mercoledì 17 giugno 2009

La sessualità: normalità e patologia

da "L'altro", rivista di formaazione della SIFIP

di Maria Fontana (psicolga) , Marina Miniati (psichiatra), Alessandro Bani (psichiatra) : AUSL 12 Viareggio

Lo sviluppo dell'attuale concetto di sessualità è il risultato di un percorso complesso e articolato, caratterizzato dall'attribuzione di connotazioni talvolta positive, talvolta negative, che chiama in causa diversi ambiti di interesse. Parlando di sessualità, dobbiamo riferirci ad aspetti biologici (elementi determinati a livello cromo-somico e neuroendocrino) , cognitivi  (definizione di sé, degli altri e concezione stessa di sessualità) , comportamentali (azioni che sono il risultato di condotte innate o di apprendimenti a livello sociale) e infine emozionali (modalità di risposte di attivazione anche in questo caso geneticamente determinate o apprese).  La nozione di "sessualità" è strettamente correlata a quella di identità e comporta il riferimento a diverse tipologie di manifestazione o concettualizzazione del termine stesso . A tal proposito possiamo citare la classificazione realizzata da Bancroft , il quale ne distingue otto forme diverse, seguenti l'una all'altra (eccezion fatta per l'ultima, che si sviluppa parallelamente alle precedenti) : sesso cromosomico (o genotìpico) , gonadico, ormonale, organi sessuali interni, sesso fenotipico (genitali esterni e caratteristiche sessuali secondarie), legale (anagrafico), identità di genere e differenziazione sessuale cerebrale. Bai darò Verde e Grazziottin definiscono l'identità come la "totalità della persona" costituita da tre componenti: biologica (cromosomica e gonadica) , sociale (definita dal sesso anagrafico e quindi dal nome assegnato alla nascita) e psicologica (rappresentata dal Sé psichico, la "totalità della struttura mentale").Viene quindi considerato essenziale il riferimento a componenti sia geneticamente che culturalmente determinate. In questo senso, la sessualità e l'identità rappresentano l'esito dell'interazione tra molti fattori e tale esito può essere considerato come aderente o meno alla "norma".La normalità in materia sessuale può riferirsi alla norma intesa come biologica (per cui si è normali quando si appartiene a uno dei due sessi presenti in natura, maschile o femminile) , statistica (la curva gaussiana prevede una percentuale di popolazione normale di circa il 66%), psicologica: la normalità comporta lo sviluppo armonioso della personalità .

