della malattia, in cui si può verificare una ra­pida progressione del quadro clinico, con desincroniz­zazione tra il funzionamento clinico e sociale ("tossicità biologica"). I criteri per diagnosticare un "disturbo psicotico" richie­dono un'accurata datazione dell'inizio del disturbo e la distinzione dei sintomi prodromici da quelli dell'episo­dio psicotico acuto. Dati forniti dalla recente letteratura, identificano tre raggruppamenti di sintomi prodromici: sintomi psicotici attenuati (cambiamenti delle percezio­ni, perplessità, sospettosità e umore delirante), sintomi nevrotici non specifici e correlati all'umore, (reazioni ad altri sintomi: disturbi del sonno, ansia, irritabilità, scarsa motivazione e umore depresso o elevato), cam­biamenti comportamentali, in risposta ad altre esperien­ze, di tipo sia nevrotico sia psicotico in forma attenuata (Pollice et al., 2007). Nonostante i vasti investimenti sui farmaci psicotropi e gli sforzi di standardizzare le tecniche psicoterapiche, i servizi tradizionali di pratica psichiatrica hanno fallito nel migliorare le esigenze dei giovani. Ad esempio, la categorica distinzione delle malattie mentali è di per sé stigmatizzante. Come risultato, molti giovani si vergo­gnano di essere affetti da una malattia mentale ed evita­no il trattamento. Un focus su interventi per la promo­zione della salute mentale può essere destigmatizzante grazie al riconoscimento del fatto che tutte le persone hanno molto in comune tra loro. II mancato riconoscimento del primo episodio rappre­senta, attualmente, un problema importante ed è asso­ciato con una prognosi peggiore: la recente letteratura suggerisce che esiste un periodo estremamente variabi­le, da 1 mese a 20 anni, tra il primo episodio psicotico ed il primo intervento terapeutico. Nella maggior parte dei casi, il ritardo tra l'esordio e il primo trattamento è sorprendentemente lungo (1-2 anni): lo psichiatra vede troppi casi in fase avanzata e ha professionalmente a che fare con un numero troppo piccolo di stati prepsicotici. Questo ritardo, che si realizza in fasi critiche dello svi­luppo per l'adolescente ed il giovane adulto, potrebbe influenzare in modo profondamente negativo la pro­gressione del disturbo, il funzionamento psicosociale, la risposta al trattamento farmacologico e l'incidenza delle ricadute e delle ospedalizzazioni. La disabilità persona­le e sociale si instaurano soprattutto nei primi tre anni di malattia ("Criticai Period") (Birchwood et al., 2000). Le conseguenze del ritardo diagnostico e terapeutico nei disturbi psicotici, si ripercuotono in ambiti molteplici della vita del soggetto: psicosociale, familiare, con au­mento del carico familiare e stigma ambientale, e clinico, con la possibilità che ci sia una scarsa risposta ai trattamenti, con relativo aggravamento della sintomato­logia non specifica, con più ricadute ed ospedalizzazio­ni e un maggior rischio suicidano (Hafner et al, 2005). Inoltre, se un disturbo psicotico all'esordio viene mi­sconosciuto, al mancato trattamento, si aggiungono an­che gli effetti di trattamenti inadeguati, che possono portare ad un declino del funzionamento globale, ad un maggior rischio di neuropsicotossicità cerebrale, disci­nesie tardive (antipsicotici) ed a un maggior numero di viraggi, di cicli e di cronicità residua (antidepressivi) (.Schaffner et al., 2001) Le possibili conseguenze di una diagnosi e di un trattamento tardivo possono comporta­re anche alterazioni anatomofunzionali in alcune speci­fiche aree cerebrali, come una vera e propria perdita di materia cerebrale, con progressione postero anteriore, che correla in maniera significativa con la presenza di allucinazioni e deliri. Questa perdita inizia nelle aree as-sociative posteriori e si estende progressivamente fino alla corteccia delle aree frontali: numerosi studi, infatti, evidenziano che nei pazienti schizofrenici si verifica una massiva perdita di tessuto cerebrale con amplia­mento dei ventricoli