di Dan Sperber da Domenica (Sole24ore) del 21/6/09 Claude Lévi-Strauss dev'essere l'antropologo più famoso nella storia della sua disciplina. Tra gli intellettuali francesi, la sua figura si staglia singolare e imponente, seconda a nessun'altra, vicina a nessun'altra. Facendo battere loro il cuore con la promessa di avventure intellettuali, ha richiamato all'antropologia generazioni di studenti - e io fra questi - che altrimenti sarebbero diventati filosofi, storici o sociologi. Diversamente dal maestro, molti sono diventati ricercatori sul campo e non hanno dedicato molto tempo alla teoria. Nel suo seminario, di solito presentavano dati etnografici e i commenti teorici li faceva lui. Ha incoraggiato, e gliene sono ancora grato, le mie insolite meditazioni teoriche nonostante avessero un tenore critico, ma ricordo bene che molti suoi seguaci le giudicavano presuntuose come se, al suo teorizzare, si potesse sperare tutt'al più di aggiungere esegesi e note a pie'di pagina. Dite «Claude Lévi-Strauss», vi sentirete rispondere «strutturalismo». Giusto, ma in antropologia è stato anche, con molta costanza, il difensore solitario di una prospettiva naturalistica e mentalistica. E a differenza del suo strutturalismo, accolto con entusiasmo, questa è stata generalmente considerata sconveniente, un faux pas intellettuale che era meglio ignorare. Senza curarsene, in tutta la sua opera Lévi-Strauss ha insistito su una prospettiva naturalistica... Nel Pensiero selvaggio (1966), evoca la reintegrazione della «cultura nella natura e infine... della vita nell'insieme delle sue condizioni fisico-chimiche». InDa vicino e da lontano (1985), mentre prende le distanze dal naturalismo «ingenuo e semplicistico» della sociobiologia, accenna a una possibile convergenza delle scienze della natura e della cultura che spazierebbe dai meccanismi più elementari della vita ai fenomeni umani più complessi. Levi-Strauss usa «natura umana» e «mente umana» quasi come sinonimi. Già nel 1952 (alla conferenza di Bloomington, una pietra miliare) sosteneva che «un'antropologia concepita in modo più ampio» avrebbe un giorno rivelato come funziona la mente. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, la linguistica e la psicologia subirono grandi trasformazioni in seguito alle quali le loro relazioni reciproche e con l'antropologia furono da ripensare molto più radicalmente di quanto si prefigurasse Lévi-Strauss. In linguistica, lo strutturalismo è stato ormai relegato nella storia di una disciplina di cui il quadro concettuale, i metodi e il programma sono stati radicalmente ridefiniti sotto l'ìnfluenza di N0am Chomsky (ed è vero anche per la linguistica anti-chomskiana). Anche nelle sciènze sociali, lo strutturalismo appartiene al passato non perché sia stato soppiantato da un'alternativa irresistibile, ma perché lo scarto tra le sue promesse e i risultati era diventato fin troppo palese. Col senno di poi, nelle scienze umane , lo sviluppo più importante della seconda metà nel Novecento non è stato lo strutturalismo (né - Serve dirlo? - il post-modernismo) ma di gran lunga la «rivoluzione conitiva. Tra gli altri successi, essa ha ricondotto la psicologia allo studio dei meccanismi mentali; uno sviluppo che Lévi-strauss dovrebbe aver accolto con favore. Negli ultimi vent'anni inoltre, un numerocrescente di psicologi cognitivi si è reso conto che le strutture mentali potevano essere studiate non solo con esperimenti di laboratorio, ma anche attraverso le loro manifestazioni culturali. Da questo punto divista, si ricollegano a Lévi-Strauss il quale affermava nel "Cottoo e il crudo (1969) che «lo scopo ultimo dell'antropologia è di contribuire a una miglior conoscenza del pensiero oggettivato e dei suoi meccanismi». Sotto molti aspetti, Lévi-Strauss è stato il pioniere di una vera « antropologia cognitiva». L'etichetta evoca ovviamente l'antropologia di scuola americana, nota anche come "etnoscienza" e molto influente negli anni Sessanta e Settanta. In Development of Cognitive Anthropology (1995) Roy D'Andrade parla dell'antropologia cognitiva più o meno come di un'esclusiva della scuola americana e cita a malapena Lévi-Strauss. Lo psicologo Howard Gardner, d'altro canto, in una precoce «storia della rivoluzioné cognitiva» (La nuova scienza delia mente, 1985) dimostrava una maggior comprensione, credo, nel dare pari spazio allo strutturalismo di Lévi-Strauss e all'etnoscienza. L'antropologia cognitiva