L'evoluzione dei concetti normale-patologico Non è semplice definire il concetto di normalità in questo ambito. Si potrebbe affermare che la definizione assume connotati diversi nel tempo e nello spazio. Ciò che era "anormale" anche solo un secolo fa. oggi potrebbe non essere più considerato tale. Se pensiamo all'epoca vittoriana, i criteri di normalità stabiliti erano molto rigidi e tutto ciò che si distaccava dal biologicamente determinato era definito perverso e deviante. Andando indietro nel tempo, secondo studi etnologici sulle culture primitive, le deviazioni vittoriane erano invece accettate (ad esempio, persone che vivevano come se appartenessero al sesso opposto rispetto a quello biologico erano considerati sciamani) e nell'antichità greco-romana erano praticate e accettate forme di omosessualità maschile e pederastia. L'evoluzione dei concetti normale-patologico è evidente anche all'interno delle diverse edizioni del DSM. il Manuale Diagnostico e Statistico dell'APA. Pensiamo al caso dell'omosessualità, considerata nelle prime edizioni una "Deviazione Sessuale", un "Disturbo della condotta sessuale". A partire dal DSM-III-R  ritroviamo solo l'omosessualità nella forma egodistonica come "Disturbo dell'orientamento sessuale", mentre la forma egosintonica è stata eliminata in quanto non più considerata patologica. Questo per quanto riguarda l'evoluzione temporale del concetto. Per quanto concerne invece la dimensione spaziale, esistono differenze presenti tra le varie culture nel definire ciò che rientra nella normalità e ciò che invece costituisce patologia. A tal proposito alcuni studiosi parlano di "sindrome legata alla cultura" (4), secondo la quale alcuni comportamenti sarebbero risposte a condizioni definite culturalmente. Evero peraltro che nella nostra cultura vengono attuati dei comportamenti "normali", ma che sono considerati patologici in altre culture. Ad esempio, relativamente all'omosessualità, nella cultura occidentale spesso questa non è accettata e comporta atteggiamenti discriminatori e colpevolizzanti; in molte culture non occidentali, invece, l'omosessualità è accettata, soprattutto in alcune forme (paticismo e pederastia; in altre ancora, l'omosessualità femminile, al contrario di quella maschile, viene duramente condannata. Sono presenti anche delle condizioni riconosciute come patologiche da tutte le culture. Possiamo citare il Deficit della 5-alfa reduttasi3 e il Koro. Il Disturbo dell'Identità di Genere (DIO) è definito quindi come patologia proprio in quanto comporta l'esclusione di chi ne soffre dalle due categorie di genere biologicamente stabilite, cioè maschio o femmina, e ciò che viene criticato dalla popolazione transgender è proprio l'impossibilità di poter trovare una collocazione sull'asse della sessualità che vede ad un estremo l'uomo e all'altro la donna; al centro trovano spazio tutta una serie di manifestazioni e di espressioni "non convenzionali" del modo in cui ognuno può vivere la propria sessualità. La questione relativa al mantenimento di questa patologia all'interno dei principali sistemi nosografici è attualmente in discussione e comporta riflessioni di carattere etico-legale oltre che clinico. Il Disturbo dell'Identità di Genere II concetto di genere viene comunemente utilizzato per indicare l'appartenenza al mondo femminile o maschile. La questione è stata affrontata tra gli altri da Money, che inizialmente ha utilizzato il termine come concetto "ombrello" per distinguere la femminilità e la mascolinità dal sesso biologico. È necessario infatti separare sesso e genere; il primo è impiegato come criterio classificatore relativo al sesso genetico, ormonale o dei genitali esterni; il secondo è un termine maggiormente estensivo in quanto include aspetti somatici e comportamentali. Partendo da questi presupposti, l'Autore  sviluppa il concetto di identità di genere, definita come la percezione globale dell'individuo sul suo genere e quindi l'identità personale come uomo o donna. Al tempo stesso, indica anche il livello personale di conformità alle norme sociali relative a ciò che è femminilità e mascolinità. In riferimento a quest'ultimo aspetto, si può parlare di ruolo di genere, cioè tutto ciò che una persona fa per dimostrare a sé stesso e agli altri il suo grado di femminilità, mascolinità o ambivalenza. Il ruolo quindi include aspetti come il lavoro, lo sport, i giochi, l'abbigliamento (forse il simbolo principale per un'identificazione immediata), il proprio stile di vita in generale. Altro concetto che dobbiamo analizzare è quello di orientamento sessuale; è un'ulteriore componente dell'identità di genere riferita alla persona, all'oggetto o circostanza che è in grado di produrre eccitamento e interesse sessuale, nonché la modalità di risposta ai diversi stimoli sessuali. I tre concetti sono strettamente correlati e la maggior parte delle persone mostra congruenza e armonia tra identità, ruolo di genere e orientamento sessuale. Esiste comunque una minoranza che manifesta comportamenti non conformi a quanto socialmente stabilito per il genere di appartenenza. In questo caso è più corretto parlare di un continuum lungo il quale si manifestano diversi gradi di tale incongruenza. A tal proposito possiamo citare la scala elaborata da Kinsey nel 1948 (12), che classifica sette diverse forme di orientamento, collocando agli estremi l'omosessualità e l'eterosessualità esclusive; al centro si trovano cinque forme che esprimono una maggiore o minore soglia di omosessualità/etero-sessualità.Doorn (13) ipotizza la compresenza di un sottosistema maschile e di uno femminile dell'identità di genere; quest'ultima quindi si esprime in modo diverso a seconda della superiorità e della modalità di espressione di uno dei due sottosistemi. Anche in questo caso, come per Kinsey, non abbiamo una classificazione dicotomica ma un continuum che vede ad un estremo persone che manifestano un'identità congruente con il sesso biologico e all'altro persone che vivono come appartenenti al sesso opposto (transessuali); al centro l'Autore colloca gli eterosessuali non esclusivi, i bisessuali, gli omosessuali e i travestiti.Se ci riferiamo al DSM IV TR (2000) emerge peraltro come il DIG sia inserito in una classe di disturbi che non prevede il Feticismo di Travestimento che invece è inserito nelle Parafilie. Questo per sottolineare ancora una volta che da un punto di vista categoriale i criteri sono significativi per enfatizzare alcune caratteristiche del