laterali e che i pazienti Bipolari presentano una diminuzione del volume cerebrale spe­cie nelle aree temporali ed ippocampali. Esiste pertanto un generale consenso sul fatto che sia necessario mette­re in atto degli interventi preventivi, con una formula­zione di appropriate linee guida, condivise a livello nazionale ed internazionale in modo tale da poter identifi­care le persone a rischio, stabilire il ruolo della terapia farmacologica e dei trattamenti psicologici nei soggetti in fase prodromica o al primo episodio psicotico e la configurazione ottimale dei servizi destinati all'identifi­cazione e trattamento di questi soggetti. Attualmente non vi è un consenso unanime rispetto all'utilizzo di trattamenti farmacologici nei soggetti gio­vani a rischio. Al contrario, l'impiego di trattamenti psi­cologici specifici (terapia cognitivo comportamentale) nei soggetti in fase prodromica è raccomandato al fine di ridurre i sintomi, migliorare le abilità sociali, ricono­scere i pensieri disfunzionali, abbassare i livelli di ansiae di depressione spesso correlati al disagio vissuto in fa­se prodromica. Pertanto tutti i pazienti dovrebbero esse­re sottoposti a trattamenti psicologici in aggiunta a quelli farmacologici: è dimostrato infatti che la Terapia Cognitivo-Comportamentale previene le recidive ed au­menta la funzionalità globale e che una Psicoeducazio­ne previene le recidive, aumenta la compliance al trat­tamento ed aumenta il funzionamento sociale. Materiali e metodo Presso l'ospedale San Salvatore de L'Aquila è attivo da aprile 2006 l'ambulatorio "SMILE". Tale Unità Opera­tiva Semplice è rivolta a soggetti con "problemi psico­logici o comporatamentali", compreso il "semplice" di­sagio, di età compresa tra i 17 e i 30 anni ed ha come obiettivi: l'identificazione accurata dei precursori , dei prodromi e degli esordi psicotici e la successiva artico­lazione di un programma di prevenzione e di cura sulla basi di un modello di evoluzione verso l'esordio della malattia mentale suddividibile in quattro fasi. Queste ultime si articolano in: fase premorbosa (fattori di rischi e da tratti di vulnerabilità), fase prodromica precoce, ca­ratterizzata da sintomi affettivi (depressione e ipoma­nia), emozionali (ansia), da sintomi negativi e compor­tamentali aspecifici, da deterioramento psicosociale ("stati mentali a rischio"), fase prodromica tardiva, ca­ratterizzata da un approfondimento dei sintomi prece­dentemente indicati e/o da sintomi psicotici episodici o intermittenti e fase psicotica all'esordio, caratterizzata da disturbi dello spettro psicotico (Schizofrenico e Af­fettivo). Tutti i soggetti che si rivolgono allo SMILE vengono sottoposti ad un modulo ambulatoriale, costituito da quattro incontri. Durante il primo incontro viene effet­tuata una identificazione ed analisi del problema, con la formulazione di una ipotesi diagnostica. Il secondo in­contro prevede un assesment clinico con una valutazio-ne divisa per specificità diagnostica (Ansia, Disturbo Umore, Disturbi Psicotici, Personalità, Altro) ed una va-lutazione individuale dei familiari. Il terzo prevede l'ef­fettuazione di indagini neuropsicologiche ed elettrofi-siologiche (ERP), mentre al quarto si effettua una defi­nizione diagnostica ed una proposta programmata di trattamento ("restituzione"). Il trattamento prevede di­verse strategie terapeutiche, individuali o di gruppo, in base alla diagnosi effettuata, tra cui: Terapia Cognitivo-Comportamentale, Problem solving, Ristrutturazione cognitivo-emotiva, Social Skill Training, Auto-aiuto, Riabilitazione Neuropsicologica ("tradizionale" e co­gnizione sociale) ed interventi psicoeducazionali (Psi­coeducazione al disturbo, Riconoscimento dei Segni precoci di crisi, Psicoeducazione ai farmaci). Sono pre­visti, infine, interventi anche per i familiari dei pazienti, quali ad esempio: Psicoeducazione al disturbo, Ricono­scimento dei Segni precoci di Crisi, Psicoeducazione ai farmaci e gruppi di Auto-aiuto.