americana ha prodotto un corpus di lavori (spesso discussi nel seminario di Lévi-Strauss) che ha contribuito parecchio a colmare il divario trala psicologìa cognitiva e l'antropologia. Tuttavia era concentrata sulla categorizzazione e sui modèlli culturali, e si occupava solo marginalmente di questioni più ampie di antropologia quali, per esempio, l'organizzazione sociale, la parentela o la religione. Era partita con grandi ambizioni, ma finì per ricavarsi un territorio limitato ai margini dell'antropologia e della psicologia. Invece Lévi-Strauss riteneva chelo studio dei meccanismi mentali fosse al centro delle preocupazioni dell'antropologia e pensava alla ricerca etnografica come a una fonte di saperi fondamentali sulla struttura della mente umana. L'impatto del lavoro di Lévi-Strauss sull'antropologia in sé non coincide con la fama universale di cui esso gode. Lo studio della parentela ha perso la sua centralità tradizionale, e si è focalizzato su questioni di potere o di genere molto lontane dai temi levi'straussiani ; non ha ricevuto una grande spinta né ha tratto molta ispirazione dal suo monumentale contributo. Non saprei se questo abbia a che fare con Lévi-Strauss o con lo stato dell'antropologia, che rimane per gran parte a-teorica e non naturalistica. Anche se nuovi lettori rimangono colpiti o ispirati dalla straordinaria intelligenza ed eleganza dei suoi scritti, è improbabile che provino il senso di esaltazione intellettuale che mosse molti di noi quarant'anni fa. Ciò nonostante, mentre alcuni dei suoi pronunciamenti siano ormai di interesse storico, altri erano molto in anticipo sui tempi. Se, come credo che stia cominciando ad accadere, lo studio della mente e quello della cultura si unificheranno in un quadro naturalistico, allora Lévi-Strauss risalterà come un precursore di questa nuova avventura. (Traduzione diSytvie Coyoud)
Chi e' Dan Sperber : e' un pensatore che ha una concezione "forte" della natura umana e degli universali culturali di cui questa natura è costituita. Secondo Sperber il metodo strutturalista per rintracciare questi universali è superato, ma ciò non toglie nulla al progetto "forte" di comprendere l'essere umano nella sua interezza e su "larga scala", servendosi dell'etnologia come degli esperimenti di laboratorio, adottando un approccio darwiniano e facendo tesoro della lezione di Chomsky in ambito linguistico. Sperber ha portato avanti questo programma di ricerca come direttore dell'istituto Jean Nicod di Parigi e come autore di libri importanti come "Le structuralisme en anthropologie (1973), Rethinking Symbolism (1975), On Anthropological Knowledge (1985), Relevance. Communication and Cognition (con Deirdre Wilson, 1986), Explaining Culture (1996), Experimental pragmatìcs (con lraNoveck, 2004). Il suo lavoro sul simbolismo ha posto le basi per uno studio dei constraint cognitivi che determinano la distribuzione e la selezione delle rappresentazioni culturali La sua «teoria della pertinenza», o rilevanza, secondo la quale gli esseri umani sono continuamente ìmpegnati nella ricerca di un equilibrio tra sforzo cognitivo ed efficacia cognitiva, ha dominato la discussione nella linguistica ,nell'intelligenza artificiale e nella psicologia cognitiva deglì ultimi decenni Nei suoi ultimi lavori Sperber ha elaborato l'idea di una «epidemiologia delle rappresentazioni» che permetta di comprendere perché certe credenze, conoscenze o pregiudizi siradicano con maggiore successo di altre. Ar.M. orso castano : lo sforzo di recuperare L.Strauss all'interno di una "prospetiva naturalistica (si allude forse alla neuroscienza, oggi per la maggiore?) senza tuttavia far perdere al pensatore i suoi tratti di antropologo, e' interessante e ci aiuta meglio a comprendere cosa e' stata l'antropologia e come puo' essere comparata (o meglio complementata) al cognitivismo, teoria/pratica che piu' di altre si presta a far da ponte tra la psicologia e le neuroscienze. Ma e' necessario stare attenti alle tendenbze riduzionistiche , che tolgono peculiarita' all'originalita' delle teorie , appiattendole. Il fatto che una teoria antropologica o psicologica sia stata momentaneamente messa in secondo piano, non significa che non possa essere ripresa piu' tardi, proprio rifacendosi alla sua intuizione originale , sempre ovviamente tenendo presente la sua corretta collocazione nello spirito del suo tempo.
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