DIG stesso: "una forte e persistente identificazione con il sesso opposto" con "persistente malessere riguardo il proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso". La condotta di travestimento, anche dal punto di vista psicodinamico, come sottolineano Affatati e Coli. (2006) (14), viene ad essere conseguenza della identificazione con il sesso opposto e questo differenzia il DIG dal Feticismo di Travestimento dove il travestimento ha effetto e finalità eroticizzante ed eccitante. Nel parafilico "la motivazione del travestimento è individuabile nel piacere narcisistico di vedersi ed essere visto come essere ermafrodita, per il transessuale travestirsi è adeguarsi a come si sente di essere".Per quanto riguarda il processo di formazione dell'identità sessuale, Fenelli e Volpi (15) evidenziano l'interazione tra fattori biologici (espressi attraverso il sistema endocrino e che determinano il dimorfismo sessuale del sistema nervoso centrale e periferico) e contesto ambientale (indicanti le basi per il comportamento e lo stile di vita maschile e femminile). Partendo dal corredo cromosomico XX o XY, la produzione ormonale determina, già a livello intrauterino, la differenziazione go-nadica, degli organi sessuali esterni e cerebrale. Il comportamento, invece, sarebbe determinato più da processi di comunicazione sociale e di apprendimento che da differenze ormonali. In questo caso emergerebbe quindi un processo organizzativo della conoscenza individuale (16) basato essenzialmente su processi emozionali; attraverso l'autostimolazione dei primi anni di vita, l'attività masturbatoria nella pubertà e lo sviluppo di forme più complesse del linguaggio, emergerebbero nuovi livelli di conoscenza sempre più articolati ed eterogenei. Il desiderio sessuale diventerebbe via via sempre più influenzato da stimoli psicosociali, oltre che dalle fluttuazioni ormonali. L'identità sessuale è formata quindi da alcuni elementi strutturali (corredo cromosomico, contesto ambientale ed ecosistema) che però non sono totipotenti e rappresentano le prime possibilità di crescita e al tempo stesso i primi vincoli. Nel momento in cui si verificano delle deviazioni daquesto percorso, è possibile che emergano incongruità tra il sesso biologico e la percezione che il singolo ha di se stesso come appartenente ad un determinato genere. In questo caso Fenelli e Volpi si chiedono se sia possibile parlare di "identità transessuale". Ipotizzano che il transessuale sappia "che cosa non è" (non si sente né uomo né donna) e vada alla ricerca di comportamenti o interventi sul proprio corpo che gli garantiscano un'identità definita. In questo senso si potrebbe sostenere che la continua ricerca di un adeguamento al sesso opposto (che raggiunge il culmine con la Riattribuzione Chirurgica di Sesso, RCS) sia il risultato di pressioni sociali tendenti a far rientrare nella norma ciò che viene percepito come diverso. Baldaro Verde e Grazziottin (2) distinguono tra basi pre e post-natali dell'identità sessuale psicologica. Nel primo caso si evidenziano processi di tipo inconscio e il processo di divisione dell'archetipo dell'androgino e l'accettazione dell'appartenenza al proprio sesso biologico. I fattori post-natali comprendono in primo luogo i rapporti che si istaurano con la coppia genitoriale. Emerge l'esigenza di soddisfare alcuni bisogni di base, tra i quali il bisogno di essere accettato e riconosciuto dalla madre, bisogni di attaccamento, potere, autonomia e autostima. La soddisfazione di questi bisogni psicologici si realizza durante quelli che sono i tre periodi critici fondamentali: il primo (corrisponde ai primi 18 mesi di vita) vede centrale il rapporto con la madre per l'accettazione della realtà esterna come luogo positivo, per l'acquisizione dell'identità di genere e di ruolo e una corretta erotizzazione del corpo, mentre il padre svolge un ruolo indiretto evitando di trasmettere un'immagine maschile negativa. Nel secondo periodo critico (edipico) il ruolo del padre è decisamente più attivo e in primo piano. Infatti, oltre a permettere il distacco dalla figura materna, consente l'identificazione e l'idealizzazione della figura maschile nel figlio; nella figlia permette il consolidamento e completamento dell'identità femminile. La terza fase (dalla pubertà alla tarda adolescenza) vede come bisogni principali l'autonomia e l'autostima ed è necessaria una ristrutturazione dell'identità acquisita in precedenza per interiorizzare l'identità sessuale certa. Secondo questi Autori quindi si può ipotizzare che la percezione intra-psichica dell'identità sessuale sia legata soprattutto alla fase post-natale e sarebbero centrali i processi e le modalità con cui si realizzano le interazioni di identificazione con il genitore dello stesso sesso e di complementazione con il genitore del sesso opposto. Secondo la teoria di Ruggeri e Ravenna ( 171 la percezione corporea è il fondamento dell'identità. L'Io, infatti, sarebbe un'unità psicofisica risultante dall'integrazione di tre livelli di esperienza: le proiezioni sensoriali (dagli organi di senso alle strutture cerebrali), l'immagine corporea e la rappresentazione del Sé (che comprende anche modelli sociali). I processi alla base dell'immagine corporea sono sia analitici (percezione delle sin-gole zone del corpo) sia sintetici (ampi distretti e sottounità) . Da questo avrebbero origine delle vere e proprie mappe corticali connesse agli stili di vita, alla storia relazionale e intrapsichica del singolo, e quindi alla sua identità. Al di là delle posizioni personali, la conoscenza delle più importanti teorie della formazione dell'identità sono essenziali per un più corretto e responsabile approccio al problema ed ad una sua gestione globale più adeguata; nel momento in cui si verificano deviazioni da questo percorso (causate da diversi fattori, a seconda della teoria eziologia di riferimento), possono presentarsi quindi delle difficoltà nell'identificazione e nell'acccttazione del proprio genere; se tali difficoltà diventano persistenti e sono causa di disagio e sofferenza, possiamo parlare di un Disturbo dell'Identità di Genere..................   BIBLIOGRAFIA.................... (1) Bancroft, J., Human sexuality and its problems, Edimbourgh, Churchill Livingstone, 1989. (2) Baldaro Verde, J., & Grazziottin, A., L'enigma dell'identità: il transessualismo, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1999...........................Note................................