Risultati:

Sono stati visitati 670 giovani, di età compresa tra i 17 e i 30 anni, per un totale complessivo di 2243 visite. At­tualmente risultano in carico 451 soggetti, di cui 118 Maschi ( pari a 26,19%) e 333 Femmine (pari a 73,81%). L'età media è risultata pari a 23 anni (ds + 5,8). Rispetto alla diagnosi, il 33% dei soggetti che si sono rivolti allo SMILE presentava un Disturbo d'ansia, il 26% un disturbo di personalità, il 16% Depressione Maggiore, il 8% uno Stato mentale a rischio, il 12% un Disturbo Bipolare ed il 5% un Disturbo dello Spettro Schizofrenico . Gli aspetti prodromici nel primo episodio di psicosi più comunemente rilevati nella nostra esperienza sono stati: riduzione della concentrazione e dell'attenzione, ridu­zione dell'iniziativa e della motivazione, mancanza di energia, depressione dell'umore, disturbi del sonno, an­sia, ritiro sociale, sospettosità, deterioramento dei fun­zionamento di ruolo ed irritabilità II 26% dei nostri giovani utenti, presentava in anamnesi una sintomatologia che era suficiente a determinare una specifica diagnosi, precedente al contatto con lo SMI­LE: il 18% Disturbi d'Ansia, il 10% Disturbi dell'Umo­re, il 9% Disturbi di Personaltà (prevalentemente del Cluster B) ed il 4% Disturbi da Abuso di Sostanze. Ri­teniamo si possa ipotizzare che, in molti dei nostri pa­zienti, tali sintomi potrebbero essere considerati come sintomi premorbosi o prodromici. I Disturbi prevalenti riscontrati nei precedenti 24 mesi erano costituiti da: per il 9% dei soggetti DAP (Disturbo da Attacchi di Panico), il 7% Fobia Sociale, il 7% Di­sturbi Maggiori dell'Umore, il 5% Disturbi Psicotici e al momento dell'ingresso nel nostro progetto/servizio "soltanto" il 4% dei nostri pazienti aveva ricevuto una di queste indicazioni diagnostiche. II 23% di essi attualmente ha una diagnosi di disturbo "psicotico" (Spettro Schizofrenico o Spettro Bipolare dell'Umore). I disturbi con maggior prevalenza lifetime sono costitui­ti da:Disturbi d'ansia (29%), Disturbi dell'umore (21%), Dstrubi del controllo degli impulsi (25%), Di­sturbo da uso di sostanze (15%). Le strategie terapeutiche messe in atto sono state: tratta­menti psico-sociali (63%), trattamenti integrati (30%) e trattamento farmacologico (7%) Conclusioni In accordo con la letteratura recente, la nostra esperien­za, seppure in una fase iniziale, ci consente di ritenere che il modello preventivo (così come descritto e messo in atto nel nostro servizio) appaia coerente e si basi su una logica impeccabile. Vi è, per i giovani, una notevole possibilità di ridurre la sofferenza e la perdita di oppor­tunità che scaturisce da un disagio psicologico non ac­colto e non trattato sufficientemente poiché, per la mag­gior parte dei giovani con problemi psicologici, l'identi­ficazione precoce, se accompagnata dall'offerta di un trattamento efficace e dalla sua acccttazione, limiterà i danni biopsicosociali conseguenti. La prevenzione dei disturbi mentali prevede una fase di "identificazione dei bisogni e dei casi", una di "tratta­mento standard dei disturbi conosciuti" ed una fase de­gli "interventi di mantenimento", con trattamenti a lun­go termine per la diminuzione delle ricadute e del ri­schio di insorgenza di nuovi episodi e trattamenti di af-ter-care, inclusa la riabilitazione. La diagnosi e il trattamento precoce dei disturbi psichia­trici si mostra pertanto fondamentale per: la rilevazione dei disturbi precocemente per prevenire condizioni di malattia più gravi in seguito e per ridurre o prevenire il decadimento psicologico e sociale. Una accurata carat­terizzazione dei precursori e dei prodromi, inoltre, po­trebbe avere un importante significato diagnostico e prognostico (Cameron 1938).   BIBLIOGARFIA Birchwood M, Fiorillo A. The criticai period for early intervention. Psychiatr Rehabil Skills 2000; 4: 182-198 Cameron D.E. Early schizophrenia. American Journal of Psychiatry, 95:567-578,1938 De Girolamo G, Tansella M, La diffusione dei disturbi mentali. Famiglia Oggi, n.ll- 2001,pag. 8. Falloon IRH. Early intervention for fìrst episodes of schizophrenia: A preliminary ex- ploratìon. Psychiatry 1992; 55: 4-15 Gallese V,, Keysers C, Rizzolatti G. A unifying view of thè basis of social cognition.'Trends in Cognitive Sciences Voi.8 No.9 September 2004...............................segue

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