Secondo la classificazione di Gorer (5), si distinguono tre forme di omosessualità: pederastia, omofilia e paticismo; quest'ultimo caso comporta una trasformazione di ruolo del partner passivo, il quale solitamente non svolge un ruolo maschile né sessualmente, né socialmente (6). Anche Herdt (7) individua tre stili di omosessualità: gender-reversed, role-specific ed infine age-asymmetric. Il modello gender-reversed corrisponde al paticismo di Gorer.La pederastia è definita come il rapporto omosessuale tra due partner con notevole differenza di età; nello specifico uno dei due è in età pubere o addirittura prepubere (Gorer, 1966). Corrisponde al modulo "asimmetrico rispetto all'età" di Herdt (7).

Il deficit della 5-alfa-reduttasi è una rara malattia autosomica recessiva che causa pseudoermafroditismo maschile, con differenziazione incompleta dei genitali maschili in pazienti 46, XY. Tale condizione è determinata dalla carenza dell'enzima 5-alfa-reduttasi responsabile della conversione del testosterone in diidrotestosterone, essenziale per la normale differenziazione dei genitali maschili esterni. Durante la pubertà, ammesso che non sia stata eseguita la gonadectomia, si ha una virilizzazione significativa, grazie alla quantità di androgeni sufficienti a mascolinizzare i genitali esterni, mutando così l'aspetto da ragazza a ragazzo. Per quanto riguarda l'identità di genere, non sembrano presenti particolari problemi anche grazia all'adeguata mascolinizzazione delle strutture cerebrali (8) Il Koro e' un episodio di ansia estrema, rilevato anche nel Sud e nell'Est dell'Asia, relativa alla possibilità che il pene rientri nel corpo, provocandone persino la morte (9). Il Disturbo dell'Identità di Genere . Alla domanda relativa alla motivazione della classificazione del DIO come disturbo mentale, Cohen-Kettenis (10) risponde che uno dei principali motivi è di ordine pratico e fa riferimento ai costi economici che comporta il trattamento del disturbo stesso (che normalmente sono sostenuti dai vari sistemi sanitari nazionali; ciò non si verificherebbe se si riportasse la questione nella "normalità").

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